Sentenza n.36 del 1986

 

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SENTENZA N. 36

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37, primo e terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ("Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1977 dalla Corte dei Conti - Sezione III giurisdizionale - sul ricorso proposto da Coppa Giuseppa, iscritta al n. 197 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 dell'anno 1978;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1985 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio promosso dalla vedova di un pubblico dipendente a causa della mancata valutazione, ai fini della pensione di riversibilità, del servizio ultraventennale prestato (in reparti non mobilitati) dal coniuge defunto quale milite della m.v.s.n., la Corte dei conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, primo e terzo comma, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. Nell'ordinanza di rimessione si osserva che detto art. 37 stabilisce, al primo comma, che il servizio permanente e gli altri servizi effettivamente resi nella disciolta m.v.s.n. sono valutabili ai sensi dell'art. 4, lett. A, della legge 20 marzo 1954, n. 72. Per effetto di tale norma e del rinvio da essa disposto agli artt. 1, 2 e 3 precedenti, il servizio prestato dagli ufficiali in servizio permanente effettivo e dai sottufficiali in s.p.e. della Milizia, in possesso di particolari requisiti, é dichiarato utile ai fini del trattamento di quiescenza; in particolare, é previsto il conferimento della pensione per gli ufficiali e sottufficiali predetti che abbiano compiuto almeno 20 anni di servizio pensionabile, ovvero l'attribuzione di una indennità una tantum ove non abbiano raggiunto la indicata anzianità di servizio.

Il terzo comma del precisato art. 37 Testo Unico, stabilisce, poi, che i servizi prestati in qualità di ufficiale, sottufficiale o militare di truppa della Milizia sono valutabili se resi presso reparti mobilitati in tempo di guerra dichiarata o di mobilitazione sia pure parziale.

La Corte dei conti osserva anzitutto che in tal modo si pone in essere un'ingiustificata differenza di trattamento, ai fini pensionistici, tra ufficiali e sottufficiali da una parte, e militari e graduati dall'altra, giacché mentre é previsto il conferimento della pensione agli ufficiali in s.p.e. della Milizia che abbiano compiuto 20 anni di servizio, analoga disposizione non si rinviene per i graduati e militari di truppa, ancorché siano anch'essi in s.p.e. e in possesso della medesima anzianità di servizio. Disparità del tutto ingiustificato tra soggetti appartenenti alla stessa istituzione, nei confronti dei quali unico elemento discriminante, ai fini di pensione, é il possesso del grado (ufficiale o sottufficiale) che assume valore preminente rispetto all'elemento fondamentale (comune anche ai graduati e militari di truppa) che é rappresentato dalla medesima natura del servizio espletato ("permanente") e dalla medesima durata (ventennale) di esso.

Sarebbero, inoltre, violati i principi di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione, perché il servizio reso dai graduati e militari di truppa non sarebbe convenientemente valutato, atteso che il trattamento di quiescenza (che dovrebbe rappresentarne la retribuzione differita) é corrisposto non in misura proporzionata alla qualità e quantità del servizio prestato, ma solo nella misura minima costituita dalla indennità di cessazione; non solo, ma sarebbe precluso ai suddetti soggetti il conseguimento di adeguati mezzi di sostentamento in sede di trattamento di quiescenza.

2. - Sotto altro profilo, poi, il terzo comma dell'art. 37 impugnato violerebbe l'art. 3 della Costituzione, giacché mentre in via generale tutti i servizi resi allo Stato sono valutabili ai fini pensionistici ed il servizio militare in particolare é computabile ex se dalla data di assunzione a quella di cessazione (art. 8 del testo unico citato), il servizio reso nella Milizia é valutabile solo se prestato in reparti mobilitati in tempo di guerra dichiarata o di mobilitazione sia pure parziale, cioé in circostanze eccezionali. Il che non sarebbe giustificato dalla particolare natura della m.v.s.n. la quale, nata come organizzazione armata a sostegno del fascismo, fu poi inquadrata nelle FF.AA. (r.d.l. 4 agosto 1924, n. 1292) e costituita con elementi provenienti, per la maggior parte, dagli ufficiali in congedo dell'esercito che, all'atto della incorporazione, conservavano il grado e la anzianità assoluta conseguiti nella F.A. di provenienza e non potevano conseguire la nomina ad ufficiale se non in possesso degli stessi requisiti previsti per la nomina ad ufficiale delle FF.AA. Si trattava, infatti, di un corpo armato regolare che, a compiti istituzionali suoi tipici ("conservare inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi nazionali"), univa funzioni proprie delle FF. AA. e dell'Esercito in particolare e compiti (mantenimento dell'ordine pubblico) più propriamente tipici delle forze di polizia (gli appartenenti alla Milizia rivestivano la qualifica di ufficiali od agenti di polizia giudiziaria): attribuzioni, talune, come quelle dei corpi speciali (Milizia confinaria, stradale, forestale, ecc.) già in parte deferite o successivamente trasferite ai corpi armati dello Stato.

Né, quali elementi discriminanti, rispetto all'ordinario servizio militare, secondo la Corte dei conti, possono essere invocati quello della "volontarietà" del servizio - poiché l'arruolamento volontario é tipico delle forze di polizia - ovvero quello della diretta dipendenza dal Capo del Governo, perché la soggezione ad autorità diversa da quella militare é riscontrabile nei corpi armati dello Stato pur dopo il loro inserimento nelle FF.AA. Ne deriverebbe che l'art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, pone in essere, in tema di valutazione del servizio militare ai fini pensionistici, una irrazionale discriminazione tra dipendenti nelle medesime condizioni soggettive (appartenenti alle FF.AA.) ed oggettive (identico servizio militare ordinario e di guerra).

3. - Ancora sotto altro profilo, infine, l'art. 37, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. (oltre che con gli artt. 36 e 38 Cost.) in quanto, se é da affermarsi l'equiparazione tra servizi resi nella Milizia e nelle FF.AA., illegittima sarebbe la disparità di trattamento da esso posta in essere per la diversa anzianità di servizio richiesta, ai fini di quiescenza, agli ufficiali e sottufficiali della Milizia (20 anni) rispetto a quella richiesta agli ufficiali e sottufficiali delle FF.AA. (15 anni di servizio utile di cui 12 di servizio effettivo) e a maggior ragione, per la diversa condizione riservata ai graduati e militari di truppa della Milizia (che non conseguono la pensione neppure dopo un servizio ventennale) rispetto alla situazione riservata ai militari di truppa delle FF.AA. (che non solo conseguono la pensione ma che ne maturano altresì il diritto nel più breve termine ora indicato).

4. - Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Secondo l'Avvocatura dello Stato le differenze di trattamento evidenziate dall'ordinanza di rimessione sarebbero del tutto giustificate. Infatti, a norma del r.d. n. 31 del 1923, l'appartenenza alla Milizia era volontaria e gratuita; a differenza che per una parte degli ufficiali, con gli altri appartenenti al corpo non si instaurava alcun rapporto organico con lo Stato (r.d.l. n. 832 del 1923) avendo i militi - tra l'altro - altre ordinarie occupazioni nella vita civile (artt. 27-31) ed essendo soggetti solo a "chiamate" in relazione a singole esigenze. Pertanto, solo in caso di mobilitazione i reparti della Milizia erano equiparabili alle altre FF.AA. delle quali, in tal caso, venivano a far parte integrante. Inoltre, con r.d.l.n. 967 del 1923, furono stabilite le indennità per il personale della milizia, ribadendosi che "agli ufficiali, ai graduati e ai militi di truppa che non prestano servizio permanente, non compete alcuna annuale indennità o paga giornaliera" (art. 6). Anche il r.d.l. n. 1292 del 1924, approvando il nuovo regolamento della milizia, distinse tra ufficiali e militi da considerarsi permanentemente in servizio e tutti gli altri, da considerarsi normalmente in congedo (art. 4) e retribuiti solo nei giorni di chiamata.

In armonia con la peculiare struttura organizzativa della milizia fu costituita una opera di previdenza sociale a favore dei suoi componenti.

Con r.d. 15 luglio 1938, n. 1282 l'opera fu divisa in due gestioni autonome: la "sezione per assegni vitalizi" con la nuova finalità di "assicurare agli ufficiali in s.p.e. ed alle loro famiglie un trattamento vitalizio o temporaneo di quiescenza" e la "sezione per indennità e sussidi" con gli scopi già definiti nel precedente statuto.

Dall'esame di tale r.d. (modificato in parte dal r.d. 19 maggio 1939, n. 785), é dato cogliere alcuni aspetti peculiari delle provvidenze previdenziali ed assistenziali, stabilite a favore degli appartenenti alla milizia, i quali corrispondono alla singolarità strutturale del rapporto: la previsione di un assegno vitalizio, che si assimila chiaramente alla pensione per i soli ufficiali in s.p.e. (e per gli impiegati civili aventi con la milizia un rapporto di lavoro di identica natura); l'esclusione di esso per gli ufficiali non in s.p.e. e per i militari di truppa, per la occasionalità e gratuità delle loro prestazioni.

Per i graduati e militari di truppa che prestavano servizio permanente ed avevano diritto ad una paga giornaliera, era prevista solo un'indennità di buonuscita (art. 2, lett. f, r.d. n. 62 del 1931): il che avrebbe una giustificazione sia nella discontinuità del servizio (paga giornaliera) sia nel fatto che gli ufficiali ed il personale civile in s.p.e. erano tenuti a corrispondere mensilmente, mediante ritenuta sulle indennità, un contributo alla "sezione per assegni vitalizi" (art. 6, lett. e, del r.d. n. 1282 del 1938), mentre i graduati e militari di truppa beneficiavano unicamente dei mezzi, costituiti da entrate varie, posti a disposizione dell'Opera (art. 3 del cit. r.d. n. 62 del 1931) e precisamente della "sezione per indennità e sussidi".

Ne deriverebbe, secondo l'Avvocatura dello Stato, che non sarebbe configurabile una disparità di trattamento per la diversità del rapporto degli uni e degli altri. Né esisterebbe disparità di trattamento tra gli appartenenti alla m.v.s.n. e gli appartenenti alle altre forze armate, dal momento che la milizia, pur facendo parte delle forze armate per dichiarazione legislativa, aveva finalità e modalità di impiego, struttura ed organizzazione, che per la loro peculiarità, non potevano porla sullo stesso piano delle forze armate.

Pertanto, razionalmente, l'art. 37 della l. n. 1092 del 1973 ai commi primo e terzo contemplerebbe due distinte ipotesi, cui fanno riscontro le rispettive posizioni degli ex appartenenti alla m.v.s.n.: il primo comma prenderebbe in considerazione la situazione di normalità dell'attività della milizia, con rinvio, per la valutabilità del servizio, alla normativa prevista nell'art. 4, lett. a, della legge n. 72 del 1954; il terzo comma prenderebbe in esame, invece, la situazione eccezionale della prestazione del servizio presso reparti mobilitati. E poiché la mobilitazione implica un'attività di servizio continuativo a tempo pieno, ciò ne spiegherebbe la valutabilità ai fini del trattamento pensionistico, nonché la estensione della valutabilità a tutti gli appartenenti alla milizia, senza distinzione di grado e qualifiche, perché tutti, al contrario di quanto avveniva in tempi di attività normale, erano soggetti ai medesimi doveri scaturenti dalla mobilitazione.

Considerato in diritto

1. - La Corte dei conti in sede giurisdizionale, chiamata a decidere il ricorso con cui tale Coppa Giuseppa, vedova dell'usciere Salvato Alberto e titolare di pensione di reversibilità per sé e per un figlio, sostenendo che il defunto marito aveva prestato servizio per un ventennio (1923-1943) nella milizia volontaria per la sicurezza nazionale (m.v.s.n.), lamentava la mancata valutazione di tale servizio nel computo pensionistico, ha impugnato dinanzi a questa Corte l'art. 37, primo e terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ("approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato") in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.

2. - Il primo comma dell'impugnato art. 37 dispone che "il servizio permanente effettivo e gli altri servizi effettivamente resi nella disciolta milizia... sono valutabili ai sensi dell'art. 4, lett. a), della legge 20 marzo 1954, n. 72", il quale a sua volta dispone che il servizio permanente effettivo (s.p.e.) e gli altri servizi effettivamente prestati nella disciolta milizia sono utili ai fini del diritto al trattamento di quiescenza, "sempre che valutabili ai sensi delle norme statutarie della sezione assegni vitalizi dell'opera di previdenza e delle norme organiche della disciolta milizia". E nelle norme statutarie cui si fa rinvio - precisamente, nell'art. 7, primo comma, del r.d. 15 luglio 1938, n. 1282 ("approvazione del nuovo statuto della sezione per assegni vitalizi dell'Opera di previdenza della m.v.s.n.", che peraltro ha natura regolamentare) - é disposto che "l'iscrizione alla sezione per assegni vitalizi é obbligatoria..." ed "ha luogo di diritto e senza bisogno di domanda da parte dell'interessato".

Il terzo comma del medesimo articolo, infine, dispone per suo conto che "i servizi... prestati da militari delle forze armate dello Stato in qualità di ufficiali, sottufficiali o militari di truppa della milizia stessa sono valutabili se resi presso reparti mobilitati in tempo di guerra dichiarata o di mobilitazione, sia pure parziale, o in operazioni di grande polizia coloniale".

3. - Prima di passare all'esame della questione, occorre integrare la prospettazione della vicenda con le tre seguenti precisazioni: il Salvato prestò servizio nella disciolta milizia sempre in qualità di semplice militare di truppa; egli transitò nel servizio permanente effettivo (s.p.e.) il 24 luglio 1928, rimanendo in tale posizione sino all'8 settembre 1943, cioé per 15 anni; il reparto cui apparteneva non venne mai mobilitato. Ma occorre altresl' precisare, per quanto attiene alla normativa disciplinante la materia: che gli artt. 37, primo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973, 2 ss. legge n. 72 del 1954 e 7 r.d. n. 1282 del 1938 si riferiscono al diritto al trattamento di pensione degli ufficiali, del personale civile assimilato e dei sottufficiali; che il menzionato art. 2 legge n. 72 del 1954 e l'art. 1 regio decreto legge 27 gennaio 1944, n. 102, prescrivono - ma sempre per i soli ufficiali della disciolta m.v.s.n. - almeno 20 anni di s.p.e. per l'acquisizione del diritto al trattamento di pensione; che l'art. 3 del suddetto r.d.l. n. 102 del 1944 riconosce "ai graduati e militari di truppa in s.p.e. della m.v.s.n.", non già il diritto di trattamento di quiescenza, ma ad "una indennità, una volta tanto, pari ad una mensilità di paga per ogni anno intero di servizio".

Ora, con l'ordinanza in esame si chiede a questa Corte di voler dichiarare: a) che ai militari di truppa in s.p.e. della m.v.s.n. spetta il trattamento di quiescenza, Così equiparandoli agli ufficiali e sottufficiali; b) che per gli appartenenti alla m.v.s.n. é bastevole il compimento di 15 anni (anziché 20) di s.p.e. per acquisire il diritto al trattamento di pensione, Così equiparandoli agli appartenenti alle forze armate dello Stato; c) che i servizi prestati nella m.v.s.n. sono valutabili ai fini del diritto al trattamento di pensione, ancorché non resi presso reparti mobilitati nelle ipotesi previste dal terzo comma dell'impugnato art. 37, Così equiparando i militari della m.v.s.n. a quelli degli altri corpi delle forze armate dello Stato.

4. - La questione non può dirsi fondata.

Contrariamente a quanto mostra di ritenere la Corte dei conti - ed indipendentemente dalla considerazione che il giudice a quo ha omesso di impugnare proprio la norma (art. 3 r.d.l. n. 102 del 1944) che concede a graduati e militari di truppa della m.v.s.n. un'indennità in luogo della pensione la negazione a questi del diritto al trattamento di quiescenza ed il riconoscimento di tale diritto agli ufficiali e sottufficiali della stessa m.v.s.n., benché dichiarati, sia gli uni, sia gli altri, in s.p.e., non appaiono ingiustificato. A sensi, infatti, dell'art. 4 del r.d.l. 4 agosto 1924, n. 1292, soltanto gli ufficiali, sottufficiali e militari addetti al comando generale, a quelli di zona, di gruppo autonomo e di legione erano sottoposti "ad una ritenuta mensile commisurata al sei per cento dello stipendio" (art. 9 r.d. n. 1282 del 1938). Gli altri, sia ufficiali, sia militi, prestavano servizio volontario e venivano "retribuiti solo nei giorni in cui (erano) chiamati alle armi" (art. 5 stesso r.d.l.), sicché il loro rapporto con la milizia era meramente occasionale, nonostante la denominazione di "s.p.e.", che voleva indicare la costante e pronta disponibilità ad ogni convocazione. Ne é controprova la considerazione che il diritto al trattamento di pensione é stato riconosciuto agli appartenenti alle specialità della milizia, in quanto risultavano in realtà alle dipendenze delle amministrazioni cui erano addetti con rapporto di carattere continuativo, dovendosi convenire con l'Avvocatura dello Stato, quando rileva a riguardo degli appartenenti alle specialità che il collegamento fra queste e la m.v.s.n. "appariva chiaramente artificioso".

Deve pertanto escludersi che il diverso trattamento, ai fini del diritto alla pensione, tra ufficiali e militari di truppa della disciolta m.v.s.n. sia irrazionale. Deve altresì escludersi che nella specie si configuri la violazione dell'art. 36 Cost., stante l'inesistenza di un rapporto di lavoro tra il defunto militare e la m.v.s.n. In quanto, infine, all'invocato art. 38 Cost., non é dato comprendere, mancando qualsiasi motivazione, come di esso si potrebbe fare applicazione nella vicenda esaminata.

La conclusione secondo cui i militari di truppa della disciolta m.v.s.n. non hanno diritto al trattamento di pensione rende superfluo l'esame delle altre censure prospettate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Corte dei conti con l'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. - dell'art. 37, primo e terzo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1986.