Sentenza n.32 del 1987

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SENTENZA N. 32

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI, Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 413 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1978 dal Tribunale di Lecce nei procedimenti penali riuniti a carico di Lezzi Antonio ed altri e di Mazzeo Oronzo, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 dell'anno 1979;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1986 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 30 novembre 1978 il Tribunale di Lecce, premesso che contro alcuni imputati era stato emesso decreto di citazione per il reato di peculato; che contro altro imputato era stato emesso un distinto decreto di citazione per lo stesso reato; che all'udienza dibattimentale era stata disposta la riunione dei due giudizi per connessione oggettiva "ai sensi degli artt. 45, n. 1, 4 e 413 c.p.p."; che il difensore degli imputati nei confronti dei quali era stato emesso il primo decreto di citazione aveva chiesto la concessione di un termine a difesa per prendere visione degli atti dell'altro procedimento "della cui esistenza esso difensore non ebbe conoscenza"; che "il chiesto termine a difesa non può essere concesso perché previsto esclusivamente nelle ipotesi di cui all'art. 446 c.p." (rectius, del codice di procedura penale) "in relazione al precedente articolo 445"; e che, peraltro, i due giudizi dovevano essere celebrati in unico contesto, essendo stato nel secondo "acquisito materiale probatorio (in particolare, una perizia tecnica) di sicura rilevanza ai fini della decisione dell'altro procedimento"; tutto ciò premesso, ha denunciato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 413 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede la concessione di un termine a difesa in ipotesi di riunione di giudizi ex art. 45, nn. 1) e 4) c.p.p.".

Secondo il giudice a quo, la mancata previsione legislativa della "possibilità di concedere un termine a difesa nel caso di riunione di procedimenti ai sensi dell'art. 413 c.p.p." vulnererebbe l'indicato precetto costituzionale, perché nelle ipotesi "come quella per cui é giudizio, nelle quali vi é rilevanza probatoria di atti acquisiti in un processo, rispetto all'altro e dei quali la difesa degli imputati inquisiti in quest'ultimo non ha potuto avere tempestiva conoscenza", sarebbe negata la possibilità di apprestare gli opportuni mezzi difensivi.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 1979.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Rilevato che nel nostro sistema processuale la concessione del termine a difesa non é che una forma speciale della sospensione del dibattimento ex art. 431 del codice di procedura penale, l'Avvocatura deduce che, rientrando l'ipotesi di specie fra i casi di "assoluta necessità" previsti da detta norma, il Tribunale avrebbe dovuto sospendere il dibattimento, "essendo noto che, nella inapplicabilità di una regola speciale, soccorrono, comunque, i principi generali".

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Lecce, premesso che "nel caso di riunione di procedimenti ai sensi dell'art. 413 c.p.p." mancherebbe "la possibilità di concedere un termine" ai difensori "onde prendere visione degli atti del procedimento" non ancora a loro conoscenza, denuncia, per contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'art. 413 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede un termine a difesa in ipotesi di riunione di giudizi ex art. 45 nn.1) e 4) c.p.p.", caratterizzate dalla "rilevanza probatoria di atti, acquisiti in un processo, rispetto all'altro".

2. - La questione non é fondata.

Già la pretesa di ritrovare nell'ambito dell'art. 413 del codice di procedura penale la soluzione del problema che preoccupa il giudice a quo appare decisamente fuor di luogo.

Trattandosi di una disposizione dettata con specifico riguardo all'intera fase degli atti predibattimentali, come chiaramente emerge sia dalla sua collocazione nel titolo dedicato agli "atti preliminari al giudizio" sia dall'inciso "prima del dibattimento" posto all'inizio della sua formulazione, l'art. 413 mal si presterebbe a contenere la previsione di un termine collegato al succedersi delle udienze dibattimentali. Tanto più che la sovente lunga durata della fase predibattimentale lascia largo spazio all'eventualità che la riunione venga ordinata anche ben prima dell'udienza fissata per l'apertura del dibattimento, così da consentire ai difensori di esaminare in cancelleria, grazie al consueto, normale deposito previsto dall'art. 410, secondo comma, del codice di procedura penale, tutti gli atti ed i documenti dei procedimenti riuniti.

3. - Pure l'argomentazione centrale dell'ordinanza di rimessione, ravvisabile là dove si afferma che il termine a difesa "non può essere concesso perché previsto esclusivamente nelle ipotesi di cui all'articolo 446 c.p.p. in relazione al precedente articolo 445" (nelle ipotesi, cioè, di supplementare contestazione all'imputato di un reato concorrente o della continuazione di reato o di una circostanza aggravante diversa dalla recidiva), trova aperta smentita, e per più di una ragione.

In primo luogo, non é esatto che l'art. 446 sia l'unica disposizione del codice di procedura penale preordinata alla concessione di un termine a difesa. Il fatto che si tratti della sola disposizione recante una rubrica espressamente intitolata alla "concessione di un termine per la difesa" nulla toglie all'analoga portata di altre disposizioni che, allo stesso modo dell'art. 446, parlano di "termine per preparare la difesa" (art. 130, terzo comma; art. 130, quarto comma; art. 503, terzo comma) o, assai similmente, di "termine per la difesa" (art. 188, secondo comma) o di "termine per provvedere alla difesa" (art. 505, quinto comma). Particolarmente significativi i due commi dell'art. 130, in quanto dettati in relazione ad ipotesi di nomina di un "nuovo difensore" all'imputato nel dibattimento.

In secondo luogo, l'art. 446 non può dirsi richiamato del tutto a proposito nel contesto di un discorso, come quello del Tribunale di Lecce, soltanto preoccupato di veder riconosciuta al giudice la "possibilità" di concedere una dilazione a fini di giustizia nel caso di riunione fra più giudizi intervenuta all'udienza dibattimentale: l'art. 446, e così pure gli analoghi artt. 130, terzo e quarto comma, 188, secondo comma, 503, terzo comma, e 505, quinto comma, vanno al di là della previsione di una mera possibilità per il giudice, riconoscendo all'imputato addirittura il diritto ad un termine (che é, poi, il termine a difesa propriamente detto), così da vincolare il giudice - presidente o collegio e pretore, a seconda dei casi - allorché gliene sia fatta richiesta dagli interessati, salva sempre la sua discrezionalità nella determinazione della misura.

4. - Ciò chiarito, si può anche convenire con l'Avvocatura Generale dello Stato, quando, nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, asserisce che la concessione di un termine ai sensi dell'art. 446 del codice di procedura penale "non é altro che una forma speciale di quella sospensione del dibattimento che é prevista in forma generale nell'art. 431 c.p.p.", cui il secondo comma del medesimo espressamente rimanda, allo stesso modo, del resto, di quanto fa l'art. 130, terzo comma.

Più precisamente, la specialità dell'art. 446, come delle analoghe disposizioni sopra ricordate, giustificata dalle particolari situazioni di volta in volta prese in considerazione, emerge dal raffronto con il secondo comma dell'art. 431 ("Il presidente o il pretore può sospendere il dibattimento per uno o più intervalli soltanto a cagione di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi") e consiste - a parte l'entità del termine concedibile (v. pure la sentenza n. 11 del 1971) - nel già evidenziato carattere vincolante della richiesta avanzata dal soggetto interessato, salvo a verificare se, in assenza di essa, il giudice possa egualmente avvalersi del disposto dell'art. 431.

5. - Comunque sia dei rapporti con l'art. 446 e disposizioni similari, la portata generale dell'art. 431, secondo comma, del codice di procedura penale, nel senso di consentire la sospensione del dibattimento qualora se ne ravvisi l'assoluta necessità" - a meno che ricorrano gli estremi per un rinvio del dibattimento a nuovo ruolo (art. 432) o addirittura per una sospensione del procedimento (artt. 18, 19, 20, 88, 89, 217, secondo comma, 458, terzo comma) - trova decisiva conferma in quelle altre prescrizioni particolari di cui il legislatore si é avvalso per escludere, in presenza di determinate situazioni, qualsiasi forma di sospensione o di rinvio del dibattimento (artt. 102, secondo comma, 111, terzo comma, 127, secondo comma, 132, 443, secondo comma, 452, terzo comma, 496, secondo comma, quarto periodo, 501, secondo comma).

6. - Poiché nessuna previsione specifica risulta dettata per l'ipotesi in cui all'udienza dibattimentale venga disposta la riunione di due o più giudizi, non vi é alcun motivo per negare in casi del genere l'applicabilità dell'art. 431, secondo comma, del codice di procedura penale. Il Tribunale di Lecce avrebbe, quindi, senz'altro avuto la possibilità di sospendere il già disposto dibattimento, fissando una nuova udienza nel termine ritenuto più idoneo a fronteggiare le necessità difensive conseguenti all'appena ordinata riunione dei due procedimenti sottoposti al suo giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 413 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lecce con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE.