Sentenza n.26 del 1990

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SENTENZA N.26

ANNO 1990

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 24 giugno 1923, n. 1395 (Tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti), così come attuato dall'art. 4, lett. c), del regio decreto 11 febbraio 1929, n. 275 (Regolamento per la professione di perito industriale), e dell'art. 1 della legge 8 dicembre 1956, n. 1378 (Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni), integrato dalla legge 7 marzo 1985, n. 75 (Modifiche all'ordinamento professionale dei geometri), promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1989 dal Consiglio nazionale dei periti industriali sul ricorso proposto da Tolomeo Gioacchino, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1.- Il perito industriale Gioacchino Tolomeo chiese, il 3 giugno 1981, l'iscrizione all'albo dei periti industriali di Palermo in base al diploma di "maturità tecnica" conseguito a norma del decreto legge 15 febbraio 1969 n. 9, convertito nella legge 5 aprile 1969 n. 119.

L'istanza fu respinta dal Collegio di Palermo e respinto fu pure il successivo ricorso al Consiglio nazionale dell'Ordine il quale ritenne, in base alla sentenza di questa Corte n. 43 del 1972, che il titolo di studio era stato conseguito con un esame esclusivamente scolastico e non professionale.

La decisione dei Consiglio é stata poi cassata, con rinvio, dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione che hanno enunciato il seguente principio di diritto: "Il diploma di perito industriale che, a norma del combinato disposto degli artt. 1 e 4, comma primo, lett. c) del regolamento per la professione di perito industriale, approvato con regio decreto Il febbraio 1929, n. 275, dà diritto al titolo di perito industriale ed alla iscrizione nell'albo professionale, si identifica in quello che sia conseguito in base alle norme dell'ordinamento degli esami di Stato, vigente al momento della domanda di iscrizione nell'albo, e ad esso corrisponde, nel caso di specie, il diploma di maturità tecnica (industriale) previsto dall'ordinamento degli esami di Stato istituito con decreto legge 15 febbraio 1969, n. 9, convertito con modificazioni nella legge 5 aprile 1969, n. 119. Il Consiglio dell'Ordine non può, pertanto, portare a fondamento dei diniego di iscrizione all'albo i diversi o più rigorosi criteri di valutazione dell'idoneità tecnico-pratica all'esercizio professionale, che esso ritenga fossero previsti dal diverso ordinamento scolastico vigente al momento della pubblicazione del citato regolamento per la professione di perito industriale.

In sede di rinvio, con l'ordinanza in epigrafe, il Consiglio nazionale dei periti industriali ha ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma della legge 24 giugno 1923, n. 1395, così come attuato dall'art. 4 lett. c) del regio decreto Il febbraio 1929, n. 275, in riferimento all'art. 33 della Costituzione, poichè consente l'iscrizione all'albo professionale previo il superamento di un esame solo scolastico e non professionale, nonchè dell'art. 1 della legge 8 dicembre 1956, n. 1378, integrato dalla legge 7 marzo 1985, n. 75 in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto dà luogo ad una illegittima disparità di trattamento prescrivendo soltanto per i geometri, e non anche per i periti industriali, l'onere di superare un esame di Stato abilitante all'esercizio della libera professione.

2.- Sostiene il giudice remittente che con la riforma degli esami di maturità attuata dal decreto legge 15 novembre 1969, n. 9, poi convertito nella legge 5 aprile 1969, n. 119, e con l'interpretazione di tale disciplina resa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 43 del 1972 nel senso che detta legge ha un ambito ed un contenuto ben definito che attiene all'istruzione pubblica, non concerne minimamente la diversa materia delle libere professioni, e non può pertanto riferirsi all'esercizio delle relative attività - é venuto meno il carattere di esame di Stato misto, scolastico e professionale, del diploma di maturità tecnica che, fino al 1969, consentiva l'iscrizione all'albo professionale nel rispetto dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione.

Inoltre, poichè dopo la ricordata sentenza n. 43 del 1972 la medesima situazione si é verificata anche per la categoria dei geometri, in favore dei quali ~ un apposito provvedimento legislativo (legge 7 marzo 1985, n. 75) ha istituito un esame di Stato abilitante all'esercizio della libera professione, l'aver escluso da tale previsione i periti industriali darebbe luogo, ad avviso dei Consiglio nazionale, ad una disparità di trattamento illegittima ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.

3.- É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato il quale eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione, sia perchè nell'ordinanza di rinvio mancherebbe qualsiasi accenno in ordine alla rilevanza della medesima, sia in quanto le norme denunziate non avrebbero alcun contenuto normativo che possa trovare applicazione da parte del Consiglio nazionale; in particolare, per quanto concerne l'art. 1 della legge n. 1378 del 1956, integrato dalla legge n. 75 del 1985, la difesa del Governo rileva che si tratta di norme non applicabili nel caso concreto essendo relative a professioni libere diverse da quella di perito industriali

Nel merito l'Avvocatura sostiene l'infondatezza della questione in quanto l'art. 33 della Costituzione non vieta l'unificazione dell'esame conclusivo degli studi e della prova di idoneità all'esercizio della professione, purchè ne resti garantita l'esigenza del concreto accertamento di un'adeguata capacità tecnico-professionale. Quanto infine al contrasto tra la legge del 1985 e l'art. 3 della Costituzione, rileva che gli ordinamenti di professioni diverse non sono comparabili al fine di dedurne pretese disparità di trattamento.

Considerato in diritto

1. - La Corte è chiamata a decidere due questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio nazionale dei periti industriali, in sede di rinvio dalle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, le quali, su ricorso di un perito industriale cui era stata negata l'iscrizione all'albo professionale, hanno enunciato il principio secondo cui il diploma di perito industriale che, in base alle vigenti leggi, dà diritto all'iscrizione nel relativo albo professionale si identifica in quello che sia conseguito in base alle norme dell'ordinamento degli esami di Stato vigente al momento della domanda di iscrizione all'albo.

In sede di applicazione di tale principio, il Consiglio remittente ha quindi ritenuto l'art. 7, terzo comma, della legge 24 giugno 1923 n. 1395, in contrasto con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione in quanto - così come attuato dall'art. 4 lett. c) del regio decreto 11 febbraio 1929, n. 275-consente l'iscrizione all'albo professionale dei periti industriali in base al semplice conseguimento del titolo di studio relativo.

Con la seconda questione, che riguarda l'art. 1 della legge 8 dicembre 1956, n. 1378, integrato dalla legge 7 marzo 1985, n. 75, il giudice a quo prospetta un contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento esistente fra periti industriali e geometri, per i quali l'iscrizione all'albo professionale è invece subordinata al superamento di apposito esame di Stato abilitante.

2.-L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della prima questione poichè nell'ordinanza di rimessione mancherebbe qualsiasi accenno a proposito della rilevanza, (che sarebbe peraltro da escludere), e comunque difetterebbe la motivazione nel merito.

L'eccezione non può essere accolta. Il giudice a quo ha esattamente rilevato che per decidere sul ricorso di cui è investito, deve applicare l'art. 4 lett. c) del regio decreto n. 275 del 1929, attenendosi al principio di diritto formulato dalle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione con la sopracitata sentenza; ma, poichè tale disposizione trova il proprio fondamento legislativo nell'art. 7 della legge n. 1395 del 1923, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata su quest'ultima norma non può essere revocata in dubbio.

Parimenti, le ragioni in base alle quali il remittente denuncia il contrasto con l'art. 33 della Costituzione emergono diffusamente ed in modo non equivoco dal contesto dell'ordinanza.

3. - Nel merito la questione non è fondata. Questa Corte è già stata investita più volte di questioni analoghe concernenti in particolare le caratteristiche dell'esame di Stato prescritto dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione per l'abilitazione all'esercizio professionale, (cfr. sentt. nn. 43 del 1972, 111 del 1973, 16 del 1975, 174 del 1980, 207 del 1983), anche per quanto riguarda professioni, come quelle di ragioniere e di geometra, che presuppongono un titolo di studio analogo a quello di perito industriale.

Attraverso le pronunce suddette, la Corte ha affermato che l'art. 33, quinto comma, della Costituzione tiene conto degli ordinamenti generali o speciali, per l'esercizio di date professioni, vigenti al momento della sua approvazione; che la prescrizione di un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale segna un limite all'attività del legislatore; che tale esame può anche essere unificato con quello conclusivo del corso degli studi, purchè quest'ultimo soddisfi l'esigenza di un serio ed oggettivo accertamento <del grado di maturità del discente e del concreto possesso da parte dello stesso della preparazione, attitudine e capacità tecnica necessarie perchè dell'esercizio pubblico della attività professionale i cittadini possano giovarsi con fiducia>.

La determinazione dei criteri e del contenuto dell'esame di Stato resta quindi demandata al legislatore ordinario col solo vincolo di soddisfare ragionevolmente l'esigenza suindicata.

Trattasi di materia nella quale non può non riconoscersi, anche in rapporto ai diversi tipi di corsi di studio, e di professioni cui danno accesso,-e ciò vale specialmente per studi e professioni ad accentuata caratterizzazione tecnico pratica-una discrezionalità del legislatore notevolmente ampia.

3.1. - Vale anche la pena di ricordare quali sono state le origini storiche dell'esame di Stato, introdotto nell'ordinamento scolastico dalla riforma Gentile, ma già preparato negli anni precedenti quale punto di incontro e di accordo fra la corrente politico-culturale di ispirazione laica e liberale e quella di ispirazione cattolica, nell'intento di salvaguardare il potere e la funzione dello Stato insieme con la libertà e la parità della scuola pubblica e privata. Oltre vent'anni dopo, un compromesso del tutto analogo determinò l'inserimento dell'istituto nella Costituzione con una formulazione generica che prescrive insieme l'esame di Stato, (significativamente il quinto comma dell'art. 33 segue quello relativo alla libertà e alla parità della scuola non statale), per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

3.2. - Si deve ora osservare che il Consiglio nazionale dei periti industriali ha ritenuto di seguire i principi affermati da questa Corte nelle pronunce sopra ricordate,-ed in particolare in quelle riguardanti la professione di geometra-, sia quando ha ritenuto di confermare il rifiuto di iscrizione all'albo perchè il titolo di studio del ricorrente era stato conseguito con un esame esclusivamente scolastico e non professionale, sia quando, in sede di rinvio dalla richiamata sentenza n. 4699 del 1988 della Corte di cassazione, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ora in esame.

In effetti questa Corte, investita dal Consiglio nazionale dei geometri di analoga questione in relazione all'art. 1, terzo comma, del decreto legge 15 febbraio 1969, n. 9, convertito in legge con modificazioni dalla legge 5 aprile 1969 n. 119, aveva dichiarato, (cfr. sent. n. 43 del 1972), non fondata la questione, per essere la norma denunciata destinata ad operare sul terreno scolastico e non anche immediatamente e direttamente su quello professionale, aggiungendo che, per la professione di geometra era il relativo ordinamento, ed in particolare e tra le altre, la norma di cui all'art. 4 lettera c) del regio decreto 11 febbraio 1929 n. 274-, a dover essere messo a raffronto con le disposizioni e i principi della Costituzione.

Riproposta la questione dal Consiglio nazionale dei geometri in relazione al regio decreto n. 274 del 1929 dianzi citato, la Corte (cfr. sentenza n. 16 del 1975) la dichiarava inammissibile, essendo le norme impugnate contenute in un regio decreto avente natura regolamentare; precisava altresì di non poter prendere in esame la questione con riguardo all'art. 7 della legge n. 1395 del 1923, fonte legislativa del regolamento predetto, poichè mancava nell'ordinanza di rimessione qualsiasi riferimento a tale norma di legge.

3.3. -Va ora sottolineato come la professione di perito industriale sia disciplinata in modo del tutto analogo a quella di geometra: coevo, e di identico contenuto, è il regolamento approvato con regio decreto n. 275 del 1929; unica la norma di legge (art. 7 della legge n. 1395 del 1923) che ha demandato la disciplina della formazione degli albi professionali al regolamento anzidetto. Così per l'una come per l'altra professione non era previsto un apposito esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale poichè il medesimo art. 7 citato assegnava al diploma conseguito con l'esame conclusivo del corso di studi il valore di titolo per l'iscrizione all'albo professionale.

La differenziazione dell'ordinamento delle due professioni si è verificata in tempi recenti, e precisamente dopo che la legge 7 marzo 1985, n. 75 ha aggiunto quella di geometra alle professioni per le quali la legge 8 dicembre 1956, n. 1378 aveva riattivato gli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.

4.1. - L'ordinanza di rimessione si è dunque mossa sul solco di precedenti pronunce di questa Corte; ma, se tanto comporta, come si è detto, che la questione sia ritenuta ammissibile, poichè la norma denunciata è stata identificata correttamente nell'art. 7 della legge n. 1395, ciò non significa, ripetesi, che la questione sia fondata.

La Corte, nelle pronunce in precedenza richiamate, ha costantemente affermato, con maggiore o minore incisività, ma in modo sostanzialmente univoco, che l'art. 33, quinto comma, della Costituzione lascia alla discrezionalità del legislatore ordinario la disciplina dell'esame di Stato; di guisa che il legislatore, semprechè le sue scelte non siano irragionevoli, può considerare altri esami equipollenti a quello per l'abilitazione all'esercizio professionale, come pure può unificare quest'ultimo con l'esame di Stato conclusivo del corso di studi.

Con l'art. 7, secondo e terzo comma, della legge n. 1395 del 1923 è stata adottata in effetti questa disciplina dell'unico esame, conclusivo del corso di studi e abilitante all'esercizio professionale, per i geometri e per i periti industriali: tale scelta non può essere ritenuta irragionevole, considerate le caratteristiche almeno parzialmente pratiche e professionali dei corsi di studio relativi alle professioni indicate.

Vero è che la riforma degli esami di maturità attuata dal decreto-legge n. 9 del 1969, convertito nella legge n. 119 del 1969, ha certamente ridotto il carattere anche professionale che tale esame aveva per gli istituti tecnici, e tale innovazione è stata valutata da questa Corte nel senso che essa è destinata ad operare sul terreno scolastico e non anche immediatamente e direttamente su quello professionale. Ma tanto è stato affermato, (cfr. citata sentenza n. 43 del 1972), per motivare la non pertinenza della norma anzidetta con la questione sollevata in ordine al diritto all'iscrizione all'albo professionale; non è quindi consentito trarne le conseguenze che il giudice remittente pone a fondamento della questione di legittimità costituzionale ora in esame.

4.2. - In effetti, ai fini della sussistenza di un minimo necessario di accertamento della capacità professionale indispensabile per l'abilitazione all'esercizio professionale, quando questo sia rimesso all'esame conclusivo del corso di studi, non è soltanto la struttura dell'esame che va presa in considerazione, bensì anche i programmi e le caratteristiche del corso di studi stesso, cui l'esame conclusivo non può non essere strettamente collegato.

A tale proposito, se si considera l'ordinamento delle materie e degli orari di insegnamento degli Istituti tecnici industriali, si rileva che, in tutti gli indirizzi specializzati previsti, sono presenti materie applicate o tecniche di laboratorio ed esercitazioni nei reparti di lavorazione con un cospicuo impiego di ore che è spesso, specie negli ultimi anni di corso, prevalente sul complesso delle altre materie teoriche. Tanto basta a far sì che non possa essere ritenuta irragionevole la disposizione di cui all'art. 7 della legge n. 1395 del 1923 che considera il diploma, conseguito all'esito dell'esame di Stato conclusivo del corso di studi, titolo sufficiente all'iscrizione nell'albo professionale. Va da sè che il legislatore potrà sempre - così come ha provveduto per i geometri con la surricordata legge n. 75 del 1985-dettare per il futuro una diversa disciplina ove ritenga più soddisfacente, sul piano della congruità tecnica, istituire anche per i periti industriali un apposito esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.

5.-La seconda questione sollevata sull'art. 1 delta legge 8 dicembre 1956 n. 1378, integrato dalla legge 7 marzo 1985 n. 75, deve essere dichiarata inammissibile. Trattasi di norme relative ad altre professioni ed è di tutta evidenza che il Consiglio nazionale dei periti industriali non si trova nella condizione di doverle o poterle applicare nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 24 giugno 1923, n. 1395 (tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti), in riferimento all'art. 33, quinto comma, della Costituzione;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 8 dicembre 1956, n. 1378 (Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni), integrato dalla legge 7 marzo 1985, n. 75 (Modifiche all'ordinamento professionale dei geometri), in riferimento al l'art. 3 della Costituzione; sollevate entrambe dal Consiglio nazionale dei periti industriali con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/01/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 23 Gennaio 1990.