Sentenza n.19 del 1986

 

 

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SENTENZA N. 19

 

ANNO 1986

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 52, commi secondo e quinto, d.P.R. 26 dicembre 1962, n. 2109 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla previdenza marinara), promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 1978 dalla Corte di Appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra I.N.P.S. e Aiello Antonio ed altro, iscritta al n. 472 del registro ordinanze del 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 1979;

 

visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1986 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

udito l'avv. Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Aiello Antonino e Prestipino Carlo, dopo il collocamento in pensione e la liquidazione della pensione da parte della Cassa Nazionale per la Previdenza Marinara, continuavano a lavorare alle dipendenze di un terzo, non iscritti alla detta Cassa.

 

In base al disposto dell'art. 52 del d.P.R. 26 dicembre 1962, n. 2109 (Testo unico delle leggi sulla previdenza marinara), avrebbero dovuto restituire alla detta Cassa il quarto della pensione fino alla concorrenza di un quarto della retribuzione (commi secondo e sesto del detto art. 52); avendo omesso il versamento del dovuto, il primo per il periodo 1 luglio 1964-31 agosto 1967, e l'altro per il periodo 1 gennaio 1964-31 agosto 1967, risultavano debitori rispettivamente della somma di lire 1.193.173 e di lire 1.249.396.

 

Intanto, per effetto dell'art. 50 della legge 27 luglio 1967, n. 658, la pensione marinara si trasformava in pensione ordinaria e, per effetto dell'art. 100 della detta legge, l'art. 52 del d.P.R. n. 2109 del 1962 era abrogato dal 1 settembre 1967 mentre, in base agli artt. 5 della legge 18 marzo 1968, n. 238 e 20 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, che disponevano il divieto del cumulo tra pensione e retribuzione, l'I.N.P.S., nei confronti dell'Aiello per il periodo 1 maggio 1968-31 dicembre 1968 e nei confronti del Prestipino per il periodo 1 maggio 1968-30 settembre 1968, effettuava la trattenuta integrale della pensione rispettivamente per complessive lire 829.920 per il primo e per lire 485.940 per l'altro.

 

Con sentenza 22 dicembre 1969, n. 155 della Corte Costituzionale le suddette norme del 1968 erano dichiarate costituzionalmente illegittime e l'articolo unico della legge 5 novembre 1970, n. 851 disponeva la restituzione da parte dell'I.N.P.S. delle somme trattenute ai detti titoli, oltre gli interessi.

 

Conseguentemente l'I.N.P.S. accreditava all'Aiello ed al Prestipino le somme trattenute quali ratei della pensione, ma, anziché restituirle, le portava in compensazione del maggior credito maturatosi a sua favore per sorte ed interessi, in base all'art. 52 del d.P.R. n. 2109 del 1962, come innanzi detto.

 

L'Aiello ed il Prestipino convenivano in giudizio l'I.N.P.S. dinanzi al Tribunale di Napoli chiedendone la condanna al pagamento delle somme loro dovute.

 

Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda ritenendo non provati i crediti opposti in compensazione.

 

Su appello dell'Istituto, la Cortedi Appello di Napoli riteneva provato il credito maturatosi a favore della Cassa Nazionale per la Previdenza Marinara e per essa l'I.N.P.S. ad essa subentrato, ma, rilevato che la soluzione della controversia dipendeva dall'applicazione dell'art. 52 del d.P.R. n. 2109 del 1962 e che sussistevano analogie tra questa norma e quelle dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 155 del 1969, sollevava questione di illegittimità costituzionale del detto art. 52 in relazione agli artt. 3 e 36 Cost..

 

Nel giudizio susseguente si sono costituiti l'I.N.P.S. e la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata dall'Avvocatura Generale dello Stato.

 

L'I.N.P.S. ha dedotto che nel regime speciale erogato dalla Cassa Nazionale per la Previdenza Marinara, analogamente agli altri regimi speciali gestiti da esso Istituto, vige un sistema di assoluta incompatibilità tra la qualità di iscritto e la qualità di pensionato, mentre, se la rioccupazione del pensionato avviene in attività che non implicano l'obbligo dell'iscrizione al fondo speciale, il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione é solo parziale e rientra nei limiti previsti dalle norme generali per i trattamenti a carico dell'assicurazione generale ordinaria.

 

Tanto più nella specie in quanto l'art. 50 della legge sul riordinamento della previdenza marinara ha operato l'assunzione a carico dell'assicurazione generale ordinaria delle pensioni erogate al 31 dicembre 1964, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

 

L'Istituto ha poi precisato che le pensioni erogate dalla Cassa Marinara hanno sempre avuto natura retributiva in quanto commisurate alla retribuzione indipendentemente dalla contribuzione; che, comunque, non sussiste la ritenuta analogia tra la norma censurata e quella dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto quella censurata sancisce solo il divieto parziale del cumulo mentre le altre disponevano la trattenuta dell'intera pensione; che il parziale divieto del cumulo era piuttosto assimilabile a quello previsto dall'art. 20 della legge n. 153/69 per cui la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 155 del 1969, aveva giudicato equa la trattenuta che non sottraeva al pensionato più del 50% del trattamento e aveva poi ribadito tale valutazione con la sentenza n. 30/76.

 

Per quanto riguarda gli invocati parametri costituzionali, la difesa dell'Istituto ha osservato che l'art. 36 Cost. sarebbe, a suo avviso, erroneamente invocato in quanto il meccanismo di prelievo si risolve in una decurtazione del trattamento pensionistico; che ugualmente l'art. 3 sarebbe stato a torto richiamato in quanto non sussiste disparità di trattamento tra titolari del solo reddito di pensione e titolari di redditi di pensione e lavoro, e nemmeno tra pensionati iscritti alla Cassa di Previdenza Marinara e pensionati a carico di regimi per i quali non opera il divieto parziale di cumulo, attesa la oggettiva diversità delle situazioni poste a confronto; e che, comunque, il divieto di cumulo ha anche una sua intrinseca ragionevolezza quando si consideri che la decurtazione del trattamento pensionistico, se si accompagna alla fruizione del reddito da lavoro, non priva il pensionato del trattamento assicuratogli dall'art. 38 Cost..

 

Deduzioni sostanzialmente analoghe ha formulato l'Avvocatura dello Stato.

 

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella G.U. n. 3 dell'anno 1979.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Cortedi Appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., dell'art. 52, commi secondo e quinto, del T.U. della previdenza marinara, approvato con il d.P.R. n. 2109 del 1962, il quale prevede a carico del pensionato della Cassa Nazionale della Previdenza Marinara, che dopo il pensionamento continua a lavorare alle dipendenze di un terzo, non obbligato alla iscrizione alla detta Cassa, la riduzione di un quarto della pensione nel limite massimo del quarto della retribuzione, in quanto detta norma sarebbe analoga all'art. 5, lett. a e b, della legge n. 238 del 1968 ed all'art. 20, lett. b, del d.P.R. n. 488 del 1968, dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 155 del 1969 di questa Corte.

 

2. - La questione non é fondata. Invero non sussiste la ritenuta analogia.

 

Questa Corte, con la citata sentenza, ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., delle dette norme nella parte in cui disponevano che le pensioni di vecchiaia non erano cumulabili con la retribuzione (divieto di cumulo totale).

 

La Corte ha, però, ritenuto, in via generale, non contrastante con l'art. 36 e con l'art. 38 della Costituzione la norma che riduce la misura del trattamento pensionistico quando, per effetto del lavoro del pensionato, esso viene a concorrere con la retribuzione, in quanto si limita l'esigenza previdenziale in funzione della quale é predisposta la provvidenza pensionistica ed in quanto l'ulteriore contribuzione, per effetto dell'opera prestata, consente di riliquidare in meglio la pensione già erogata ed il guadagno derivante dall'ulteriore attività lavorativa fa diminuire lo stato di bisogno del pensionato.

 

Ha ritenuto, però, sindacabile la discrezionalità legislativa per quanto riguarda la congruità della riduzione della pensione rispetto agli elementi essenziali del rapporto sociale creati dagli artt. 36 e 38 Cost. in quanto il riferimento all'art. 36 alla proporzione della retribuzione, dovuta al prestatore di opera, costituisce, sotto un particolare aspetto, sviluppo del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

 

Ha precisato che in un sistema mutualistico e di solidarietà sociale, quale é quello dell'I.N.P.S., per quanto i contributi del lavoratore servano per il conseguimento di finalità che trascendono gli interessi dei singoli ed abbiano carattere generale, pur tuttavia é innegabile che essi diano vita ad un diritto del prestatore d'opera a conseguire le prestazioni previdenziali di guisa che il legislatore non può, senza violare quel principio di proporzionalità che sorregge il sistema pensionistico, non tenere conto delle dette contribuzioni.

 

Conseguentemente, mentre é costituzionalmente illegittimo il divieto del cumulo totale che importa la privazione integrale del lavoratore di quanto egli ha diritto di percepire per effetto dei contributi versati, non lo é il divieto del cumulo parziale in quanto, sia pure con la dovuta e necessaria approssimazione, esso non toglie al pensionato più di quello che gli sarebbe spettato per effetto dei contributi versati.

 

Pertanto, la stessa Corte, nella sentenza n. 155 del 1969, cui il giudice a quo fa riferimento, ha ritenuto costituzionalmente legittima la legge 30 aprile 1969, n. 153 la quale ha disposto che, a decorrere dal 1 maggio 1969, non sono cumulabili con la retribuzione nella misura del 50% dell'importo le quote eccedenti il trattamento minimo delle pensioni di invalidità e vecchiaia proprio perché essa non toglie al pensionato più di quello che gli sarebbe spettato per effetto dei contributi versati.

 

Egualmente si é detto in ordine alla stessa legge del 1968 per quanto riguarda il divieto del cumulo nella ragione di 1/3 tra retribuzione e pensione di invalidità.

 

3. - Questa Corte aveva affermato principi analoghi a quelli innanzi richiamati già con la sentenza n. 103 del 1963 mentre li ha poi ribaditi con la sentenza n. 30 del 1976.

 

Essa ha anche rilevato la identità della situazione per le pensioni retributive e per le pensioni contributive in quanto, per i profili pubblicistici, vi é in ogni caso il concorso finanziario dello Stato e nelle pensioni contributive la presenza di quote fisse aggiuntive e di coefficienti di rivalutazione non rispondenti ai criteri che informano il calcolo delle rendite da assicurazioni private; nonché, almeno allo stato, la razionalità di un sistema pensionistico che prevede differenti posizioni di pensionati in relazione ai diversi regimi previsti dalle varie leggi in materia.

 

4. - Questi stessi principi trovano applicazione nella fattispecie in quanto l'art. 52, commi secondo e quinto, del T.U. n. 2109 del 1962, sospettato di incostituzionalità, prevede il divieto del cumulo tra pensione e retribuzione per un quarto della pensione nei limiti massimi del quarto della retribuzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, commi secondo e quinto, del T.U. sulla previdenza marinara, approvato con il d.P.R. n. 2109 del 1962, sollevata con l'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1986.