Ordinanza n. 50 del 1988

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ORDINANZA N.50

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 7, primo e secondo comma, del d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627 <Norme integrative e correttive del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, concernente istituzione e disciplina dell'i.v.a., in attuazione della delega prevista dall'art. 7 della l. 10 maggio 1976, n. 249, riguardante l'obbligo di emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggianti>; promossi con ordinanze emesse il 15 novembre 1983 e il 30 maggio 1985 (n. 3 ordinanze) dalla Commissione tributaria di primo grado di Belluno iscritte rispettivamente al n. 384 del registro ordinanze 1984 e ai nn. 712, 713 e 714 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 245 dell'anno 1984 e n. 10/prima serie speciale dell'anno 1986.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja.

Ritenuto che l'Ufficio IVA di Belluno notificava in data 27 luglio 1983 alla s.n.c. f.lli De Lorenzo avviso di irrogazione di pena pecuniaria di lire l.000.000, ai sensi dell'art. 7, primo comma, del d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, per non aver indicato nella bolla di accompagnamento l'esatta quantità dei beni trasportati;

che avverso tale avviso ricorreva la soc. De Lorenzo e nel corso del relativo giudizio la Commissione tributaria di primo grado di Belluno sollevava, con ordinanza del 15 novembre 1983, questione di legittimità costituzionale del citato art. 7, primo comma, d.P.R. n. 627/78, in riferimento all'art. 76 Cost., per violazione dei limiti contenuti nell'art. 10, n. 11 della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825 e in quella successiva 10 maggio 1976 n. 241;

che, in particolare, il giudice a quo ritiene la suddetta violazione perchè la norma impugnata contempla una pena - da lire l.000.000 a lire 3.000.000 - che, da un lato, nel suo minimo edittale sarebbe tanto alta da risultare assurdamente sperequata rispetto a casi di scarsa portata lesiva quale quello di specie e, dall'altro, nel suo scarto edittale apparirebbe insufficiente a punire equilibratamente la vasta gamma dei comportamenti sanzionati;

che con tre ordinanze di identico contenuto emesse il 30 maggio 1985, la Commissione tributaria di primo grado di Belluno sollevava questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 7 del d.P.R. n. 627/78, in riferimento all'art. 76 Cost.;

che ad avviso del giudice a quo, la norma censurata- che prevede la pena pecuniaria da lire 500.000 a lire l.500.000 per la mancanza o inesattezza nei documenti di accompagnamento di alcune indicazioni diverse da quelle indicate nel primo comma-violerebbe la delega contenuta nell'art. 10, n. 11 della legge n. 825 del 1971 per gli stessi motivi sopra esposti a proposito dell'ordinanza della Commissione tributaria di Belluno del 15 novembre 1983;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in tutti i giudizi, conclude per l'infondatezza delle questioni.

Considerato che i giudizi, data la sostanziale identità delle questioni, vanno riuniti e congiuntamente decisi;

che, come questa Corte ha già affermato (cfr. sentenza n. 111/86), principi e criteri direttivi in materia di sanzioni tributarie non sono contenuti esclusivamente nel numero 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega, ma vanno rinvenuti anche, per quanto interessa la fattispecie, nel primo comma dello stesso art. 10, secondo cui tra le finalità da perseguire vi era anche quella di <assicurare la prevenzione e repressione dell'evasione>;

che, nello stabilire l'entità delle pene pecuniarie (in particolare i minimi edittali di esse), il contemperamento dell'esigenza della loro migliore commisurazione all'entità oggettiva e soggettiva delle violazioni con quella anzidetta di assicurare la prevenzione e repressione dell'evasione era compito evidentemente rimesso alla discrezionalità del legislatore delegato;

che, inoltre, anche quanto alla questione dello scarto tra minimo e massimo di pena, va rilevato che la conformità o meno dell'entità di tale differenza (comunque prevista in misura certo non indifferente) al criterio direttivo della migliore commisurazione delle sanzioni all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni non e censurabile in questa sede, in quanto spetta va al legislatore delegato, nell'ambito della sua sfera di discrezionalità, individuare la misura dello scarto edittale ritenuta più idonea e nell'ambito della quale dovesse essere graduata la concreta entità della pena da irrogare;

che, pertanto, le questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26 legge 11/3/1953, n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo e secondo comma, del d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, sollevate, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Belluno con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/01/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco SAJA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 21 Gennaio 1988.