Sentenza n.471 del 1988

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SENTENZA N.471

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 87, primo comma, e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (<Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette>), promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1986 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato contro Toscano Raffaele, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32/1 a S.S. dell'anno 1987.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Considerato in diritto

2.-La Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 87, primo comma, e 140, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in quanto prevedevano l'assoggettamento all'imposta complementare delle indennità di fine rapporto (indennità di anzianità e premio di fedeltà) erogate dall'I.N.A.-presso il quale era stato costituito un apposito fondo-ai dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo.

Nell'ordinanza di rimessione se ne deduce il contrasto con gli artt. 53 e 38 Cost., sotto il profilo che le norme impugnate avrebbero assoggettato ad imposizione dette indennità con le stesse modalità previste per ogni altro reddito da lavoro dipendente, senza tener conto delle loro particolari finalità previdenziali.

3.-Va premesso che, a norma del R.D. 20 ottobre 1939, n. 1863, erano iscritti al Fondo di previdenza del personale addetto alle gestioni delle imposte di consumo, tutti i dipendenti delle aziende di gestione (art. 3).

In caso di cessazione dal servizio, l'iscritto (o i superstiti) avevano diritto ad un trattamento pensionistico (art. 11, n. 1) nonchè <ad un capitale comprensivo dell'indennità per anzianità di servizio>. In relazione a tali prestazioni era previsto il versamento di un contributo complessivo pari al 12,50 per cento della retribuzione (art. 4), di cui il 7,50 per cento per le prestazioni pensionistiche ed il residuo per le prestazioni assicurative (art. 11), affidate all'Istituto nazionale assicurazioni (art. 30).

La materia fu riordinata dalla l. 2 aprile 1958, n. 377, che all'art. 2 previde tra gli scopi del Fondo quello di <garantire agli iscritti ed ai loro superstiti e aventi diritto, mediante un sistema di assicurazione e capitalizzazione, un capitale comprensivo dell'indennità di anzianità e dell'integrazione dovuta a termini di legge, dei contratti collettivi di lavoro di categoria e dei regolamenti aziendali vigenti all'atto della cessazione del rapporto di lavoro>.

L'assicurazione anzidetta continuò ad essere affidata all'I.N.A. e in relazione ad essa fu previsto il versamento, a totale carico del datore di lavoro, di un contributo pari al 7,30 per cento della retribuzione (artt. 10 e 40). Tale normativa fu modificata dalla l. 29 luglio 1971, n. 587 (artt. 14 e segg.), che confermo le prestazioni su dette, nella loro sostanza, ponendole però a carico del Fondo. Si prescriveva che questo avrebbe tenuto una gestione separata di esse; a tale gestione sarebbero affluiti i contributi, sempre a totale carico del datore di lavoro, la cui misura venne aumentata, prevedendosi anche che per il futuro la misura di detti contributi potesse essere variata, in relazione al fabbisogno del Fondo, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro (art. 32).

Soppresse le imposte di consumo, con d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649 furono emanate norme per l'inquadramento del personale delle aziende di gestione nel Ministero delle finanze, prevedendosi (art. 17) al riguardo che <nulla e innovato per quanto concerne i trattamenti di pensione e di anzianità e le relative contribuzioni>.

Con l. 24 febbraio 1963, n. 156, fu istituito (art. 2) anche, in favore del personale addetto alle gestioni delle imposte di consumo, un premio di fedeltà per l'ipotesi di risoluzione del rapporto d'impiego ad iniziativa del datore di lavoro o di morte del lavoratore. Per la copertura del relativo onere (art. 4) fu mantenuto in vigore ed elevato nell'ammontare il contributo (originariamente del 2,37 per cento, aumentato al 3,50 per cento della retribuzione) istituito dalla l. 28 febbraio 1953, n. 149 in via temporanea. Tale contributo era anch'esso esclusivamente a carico dei datori di lavoro (art. 3 l. n. 149 del 1953).

4.-La normativa impugnata riguarda il sistema d'imposizione diretta vigente prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria e dell'istituzione, con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, dell'I.R.PE.F.

Il d.P.R. n. 645 del 1958, agli artt. 130 e seguenti, disciplinava l'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo. Ai fini di tale imposizione, l'art. 140, ultimo comma, prevedeva che sulle indennità di licenziamento, anzianità, previdenza e su ogni altra somma percepita una volta tanto in relazione ad un cessato rapporto di lavoro, l'imposta fosse <liquidata separatamente dagli altri redditi del contribuente, sullo stesso ammontare soggetto all'imposta di ricchezza mobile, con l'aliquota corrispondente al quoziente dell'indennità globale percepita, divisa per il numero degli anni di servizio prestati>.

L'art. 87, primo comma, del d.P.R. nel testo di cui alla legge n. 168 del 1962, disponeva che, ai fini della sottoposizione all'imposta di R.M., le indennità di anzianità e di previdenza fossero assimilate al reddito di lavoro subordinato e l'art. 89 stabiliva che per le indennità di anzianità e di previdenza corrisposte una volta tanto in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, la quota esente fosse di lire quarantamila per ogni anno di servizio prestato.

Con la riforma tributaria si é proceduto alla eliminazione delle preesistenti imposte dirette a carattere reale, sostituendosi ad esse, nonchè alle imposte di ricchezza mobile e complementare, l'I.R.PE.F.

Anche nel nuovo sistema, peraltro, tutte le indennità dovute in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro sono state sottoposte a tassazione, con le modalità previste dagli artt. 12 e 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597.

Essendo state prospettate alcune questioni di legittimità costituzionale di tali ultime norme, il legislatore emano la legge 26 settembre 1985, n. 482, con la quale il trattamento tributario delle indennità di fine rapporto disposto dal d.P.R. n. 597 del 1973 fu in parte modificato, con effetto parzialmente retroattivo.

5.-Questa Corte ha già deciso, con le sentenze n. 178 del 7 luglio 1986 e n. 400 del 19 novembre 1987, questioni in parte analoghe a quelle ora in esame.

Con la prima di tali decisioni é stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 4 della l. 26 settembre 1985, n. 482, sollevata sotto il profilo che tali norme, considerando reddito le indennità di buonuscita corrisposte dall'E.N.P.A.S. ed assoggettandole ad imposizione fiscale, avrebbero violato gli artt. 38 e 53 Cost., poichè dette indennità avrebbero natura previdenziale e, quindi, non potrebbero essere assunte ad indice di capacità contributiva. In proposito la Corte ha affermato che per capacità contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., deve intendersi l'idoneità del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulta collegata. Presupposto che consiste in un qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità sotto il profilo della arbitrarietà o irrazionalità.

Secondo la citata sentenza, pur tenendosi conto della garanzia apprestata in materia previdenziale dall'art. 38 della Costituzione, l'allegata natura previdenziale dell'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S., non ne esclude la tassabilità, se non nei limiti minimi indispensabili ad assi curarne le finalità previdenziali, secondo valutazioni che competono al legislatore.

Illegittima é stata invece ritenuta la sottoposizione delle indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. allo stesso trattamento tributario delle indennità di fine rapporto dovute in relazione al contratto di lavoro privato. Infatti, la circostanza che alla formazione delle indennità erogate dall'E.N.P.A.S. concorrano anche i contributi del pubblico dipendente, oltre che dello Stato, e un elemento che deve essere congruamente valutato dal punto di vista fiscale.

Con la sentenza 19 novembre 1987, n. 400, facendosi applicazione di detti principi, sono stati dichiarati non fondati, riguardo agli artt. 87, primo comma, 89 ultimo comma e 140, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958 i profili di incostituzionalità sollevati contestandosi in radice la sottoposizione delle indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. alle imposte di R.M. e complementare. Con la stessa sentenza, in applicazione di quei principi, é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, anzi detti, nella parte in cui non prevedevano, riguardo alle indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S., che dall'imponibile da assoggettare ad imposta fosse detratta una somma pari alla percentuale dell'indennità di buonuscita corrispondente al rapporto esistente, alla data del collocamento a riposo, tra il contributo del 2,50 per cento posto a carico del pubblico dipendente e l'aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato al Fondo di previdenza dell'E.N.P.A.S.

6.-Alla stregua di quanto statuito nelle due sopra menzionate decisioni, appare infondata la questione di legittimità costituzionale-sollevata dalla Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 38 e 53 Cost.-degli artt. 87, primo comma e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nella parte in cui assoggettano ad imposta complementare anche le indennità di anzianità e il premio di fedeltà dei dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo.

Invero - come sopra si é detto - la percezione delle indennità di fine rapporto, costituisce indice di capacità contributiva e ben può pertanto, il legislatore, assoggettarla a tassazione tenendo conto, con valutazioni che gli sono riservate nei limiti della razionalità, della destinazione di quelle indennità a far fronte alle esigenze del lavoratore connesse con la cessazione del rapporto di lavoro e deve esentare dalla tassazione la quota di quelle indennità eventualmente corrispondente ai contributi versati dal lavoratore.

Come sopra si é visto, i contributi diretti ad alimentare le indennità di fine rapporto dei dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo erano poste interamente a carico dei datori di lavoro: pertanto nessuna esenzione doveva essere disposta sotto tale profilo. Quanto alla destinazione di quelle indennità alle esigenze di vita del lavoratore connesse con la cessazione del rapporto di lavoro, di essa teneva conto adeguato il combinato disposto degli artt. 87, primo comma (nel testo di cui alla l. 4 dicembre 1962 n. 1682) e 140, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958. In base ad esso le indennità di anzianità e di previdenza erano assimilate a reddito di lavoro subordinato, ai fini dell'assoggettamento all'imposta complementare, ma questa era liquidata separatamente dagli altri redditi del contribuente, con l'aliquota corrispondente al quoziente dell'indennità globale percepita, divisa per il numero degli anni di servizio prestati e detratta una somma fissa (art. 89, ultimo comma) per ogni anno di servizio.

Detto meccanismo-analogo a quello istituito dalla l. 26 settembre 1985, n. 482 é ritenuto legittimo con la sentenza n. 178 del 1986-dava rilievo alla durata del rapporto di lavoro e apprestava un congegno d'imposizione del tutto particolare rispetto ai normali meccanismi di tassazione dei redditi, adeguando la tassazione alle speciali caratteristiche delle indennità di fine rapporto, così da renderla del tutto conforme ai principi stabiliti dagli artt. 38 e 53 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 87, primo comma e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (<Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette>), sollevata con l'ordinanza della Corte di Cassazione 27 marzo 1985 (R.O. n. 318 del 1987), in riferimento agli artt. 53 e 38 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/04/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Gabriele PESCATORE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 27 Aprile 1988.