Sentenza n. 15 del 1975
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SENTENZA N. 15

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista  BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27, lett. a, della legge 30 aprile 1969, n. 153, e 3, ultimo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, concernenti revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, promosso con ordinanza emessa il 19 maggio 1972 dal Consiglio di Stato - sezione VI - sul ricorso della Federazione autonoma bancari d'Italia (FABI) contro il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Ministero del tesoro ed altri, iscritta al n. 396 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28 del 31 gennaio 1973.

 

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione della Federazione bancari;

udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 1974 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

uditi l'avv. Enzo Capaccioli, per la Federazione bancari, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - In data 17 maggio 1971 la Federazione autonoma bancari d'Italia (FABI), in persona dei suoi segretari nazionali, inoltrava al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ricorso per "l'annullamento" del d.P.R. 8 febbraio 1971 nella parte relativa alla nomina nel consiglio di amministrazione dell'INPS di Enzo Grazzini e di Giuliano Sammi in rappresentanza dei lavoratori dipendenti del credito, assicurazione e servizi tributari su conforme designazione delle confederazioni sindacali a carattere nazionale.

Nel ricorso la FABI ha contestato, con ampia e articolata motivazione, la legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, della legge delega 30 aprile 1969, n. 153, concernente la "revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale", e dell'art. 3, ultimo comma, della legge delegata 30 aprile 1970, n. 639, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 39, 97 e 99 della Costituzione.

2. - La legge n. 153 del 1969 attribuisce al Governo il potere di emanare nella materia contemplata, decreti legislativi, stabilendo nell'art. 27, tra i vari criteri direttivi, che del consiglio di amministrazione dell'INPS debbono far parte anche 18 rappresentanti dei lavoratori dipendenti designati dalle confederazione sindacali a carattere nazionale rappresentate nel consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.

La legge n. 639 del 1970, nell'art. 3, punto primo, provvede alla ripartizione dei 18 rappresentanti attribuiti alle varie categorie di lavoratori dipendenti, assegnandone due ai lavoratori del credito, assicurazione e servizi tributari.

Nell'ultimo comma dello stesso articolo si stabilisce, nella prima parte, in aderenza all'art. 27 della legge delegante, che "i consiglieri di amministrazione rappresentanti i lavoratori dipendenti sono designati dalle confederazioni sindacali a carattere nazionale rappresentate nel consiglio nazionale dell'economia e del lavoro"; nella seconda parte che "i rappresentanti dei lavoratori autonomi e i rappresentanti dei datori di lavoro sono designati dalle rispettive organizzazioni sindacali di settore più rappresentative".

3. - Il Consiglio di Stato, con ordinanza 19 maggio 1972, accogliendo le richieste della FABI, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei precitati artt. 27, lett. a, della legge n. 153 del 1969 e 3, ultimo comma, della legge delegata, approvata con d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 39, 97 e 99 della Costituzione. Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita la FABI, rappresentata e difesa dagli avvocati Enzo Capaccioli e Giovanni Camici, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

4. - L'ordinanza del Consiglio di Stato fa integralmente proprie, nella motivazione, le argomentazioni sviluppate dalla ricorrente FABI a sostegno delle proprie richieste.

L'art. 2 della Costituzione sarebbe violato, nel suo ricollegamento con gli artt. 18 (libertà di associazione) e 39 (libertà di organizzarsi in sindacati) della stessa Costituzione, nella parte in cui garantisce i diritti dell'uomo come singolo e come membro delle formazioni sociali singoli e le loro associazioni, oltre ad essere libere di autodeterminarsi, avrebbero altresì facoltà di organizzarsi in sindacato. Ciò, come conseguenza logica, comporterebbe, anche, la esistenza di una pluralità di associazioni sindacali diverse sia per base territoriale, sia per struttura organizzativa, tutte titolari di una identica posizione giuridica, e quindi, in una situazione di perfetta uguaglianza. Parallela alla libertà di associarsi sarebbe la libertà di non associarsi. Nel caso in esame, tanto la legge di delegazione, quanto, di riflesso, la legge delegata, costituirebbero, se raffrontate con i suesposti principi costituzionali, una non ammissibile condizione di privilegio a favore delle confederazioni, privando, di conseguenza, una associazione sindacale con maggioranza di aderenti, quale é la FABI, del suo ruolo rappresentativo nell'organo deliberante dell'INPS e ciò per il solo fatto di essersi avvalsa del diritto di libertà di non associarsi alle confederazioni. A legittimare l'impugnata disciplina giuridica non varrebbe neppure la considerazione che le confederazioni avrebbero la maggiore rappresentanza numerica di lavoratori, trattandosi, nella specie, di designazione di rappresentanti per categoria, per cui la rappresentatività dovrebbe essere tratta senz'altro con riferimento alla organizzazione specifica del settore.

D'altra parte, proprio in forza dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione e dell'art. 99, primo comma, della stessa, la designazione dei rappresentanti sindacali spetterebbe di regola alle associazioni maggiormente rappresentative, per cui l'abbandonato criterio della maggiore rappresentatività avrebbe escluso dagli organi direttivi dell'INPS l'associazione alla quale era stato attribuito un rappresentante del CNEL (art. 3 legge n. 33 del 1957) per essere stata ritenuta l'organizzazione sindacale più importante del settore bancario.

La fondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale deriverebbe anche dal fatto che per i datori di lavoro e i lavoratori autonomi é prevista dalla legge una rappresentanza nell'istituto previdenziale impostata sul criterio della maggiore rappresentatività. Da ciò deriverebbe, inoltre, la violazione dell'art. 3 della Costituzione e anche quella dell'art. 97 per essere stata la scelta discriminatoria operata dai pubblici poteri su pressione politica delle confederazioni, in contrasto con i principi di eguaglianza e di imparzialità.

5. - Nella comparsa di costituzione la FABI riproduce integralmente le motivazioni poste a fondamento del ricorso e riepilogate nell'ordinanza del Consiglio di Stato.

Nella parte conclusiva viene richiamata l'attenzione della Corte sul fatto, attinente al merito, che i due rappresentanti designati dalle confederazioni sarebbero estranei al settore bancario e assicurativo per cui la loro rappresentatività sarebbe priva, in seno all'organo collegiale, di esperienza personale; essi finirebbero col determinarsi in base alle istruzioni delle rispettive centrali sindacali.

6. - L'Avvocatura dello Stato contesta l'assunta illegittimità della legge delegante e della legge delegata in quanto queste sarebbero derivate dalla libera scelta del legislatore: col disporre che la designazione dei lavoratori dipendenti nel consiglio di amministrazione dell'ente debba essere fatta dalle confederazioni nazionali rappresentate nel CNEL, con conseguente esclusione delle organizzazioni sindacali di categoria ancorché a carattere nazionale e presenti nel CNEL stesso, ma non associate, pur avendone facoltà di farlo, alle confederazioni, avrebbe tenuto conto, nel suo libero apprezzamento politico, della importanza e delle finalità del massimo ente di previdenza, la cui attività rivestirebbe notevole rilievo nel contesto sociale ed economico del paese.

Proprio tali finalità renderebbero, sul piano costituzionale, ragionevoli e razionali le scelte operate; si tratterebbe, in sostanza, di un ente destinato ad operare, nella realizzazione dei suoi fini, con prospettive quanto mai allargate e con notevole sensibilità di valutazione degli interessi economici e politico-sociali della collettività, indubbiamente meglio garantiti attraverso la partecipazione degli organi associativi di maggior ampiezza.

Sarebbe fuori dubbio, pertanto, che la identificazione delle organizzazioni sindacali in grado di usare con maggiore incisività la rappresentanza dei lavoratori subordinati nel consiglio di amministrazione dell'INPS debba ricercarsi proprio nelle organizzazioni confederali nelle quali convergono complessi di categorie.

In ordine alla fattispecie, l'Avvocatura osserva che se é pur vero che la FABI é l'organizzazione più rappresentativa dei lavoratori bancari, non potrebbe, per altro, essere trascurata la circostanza che la legge prevede solo la presenza di due rappresentanti nel consiglio di amministrazione dell'ente per il settore bancario, tributario e assicurativo. Proprio accedendo alle istanze della FABI si concretizzerebbe una disuguaglianza di trattamento, con violazione dell'invocato principio di parità, a danno delle altre categorie. In effetti la rappresentatività delle tre categorie potevasi realizzare, per un ragionevole e armonizzato criterio di uniformità di trattamento, solo attraverso le confederazioni come quelle che le conglobano in un organismo unitario.

Non per questo si potrebbe sostenere che la scelta operata dal legislatore violerebbe la libertà sindacale di non aderire ad una confederazione. La FABI esplicherebbe in pieno, e in assoluta libertà, come tutte le associazioni autonome, l'attività sindacale che le é propria. Il fatto di non poter avere un seggio nel consiglio di amministrazione dell'INPS discenderebbe solo dalla sua dimensione ridotta di fronte alle organizzazioni di settore confluite nella confederazione e conseguentemente più forti sul piano deliberativo.

In conclusione, non esisterebbero parità di condizioni di partenza tra gli organi confederati, con una rappresentanza di settore esteso e articolato e raggruppante bancari, assicurativi e tributari e la FABI che rappresenta, in sé stessa, esclusivamente, anche se in buona parte, la sola categoria dei bancari. La sua posizione minoritaria non é, pertanto, imposta, ma liberamente scelta. Di tale precostituita posizione minoritaria non poteva non tener conto il legislatore nel disciplinare i sioni, ora in consigli di amministrazione e trova il suo fonnel determinare le modalità di assegnazione dei due seggi riservati nel consiglio di amministrazione dell'INPS ai bancari, agli assicurativi e ai tributari, unitariamente considerati.

Considerato in diritto

1. - Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 39, 97 e 99 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, della legge 30 aprile 1969, n. 153 - revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale - e dell'art. 3, ultimo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 - attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale.

L'eccezione relativa all'art. 27, lett. a, della legge delega investe la parte in cui si dispone che del consiglio dell'INPS debbono far parte 18 rappresentanti dei lavoratori dipendenti designati dalle confederazioni sindacali a carattere nazionale rappresentate nel consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; l'eccezione relativa all'art. 3, ultimo comma, della legge delegata, riguarda la parte in cui si riporta la prescrizione della legge delega circa gli organismi sindacali ai quali compete la designazione dei rappresentanti.

L'eccezione si accentra sull'assunto che la adottata disciplina avrebbe privato una associazione sindacale, ancorché maggiormente rappresentativa della categoria, come sarebbe la federazione autonoma bancari italiani (FABI), di una sua rappresentanza nell'ente assicurativo e ciò per il fatto di non aver inteso confederarsi.

La questione, sviluppata sotto un triplice profilo, non é fondata.

2. - Si assume anzitutto che sia viziato da incostituzionalità l'art. 27, lett. a, della legge n. 153 del 1969 e l'art. 3, ultimo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970, in riferimento agli artt. 2, 3, 18 e 39 della Costituzione.

L'art. 2 della Costituzione risulterebbe violato nella parte in cui garantisce i diritti dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, postulato direttamente ricollegabile agli artt. 18 e 39, come quelli che garantiscono rispettivamente le libertà di associazione e di organizzazione sindacale.

Se non v'é dubbio che nel titolo primo della prima parte della Costituzione vengono affermati, garantiti e tutelati alcuni fondamentali diritti di libertà - in gran parte compresi nella categoria dei diritti inviolabili dell'uomo generalmente contemplati dall'art. 2 - che al singolo sono riconosciuti (sent. n. 122 del 1970), tuttavia non appare esatta l'affermazione che la normativa impugnata avrebbe violato il diritto fissato dall'art. 18 della Costituzione e quello tutelato dall'art. 39, il quale non é che il riflesso del primo, applicato al settore specifico dei rapporti economici (titolo terzo, parte prima, della Costituzione).

Tanto la legge delega n. 153 del 1969, quanto la legge delegata n. 639 del 1970 non incidono affatto sui diritti di libertà rappresentati dalle ricordate norme costituzionali.

Con la sentenza n. 69 del 1962, richiamata nell'ordinanza, questa Corte ha proceduto ad una analisi del contenuto della libertà di associazione sia nel suo aspetto positivo, sia in quello che é considerato il suo aspetto negativo e che si risolve nella libertà di non associarsi.

Le norme in esame non pongono affatto, sia pure a posteriori, limiti alla libertà associativa e organizzativa della quale, a suo tempo, si sono avvalsi parte dei lavoratori dipendenti del settore bancario nel dar vita ad una struttura sindacale autonoma.

L'art. 39 della Costituzione, col riaffermare, sul piano sindacale, il principio generale di libertà associativa contenuto nell'art. 18 della stessa Costituzione, comporta:

a) la garanzia per i lavoratori di liberamente associarsi senza speciali autorizzazioni;

b) la garanzia per i sindacati di autogovernarsi e liberamente autodeterminarsi con un ordinamento interno a base democratica per il conseguimento dei fini propri dell'organizzazione;

c) la liceità della pluralità sindacale, ossia della libertà di più organizzazioni sindacali nell'ambito di una stessa categoria e settore economico, qualunque sia il metodo di organizzazione o di raggruppamento seguiti.

Tali prerogative non risultano in alcun modo limitate o compresse per il fatto che il legislatore ha tratto, ai fini dei rapporti esterni, determinate conseguenze dal metodo organizzativo liberamente seguito dalla FABI.

Da una situazione di fatto non imposta, ma liberamente prescelta, il legislatore ha tratto sue proprie conseguenze giuridiche nel determinare i rapporti tra le organizzazioni sindacali da una parte e lo Stato o gli Enti pubblici dall'altra. In conclusione, la scelta operata dal legislatore, nell'esercizio di quella discrezionalità che gli é propria, si presenta ragionevole e rispondente ad una apprezzabile esigenza di carattere sociale e generale, quale é quella di garantire, nell'ambito del contenuto strutturale dato dalla legge al consiglio di amministrazione dell'ente assicurativo, gli speciali interessi delle forze lavorative; interessi che fanno capo non tanto alle singole organizzazioni di categoria quanto alla intera collettività di esse.

D'altra parte non potendo chiamare a far parte del consiglio di amministrazione, limitato, nella sua composizione, a 39 membri, ripartiti tra diversi raggruppamenti o settori, tutte le organizzazioni di categoria o le più rappresentative di esse, il legislatore non poteva non strutturare un sistema di designazione che meglio si armonizzasse con le finalità proprie dell'ente e con la già richiamata necessità di salvaguardare nel modo più appropriato gli interessi generali collettivi del mondo del lavoro.

L'art. 3 della legge delega ha ripartito, in corrispondenza dell'esigenza di cui sopra, i 18 rappresentanti dei lavoratori dipendenti, tra i vari raggruppamenti di categoria, assegnandone due al raggruppamento lavoratori del credito, delle assicurazioni e dei servizi tributari. Ai raggruppamenti viene data così una veste unitaria ai fini della rappresentatività. In conseguenza di questa scelta primaria ha ritenuto attribuire la designazione dei rappresentanti alle confederazioni, come quelle che raggruppano le varie organizzazioni di categoria, accedendo così ad un criterio congiunto di quantità e di qualità, piuttosto che a un criterio di mera maggioranza degli aderenti ad ogni singola categoria, ritenuto valido ad altri effetti.

Parte delle argomentazioni svolte valgono anche per la asserita violazione dell'art. 3 nei suoi aspetti di collegamento con gli artt. 18 e 39 e con l'art. 97 di cui al terzo profilo dell'eccezione di incostituzionalità.

Il richiamo contenuto nell'ordinanza alla sentenza n. 2 del 1969 della Corte ha, nel caso di specie, valore nei limiti del principio generale in detta sentenza fissato, ossia che il principio di eguaglianza deve essere osservato non soltanto nei confronti delle persone fisiche, ma, quando é possibile, anche nei confronti delle giuridiche. Per altro, il principio di eguaglianza ben può trovare dei limiti razionali, come é già stato ritenuto con la sentenza n. 95 del 1970, nel senso che esso é applicato quando vi sia omogeneità di situazioni da regolare legislativamente in modo unitario e coerente, non quando si tratti di situazioni che, pur derivando da basi comuni, differiscono tra loro per aspetti distintivi particolari. In sostanza il principio di eguaglianza deve valere soltanto a parità di presupposti soggettivi ed oggettivi e non quando, per diversità di presupposti, sia razionalmente giustificata l'adozione di norme differenziate (sent. n. 144 del 1970).

Le organizzazioni sindacali oltre a svolgere un'azione di tutela degli interessi diretti dei lavoratori, sono chiamate anche a partecipare, sotto aspetti diversi, allo svolgimento della vita sociale ed economica del paese, attraverso il loro inserimento in enti pubblici, che, per la loro natura e le loro funzioni, perseguono finalità che si ricollegano, in qualche modo, al mondo del lavoro. Tale forma di partecipazione si determina attraverso la rappresentanza ora in comitati, ora in commissioni, ora in consigli di amministrazione e trova il suo fondamento nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione che tende a consacrare l'eguaglianza sostanziale dei lavoratori e promuoverne l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.

Non é detto che il legislatore debba attenersi a criteri uniformi nello stabilire i modi, i requisiti e le qualità necessarie attraverso i quali deve aver luogo la scelta dei rappresentanti; egli deve pur tener conto degli aspetti, della struttura, dei compiti specifici attribuiti all'ente e delle finalità che con esso si intendono perseguire.

Proprio in considerazione del fatto che gli enti si diversificano tra loro nella struttura, che non perseguono identiche finalità, che il campo operativo ora é ristretto a determinate categorie o a determinati settori di esse, ora, invece, abbraccia addirittura l'intero complesso delle forze produttive, che alcuni svolgono la loro attività in un limitato ambito territoriale ed altri, invece, nell'intero territorio nazionale, una diversa articolazione dei criteri che debbono presiedere alla designazione dei rappresentanti non solo ha, sul piano costituzionale, un fondamento razionale, ma corrisponde, anche, alla necessità di un logico, organico e sistematico adeguamento della rappresentatività al complesso delle diversità istituzionali e funzionali dei vari enti.

Invero, la fattispecie, dalla quale ha tratto la sua genesi l'ordinanza - composizione e ripartizione della rappresentanza del consiglio di amministrazione dell'INPS - differisce, per gli aspetti propri dell'ente assicurativo, dalle altre fattispecie, ricordate nella memoria difensiva della FABI, le quali presentano alla loro volta caratteri propri di distinzione.

3. - Sotto un secondo profilo si assume che le norme impugnate sarebbero costituzionalmente illegittime in riferimento agli artt. 39 e 99 della Costituzione.

Si sostiene che le norme cui trattasi si distaccherebbero dal principio di democraticità proprio del sistema sindacale italiano, fondato sulla pluralità delle associazioni sindacali, al quale si accompagnerebbe come corollario, il criterio che ad ogni effetto la designazione dei rappresentanti sindacali debba spettare alle associazioni maggiormente rappresentative. Il principio avrebbe trovato riscontro proprio nell'art. 99, primo comma, della Costituzione che, nel chiamare a far parte del consiglio nazionale dell'economia e del lavoro le categorie produttive, ha disposto che si debba tener conto della loro importanza numerica e qualitativa, ricollegandosi così all'intero contesto dell'art. 39.

Se non é da escludersi, in materia, un collegamento conforme ai criteri orientativi della Costituzione tra l'art. 39 e l'art. 99 della stessa, tuttavia il collegamento, proprio perché orientativo, non può essere inteso come un vincolo per il legislatore di regolare tutti i rapporti esterni, che possono far capo, per scelta del potere politico, alle forze del lavoro e, di riflesso, alle loro varie organizzazioni, in modo identico e assoluto. Vale, a riguardo, ripetere, in sintesi, quanto già sviluppato sub 2, ossia esservi situazioni che rispecchiano, nel loro contenuto, interessi che si riferiscono alla generalità delle categorie produttive e che comportano necessariamente un modo diverso di concepire la rappresentatività da quello che può essere determinato quando per la natura istituzionale dell'ente, che tale rappresentatività é chiamato ad assorbire, gli interessi si restringono nell'ambito di una categoria o di più categorie organizzate in sindacato.

É logico, pertanto, che la rappresentatività trovi, nello strumento legislativo che la impone o la richiede, un adattamento il più conforme ad una visione unitaria dell'azione rappresentativa sindacale e una distribuzione che tenga conto della maggiore incidenza di questo o quel raggruppamento produttivo. Si é di fronte ad una collaborazione tipica dell'azione partecipativa, in cui devesi realizzare la convergenza di interessi distinti, verso un fine superiore, nulla a che vedere con quello proprio dell'azione contrattuale sindacale.

4. - Ed infine si lamenta la illegittimità costituzionale delle ripetute norme in riferimento agli artt. 3 e 97.

La già riconosciuta ragionevolezza e razionalità della scelta operata dal legislatore, esclude la violazione delle due norme di raffronto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, lett. a, della legge 30 aprile 1969, n. 153 - revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale - e dell'art. 3, ultimo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 - attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - , questione sollevata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 39, 97 e 99 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE Trimarchi - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1975.