Sentenza n.437 del 1988

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SENTENZA N.437

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (Disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (Norme in materia di contratti agrari) e art. 1 del d.l. C.p.S. 1° aprile 1947, n. 273 (Proroga dei contratti agrari) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 giugno 1983 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da De Nitto Erasmo contro Di Ianni Raffaele ed altra, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa il 20 marzo 1986 dal Tribunale di Parma nel procedimento civile vertente tra Bandini Aldo e Fornari Luigi ed altri, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50/1a s.s. dell'anno 1987.

Visto l'atto di costituzione di Fornari Luigi nonchè l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

udito l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Le questioni sollevate dalle ordinanze di cui in narrativa sono analoghe e possono, pertanto, essere decise con unica sentenza.

2.-L'ordinanza emessa dal Tribunale di Parma (sezione delle controversie agrarie) il 20 marzo 1986 (Reg. Ord. 524/86) va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

Il Tribunale di Parma solleva, incidentalmente, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 44 Cost., degli artt. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 e 1 del d.l.C.p.S. 1° aprile 1947, n. 273 per la parte in cui non prevedono la corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del quale venga meno la proroga legale per la mutata destinazione del podere da agricola ad urbanistica.

La domanda sulla quale il predetto Tribunale é stato chiamato a giudicare non é, tuttavia, riconducibile ad una delle ipotesi di cui all'art. 1 del d.l.C.p.S. 1° aprile 1947, n. 273. Quest'ultimo articolo prevede, infatti, la decadenza dalla proroga legale in due ipotesi del tutto diverse da quella sottoposta al vaglio del giudice a quo; e, cioé, prevede il caso che il concedente o locatore che sia o sia stato coltivatore diretto od i cui figli siano o siano stati coltivatori diretti, dichiari di voler coltivare direttamente il fondo (ipotesi individuata dal predetto articolo sub a) e quello del concedente che voglia compiere nel fondo radicali ed immediate trasformazioni agrarie la cui esecuzione sia incompatibile con la continuazione del contratto ed il cui piano sia già stato dichiarato attuabile ed utile dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura (ipotesi che nel citato articolo e indicata sub b). La fattispecie all'esame del giudice a quo attiene, invece, all'accertamento della decadenza dalla proroga legale per avere il terreno, condotto in affitto, perduto la primitiva destinazione agraria per assumere quella di area fabbricabile. In entrambe le ipotesi di cui all'art. 1 del citato d.l.C.p.S. si tratta di decadenza dovuta ad una continuazione dell'attività agraria (da parte del concedente o locatore o per radicali ed immediate trasformazioni agrarie) mentre nella fattispecie all'esame del giudice a quo la decadenza dalla proroga legale attiene, si potrebbe aggiungere, all'opposto, alla cessazione della destinazione <agraria> del fondo in contestazione.

Poichè l'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 si limita a prorogare i contratti agrari in corso alla data d'entrata in vigore della stessa legge; e poichè, ove s'entrasse nell'esame del merito della controversia, dovrebbero esser riconosciuti od esclusi indennizzi riferiti alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo, che non é per nulla riconducibile alle ipotesi di cui all'art. 1 del d.l.C.p.S. del 1° aprile 1947; risulterebbe, in ogni caso, irrilevante, nella specie, il riconoscere od il negare indennizzi riferibili a fattispecie tipiche, quali quelle delineate nel citato articolo, del tutto diverse da quella, concreta, per la quale é stato iniziato il procedimento a quo.

Tutto ciò é confermato dal rilievo per il quale nè nell'atto introduttivo del primitivo ricorso dei concedenti, diretto ad ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto d'affitto (ed a seguito del quale si é verificata la conciliazione giudiziale, con riserva dell'affittuario di chiedere l'indennizzo) nè nel successivo ricorso dell'affittuario diretto ad ottenere il pagamento, da parte dei concedenti, dell'indennizzo in discussione, si é fatto riferimento, secondo quanto viene riferito dall'ordinanza rimettente, alle disposizioni impugnate in questa sede.

Non v'é dubbio, in conclusione, che dal giudice a quo sono state censurate norme non applicabili alla specie al suo esame: ogni decisione di merito assunta in questa sede sarebbe, pertanto, irrilevante. La questione sollevata dal giudice a quo va, dunque, dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

3. - L'ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione il 3 giugno 1983 (Reg. Ord. 156/84) -ritenuta inapplicabile la sopravvenuta legge 3 maggio 1982, n. 203, essendo già intervenuta, nella specie, una sentenza esecutiva ex lege- solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, nella parte in cui non prevede un equo indennizzo in favore dell'affittuario di fondo rustico nell'ipotesi di cessazione della proroga legale del contratto d'affitto determinata dall'esigenza del concedente di costruire sul terreno un edificio d'abitazione.

La sollevata questione va dichiarata fondata limitatamente all'ipotesi, sottoposta all'esame del giudice remittente, nella quale é stato chiesto, intendendo il proprietario costruire sul fondo <edifici di abitazione>, il rilascio dell'intero fondo.

Il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 prevede espressamente un'ipotesi d'esenzione <parziale> dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari. Il citato comma, infatti, recita: <Sono esenti dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari i terreni ... sui quali il proprietario intenda costruire edifici di abitazione, limitatamente ad un'area pari al doppio di quella che dovrà occupare il fabbricato>.

E se si considera esclusivamente la fattispecie tipica di esenzione <parziale> dalle proroghe legali d'un determinato fondo sul quale il proprietario intenda costruire edifici d'abitazione, non e ravvisabile contrasto, censurabile in questa sede, con l'art. 44 Cost. Nè é da ritenere la predetta fattispecie analoga a quella esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 107 del 1974, sotto il profilo della quantità del sacrificio imposto al concessionario.

Per vero, qualche dubbio di legittimità sorge anche per l'ipotesi tipicamente prevista dal primo comma della norma impugnata: é ben vero, infatti, che quest'ultima prevede l'esenzione dalla proroga legale soltanto per una parte del fondo, lasciando intatto il diritto del concessionario per la rimanente; ma nelle ipotesi in cui, in concreto, il doppio dell'area che dovrà occupare <il fabbricato> s'estenda fino a ridurre la parte del fondo lasciato al concessionario ad un'entità insignificante e tale da sostanzialmente impedire al medesimo il raggiungimento dei fini contrattuali, la continuazione della titolarità formale del diritto del concessionario su di una <parte> del fondo non varrebbe ad impedire la sostanziale vanificazione del diritto stesso.

Tuttavia, da un canto, non é in questa sede censurabile la discrezionale scelta del legislatore, che ha ritenuto preminente l'interesse del proprietario a costruire sul fondo <edifici d'abitazione> rispetto all'interesse del concessionario a continuare a beneficiare della proroga legale sull'intero fondo (e tale scelta non é manifestamente irrazionale, tenuto conto del valore assunto nei tempi attuali dall'esigenza di costruzioni adibibili ad abitazione) e d'altro canto spetterà al giudice di merito stabilire se, in concreto, il richiesto rilascio di gran parte o della massima, quasi integrale, parte del fondo costituisca ipotesi da ritenersi analoga a quella del chiesto rilascio dell'intero fondo, ipotesi che si va a dichiarare costituzionalmente illegittima.

Ed infatti, il primo comma dell'articolo impugnato, come il giudice a quo esattamente rileva (dichiarando la rilevanza, nella specie al suo esame, dell'ora citato comma) può esser invocato anche nell'ipotesi di richiesta da parte del proprietario di rilascio dell'intero fondo. Ed é da tener presente che, appunto, in prima ed in seconda sede, nel procedimento a quo, é stato richiesto il rilascio dell'intero fondo e che le sentenze di primo e secondo grado hanno pronunciato il rilascio dell'intero fondo.

Ed in questa ipotesi il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 é violativo dell'art. 44 Cost., che espressamente prevede la possibilità che la legge imponga obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata anche al fine di stabilire <equi rapporti sociali>. Ed equo contemperamento sociale di opposti interessi é appunto quello che, mentre consente al proprietario la facoltà di richiedere il rilascio dell'intero fondo, al fine di costruirvi <edifici d'abitazione>, riconosce al conduttore, nei casi di totale risoluzione incolpevole del contratto agrario, tenuto conto del danno che indubbiamente tale risoluzione arreca, e senza sua colpa, al conduttore, un equo indennizzo.

Non può dirsi, invero, in armonia con la direttiva costituzionale, contenuta nell'art. 44 Cost., la totale cessazione del rapporto agrario prorogato ex art. 11 della legge 253 del 1950 senza adeguata valutazione della contrapposta posizione del conduttore. Se é vero che non e censurabile, in questa sede, la scelta legislativa che privilegia l'interesse del proprietario e della collettività alla costruzione di case d'abitazione sull'interesse del conduttore alla continuazione del rapporto agrario, integralmente considerato, é altresì vero che tale scelta non può non tener conto del sacrificio che il conduttore viene a subire e non prevedere il pagamento, a quest'ultimo, da parte del proprietario, d'un equo indennizzo: diversamente viene violata la precitata direttiva costituzionale di cui all'art. 44 Cost.

Esattamente il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 107 del 1974 al fine di rilevare l'estensibilità al caso sottoposto al suo esame della disciplina della fattispecie sulla quale si e pronunciata l'ora indicata sentenza. Intanto, in entrambi i casi si tratta di <totale rilascio del fondo>: ma, di più, benchè l'ipotesi all'esame del giudice a quo attenga al rilascio del fondo, da parte del conduttore, per la costruzione, ad opera del proprietario, di case d'abitazione mentre quella decisa dalla precitata sentenza riguardava l'abbandono del fondo, da parte del conduttore, per radicali trasformazioni agrarie, nell'una e nell'altra ipotesi vi é un conflitto tra capitale e lavoro che richiede un armonico bilanciamento al fine d'assicurare equi rapporti sociali.

Ed é stata, appunto, questa Corte che, con la sentenza n. 30 del 1977, nel rigettare l'istanza tesa a far riconoscere come dovuto un indennizzo nell'ipotesi di cessazione della proroga agraria in relazione al dichiarato proposito del concedente di coltivare direttamente il fondo, ha tenuto a differenziare quest'ultima ipotesi (in cui si contrappongono interessi omogenei, entrambi diretti all'esplicazione di un'attività lavorativa sul fondo) da quella esaminata dalla sentenza n. 107 del 1974, che riguarda invece, una contropposizione tra capitale e lavoro (che va armonicamente bilanciata al fine d'assicurare equi rapporti sociali) e che é certamente simile a quella oggi all'esame del giudice a quo.

Va, infine, sottolineato che l'evoluzione legislativa in materia, e soprattutto la riforma dei contratti agrari introdotta con la legge 3 maggio 1982, n. 203 (che ha sancito l'attribuzione d'un indennizzo al conduttore in tutti i casi di risoluzione incolpevole del contratto agrario e, nell'ipotesi di destinazione edilizia del fondo, in conformità degli strumenti urbanistici, ha anche previsto altre provvidenze a favore del conduttore) ulteriormente confortano nel riconoscere parzialmente viziato da illegittimità costituzionale il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 e 1 del d.l.C.p.S. 1° aprile 1947, n. 273 sollevata, in riferimento all'art. 44 Cost., dal Tribunale di Parma (Sezione delle controversie agrarie) con ordinanza del 20 marzo 1986 (Reg. Ord. 524/86);

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, limitatamente alla parte in cui non prevede la corresponsione al conduttore d'un equo indennizzo da parte del locatore che ottenga il rilascio dell'intero fondo locato per costruirvi case d'abitazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14 Aprile 1988.