Sentenza n.1108 del 1988

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SENTENZA N.1108

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale 16 dicembre 1982 riapprovata il 19 maggio 1983 dal Consiglio Regionale della Lombardia, avente per oggetto: <Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da collezione>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 9 giugno 1983, depositato in cancelleria il 18 giugno successivo ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 1983.

Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'Avvocato Valerio Onida per la Regione.

Considerato in diritto

1.-Oggetto del presente giudizio e la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri in riferimento all'art. 117 Cost., concernente la legge della Regione Lombardia, dal titolo <Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da collezione>, riapprovata dal Consiglio regionale il 19 maggio 1983. Secondo il ricorrente, la legge impugnata disciplinerebbe una materia, quella delle <miniere>, che non è ricompresa fra quelle che l'art. 117 Cost. attribuisce alla competenza regionale, ne e riconducibile a quella dei beni ambientali, che l'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha delegato alle regioni.

2.-La questione non è fondata, in quanto la disciplina della ricerca e della raccolta di minerali da collezione, così come è regolata dalla legge regionale impugnata, lungi dall'essere ricompresa nella materia delle <miniere>, rientra in quella della protezione dell'ambiente naturale, che l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha trasferito alle regioni in attuazione dell'art. 117 della Costituzione.

2.1. - Oggetto della legge impugnata e la ricerca e la raccolta dei minerali da collezione, vale a dire un'attività che, a norma dell'art. 1 dell'atto impugnato, è assoggettata a una particolare tutela in considerazione del valore scientifico e didattico del collezionismo, nonché della esigenza di protezione del patrimonio mineralogico e naturalistico.

In coerenza con tali obiettivi, la stessa legge dispone, all'art. 2, che la ricerca e l'estrazione dei minerali da raccogliere a fini collezionistici siano operate con tecniche e con modalità tali da non pregiudicare l'equilibrio idrogeologico, la stabilita del terreno e l'integrità della parte restante del giacimento, della flora e della fauna.

Sempre allo stesso scopo, la legge impugnata determina le attrezzature utilizzabili per la ricerca e la raccolta (art. 3), nonché i quantitativi massimi esportabili (art. 5), e prevede, inoltre, che la ricerca e la raccolta non possono essere oggetto di concessione con diritto di esclusiva e non possono esser effettuate in mancanza del consenso del proprietario del terreno (art. 4).

L'orientamento della disciplina adottata a fini scientifici e protezionistici trova una conferma in altre norme della legge impugnata, là dove è previsto che disposizioni più restrittive possono essere stabilite su segnalazione degli istituti universi tari (art. 6), i quali, peraltro, al pari dei musei naturalistici, possono usufruire di autorizzazioni in deroga (art. 7). La medesima ispirazione e, del resto, presente negli articoli finali della legge, che, dopo aver disciplinato la vigilanza sulle attività considerate e dopo aver previsto le relative sanzioni amministrative (artt. 8 e 9), dispongono che la raccolta dei fossili continui ad esser regolata dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, facendo salve eventuali discipline normative più restrittive per particolari ambiti territoriali.

Dall'esame complessivo della legge impugnata appare evidente come questa, contrariamente a quanto suppone il ricorrente, non possa essere ricondotta alla materia delle <miniere>, la quale, nella disciplina stabilita nel diritto vigente (v. art. 1, r. d. 29 luglio 1927, n. 1443), e caratterizzata dalla finalizzazione della ricerca e dell'estrazione di sostanze minerali e di energie del sottosuolo a un'utilizzazione industriale. Tanto che lo stesso regio decreto ora citato subordina all'autorizzazione del Ministro dell'industria e del commercio o a quella dell'ingegnere capo del distretto minerario la ricerca di minerali ai fini predetti (artt. 4 e 5) e riserva, inoltre, la coltivazione delle miniere (che sono beni appartenenti allo Stato, ai sensi dell'art. 826, secondo comma, c.c.) ai soggetti che ottengono la relativa concessione del Ministro dell'industria e del commercio (artt. 14 e 18).

Nella legge impugnata, invece, l'utilizzabilità industriale dei minerali ricercati o raccolti sta al di fuori degli interessi e degli oggetti avuti di mira dalla disciplina in essa contenuta. Si deve ritenere, anzi, che, ove nel corso della ricerca di minerali a fini collezionistici dovesse venire alla luce un giacimento con caratteristiche tali da consentirne lo sfruttamento economico, la ricerca in senso tecnico potrebbe proseguire solo nell'osservanza delle modalità previste dalla disciplina statale sulle miniere. E questo conferma ulteriormente l'estraneità della materia delle <miniere> dalla disciplina predisposta dalla legge impugnata.

2.2. - ciò posto, va del pari escluso, come del resto rileva lo stesso ricorrente, che la legge della Regione Lombardia oggetto del presente giudizio rientri nella sub-materia dei beni ambientali, che l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, modificato e integrato dal d.l. 27 giugno 1985, n. 312 e dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, ha delegato alle regioni.

Quest'ultima, infatti, concerne esclusivamente i beni immobili di interesse paesaggistico (v. art. 1, nn. 1, 2 e 3 della legge 29 giugno 1939, n. 1497), che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sono tutelati in ragione del loro interesse estetico- culturale (v. spec. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del 1986). Mentre la legge impugnata non è, certo, diretta a individuare beni immobili o parti del territorio soggette a vincolo per la tutela paesaggistica, ma disciplina, limita o vieta determinate condotte, connesse alla ricerca e alla raccolta di minerali, ritenute pregiudizievoli per la conservazione e la difesa dell'ambiente naturale.

Al pari di numerose leggi adottate da altre regioni, la legge impugnata si inserisce, dunque, nel novero dei provvedimenti diretti a proteggere la natura da interventi dell'uomo eventualmente distruttivi dell'equilibrio geo-fisico ed ecologico.

Come tale, essa costituisce esercizio delle funzioni trasferite alle regioni dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, le quali, secondo l'ormai costante giurisprudenza di questa Corte (v. spec. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del 1986, 183 del 1987, 1029 del 1988), comprende la conservazione delle risorse naturali e la salvaguardia di un equilibrato assetto del territorio nei suoi aspetti esteriori e nella sua strutturazione geo-fisica.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia, riapprovata il 19 maggio 1983, dal titolo <Disciplina della ricerca e raccolta di minerali da collezione>, sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei Ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20 Dicembre 1988.