Sentenza n.197 del 1987

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 197

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma secondo, Testo unico approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con l'ordinanza emessa il 18 giugno 1984 dalla Corte dei conti - Sezione 3ø giurisdizionale sul ricorso proposto da Ancona Giuseppe, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22- bis dell'anno 1985;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 7 aprile 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

Udito l'avv. dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte dei conti, giudicando sul ricorso di Ancona Giuseppe, già dipendente statale, al quale era stata sospesa l'erogazione della pensione provvisoria per effetto del negato riconoscimento di servizi per intervenuta decadenza della domanda di riscatto, ha sollevato d'ufficio, con ordinanza emessa il 18 giugno 1984, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., dell'art. 147, comma secondo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).

Tale disposizione, concernente il computo a domanda di servizi o periodi ai fini pensionistici, stabilisce che, qualora la cessazione dal servizio abbia luogo prima che sia scaduto il termine di cui al primo comma (che fissa, per la proposizione della domanda di computo, il termine di due anni prima del raggiungimento del limite di età previsto per la cessazione dal servizio) la domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cessazione.

Rileva il giudice a quo che il ricorrente é incorso, nella presentazione della domanda di riscatto del servizio prestato alle dipendenze di altro ente per due anni (necessari per il raggiungimento del periodo minimo di servizio effettivo richiesto per conseguire il diritto a pensione), in entrambe le decadenze previste dall'art. 147, commi primo e secondo, del d.P.R. n. 1092/1973.

L'Ancona, infatti, é stato collocato a riposo a domanda, quale ex combattente, con effetto dal primo ottobre 1975, mentre avrebbe maturato i limiti di età il 29 settembre 1977, sicché il termine di cui al primo comma é scaduto il 29 settembre 1975, con conseguente intempestività della domanda di riscatto proposta il 9 dicembre 1977; inoltre, a tale data era largamente decorso anche il termine di novanta giorni di cui al secondo comma, essendo stato comunicato il provvedimento di cessazione il 24 settembre 1975.

Ciò premesso, la Corte dei conti, richiamata la sua precedente ordinanza emessa il 22 aprile 1981 (R.O. n. 152/1983), con la quale era stato denunciato l'art. 147, comma primo, del d.P.R. n. 1092/1973, dichiara di voler estendere la sua censura, in riferimento agli stessi parametri (artt. 3, 36 e 38 Cost.), anche al secondo comma del citato articolo, ribadendo i motivi precedentemente dedotti, e cioè:

a) incongruità e sostanziale ingiustizia del sistema di termini decadenziali posti come limiti temporali all'esercizio della facoltà di riscatto (oggi computo), a fronte della imprescrittibilità della pensione);

b) disparità di trattamento rispetto ad altre categorie, come, ad es., i destituiti, la integrità dei cui servizi é indiscussa, pur avendo chiaramente demeritato assai più di semplici ritardatari;

c) non giustificata privazione della pensione, cioè del trattamento retributivo differito, per servizi che, comunque, sono stati regolarmente prestati.

In punto di rilevanza, osserva l'ordinanza che, in realtà, la questione é unica, identiche essendo le ragioni di dubbio costituzionale sul primo e sul secondo comma dell'art. 147, che ne é così investito nell'integrità della sua struttura.

2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

1. - La Corte dei Conti dubita della legittimità costituzionale dell'art. 147, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), il quale, relativamente al computo a domanda di servizi e periodi ai fini pensionistici, stabilisce che, qualora la cessazione dal servizio abbia luogo prima dei due anni dal raggiungimento del limite di età previsto per la cessazione dal servizio (termine fissato, agli stessi fini, dal comma primo dello stesso articolo), la domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cessazione.

Secondo il giudice a quo, la disciplina prevista dalla disposizione impugnata violerebbe gli artt. 3, 36 e 38 Cost., sotto diversi profili, e ciò in quanto:

a) sarebbe incongrua e sostanzialmente ingiusta l'apposizione di termini decadenziali all'esercizio della facoltà di riscatto (computo) dei servizi precedentemente prestati, a fronte della imprescrittibilità della pensione;

b) ne deriverebbe una disparità di trattamento rispetto ad altre categorie (ad esempio, i dipendenti destituiti), il cui diritto a pensione é integralmente riconosciuto;

c) vi sarebbe una non giustificata privazione della pensione (o almeno di una parte di essa), per servizi che sono stati regolarmente prestati.

2. - La questione non é fondata.

Questa Corte ha già chiarito, prendendo in esame il comma primo dello stesso art. 147, recante anch'esso un'ipotesi di decadenza dal diritto al riscatto (sent. n. 203 del 1985), come non sia in contraddizione con il carattere di imprescrittibilità della pensione il fatto che le vicende volte a determinare i presupposti di consistenza quantitativa o addirittura di esistenza del diritto a pensione si svolgano entro limiti temporali, né che l'azionamento di tali vicende sia rimesso dalla legge all'iniziativa dell'interessato: e ciò vale in particolare nei casi in cui, come nell'ipotesi di computo dei servizi pregressi, tali vicende comportino l'assunzione di oneri per il destinatario delle prestazioni (versamento di contributi) ovvero di rischio per l'ente erogatore (utilizzazione di contributi pregressi).

Stante la diversa natura e struttura del diritto al riscatto e del diritto alla pensione, l'assoggettamento dei due diritti a regimi diversi (decadenza dal diritto al riscatto, se non esercitato entro il termine imposto; imprescrittibilità del diritto a pensione) non può dar quindi luogo alla violazione del principio di eguaglianza.

Egualmente non può essere invocata la violazione del principio di eguaglianza nel rapporto tra il dipendente incorso nella decadenza per inosservanza del termine ricordato e il dipendente, responsabile di illeciti penali e disciplinari, ma comunque mantenuto o reintegrato (legge 8 giugno 1966, n. 424) nella titolarità e nella fruizione del trattamento di quiescenza relativo ai servizi prestati. Difetta, invero, omogeneità di situazione fra il regime di decadenza dal diritto al riscatto (che concerne il mancato acquisto del diritto alla pensione o un certo quantum di essa) e il regime di immunità del diritto alla pensione da sanzioni privative connesse a comportamenti illeciti del titolare (che concerne una possibile causa di perdita del diritto, come già acquistato sia nell'an che nel quantum).

Né, infine, la decadenza dal diritto di riscatto dei servizi prestati, come regolata dall'art. 147, comma secondo, d.P.R. n. 1092 del 1973, può essere considerata lesiva degli artt. 36 e 38 Cost. Nella giurisprudenza di questa Corte é costante l'affermazione del principio secondo cui l'esercizio di ogni diritto, anche costituzionalmente garantito, può essere dalla legge regolato e sottoposto a limitazioni, sempre che tali limitazioni siano compatibili con la funzione del diritto di cui si tratta e non si traducano nell'esclusione dell'effettiva possibilità dell'esercizio di esso (sent. n. 203 del 1985 e giurisprudenza ivi citata): e nel caso di specie non ricorrono né la prima ipotesi (finalità del limite in questione essendo quella di accelerare le procedure di liquidazione della pensione), né la seconda (verificandosi la scadenza del termine de quo dopo un periodo di tempo, da ritenere congruo, decorrente dalla comunicazione del provvedimento di cessazione).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma secondo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., dalla Corte dei conti con l'ordinanza emessa il 18 giugno 1984.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CORASANITI

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE