Sentenza n.334 del 1988

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SENTENZA N.334

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 27 dicembre 1973, n. 852 (Proroga della L. 5 marzo 1963, n. 322, recante norme per l'accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle prestazioni previdenziali ed assistenziali) e degli artt. 19, lett. a), 28 e 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 9 ottobre 1979 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Confederazione Autonoma Italiana del Lavoro e l'I.N.P.S., iscritta al n. 52 del registro ordinanze del 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 dell'anno 1980;

2) ordinanza emessa il 15 luglio 1981 dal Pretore di La Spezia nel procedimento civile vertente tra il Sindacato Nazionale Quadri Industria e la S.p.a. Oto Melara, iscritta al n. 699 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 26 settembre 1982 dal Pretore di Roma sul ricorso proposto da UIL DEP Provinciale contro la Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza a favore dei Geometri, iscritta al n. 785 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 101 dell'anno 1983;

4) ordinanza emessa il 7 luglio 1984 dal Pretore di Legnano nel procedimento civile vertente tra la Federazione Unitaria Lavoratori Tessili Abbigliamento e la S.p.a. Marcofil, iscritta al n. 1063 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34 bis dell'anno 1985.

Visti gli atti di costituzione del Sindacato Nazionale Quadri Industria, della S.p.a. Oto Melara e dell'I.N.P.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi gli avv.ti Giuseppe Pera per il Sindacato Nazionale Quadri Industria, Gino Sacerdoti per l'I.N.P.S. e gli avv.ti dello Stato Oscar Fiumara e Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Le questioni riguardano la stessa materia e possono pertanto essere decise con unica sentenza.

2. - Il Pretore di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, lettera a), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) per contrasto con l'art. 39, primo e terzo (rectius quarto) comma, Cost.

Nell'ordinanza di rimessione - come detto in narrativa- si sostiene che la norma costituzionale tutela la libertà sindacale in un sistema fondato sul sindacato nazionale di categoria e sul principio di proporzionalità, laddove la norma impugnata privilegia-ai fini della costituzione di rappresentanze sindacali aziendali nelle singole unita produttive-le associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La struttura confederale, così presa in considerazione dal legislatore, sarebbe quella che possiede una rappresentatività storica, che si fonda cioé sulla realtà sociologica del sindacalismo: il che porta ad escludere la possibilità che l'adesione di un sindacato-come quello ricorrente- a confederazioni monocategoriali quali la Confederquadri, possa consentire allo stesso di costituire una rappresentanza sindacale aziendale, pur essendo sicuramente-sindacato e confederazione-maggiormente rappresentativi della categoria dei quadri. Nè, ad avviso del giudice a quo, la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali potrebbe ritenersi assicurata ad associazioni portatrici di mera rappresentatività tecnica dalla lett. b) del medesimo art. 19, in quanto il conseguimento del requisito, ivi previsto, della stipulazione di un contratto collettivo nazionale o provinciale applicabile all'unita produttiva sarebbe pur sempre sostanzialmente rimesso alla volontà delle controparti.

2.l. - La questione non é fondata.

Esaminando, innanzitutto, la censura prospettata in riferimento al quarto comma dell'art. 39 Cost., é agevole osservare che tale disposizione, peraltro inattuata, configura un modello di selezione della rappresentanza sindacale che ha come suo necessario presupposto la registrazione dei sindacati ed é strettamente funzionale all'obiettivo, allora divisato, di pervenire alla stipulazione di contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes. A tale finalità si ricollega, da un lato l'adozione del principio proporzionalistico, come congegno idoneo alla costituzione di una rappresentanza unitaria formalmente investita del potere di concludere un contratto dotato di tale particolare forza giuridica; dall'altro, l'individuazione del livello categoriale come momento organizzativo coerente con l'area di operatività della contrattazione collettiva. Non si tratta però, certamente, di un modello esclusivo, che altrimenti la disposizione in esame si porrebbe in insanabile contraddizione col principio generale di libertà dell'organizzazione sindacale sancito dal primo comma dello stesso art. 39; e dunque, al di fuori di tale logica funzionale, il legislatore e libero, quando dispone in ordine ad un contesto operativo del tutto diverso-quello dei sindacati ammessi a legittimare nel proprio ambito organismi di rappresentanza aziendale-, di adottare criteri selettivi ed individuare momenti organizzativi che ritenga più appropriati a tal fine, quali, appunto, quelli della maggiore rappresentatività e del livello confederale di aggregazione.

2.2.-Del pari non fondata é poi la questione in quanto riferita al principio di libertà sindacale sancito dal primo comma dell'art. 39 Cost. Sotto questo profilo, il giudice a quo non contesta nè la legittimità dell'adozione di un criterio selettivo, nè che questo venga dalla norma impugnata individuato nella <maggiore rappresentatività> del sindacato; ritiene, però, che esso avrebbe dovuto, per rispettare il disposto costituzionale, essere riferito ad un diverso ambito di organizzazione del sindacato, e cioé quello della categoria anzi che della confederazione.

L'esame di questa specifica censura richiede, peraltro, che la norma impugnata non sia considerata isolatamente, ma vista nel contesto delle altre disposizioni dettate nello Statuto a tutela della libertà e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro.

Innanzitutto, lo Statuto pone le basilari condizioni atte a garantire in concreto tali diritti stabilendo, all 'art . 14 , la piena libertà dei lavoratori <di costituire associazioni sindaca li, di aderirvi e di svolgere attività sindacale> ed assicurando` a tali associazioni, ed alle relative rappresentanze, sia la tutela contro atti discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, sia l'attività di proselitismo e collettaggio nell'impresa (artt. 15, 16, 26), sia la facoltà di avvalersi di altri importanti diritti di esercizio collettivo, quali quelli sanciti dagli artt. 9 e 11.

Inoltre, la garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale e assicurata dallo Statuto, non solo attraverso il divieto dei sindacati di comodo (art. 17), ma anche e soprattutto attraverso il fondamentale strumento di repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro previsto dall'art. 28, il cui impiego presuppone una dimensione organizzativa-quella nazionale-che, per non essere legata nè ad un'aggregazione a livello confederale-intercategoriale, nè alla stipulazione di contratti collettivi, consente concreti spazi di operatività anche alle organizzazioni che dissentono dalle politiche sindacali maggioritarie perseguite a quel livello.

2.3.-Questa Corte, d'altra parte, ha già ritenuto, nella sentenza n. 54 del 1974, che il criterio di selezione della <maggiore rappresentatività> é razionale in quanto coerente alle esigenze di equilibrio e funzionalità connesse alla specifica area di intervento in cui la disposizione impugnata é destinata ad operare.

E' chiaro, innanzitutto, che un meccanismo selettivo di sostegno qualificato dall'azione sindacale nei luoghi di lavoro deve non solo rifiutare logiche puramente aziendalistiche, estranee al ruolo a questa assegnato dalla Costituzione, ma evitare sia i pericoli di eccessiva frammentazione della rappresentanza sindacale segnalati nella citata sentenza, sia un'incidenza nella sfera dell'imprenditore dei diritti ad essa concessi (di assemblea, a permessi retribuiti, ecc.) non proporzionata alle esigenze di efficace esercizio di questi. Ma soprattutto, l'efficienza rappresentativa assicurata dal criterio di selezione in discorso si appalesa funzionale al carattere indivisibile degli interessi dei lavoratori che tali rappresentanze sono chiamate a tutelare ed idonea a dar vita ad organismi sufficientemente stabili ai fini di un proficuo confronto con le parti imprenditoriali.

L'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale ha d'altra parte condotto da tempo all'individuazione di un complesso di indici sufficientemente precisi - ricordati dal giudice a quo (cfr. narrativa in fatto)-che consentono all'interprete -a prescindere da elencazioni legislative dettate ad altri fini - di verificare nei singoli casi concreti la sussistenza del requisito della <maggiore rappresentatività> misurandola sull'effettività di questa e non su assunzioni aprioristiche: e ciò convalida l'opinione già espressa da questa Corte nel 1974 e condivisa dal giudice di legittimità, secondo cui la formula legislativa prescrive una valutazione non comparativa ma rafforzativa della rappresentatività e delinea una categoria aperta, cui può accedere ogni organizzazione sindacale che raggiunga la consistenza e possieda le caratteristiche evidenziate dagli elementi sintomatici sopra richiamati.

2.4.-Passando ora all'esame, sulla scorta delle suesposte premesse, della norma specificamente censurata, deve, innanzitutto sottolinearsi che il legislatore statutario ha avuto cura, nel formularla, di salvaguardare la libertà di organizzazione sindacale sotto un duplice profilo.

In primo luogo, ha garantito che le rappresentanze aziendali siano genuina espressione dei lavoratori ivi occupati (e non dei soli iscritti alle associazioni sindacali), prescrivendo che esse si costituiscano su iniziativa dei medesimi, e non di strutture esterne.

In secondo luogo, stabilendo che tali rappresentanze si formino <nell'ambito> delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ha adottato un criterio di raccordo tra organismo aziendale e struttura confederale notevolmente elastico, che-in quanto non deve necessariamente tradursi in un collegamento di tipo strettamente organico-associativo - consente al primo sufficienti margini di determinazione autonoma.

D'altra parte, la rigida contrapposizione tra confederazione e sindacato di categoria che il giudice a quo pretende di instaurare e solo in parte esatta, dato che, sul piano organizzativo, il collegamento che la disposizione impugnata configura in via prioritaria e appunto quello tra rappresentanze aziendali e associazioni sindacali di categoria.

La contrapposizione, invece, attiene al momento selettivo e qualificativo di queste, ed e espressa nel più importante indice di identificazione della confederazione maggiormente rappresentativa, quello, cioé, che richiede una equilibrata consistenza associativa in tutto l'arco delle categorie che essa e istituzionalmente intesa a tutelare, e perciò esclude che per tale possa qualificarsi un'organizzazione, anche confederale, di tipo monocategoriale.

Nel disporre il conferimento di diritti ulteriori rispetto a quelli assicurati alla generalità delle associazioni sindacali, agli organismi aziendali collegati alle confederazioni dotate di una compiuta rappresentanza pluricategoriale (oltre che di una diffusa organizzazione a livello territoriale), il legislatore statutario ha indubbiamente compiuto una ben precisa opzione: consistente, da un lato, nel favorire un processo di aggregazione e di coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, anche al fine di ricomporre, ove possibile, le spinte particolaristiche in un quadro unitario; dall'altro, nel dotare le organizzazioni sindacali-in ragione del complesso intreccio tra conflitto industriale e conflitti sociali- di strumenti idonei a pervenire ad una sintesi tra istanze rivendicative di tipo microeconomico e di tipo macroeconomico ed, insieme, di raccordare l'azione di tutela delle classi lavoratrici con la considerazione di interessi potenzialmente divergenti, quali, in particolare, quelli dei lavoratori non occupati.

Questa concezione corrisponde al ruolo tradizionalmente svolto dal movimento sindacale italiano; ma quel che qui interessa - e che assume rilievo decisivo - é che essa é coerente al complessivo disegno cui e informata la Carta costituzionale, nel quale anche l'art. 39 va inserito: e cioé, sia al principio solidaristico, specificamente enunciato nell'art. 2 e matrice di molte altre disposizioni costituzionali; sia al principio consacrato nel secondo comma dell'art. 3 che, promuovendo l'eguaglianza sostanziale tra i lavoratori e la loro effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, addita anche alle organizzazioni sindacali di rendersi, per la loro parte, strumenti di tale partecipazione, oltre che di tutela dei diretti interessi economici dei lavoratori (cfr. sent. n. 15 del 1975).

Tale conclusione non é, dunque, frutto di un <giudizio politico>, come opina la difesa della parte privata; ed essa va tratta a prescindere da ogni considerazione in ordine a recenti sviluppi della prassi sindacale, non rilevanti in questa sede.

2.5. - La valorizzazione, in funzione solidaristica, del modello intercategoriale non si é peraltro tradotta in un involucro normativo rigido, tale cioé da non consentire adeguata espressione alle differenziazioni che nella realtà possono verificarsi tra gli interessi delle varie categorie di lavoratori, magari per effetto dell'emergere di nuove figure professionali.

Sul piano della struttura delle rappresentanze sindacali aziendali, la norma impugnata é, invero, assai generica, e perciò idonea sia a consentire lo sviluppo di moduli e logiche organizzative diverse, di volta in volta adeguate-come l'esperienza dimostra-alle singole realtà, sia a dar vita ad assetti coerenti ai principi di democrazia sindacale ed alle esigenze di rappresentanza delle varie figure professionali. Sul piano, poi, dei collegamenti delle rappresentanze con le organizzazioni extra- aziendali, il legislatore, onde garantire un effettivo pluralismo sindacale, ha consentito sufficienti spazi di libertà e di azione al sindacalismo autonomo mediante la disposizione di cui alla lett. b) del medesimo art. 19, che prevede che rappresentanze aziendali possono essere costituite nell'ambito di associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, semprechè queste siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita produttiva. Per questa via, alle associazioni sindacali che raccolgano adeguati consensi e dato modo di affermarsi e di fruire delle ulteriori attribuzioni previste dal titolo III dello Statuto.

Ma é logico, alla stregua di quanto detto nel precedente paragrafo, che la tutela rafforzata di un'ottica categoriale che segua indirizzi diversi da quella intercategoriale in tanto si legittima, in quanto essa sia in grado di esprimere un livello di rappresentatività idonea a tradursi in effettivo potere contrattuale.

Che poi la condizione tecnico-funzionale dell'acquisizione di un'autorità contrattuale concretamente operante possa incontrare difficoltà connesse al potere di accreditamento della controparte imprenditoriale, é problema che non può incidere sulle valutazioni di legittimità costituzionale, trattandosi di questione di mero fatto, che attiene alla realtà dinamica del conflitto sindacale, non idonea ad operare al di la della sfera del contingente: tant'é che in non pochi settori sono presenti rappresentanze collegate ad associazioni sindacali, non affiliate alle confederazioni ritenute maggiormente rappresentative.

3.-Deve ritenersi altresì infondata la questione sollevata dal Pretore di Roma - con la ordinanza 9 ottobre 1979 (r.o. n. 52/80)-relativamente al primo comma dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1973, n. 852. Il giudice remittente ha prospettato l'ipotesi della confliggenza di detta norma con gli artt. 3 e 39, primo comma, Cost. in quanto prevede che il diritto di riscuotere i contributi associativi versati dai lavoratori agricoli beneficiari dell'indennità ordinaria e del trattamento speciale di disoccupazione mediante trattenuta sulla indennità stessa, spetti soltanto alle federazioni di categoria aderenti alle confederazioni sindacali a carattere nazionale rappresentate nel CNEL: in tal modo-si afferma nell'ordinanza-la norma introdurrebbe tra le associazioni sindacali una discriminazione non basata su una reale effettività rappresentativa e, creando ostacoli alla provvista di mezzi finanziari, restringerebbe la possibilità di formazione e di sviluppo di quelle escluse.

Tale prospettazione, però, non considera che in siffatta materia sussiste un'indubbia esigenza di circoscrivere l'area dei possibili beneficiari del servizio in questione alle organizzazioni sindacali che offrono le necessarie garanzie di serietà e di effettiva rappresentatività e capacita di far valere gli interessi dei lavoratori agricoli disoccupati. Ciò risponde, da un lato, ad un'esigenza di tutela di costoro, correlata al principio generale di incedibilità delle prestazioni previdenziali (art. 128 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827), al quale consegue il carattere eccezionale di norme del tipo di quella impugnata; dall'altro, all'esigenza di garantire all'INPS-onerato dalla legge di un servizio esulante dai suoi compiti istituzionali -che le modalità del suo espletamento, anche per assicurare il rimborso delle relative spese, siano da concordare con organizzazioni sindacali rispondenti ai predetti requisiti. La scelta legislativa di limitare il servizio di trattenuta ai sindacati aderenti alle confederazioni rappresentate nel CNEL, in quanto fondata su razionali presupposti obiettivi, non viola perciò il principio di uguaglianza.

Tanto meno, poi, può dirsi nella specie violata la libertà sindacale delle associazioni che, non essendo fornite dei prescritti requisiti di rappresentatività, non fruiscono di tale più agevole sistema di provvista e riscossione di mezzi finanziari.

La norma impugnata, invero, non incide ne sul diritto dei lavoratori disoccupati di versare contributi a tali associazioni meno rappresentative, ne sul diritto di queste di acquisirli, sia pure con modalità diverse; e ciò é sufficiente, nella particolare fattispecie qui esaminata, a garantire ad esse la libertà sindacale.

4. -Con l'ordinanza del 26 settembre 1982 indicata in epigrafe (r.o. n. 785/82), il Pretore di Roma dubita, in riferimento agli artt. 3, 2i e 25, primo comma Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della medesima legge n. 300 del 1970, in quanto tali norme prevedono, in caso di condotta antisindacale plurioffensiva degli enti pubblici economici - cioé incidente anche sui diritti dei dipendenti -che possono essere aditi tanto il giudice ordinario (dall'organizzazione sindacale) che quello amministrativo (dal dipendente), e perciò comportano che possano essere pronunciate decisioni reciprocamente incompatibili.

La medesima questione di legittimità costituzionale del citato art. 28, a suo tempo sollevata dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, é stata, con la sentenza n. 169 del 1982, dichiarata inammissibile in quanto fondata su due contrapposte interpretazioni di tale norma , tali da rendere ancipiti le ordinanze di rimessione; e manifestamente inammissibile é stata poi dichiarata la medesima questione, sollevata dalle stesse Sezioni Unite con ordinanza del 6 ottobre 1981 (ord. n. 210 del 1982). Poichè il Pretore di Roma si é limitato a riprodurre quest'ultima ordinanza, trascrivendone letteralmente il contenuto, anche sulla questione così sollevata deve rendersi una pronuncia di manifesta inammissibilità.

5.-Come specificato in narrativa, il Pretore di Legnano ha sollevato, con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. 1063/84), due distinte questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 St. lav.

Con la prima, egli assume che tale disposizione violerebbe, in modo surrettizio, i commi secondo, terzo e quarto dell'art. 39 Cost. in quanto, a suo avviso, attribuisce ai sindacati la legittimazione processuale a tutelare diritti dei lavoratori, nonostante che la rappresentanza istituzionale di interessi altrui presupponga, in base ai suddetti disposti costituzionali, il possesso di requisiti formali (registrazione) e sostanziali (ordinamento interno a base democratica) di cui gli organismi abilitati col ricorso ex art. 28 sono sprovvisti.

Lo strumento processuale previsto da tale norma consente agli <organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse> di richiedere al pretore la cessazione, e la rimozione degli effetti, di comportamenti del datore di lavoro <diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonchè del diritto di sciopero>.

Trattasi, quindi -come già precisato nella sentenza n. 54 del 1974-di uno strumento posto a tutela di interessi collettivi dei quali il sindacato e titolare e gestore autonomo, e con il quale esso non agisce in rappresentanza dei lavoratori colpiti dai suddetti comportamenti, tant'é che può esperire il ricorso anche in caso di inerzia o contraria volontà di questi.

Di conseguenza, la questione, in quanto basata su un presupposto erroneo, deve essere dichiarata non fondata.

Alla medesima conclusione deve pervenirsi in ordine alla seconda questione, prospettata in via subordinata, con la quale il giudice a quo assume che l'art. 28, conferendo la legittimazione ad esperire la speciale procedura ivi prevista alle sole associazioni sindacali <nazionali>, contrasti con gli artt. 39, primo comma e 3 Cost. in quanto porrebbe con ciò un requisito-quello appunto, della <nazionalità>-non verificabile e la cui introduzione comporterebbe disparità di trattamento tra i sindacati.

Quanto al primo profilo, basta richiamare quanto già detto (par. 2.3.) a proposito degli indici di identificazione del sindacato maggiormente rappresentativo sul piano nazionale, per escludere, a fortiori, che non sia dato all'interprete di accertare, con i comuni mezzi di prova, il carattere nazionale o meno del sindacato.

Quanto al secondo motivo di censura, e innanzitutto da rilevare-come già questa Corte fece nella sentenza n. 54 del 1974-che l'art. 28 non limita l'organizzazione o l'attività dei sindacati da esso esclusi ne li priva di alcuno degli strumenti di tutela, sostanziale o processuale, di cui già fruiscono (cfr., in particolare, l'art. 16 St. lav.); introduce, invece, un nuovo e diverso mezzo processuale riservato a soggetti collettivi particolarmente qualificati, individuati attraverso non un modello, ma una dimensione organizzativa (quella nazionale) assunta come indice e garanzia di un adeguato livello di rappresentatività: idonea, cioé, a consentire la selezione, tra i tanti possibili, dell'interesse collettivo rilevante da porre a base del conflitto con la parte imprenditoriale introdotto con l'incisivo strumento processuale in questione.

Con una scelta analoga a quella fatta con l'art. 19- ma qui adottando un criterio selettivo meno rigoroso-il legislatore, in altri termini, ha inteso, da un lato, evitare le conseguenze che all'attività aziendale deriverebbero <da una pletora indiscriminata di ricorsi> (sent. n. 54 del 1974); dal l'altro, assicurare che l'individuazione dell'interesse collettivo da ritenere leso dalla condotta imprenditoriale sia frutto di una sintesi interpretativa che, in quanto operata da soggetti rappresentativi di larghi strati di lavoratori, sia razionalmente funzionale, e non controproducente, rispetto all'obiettivo di un reale rafforzamento delle loro posizioni nel conflitto industriale, che con la norma impugnata il legislatore ha avuto di mira.

Questa é quindi, in definitiva, frutto del medesimo indirizzo che ha ispirato la formulazione dell'art. 19 (cfr. supra, par. 2.4.): e deve quindi ritenersi immune da censure, per le stesse ragioni già evidenziate a tal proposito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, lett. a), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori), in riferimento all'art. 39 Cost., sollevata dal Pretore di La Spezia con ordinanza del 15 luglio 1981 (r.o. 699/81);

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 27 dicembre 1973, n. 852, in riferimento agli artt. 3 e 39, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del 9 ottobre 1979 (r.o. 52/80);

c) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della predetta legge n. 300 del 1970, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del 26 settembre 1982 (r.o. 785/82);

d) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 della legge n. 300 del 1970, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., sollevate dal Pretore di Legnano con ordinanza del 7 luglio 1984 (r.o. 1063/84).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ugo SPAGNOLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 24 Marzo 1988.