Sentenza n.244 del 1987

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SENTENZA N. 244

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 "Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato anche con ordinamento autonomo" promosso con ordinanza emesse il 22 mar zo 1983 dal Consiglio di Stato Sez. IV giurisdizionale sui ricorsi riuniti proposti da Milani Oscar ed altri contro Ministero delle Finanze ed altro iscritta al n. 797 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 dell'anno 1984;

Visto l'atto di costituzione di Sebastiano Rosa ed altri e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Uditi l'avv. Giovanni Puoti per Sebastiano Rosa ed altri e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con vari ricorsi depositati nel 1978-1979 Oscar Milani ed altri dirigenti dei Ministeri del Tesoro e delle Finanze, chiedevano al giudice amministrativo che le dieci ore di lavoro settimanale prestate in conformità all'art. 20, primo comma del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 - ed eccedenti il normale orario di servizio previsto per la generalità degli altri dipendenti - fossero riconosciute e retribuite dall'amministrazione come lavoro straordinario.

Nel corso del giudizio di appello, la IV sezione del Consiglio di Stato, sollevava, in relazione agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 20, sia per l'ipotesi in cui la maggiorazione d'orario in esso contenuta fosse ritenuta parte integrante del normale orario di servizio, sia nell'ipotesi in cui venisse invece considerata come lavoro straordinario. In entrambi i casi, infatti, l'indagine sulla sua costituzionalità sarebbe stata rilevata ai fini della definizione del giudizio a quo.

Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva nell'ordinanza di rimessione, che se le dieci ore in questione fanno parte del normale orario di servizio ed il relativo corrispettivo deve quindi intendersi conglobato nello stipendio, la disposizione in esame violerebbe gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Al momento della proposizione dei ricorsi, infatti, la retribuzione complessiva del dirigente superiore sarebbe stata inferiore a quella dell'ispettore generale del ruolo ad esaurimento, mentre quella del primo dirigente sarebbe stata inferiore non solo a quella del direttore aggiunto di divisione e del direttore di sezione, ma addirittura a quella del segretario capo e del coadiutore superiore.

Da tale disparità di trattamento il giudice a quo deduce anche la violazione del diritto del lavoratore "ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro". Nei predetti termini comparativi, infatti, il criterio della proporzionalità verrebbe leso dal vigente sistema retributivo che attribuisce ai dirigenti un trattamento economico inferiore a quello riconosciuto ad altri dipendenti non attributari delle più impegnative funzioni e delle connesse responsabilità riservate alle qualifiche dirigenziali dagli artt. 2, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del d.P.R. n. 748 del 1972.

Anche nell'ipotesi in cui la maggiorazione fosse configurata come prestazione obbligatoria di lavoro straordinario, ad avviso del giudice a quo l'omessa previsione di una retribuzione violerebbe il precetto contenuto nel citato art. 36, nonché il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. L'esclusione, soltanto per i dirigenti, del diritto a percepire il compenso per il lavoro straordinario determinerebbe infatti una disparità di trattamento anche quando si considerassero qualitativamente identiche le prestazioni di tutti i dipendenti statali, mentre integrerebbe una violazione dei principi di logica e congruità legislativa qualora si tenesse conto delle particolari caratteristiche (di professionalità, di anzianità di servizio, di responsabilità) che attengono al lavoro dirigenziale.

Ritiene infine il Consiglio di Stato che entrambe le prospettate interpretazioni della norma impugnata contrastino con l'art. 97 della Costituzione (principio del buon andamento della P.A.), in quanto l'intensificazione degli oneri e dei compiti dei dirigenti senza la corrispondente previsione di un concreto corrispettivo si risolverebbe in un "sostanziale svuotamento del meccanismo della dirigenza", mentre, l'impossibilità di determinare esattamente le attribuzioni proprie dei funzionari non consentirebbe di evidenziare i tipi di organizzazione voluti realizzare dal legislatore.

2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti Oscar Milani e gli altri ricorrenti ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Nelle memorie presentate, i dirigenti statali hanno sostanzialmente approfondito e sviluppato le argomentazioni contenute nell'ordinanza di rinvio.

Hanno così ribadito che la comparazione tra i livelli retributivi loro spettanti e quelli attribuiti alle qualifiche inferiori evidenzierebbe come il legislatore, nel determinare i primi, abbia completamente omesso di tener conto dei particolari requisiti di professionalità, anzianità ed esperienza richiesti ai dirigenti per l'accesso alle qualifiche, venendo così a ledere il criterio della retribuzione proporzionata anche alla qualità della prestazione lavorativa.

Ancora più palese sarebbe invece la violazione del medesimo criterio in relazione alla quantità del lavoro prestato, e infatti, alla maggiorazione dell'orario imposta dalla norma impugnata corrisponderebbe una retribuzione addirittura minore a quella che compete ad altri dipendenti che svolgono la loro attività in un orario di servizio inferiore.

In particolare, per quanto concerne le qualifiche ad esaurimento di ispettore generale e di direttore di divisione aggiunto, le norme (art. 133 comma 2 l. n. 312 del 1980 e art. 1 comma 3 l. n. 869 del 1982) determinano la retribuzione, in misura pari, rispettivamente al 95% ed all'85% di quella spettante al primo dirigente con pari anzianità. E poiché, per tali qualifiche, il legislatore non ha maggiorato l'orario di servizio - quanto meno nella misura del 95% e dell'85% delle quaranta ore mensili che spettano ai dirigenti in base all'art. 20 d.P.R. n. 748 del 1972 - é evidente la disparità di trattamento che si verrebbe a creare nella retribuzione, parametrata alle ore lavorative, spettante al primo dirigente e quella attribuita all'ispettore generale e al direttore di divisione. Quest'ultimi, infatti, lavorando rispetto al primo in una misura inferiore del 30% riceverebbero uno stipendio annuo lordo inferiore soltanto, rispettivamente, del 5% e del 15%.

3. - Nel suo atto di intervento, l'Avvocatura Generale dello Stato ha rilevato che le dieci ore in questione non possono il alcun modo considerarsi prestazioni di lavoro straordinario, costituendo invece una maggiorazione del normale orario di servizio che il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre per meglio garantire il corretto svolgimento delle nuove e più delicate funzioni attribuite ai dirigenti. In questo senso la maggiorazione troverebbe poi il suo corrispettivo in un congruo aumento delle retribuzioni tabellari e nella corresponsione dell'indennità di funzione.

Le sollevate questioni di legittimità costituzionale risulterebbero inoltre infondate in quanto il problema della disparità di trattamento non si pone dal momento che il dirigente, a parità di anzianità, percepisce un compenso superiore a quello percepito da tutti i dipendenti a lui sott’ordinati, mentre il trattamento economico a lui corrisposto nell'arco della carriera terrebbe adeguatamente conto dell'impegno crescente che può essergli richiesto e in tal senso dovrebbe pertanto escludersi qualsiasi violazione dell'art. 36 della Cost. Infine il nuovo orario di lavoro imposto ai dirigenti unitamente all'attribuzione di più elevate funzioni e alla corresponsione di un congruo trattamento economico mirerebbe proprio a garantire il buon andamento della P.A..

Considerato in diritto

1. - La norma che é stata sottoposta all'esame di questa Corte é l'art. 20 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 il quale prescrive che "l'orario settimanale di lavoro previsto per la generalità degli impiegati civili dell'Amministrazione dello Stato é maggiorato, per i dirigenti, di dieci ore settimanali, da ripartire in relazione alle esigenze di servizio". Tale norma viene denunciata per asserito contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 Cost..

Al riguardo va rilevato che, come risulta dalla narrativa in fatto, nel giudizio a quo gli interessati, tutti dirigenti amministrativi dello Stato, avevano chiesto che venisse loro retribuita a titolo di lavoro straordinario tale maggiorazione dell'orario di servizio.

2. - Nell'ordinanza di rinvio, pur formulandosi delle perplessità circa la qualificazione di tale maggiorazione come orario di servizio ordinario o straordinario, non si pone in discussione che il legislatore possa prevedere per i dirigenti un orario di servizio, da svolgersi obbligatoriamente, maggiore rispetto a quello degli altri dipendenti.

D'altronde non sarebbe sindacabile in questa sede una scelta di tal genere operata dal legislatore nell'ambito di un ragionevole apprezzamento connesso alla peculiarità delle funzioni.

In concreto va rilevato che la norma denunciata si esprime in termini tali da far escludere che la maggiorazione d'orario in parola possa essere considerata lavoro straordinario, risultando chiaramente che essa costituisce parte integrante dell'orario di lavoro ordinario dei dirigenti.

Così qualificato il tipo di prestazione ed essendo la pretesa dedotta dagli interessati nel giudizio a quo volta a denunciare l'inadeguatezza del loro trattamento economico rispetto a quello corrisposto ad altri funzionari della carriera direttiva in posizione loro subordinata, risulta evidente che l'asserita questione non concerne l'art. 20 del d.P.R. n. 748 del 1972 oggetto dell'incidente di costituzionalità, bensì le norme e le tabelle che disciplinano il trattamento economico dei dirigenti in relazione agli altri dipendenti.

Il rilievo non é meramente formale perché solo una prospettazione che investa la ratio di quelle norme e di quelle tabelle - individuando le componenti che concorrono a determinare la misura del trattamento delle varie categorie di personale - potrebbe mettere la Corte in condizioni di valutare la sussistenza o meno della violazione delle norme costituzionali invocate.

 

Come già affermato da questa Corte (sent. n. 304 del 1986 e n. 39 del 1986) ogni volta che nella ordinanza di rimessione viene denunciata una disposizione in luogo di un'altra la questione é inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato anche con ordinamento autonomo) sollevata in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost. dal Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza del 22 marzo 1983, n. 204.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1ø luglio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: CAIANIELLO

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE