Sentenza n.1102 del 1988

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SENTENZA N.1102

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 marzo 1987 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Saccavino Giànnantonio, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione ripropone la quaestio de legitimitate avente per oggetto l'art. 219, terzo comma, del codice penale, <nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato, condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per infermità psichica, al previo accertamento del giudice di esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dall'infermità mentale al tempo della sua esecuzione>, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

La questione, già sollevata dallo stesso giudice nel corso del medesimo procedimento con ordinanza del 5 febbraio 1985, aveva dato luogo all'ordinanza n. 280 del 1986, di restituzione degli atti al giudice a quo, essendo apparso necessario un nuovo, aggiornato esame della rilevanza a seguito delle innovazioni nel frattempo apportate in materia di accertamento della pericolosità sociale dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, <il cui art. 31 ha espressamente abrogato con il primo comma l'intero art. 204 del codice penale, inoltre stabilendo nel secondo comma che "Tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il reato e persona socialmente pericolosa" >.

2.-Alla stregua dell'interpretazione accolta dal giudice a quo circa le <innovazioni apportate> dall'art. 31, secondo comma, della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nel senso che tale comma si sarebbe <limitato a ripetere quanto già stabiliva il primo comma dell'art. 204 c.p.>, richiedendo l'accertamento della pericolosità <con riferimento soltanto al momento in cui la misura (di sicurezza) viene disposta e non (anche) al momento della sua esecuzione>-un'interpretazione alla quale, anche per le funzioni di nomofilachia proprie dell'organo di provenienza, non vi e ragione che questa Corte ne contrapponga altra-la questione in esame conserva integra la rilevanza inizialmente ravvisata dalla Corte di cassazione.

Una volta chiarito che la norma di cui si deve fare applicazione nel caso di specie porta tuttora a considerare esaurito l'accertamento della pericolosità sociale <al momento in cui la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia viene disposta dal giudice di cognizione>, la richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, nella parte che omette di prevedere l'accertamento della stessa pericolosità anche al momento dell'esecuzione della misura, priverebbe del carattere di definitività l'accertamento compiuto dai giudice di cognizione, condizionandone il concreto operare ad un ulteriore accertamento da compiere <al momento dell'esecuzione>.

3. -Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata violerebbe l'art. 3 della Costituzione: e ciò sia sotto il profilo dell'<arbitrarietà>, in quanto la mancata previsione di un nuovo accertamento all'inizio dell'esecuzione <non esprime esigenze di tutela, discrezionalmente riservate al legislatore>, sia sotto il profilo dell'<ingiustificata disparità di trattamento che essa comporta rispetto all'ipotesi di cui ai commi I e 2 dell'art. 219>, oltreché <rispetto a quella, del tutto analoga, prima disciplinata> dal secondo comma dell'art. 204, quali risultano in seguito alle rispettive declaratorie di illegittimità costituzionale pronunciate da questa Corte con la sentenza n. 249 del 1983, avvalendosi della ratio decidendi già posta a base della sentenza n. 139 del 1982, avente per oggetto le norme relative all'accertamento della pericolosità sociale derivante da totale infermità di mente.

4.-In effetti-proprio muovendo dalla constatazione che <la presunzione di persistenza, al momento dell'applicazione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia, della condizione di seminfermità psichica accertata rispetto all'epoca del fatto, risulta irragionevole, ben potendo tale condizione aver subito nel frattempo> (e, cioè, nell'intervallo temporale, di regola non breve, che separa <il momento cui e riferito l'accertamento della seminfermità psichica> da <quello in cui viene applicata la misura di sicurezza, la quale e, per definizione, finalizzata anche alla cura>) <una positiva evoluzione fino alla completa guarigione> - questa Corte, con la sentenza n. 249 del 1983, ha dichiarato illegittimi sia il primo sia il secondo comma dell'art. 219, nonché il secondo comma dell'allora vigente art. 204, <nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica...al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza>.

Le ipotesi allora prese in esame apparivano caratterizzate tutte, prima che dalla presunzione di persistenza della pericolosità sociale conseguente all'infermità psichica, dalla presunzione assoluta di tale pericolosita, prevista, in via generale, dal periodo iniziale del secondo comma dell'art.

204 e, in via specifica, dai primi due commi dell'art. 219 del codice penale.

Con il che si differenziavano sensibilmente dall'ipotesi ora in esame, caratterizzata si dalla presunzione di persistenza della pericolosità sociale derivante dalla seminfermità psichica, ma non anche dalla presunzione assoluta di tale pericolosità, dovendosi, nel caso previsto dal terzo comma dell'art. 219, addivenire sempre al concreto accertamento della qualità di persona socialmente pericolosa (<se... risulta che il condannato e persona socialmente pericolosa>, dispone sin dal 1930 tale comma).

Dopo che l'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 -abrogando l'intero art. 204 del codice penale e prescrivendo tassativamente che <Tutte le misure di sicurezza personale sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto e persona socialmente pericolosa>-ha opportunamente cancellato dal nostro ordinamento i <casi espressamente determinati>, nei quali, ai sensi dell'art. 204, secondo comma , del codice penale, la qualità di persona socialmente pericolosa era <presunta dalla legge>, ogni differenza di ordine concettuale tra l'ipotesi disciplinata dal terzo comma del- l'art. 219 e le ipotesi disciplinate dai due commi precedenti, già dichiarati illegittimi in parte qua, si può ben dire venuta meno.

La reiterazione dell'accertamento, che sola consente di far fronte all'esigenza di verificare l'effettivo persistere della pericolosità sociale derivante dalla seminfermità psichica anche nel momento dell'applicazione e, quindi, della concreta esecuzione della misura di sicurezza, si impone, pertanto, pure nei casi in cui la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia sia prevista dall'art. 219, terzo comma, del codice penale. E vi si impone, anzi, a maggior ragione, data la minor gravita che i reati cui tale comma si riferisce presentano rispetto ai delitti presi in considerazione dagli altri due commi dello stesso art. 219.

5.-Anche il terzo comma dell'art. 219 del codice penale va, dunque, dichiarato illegittimo, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosità sociale, derivante dalla seminfermità di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione. Un accertamento che, secondo il nuovo riparto delle competenze risultante dall'art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in ultimo sostituito ad opera dell'art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, e ripreso dall'art. 679 del nuovo codice di procedura penale, e da intendersi demandato non più al giudice dell'esecuzione bensì al magistrato di sorveglianza (si veda, in particolare, il quarto comma dell'attuale testo dell'art. 69, come pure il primo comma dell'art. 679 del nuovo codice). Il tutto in stretta sintonia con la competenza a disporre la revoca anticipata delle misure di sicurezza, che, dopo la declaratoria di illegittimità del secondo e del terzo comma dell'art. 207 del codice penale (v. sentenza n. 110 del 1974), l'art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, aveva inizialmente affidato al giudice di sorveglianza, cui, in forza della sostituzione operata dall'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, è ora subentrato il magistrato di sorveglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosità sociale, derivante dalla seminfermità di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/11/88.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13 Dicembre 1988.