Sentenza n.474 del 1988

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.474

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 16 maggio 1984, depositato in Cancelleria il 4 giugno successivo ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 1984, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del provvedimento del Comitato Interministeriale dei Prezzi in data 20 marzo 1984, n. 10/84, recante: <Direttive alle amministrazioni regionali, provinciali, comunali ed ai comitati provinciali dei prezzi>.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.-Oggetto del presente giudizio per conflitto di attribuzione e la questione se il provvedimento del Comitato Interministeriale dei Prezzi n. 10/1984, nel vietare di aumentare, per l'intero anno 1984, le tariffe del trasporto urbano delle autolinee in concessione, sia invasivo delle competenze in materia di tranvie e linee automobilistiche d'interesse regionale, nonchè di quelle relative alla submateria delle attività commerciali, le quali sono garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 52 e 84 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Secondo la Regione Toscana l'invasione delle competenze regionali deriverebbe dal fatto che il provvedimento impugnato sarebbe un atto di indirizzo e di coordinamento del tutto privo di un a base legislativa (non essendo stato convertito il decreto-legge sul quale si fonda quel provvedimento), oltrechè emanato da un'autorità incompetente (non potendo ritenersi che il CIP possa legittimamente surrogarsi al Governo nell'esercizio delle competenze di cui all'art. 3 della legge n. 382 del 1975) e in violazione dell'art. 7, tredicesimo comma, della legge n. 730 del 1983 (secondo il quale i disavanzi di gestione delle aziende qui considerate devono esser coperti mediante adeguamenti tariffari, stabiliti dalle regioni con il concorso degli enti locali interessati).

Il ricorso della Regione Toscana non può essere accolto per nessuno dei profili prospettati.

2. -Innanzitutto, non può esser condiviso il rilievo che il provvedimento impugnato sia (del tutto) privo di una base legislativa.

2.1 - Per dimostrare l'assunto contrario, la ricorrente argomenta che, poichè il d.l. n. 10 del 1984 e decaduto con effetto ex tunc a causa della sua mancata conversione in legge, il provvedimento impugnato, che su di esso si fonda, é divenuto privo di qualsiasi copertura legislativa. Nè si potrebbe obiettare, sempre secondo la ricorrente, che gli effetti del predetto decreto siano stati fatti salvi dall'art. 4 del successivo d.l. n. 70 del 1984, essendo quest'ultimo illegittimo in quanto esercizio di una competenza che l'art. 77, ultimo comma, Cost., riserva alle Camere. Rispetto ad esso, anzi, la Regione ha presentato formale eccezione perchè la Corte sollevi di fronte a se stessa la relativa questione di costituzionalità.

Così argomentando, peraltro, la Regione Toscana, mentre rileva correttamente la decadenza del decreto-legge n. 10 per effetto della mancata conversione in legge, nello stesso tempo omette di considerare che la legge 12 giugno 1984, n. 219, nel convertire il d.l. n. 70 del 1984, che aveva riprodotto il predetto d.l. n. 10, ha stabilito, all'ultimo comma del suo articolo unico, che <restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15 febbraio 1984, n. 10>. In altre parole, la legge n. 219 del 1984, mentre ha convertito in legge il d.l. n. 70, nello stesso tempo, proprio in virtù della disposizione appena ricordata, ha fatto salvi gli effetti e-quel che qui interessa- ha assicurato una valida base legislativa ai provvedimenti adottati sul fondamento del decreto decaduto e poi riprodotto (cioé il d.l. n. 10), estendendo retroattivamente ad essi l'efficacia delle proprie disposizioni.

Nel far ciò, la predetta legge ha, per un verso, sostituito con effetto ex tunc l'art. 4 del d.l. n. 70 (v. sent. n. 34 del 1985), e, per altro verso, ha posto una norma (ultimo comma dell'articolo unico) in funzione di sanatoria verso gli atti e i provvedimenti che, essendo stati adottati sulla base del decreto decaduto, sarebbero risultati, in mancanza di essa, sicuramente invalidi. E, poichè, come questa Corte ha già avuto modo di dire (v., ad es., sent. n. 100 del 1987), nel nostro ordinamento é pienamente ammissibile una legge generale e astratta in funzione di convalida o di sanatoria, semprechè ovviamente ciò non comporti una lesione dei principi e dei precetti costituzionali (che nel caso non ricorre), si deve concludere che la legge n. 219 del 1984 ha posto una norma che, estendendo retroattivamente gli effetti dell'art. 1 del d.l. n. 70 agli atti e ai provvedimenti adottati sul fondamento dell'identico articolo contenuto nel precedente d.l. n. 10, conferisce a questi ultimi una base legislativa formalmente idonea.

2.2-D'altra parte, sotto il profilo sostanziale, il provvedimento n. 10/1984 del Comitato Interministeriale dei Prezzi, ancorchè porti nella sua intitolazione la denominazione di <direttive>, non possiede, certo, per la parte che interessa il presente giudizio (punto 4), le caratteristiche strutturali di un atto di indirizzo e coordinamento. Contrariamente a quanto suppone la ricorrente, esso e un atto amministrativo che, sulla base dell'esercizio di una discrezionalità meramente tecnica, appare rivolto all'applicazione puntuale di una direttiva già presente, in tutti i suoi elementi prescrittivi, nell'art. 1 del decreto-legge n. 70 del 1984, come convertito (ed esteso ai provvedimenti adottati sulla base del d.l. n. 10) ad opera della legge n. 219 del 1984.

In effetti, nella disposizione legislativa appena citata é già formulato il divieto, per l'anno 1984, di aumentare mediamente le tariffe e i prezzi amministrati al di là del 10% del valore reale riscontratosi nell'anno precedente. Nell'art. 1 del d.l. n. 70, infatti, é stabilito testualmente che <per il 1984 la media annua ponderata degli incrementi dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale non può superare, nel complesso, il tasso minimo di inflazione indicato, nella relazione previsionale e programmatica del Governo per l'anno medesimo, nella misura del 10 per cento>. Al fine di attuare l'anzidetta direttiva, lo stesso art. 1, mentre prevede che il CIP dia un parere preventivo vincolante sulle proposte di incremento delle tariffe e dei prezzi amministrati la cui deliberazione spetti allo Stato centrale, nello stesso tempo demanda al medesimo Comitato, al fine di determinare gli aumenti delle tariffe e dei prezzi amministrati di spettanza degli enti locali autonomi, il potere di emanare <apposite direttive alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali e ai comitati provinciali dei prezzi per i provvedimenti da adottarsi nell'ambito territoriale di loro competenza>.

Il provvedimento impugnato nel presente giudizio é stato adottato sulla base di questa specifica attribuzione di potere al fine di determinare in concreto, a seguito dell'applicazione di criteri meramente tecnici, il livello delle tariffe e dei prezzi amministrati, la cui deliberazione spetta alle automomie locali territoriali, in relazione al tetto del 10%, rappresentato dal tasso di inflazione programmato per il 1984. Ed infatti, a questo riguardo, il provvedimento del CIP dispone nella parte che qui interessa (punto 4) quanto segue: <le tariffe del trasporto urbano e delle autolinee in concessione-considerato che a livello nazionale l'effetto di 6trascinamento" sulla media 1984 degli aumenti intervenuti nel 1983 registra valori percentuali rispettivamente del 9,9% e del 15,7%, già difficilmente compatibili con il tasso di inflazione programmato- dovranno esser mantenute ferme agli attuali livelli>.

In altre parole, in attuazione del divieto legislativo di aumentare per il 1984 le tariffe amministrate in misura mediamente superiore al 10% reale, il provvedimento impugnato, constatato che l'effetto di <trascinamento> degli incrementi realizzatisi nel 1983 aveva portato nelle tariffe in questione a tassi reali di aumento pressochè pari (nel caso del trasporto urbano) o, addirittura, nettamente superiori (nel caso delle autolinee in concessione) rispetto al tetto stabilito, non fa altro che dare concretezza a quel divieto imponendo alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali di mantener ferme, in termini monetari, le predette tariffe.

Appare chiaro, pertanto, che nel far ciò il provvedimento impugnato non introduce affatto prescrizioni nuove rispetto a quelle già contenute nella disposizione legislativa che vi sta a base, ma, conformemente del resto alla natura delle comuni deliberazioni del CIP (v., ad es., sent. 103 del 1957), non fa altro che applicare al caso di specie, usando esclusivamente criteri tecnici di determinazione, il divieto contenuto nell'art. 1 del d.l. n. 70 del 1984, come convertito ed esteso ai rapporti anteriori dalla legge n. 219 del 1984. Non si é, dunque, in presenza di un atto di indirizzo e coordinamento, ma piuttosto di un atto di amministrazione puntuale e concreto posto in essere nell'attuazione di una direttiva già contenuta, in tutti i suoi elementi prescrittivi, nella disposizione legislativa sulla quale si basa il provvedimento impugnato.

3.-Trattandosi di un indirizzo legislativo che il provvedimento impugnato ha semplicemente applicato a un caso concreto, vengono a cadere tutte le censure formulate dalla Regione ricorrente, vale a dire non solo quella relativa alla pretesa mancanza di copertura legislativa, ma anche quella attinente alla presunta incompetenza del CIP ad emanare atti di indirizzo e coordinamento e quella riguardante l'asserito contrasto del provvedimento impugnato con l'art. 7, tredicesimo comma, della legge n. 730 del 1983 (disposizione che, peraltro, e stata annullata con effetto ex tunc a seguito della dichiarazione d'illegittimità costituzionale con sent. n. 245 del 1984).

Non si può dubitare, dunque, che il provvedimento di cui si chiede l'annullamento sia svolgimento di una competenza spettante allo Stato, che non lede, così come é stata esercitata, le attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni. Ciò vale tanto più se si ha presente, come elemento di sfondo, che la disposizione legislativa di cui l'atto impugnato costituisce puntuale applicazione si collega sicuramente a finalità generali, come la lotta all'inflazione su tutto il territorio nazionale, che trascendono senz'alcun dubbio gli interessi che si intendono tutelare con le competenze attribuite alle regioni.

4. - Le argomentazioni precedentemente svolte, mentre precludono, per gli stessi motivi enunciati da questa Corte nella sent. n. 34 del 1985, l'esame di qualsivoglia censura prospettata contro il d.l. n. 70 del 1974 al fine dell'invalidazione del provvedimento del CIP oggetto della presente impugnazione, inducono altresì a dichiarare l'irrilevanza della eccezione formulata dalla Regione ricorrente affinchè la Corte sollevi di fronte a se stessa la questione di costituzionalità dell'art. 4 del decreto-legge n. 70 del 1984 per contrasto con l'art. 77 della Costituzione. Poichè, infatti, l'ultimo comma dell'articolo unico della già citata legge n. 219 del 1984 si é integralmente e stabilmente sostituito, con effetto ex tunc, alla disposizione provvisoria della cui costituzionalità si dubita, quest'ultima e stata cancellata sin dall'inizio dall'ordinamento legislativo e, in ogni caso, non é più una disposizione applicabile nel presente giudizio.

Pertanto, a voler tacere di altri argomenti conducenti alla medesima conclusione, appare chiaro che la questione di costituzionalità eccepita dalla parte ricorrente é manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

rigetta il ricorso e dichiara che spetta allo Stato stabilire, in relazione al tasso programmato di inflazione per l'anno 1984, se le tariffe del trasporto urbano e delle autolinee in concessione possano o meno essere aumentate dalle regioni;

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.l. 17 aprile 1984, n. 70, sollevata, in riferimento all'art. 77 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/04/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 27 Aprile 1988.