Sentenza n. 249 del 1983

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SENTENZA N. 249

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma e 219, comma primo, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1982 dalla Corte d'assise d'appello di Cagliari nel procedimento penale a carico di Russino Agostinangelo, iscritta al n. 859 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 1983;

udito, nella camera di consiglio del 25 maggio 1983 il Giudice relatore Alberto Malagugini.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di Russino Agostinangelo - condannato in primo grado alla pena di tre anni di reclusione e venti giorni di arresto per i reati di tentato omicidio e porto abusivo di coltello (con le attenuanti generiche, dell'avvenuto risarcimento del danno e del vizio parziale di mente) e assoggettato perciò al ricovero in una casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore ad un anno - la Corte d assise d'appello di Cagliari, con ordinanza del 15 ottobre 1982, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma, e 219 primo comma, codice penale, assumendone il contrasto con l'art. 3, primo comma Cost..

Premesso che l'art. 204, secondo comma, statuisce, rispetto a casi espressamente determinati, una presunzione assoluta di pericolosità sociale ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza, e che l'art. 219, primo comma, nel prevedere uno di tali casi, stabilisce che il condannato per delitto non colposo a una pena diminuita per cagione di infermità psichica é senza altro ricoverato in una casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore ad un anno quando (come nella specie) la pena stabilita dalla legge non é inferiore nel minimo a 5 anni di reclusione, la Corte osservava che tale presunzione assoluta di pericolosità sociale, riferita al momento del fatto, si basa su una analoga presunzione assoluta di immutabilità, quanto a natura ed intensità, dell'infermità psichica.

Ad avviso della Corte rimettente, quest'ultima presunzione non ha alcun fondamento logico e scientifico, anche alla stregua della comune esperienza, ed é perciò priva di ogni base razionale; e d'altro lato comporta l'applicazione del ricovero in casa di cura e di custodia tanto a chi sia tuttora seminfermo di mente quanto a chi sia nel frattempo guarito. Di qui il contrasto delle norme impugnate con l'art. 3 Cost., in quanto non subordinano l'applicazione della predetta misura di sicurezza al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima.

In punto di rilevanza, la Corte osservava che la pericolosità sociale del prevenuto era stata esclusa in sede di perizia psichiatrica.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 20 aprile 1983.

Nel giudizio così instaurato non vi é stata costituzione di parti.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'Assise d'Appello di Cagliari dubita, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma e 219, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato, condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione d'infermità psichica, al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dall'infermità medesima al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza.

In particolare, il giudice a quo assume che la presunzione assoluta di pericolosità sociale posta dalle suddette norme sarebbe arbitraria, in quanto fondata su un'altra presunzione - di immutabilità dell'infermità psichica - priva di base logica e scientifica e perciò tale da condurre - irragionevolmente - ad applicare la misura suddetta sia a chi é tuttora seminfermo di mente, sia a chi seminfermo più non é.

2. - La questione é fondata.

Dopo l'emanazione dell'ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 139 del 1982, ha, tra l'altro, dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo art. 204 secondo comma, nonché degli artt. 222, primo comma e 205 secondo comma n. 2 del codice penale "nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell'imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o della esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell'applicazione della misura".

A tale decisione la Corte é pervenuta considerando priva di ragionevolezza la presunzione assoluta di persistenza - al momento dell'applicazione della predetta misura di sicurezza - della infermità psichica accertata rispetto all'epoca del fatto. Una presunzione del genere, implicita nella disposizione di cui all'art. 222, primo comma, del codice penale - che cioè l'infermità psichica non possa subire mutamenti significativi dal momento del delitto a quello del giudizio - non poggia, infatti, su dati di esperienza suscettibili di generalizzazione, ma anzi costituisce un'inversione totale della logica del giudizio scientifico.

Le medesime ragioni, allora riferite alla totale infermità di mente, valgono anche, all'evidenza, per la presunzione assoluta di pericolosità sociale sancita - a specificazione di quella posta in via generale dall'art. 204 secondo comma del codice penale - dall'art. 219, primo comma, stesso codice. La disposizione in esame, infatti, sottende anch'essa l'ulteriore presunzione di persistenza, al momento dell'applicazione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia, della condizione di seminfermità psichica accertata rispetto all'epoca del fatto; condizione che ben può, viceversa, aver subito nel frattempo una positiva evoluzione fino alla completa guarigione.

La presunzione di cui all'art. 219, primo comma del codice penale risulta, anzi, ancor più irragionevole per un duplice ordine di considerazioni.

Da un lato, la possibilità che, in genere, si verifichi una positiva evoluzione é maggiore che non nei casi di totale infermità psichica, data la minore intensità e, talvolta, la diversa e meno grave natura delle affezioni psicopatologiche che danno luogo al vizio parziale di mente.

Dall'altro lato, mentre in caso di totale infermità psichica la vicinanza temporale tra il giudizio e l'esecuzione della misura é, nell'ipotesi normale, assicurata dalla immediata esecutività della sentenza di proscioglimento per inimputabilità, nel caso di specie l'applicazione della misura consegue ad una condanna (definitiva) a pena diminuita; dopo l'eventuale espletamento, quindi, dei vari gradi di giurisdizione, e, normalmente, dopo, e non prima, la stessa espiazione della pena (art. 220 codice penale). Tutto ciò evidentemente comporta, o può comportare, un'ulteriore dilatazione dell'intervallo temporale tra il momento cui é riferito l'accertamento della seminfermità psichica e quello in cui viene applicata la misura di sicurezza, la quale é, per definizione, finalizzata (anche) alla cura.

3. - Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge denunziate (artt. 204, secondo comma, e 219, primo comma, del codice penale) va estesa al secondo comma del medesimo art. 219 del codice penale, che prevede una fattispecie in tutto analoga a quella di cui al primo comma, e dalla quale differisce solo per aspetti (pena edittale prevista per il delitto commesso e durata minima della misura di sicurezza) privi di rilievo rispetto al profilo d'illegittimità costituzionale dinanzi illustrato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma e 219, primo comma del codice penale, nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza.

2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 219, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica per un delitto per il quale é stabilita dalla legge la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo della applicazione della misura di sicurezza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.