Sentenza n. 778 del 1988

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SENTENZA N.778

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 24, 52, 98 e 207 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 23 settembre 1987 dal Pretore di Vicenza nel procedimento civile vertente tra Carollo Egidio e la s.p.a. G. Pozzani, iscritta al n. 812 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54/1 a SS. dell'anno 1987;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 24, 52, 98 e 207 della legge fallimentare, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost., e stata sollevata dal giudice a quo sulla base di una interpretazione della prima delle norme denunziate non conforme alla giurisprudenza consolidata della Cassazione.

La vis attractiva dall'art. 24 l. fall. alla competenza del tribunale fallimentare, anche per le azioni relative a rapporti di lavoro, e strumentale rispetto al principio dell'art. 52, secondo cui il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e ogni credito deve essere accertato nei modi stabiliti dalle norme speciali delle procedure concorsuali. Pertanto la portata dell'art. 24 non va al di la di questa precisa finalità, come indica la lettera stessa della legge, a tenore della quale l'attrazione al tribunale fallimentare opera solo rispetto alle azioni che derivano dal fallimento.

Tali sono le azioni che hanno nel fallimento la loro origine e il loro fondamento come causa determinante o che da questo sono modificate sostanzialmente quanto al loro esercizio, dovendo trovare il loro svolgimento nella procedura fallimentare per assicurare l'unita dell'esecuzione concorsuale e la par condicio creditorum.

A questa stregua é stata esclusa l'efficacia attrattiva della competenza del tribunale fallimentare per le azioni di impugnativa dei licenziamenti individuali rivolte a ottenere una sentenza costitutiva (invalidazione del licenziamento e ordine di reintegrazione nel posto di lavoro), come tale non comportante direttamente anche l'accertamento del diritto di credito del lavoratore per il risarcimento del danno cagionato dal licenziamento illegittimo e la conseguente condanna al pagamento.

2. - Il medesimo criterio vale a escludere l'attrazione nel foro fallimentare della controversia di cui il giudice a quo e stato investito da un dipendente dell'impresa assoggettata ad amministrazione straordinaria allo scopo di ottenere una sentenza di accertamento della spettanza della qualifica di dirigente in corrispondenza alle mansioni effettivamente svolte. Anche le controversie di questo tipo non hanno nel fallimento la loro causa determinante, né incidono direttamente nella procedura concorsuale, la quale esige soltanto, ai fini della par condicio dei creditori mediante l'unitaria esecuzione sul patrimonio del fallito, che in essa siano fatte valere le conseguenze patrimoniali (crediti per differenze di retribuzione arretrate) della sentenza. Rispetto a tali controversie di lavoro, come a quelle sui licenziamenti individuali, la regola dell'art. 241. fall. non può operare, perché le scardinerebbe dal nuovo ordinamento del processo del lavoro sostituendo, tra l'altro, alla competenza funzionale del pretore in primo grado e del tribunale in secondo grado rispettivamente quella del tribunale e della corte d'appello.

Se il giudice a quo si fosse uniformato a questa giurisprudenza consolidata, avrebbe potuto respingere l'eccezione di incompetenza per materia opposta dalla società convenuta senza bisogno di sollevare incidente di costituzionalità dell'art. 24l. fall., la cui legittimità, nei termini dell'interpretazione sopra esposta, e già stata riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 139 del 1981.

3. - Le ulteriori questioni di legittimità costituzionale anche degli artt. 52, 98 e 207 della legge fallimentare non sono adeguatamente motivate dal giudice remittente, e pertanto devono essere dichiarate inammissibili.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 24, 52, 98 e 207 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (<Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa>), in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., sollevata dal Pretore di Vicenza con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 52, 98 e 207 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, sollevate dal Pretore di Vicenza con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/06/88.

 

Francesco SAJA - Luigi MENGONI

 

Depositata in cancelleria il 07/07/88.