Sentenza n. 340 del 1990

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SENTENZA N.340

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 29 dicembre 1989 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Preziuso Maria e Castaldo Eugenio, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Udito nella camera di consiglio del 13 giugno 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1.- Il Pretore di Roma, adito per l'esecuzione di un credito ex art. 708 dei codice di procedura civile sull'indennità di buonuscita spettante al coniuge debitore, ha giudicato rilevante, e non manifestamente infondata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 (T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) nella parte in cui esclude che la predetta indennità sia soggetta a sequestro o a pignoramento, salvo che per debiti verso il Fondo di previdenza e credito o per crediti risarcitori dello Stato.

2.- Il giudice a quo ha premesso che all'indennità di buonuscita spettante ai dipendenti dello Stato sembra potersi attribuire carattere tanto retributivo che previdenziale.

Nella prima prospettiva, osserva il remittente, giustificata dalla funzione prevalentemente compensativa dell'indennità e dalla sua corrispondenza alla analoga indennità del settore privato, la erogazione dell'E.N.P.A.S., al pari degli altri emolumenti retributivi, sarebbe da ricondurre sotto la comune disciplina della pignorabilità dei medesimi, stante la già dichiarata incostituzionalità della speciale normativa limitativa della espropriabilità degli emolumenti spettanti ai dipendenti pubblici, in quanto lesiva del criterio della parità di trattamento sancito all'art. 3 della Costituzione (v. sent. n. 878 del 1988).

Nella seconda prospettiva, da collegarsi al meccanismo contributivo predisposto per la costituzione della provvista finanziaria, l'indennità si dovrebbe considerare pur sempre aggredibile esecutivamente per crediti, come quello della creditrice procedente nel giudizio a quo, aventi carattere alimentare; ciò in coerenza con il principio egualitario al riguardo affermato da questa Corte con la sentenza n. 1041 del 1988, alla stregua del quale le pensioni corrisposte dall'I.N.P.S., pur costituendo tipiche prestazioni previdenziali, sono assoggettabili ad espropriazione coattiva per crediti alimentari al pari delle pensioni corrisposte dagli altri Enti pubblici, giusta la normativa di cui al d.P.R. n. 180 del 1950.

Nell'una come nell'altra ipotesi, quindi, la intangibilità esecutiva della indennità di buonuscita, stabilita attualmente dall'art. 21 del d.P.R. n. 1032 dei 1973, si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto con essa verrebbe a riservarsi ai dipendenti dello Stato una posizione privilegiata, rispetto agli altri dipendenti con diritto a prestazioni retributive o previdenziali, derivante dalla limitazione della responsabilità patrimoniale dei primi (anche di fronte ai creditori alimentari), in conseguenza della sottrazione dei cespite in esame.

3.- Nessuna delle parti del giudizio a quo si é costituita, nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.-Il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, nella parte in cui non consente il sequestro o il pignoramento, neanche per crediti alimentari, dell'indennità di buonuscita spettante ai dipendenti statali all'atto della cessazione dal servizio, salvo che per debiti verso il Fondo di previdenza e credito di cui all'art. 32 della stessa legge, ovvero per crediti risarcitori dello Stato.

Il giudice remittente, premesso che all'indennità di buonuscita può attribuirsi carattere tanto retributivo che previdenziale, rileva che, nell'una come nell'altra ipotesi, i dipendenti dello Stato godrebbero, per questo tipo di cespite, di una ingiustificata posizione di privilegio rispetto, non solo al regime dell'indennità di fine rapporto stabilito per i dipendenti privati, ma anche, più in generale, rispetto alla disciplina che regola la pignorabilità delle erogazioni tipicamente retributive o previdenziali, tanto del settore pubblico che di quello privato, le quali sono sempre aggredibili esecutivamente per crediti aventi carattere alimentare; ciò in base, rispettivamente, all'art. 2 n. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, all'art. 545 del codice di procedura civile, ed alle norme sul regime di pignorabilità delle prestazioni erogate dall'I.N.P.S. (art. 128 del regio decreto legge n. 1827 del 1935 e art. 69 della legge n. 153 del 1969), dichiarate, queste ultime, costituzionalmente illegittime nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2 n. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall'INPS (sent. n. 1041 del 1988).

2. - La questione è fondata.

In linea generale occorre premettere che questa Corte, pur non avendo mancato, in precedenti pronunce, di rilevare la non comparabilità, quanto alla struttura, dell'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S. con analoghe indennità di fine rapporto previste per i lavoratori privati (v. sent. n. 220 del 1988), ha già avuto occasione di affermare che per dette prestazioni sussiste pur sempre un elemento unificatore costituito dal comune carattere di diritti nuovi che sorgono nella generalità delle ipotesi di estinzione del rapporto di lavoro e che danno luogo globalmente al trattamento di quiescenza (v. sent. n. 220 del 1988, prec. cit.).

Ai fini del presente giudizio, però, non interessa individuare la generale ed intrinseca natura dell'indennità di buonuscita: basta soltanto porre in rilievo che detta prestazione non esaurisce i suoi effetti nei confronti del solo dipendente ma è pur sempre collegata anche alla situazione del nucleo famigliare, tanto che essa è soggetta al regime di reversibilità ai superstiti (v. art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973); il che consente di formulare subito un primo rilievo: e cioè che se dette erogazioni sono previste fin dall'origine anche in funzione delle necessità della famiglia, non può essere escluso, in linea di principio, alcun mezzo di realizzazione delle obbligazioni alimentari che appunto tali necessità tendono a soddisfare (cfr. sent. n. 572 del 1989).

Ciò posto, la norma denunciata dà luogo ad una disparità di trattamento priva di qualsiasi giustificazione, sia che essa debba essere posta a raffronto con il regime di pignorabilità delle retribuzioni degli stessi dipendenti dello Stato, sia che debba essere valutata in riferimento alle norme che disciplinano le analoghe vicende delle prestazioni tipicamente previdenziali, non solo nel settore pubblico ma anche in quello privato.

Nella prima ipotesi, infatti, la pignorabilità per crediti alimentari degli emolumenti percepiti dal pubblico dipendente è sancita, come principio generale, nell'art. 2 n. 1 del d.P.R. n. 180 del 5 gennaio 1950: analoga previsione, pur con diversa misura, è stabilita dall'art. 545 del codice di procedura civile per le retribuzioni dei dipendenti privati.

Nella seconda ipotesi, il medesimo principio ricomprende, nel già citato art. 2 n. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, anche le prestazioni previdenziali erogate dallo Stato (indicate del resto con una formula onnicomprensiva: <le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensione e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato...>); tale principio è stato recentemente esteso da questa Corte (v. sentt. nn. 1041 del 1988 e 572 del 1989) anche al settore privato, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle analoghe norme che sancivano la impignorabilità, anche per crediti alimentari, delle pensioni I.N.P.S. e delle rendite erogate dall'I.N.A.I.L.

Deve quindi concludersi che, esaminato il quadro generale della materia, non sono ravvisabili ragioni particolari che consentano di derogare, per l'indennità di buonuscita, al principio di tutela dei crediti alimentari, concedendo un trattamento privilegiato ai dipendenti dello Stato che fruiscono di tale attribuzione, nè tantomeno di porre in una condizione deteriore i relativi creditori sottraendo tale cespite alla realizzazione delle obbligazioni alimentari.

La questione sollevata dal Pretore di Roma, nei limiti di rilevanza della stessa nel giudizio a quo, vale a dire limitatamente alla sequestrabilità e pignorabilità dell'indennità di buonuscita per causa di alimenti dovuti per legge, va pertanto dichiarata fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 21 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall'art. 2 n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la sequestrabilità e pignorabilità, per crediti alimentari dovuti per legge, dell'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20/07/90.