Sentenza n.160 del 1985

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SENTENZA N. 160

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego), promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1981 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Breschi Bruno contro Amministrazione delle FF.SS. ed altri, iscritta al n. 778 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 68 dell'anno 1982.

Visto l'atto di costituzione di Breschi Bruno nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1985 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi l'avv. Claudio Emeri per Breschi Bruno e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - L'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, in applicazione degli artt. 9, comma primo, e 46, ultimo comma, del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (contenente norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego), con foglio di disposizioni n. 46/1978 riservava alcune titolarità e dirigenze ai soli agenti in servizio nella provincia di Bolzano alla data del 20 gennaio 1972 nonché agli agenti ivi residenti alla stessa data ed assunti a tutto il 30 novembre 1976. Il sig. Bruno Breschi, escluso dal concorso perché assunto nella provincia di Bolzano il 16 ottobre 1972 ed ivi residente dal 1974, impugnava dinanzi al Consiglio di Stato il foglio di disposizioni ed il provvedimento di non ammissione, sostenendo l'erronea interpretazione e comunque la illegittimità costituzionale del d.P.R. n. 752 del 1976, ed in particolare degli artt. 9 e 46.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 13 gennaio 1981, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sia dell'intero d.P.R. n. 752 del 1976 per contrasto con gli artt. 107 e 108 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e con gli artt. 70, 76, 77 e 87 Cost., e sia degli artt. 9 e 46 del medesimo d.P.R. n. 752 del 1976 per contrasto con gli artt. 89 e 100 dello Statuto speciale e con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 della Costituzione.

Quanto alla rilevanza, il Consiglio di Stato osserva che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle sollevate questioni di costituzionalità relative a disposizioni in puntuale applicazione delle quali é stato emesso il provvedimento amministrativo impugnato.

Quanto al dubbio di costituzionalità dell'intero d.P.R. n. 752 del 1976 perché emanato oltre il termine di due anni fissato nell'art. 108 dello Statuto speciale per l'emanazione di norme di attuazione, il Consiglio di Stato osserva innanzitutto che, dovendosi accogliere una interpretazione dello Statuto stesso conforme a Costituzione (alla quale esso non pare minimamente inteso ad apportare revisioni) - in particolare per ciò che concerne il principio (art. 76) che la funzione legislativa delegata al Governo deve essere esercitata "soltanto per tempo limitato" -, non può disconoscersi la natura perentoria del detto termine e la conseguente illegittimità del d.P.R. n. 752 del 1976 per carenza di potere legislativo del Governo. É vero, rileva inoltre il giudice a quo, che secondo la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte (ad es. sent. n. 20 del 1956) le norme di attuazione degli Statuti speciali non sono del tutto assimilabili alle leggi governative delegate, e quindi non sarebbero condizionate nel contenuto e nel tempo come previsto dall'art. 76 Cost.; ma é anche vero che la stessa dottrina ha sostenuto la natura necessariamente temporanea del potere legislativo conferito al Governo per l'emanazione delle norme d'attuazione, ponendo l'accento sul fatto che uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale é quello secondo cui la potestà legislativa compete in via generale ed esclusiva al Parlamento e solo in via eccezionale e temporanea può essere affidata al Governo. Proprio per questo deve dubitarsi che possa essere stato attribuito al Governo il potere di emanare norme di attuazione dello Statuto Trentino-Alto Adige senza limiti di tempo od oltre i limiti tra l'altro espressamente fissati dalla legge "di delega". D'altra parte la natura perentoria del termine di due anni dall'entrata in vigore della l. cost. n. 1 del 1971 si evince agevolmente dagli stessi artt. 107 e segg. dello Statuto speciale, i quali - nel prescrivere al Governo, qualora le apposite commissioni non avessero emesso i propri definitivi pareri entro diciotto mesi, di provvedere nei successivi sei mesi "prescindendo dai pareri delle commissioni stesse" - rendono evidente la volontà del legislatore costituzionale di limitare rigorosamente nel tempo l'esercizio del potere legislativo da parte del Governo; e ciò in armonia col principio contenuto nell'art. 76 Cost., secondo cui l'esercizio della funzione legislativa in qualunque modo conferita al Governo deve essere svolto "soltanto per tempo limitato".

Né in contrario, osserva ancora il Consiglio di Stato, é convincente l'argomentazione che il legislatore costituzionale non può aver conferito al Governo il suo stesso potere di emettere norme di rango costituzionale e quindi non può aver operato una "delega" ex art. 76 Cost., giacché ciò che nella specie viene in considerazione non é tanto il fatto della "delega" dell'esercizio di un potere effettuata dal suo titolare, quanto invece il fatto dell'attribuzione che comunque il Parlamento ha operato, di un potere legislativo, a favore del Governo, in ordine alla quale resta applicabile il fondamentale principio costituzionale che impone in ogni caso un limite all'esercizio di poteri legislativi che, spettando istituzionalmente al Parlamento, il Governo può esercitare solo eccezionalmente e quindi "soltanto per tempo limitato". Ugualmente non convincente é poi la tesi secondo cui, trattandosi di speciale attribuzione al Governo di facoltà legislativa allo scopo specifico di consentire l'attuazione dello Statuto regionale, essa non potrebbe essere limitata nel tempo ma persisterebbe finché lo richiedesse l'esigenza di attuazione dello Statuto, giacché un termine perentorio precluderebbe, ove scaduto, la possibilità di realizzare compiutamente l'ordinamento regionale. Se é vero, infatti, che tale esigenza potrebbe far pensare alla natura non perentoria del termine in questione, é però anche vero che oltre alle esigenze regionalistiche vanno salvaguardate quelle proprie dei soggetti diversi dalle regioni, le cui posizioni giuridiche possono subire limitazioni ad opera delle norme di attuazione, e che difficilmente potrebbero correttamente essere mantenute in quello stato di incertezza perenne derivante dalla possibilità di essere compresse, in qualsiasi momento, da norme emanate non dal Parlamento (nel qual caso la "soggezione" sarebbe giustificata), bensì dall'Esecutivo, che non ha la struttura rappresentativa e le funzioni proprie del Parlamento.

Né infine vale affermare che il termine biennale in questione fu posto al solo scopo di manifestare il serio intento del Governo di dare sollecita attuazione agli accordi contenuti nel c.d. "pacchetto" per l'Alto Adige. Se infatti può sicuramente riconoscersi un valore anche politico alla prefissione del termine, proprio da tale valore sembra scaturire la sua natura perentoria, poiché un termine meramente ordinatorio, che cioé il Governo avesse potuto lasciare decorrere senza serie conseguenze giuridiche (quale appunto la decadenza dal potere legislativo concessogli), non avrebbe potuto avere il valore di un serio impegno politico trasfuso in precetto di legge costituzionale.

Quanto alla disciplina posta dagli artt. 9 e 46 del d.P.R. n. 752 del 1976, osserva il Consiglio di Stato che essa appare innanzitutto in contrasto sia con l'art. 100 dello Statuto speciale, il quale - nel riconoscere ai cittadini di lingua tedesca residenti nella provincia di Bolzano la facoltà di usare la loro lingua nei rapporti con gli organi ed uffici della P.A. - non impone affatto a tutti i dipendenti pubblici la conoscenza delle due lingue, e quindi non giustifica le limitazioni alla progressione in carriera dei dipendenti di lingua italiana già in ruolo in tale provincia; e sia con l'art. 89 dello Statuto, il quale ha sì disposto una riserva di posti (in appositi ruoli) per i cittadini dei tre gruppi linguistici in rapporto alla loro consistenza, prevedendone una graduale attribuzione a quelli di lingua tedesca e ladina, ma non ha anche autorizzato il sacrificio della posizione dei dipendenti di lingua italiana già in servizio nella provincia prima dell'entrata in vigore delle norme di attuazione.

La medesima disciplina appare inoltre in contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 Cost. poiché comporta: a) un'ingiustificata disparità di trattamento fra dipendenti del gruppo linguistico italiano e quelli del gruppo tedesco (o ladino), già in servizio nella provincia di Bolzano alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 752 del 1976 (escludendosi solo i primi dall'accesso ai posti disponibili); b) una irrazionale limitazione dei diritti (alla progressione in carriera ed alla copertura dei posti di maggior rilievo) dei lavoratori già in servizio nella provincia di Bolzano; c) la violazione del principio di buon andamento (o efficienza) ed imparzialità dell'amministrazione, la quale - essendo costretta a coprire posti vacanti escludendo personale esperto e già in servizio nella provincia ma discriminato in ragione del gruppo linguistico di appartenenza - pregiudica l'efficienza dei servizi da essa gestiti (restando a volte vacanti per carenza di aspiranti i posti riservati al gruppo linguistico non italiano), ed attua trattamenti non imparziali dei propri dipendenti.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Dinanzi a questa Corte si é costituito il sig. Bruno Breschi, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Emeri, chiedendo l'accoglimento delle questioni.

3. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'infondatezza delle questioni stesse.

In ordine alla prima questione, l'Avvocatura rileva che i decreti contenenti le norme di attuazione degli Statuti speciali non subiscono i limiti e le condizioni di cui all'art. 76 Cost., in quanto, essendo il potere legislativo conferito al Governo dal legislatore costituzionale e non da quello ordinario, essi non costituiscono esercizio di una delega, nemmeno speciale o anomala, ma di una "speciale attribuzione di facoltà legislativa posta dall'organo costituente" al Governo. Secondo la dottrina prevalente, inoltre, le norme d'attuazione avrebbero forza superiore a quella della legge ordinaria, o quanto meno natura "rinforzata", per cui, essendovi un regime di separazione tra leggi ordinarie e norme d'attuazione, le prime non potrebbero derogare alle seconde né sostituirsi ad esse in caso di loro mancanza. Del resto l'art. 76 Cost. non può che riguardare le deleghe conferite con leggi ordinarie, e la mancanza di un'analoga disposizione nell'art. 138 Cost. sta a significare che essa é inapplicabile alle deleghe contenute in leggi costituzionali. L'inapplicabilità dell'art. 76 Cost. alle norme di attuazione si desume inoltre dal fatto che la loro non completa emanazione impedirebbe il raggiungimento delle finalità loro assegnate dal legislatore costituzionale, con conseguenze negative sul funzionamento dell'istituto regionale: perciò per la loro emanazione, salvo che per il Trentino-Alto Adige, non é previsto alcun termine, e perciò la dottrina ritiene che la speciale attribuzione di potestà legislativa al Governo, pur se non può avere durata del tutto illimitata, deve tuttavia intendersi conferita sin quando non sia stata data completa attuazione allo Statuto regionale. Il termine in questione, quindi, ha carattere sollecitatorio od ordinatorio, così come hanno in genere tale carattere i termini previsti per l'esercizio di pubbliche funzioni (data l'esigenza che le stesse siano comunque esercitate), tranne quelli espressamente dichiarati perentori e quelli per i quali sono previste la decadenza dall'esercizio della funzione o sanzioni a carico dell'organo. Nella specie, osserva ancora l'Avvocatura, il venir meno del potere legislativo del Governo creerebbe una grave lacuna e l’impossibilità per la Regione di operare, in quanto, non trattandosi di una delega ex art. 76 Cost., non vi sarebbe un "ritorno" del potere stesso al legislatore ordinario dopo la scadenza del termine. D'altra parte, quando il legislatore costituzionale ha voluto connettere una sanzione all'inosservanza del termine l'ha espressamente prevista, come nel caso dell'art. 109 dello Statuto, il quale dispone che, ove le particolari norme di attuazione ivi contemplate non siano emanate nel termine di un anno, le province possono assumere con legge le relative funzioni amministrative. La "ratio" del termine biennale de quo va poi intesa anche alla luce degli adempimenti connessi con l'attuazione del c.d. "pacchetto" per l'Alto Adige, nel quale é fissato un "Calendario operativo" che, al punto 11, prevede la completa emanazione da parte del Governo delle norme di attuazione dello Statuto. L'art. 108 dello Statuto va pertanto visto anche come uno strumento, per porre comunque il Governo in grado di emanare le norme di attuazione nel termine biennale pure in assenza del parere delle commissioni paritetiche, il che conferma il carattere sollecitatorio del termine stesso, attesi altresì i riflessi negativi che si avrebbero sul piano internazionale dal venir meno del potere normativo del Governo.

In ordine alla seconda questione l'Avvocatura osserva che il denunciato vizio di costituzionalità non riguarda gli artt. 9 e 46 del d.P.R. n. 752 del 1976, ma piuttosto l'art. 1 del decreto stesso, il quale impone la conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'assunzione nelle amministrazioni statali, e che comunque dagli artt. 89 e 100 dello Statuto si evince solo l'obbligo della P.A. di mettere a disposizione dei tre gruppi linguistici un certo numero di posti ai gradi iniziali delle singole carriere nonché di assicurare la corrispondenza nella lingua del cittadino che ad essa si rivolge, il che non implica necessariamente che tutti i pubblici dipendenti abbiano la conoscenza delle due lingue. Con il d.P.R. n. 752 del 1976 sono stati creati, in applicazione dell'art. 89 dello Statuto, appositi ruoli locali degli uffici statali siti in provincia di Bolzano, allo scopo di ripartirne i posti tra i tre gruppi linguistici, ed é ovvio che, per consentire il funzionamento di questi uffici in attesa del normale reclutamento, il personale in servizio negli uffici stessi alla data di entrata in vigore dello Statuto (20 gennaio 1972) rimanga a prestarvi servizio mantenendo l'inquadramento nei ruoli nazionali e conservando il relativo stato giuridico (art. 9, comma primo, d.P.R. n. 752 del 1976). Si sono così venuti a costituire nella provincia di Bolzano ruoli locali i cui posti sono occupati da personale dei ruoli nazionali, con la necessità di creare un sistema di vasi comunicanti tra i due ruoli, in modo da assicurare la copertura dei posti dei ruoli locali a mano a mano che viene a diminuire il personale dei ruoli nazionali. Ora, un meccanismo siffatto non può non creare, specie durante la fase transitoria, situazioni che possono apparire in contrasto con norme statutarie e costituzionali. In realtà, però, tale meccanismo non impedisce che il personale dei ruoli nazionali in servizio nella provincia di Bolzano (c.d. "personale ad esaurimento") possa avere il suo normale sviluppo di carriera, beninteso nei ruoli nazionali di appartenenza, sottoponendosi al sacrificio del trasferimento in altra sede del territorio nazionale; e non comporta quindi un particolare sacrificio dei dipendenti di lingua italiana già in servizio nella provincia prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 752 del 1976. D'altra parte, qualora si fosse consentita la copertura a tempo indeterminato dei posti destinati al ruolo locale da parte di personale del ruolo nazionale (ad esaurimento) non si sarebbe mai realizzato il disposto dell'art. 89, e quindi semmai incostituzionale sarebbe stata una norma del genere.

Le medesime argomentazioni, conclude l'Avvocatura, valgono anche in ordine alla terza questione (contrasto degli artt. 9 e 46 cit. con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 Cost.). In ogni caso, se gli artt. 9 e 46 non sono altro che la puntuale applicazione dell'art. 89 dello Statuto, che ha creato uno status singolare per i dipendenti statali in provincia di Bolzano, le censure dirette contro un tale sistema sono in sostanza dirette contro lo stesso art. 89, il quale, però, in quanto norma costituzionale, non é valutabile con riferimento ad altre norme di pari livello.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del Consiglio di Stato propone anzitutto un dubbio di legittimità costituzionale che investe l'intero d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (in tema di proporzionale etnica negli uffici statali della provincia di Bolzano e della connessa disciplina sul bilinguismo), in quanto esso violerebbe gli artt. 107 e 108 dello Statuto del Trentino-Alto Adige e 70, 76, 77 e 87 della Costituzione, essendo stato emanato oltre il termine biennale perentoriamente fissato dal cit. art. 108, primo comma.

Del resto, siffatta carenza di potere governativo ad adottare questo particolare atto avente forza di legge vizierebbe, deve qui aggiungersi, i numerosi decreti presidenziali emessi dopo la scadenza del richiamato termine biennale. Va poi precisato che le modifiche apportate dagli artt. 8 e 9 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 327, rispettivamente al primo e al secondo comma dell'art. 9 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, non solo lasciano intatta la questione assolutamente preliminare ora evocata, ma non comportano neppure mutamenti di contenuto normativo tali da determinare una restituzione degli atti al giudice a quo per jus superveniens.

2. - La questione non é fondata.

Da un punto di vista più generale, concernente tutte le norme di attuazione degli Statuti delle Regioni differenziate, può affermarsi che il richiamo alla disciplina dell'art. 76 della Costituzione non appare appropriato. Si é sicuramente al di fuori della delega legislativa, in quanto norme statutarie, di rango costituzionale, attribuiscono poteri legislativi al Governo, che li esercita nel contesto di particolari procedure caratterizzate dall'intervento consultivo di organi cui partecipano mediatamente le comunità interessate. Tale conferimento di competenze di natura legislativa "ha carattere riservato e separato" rispetto a quelle esercitabili, in applicazione dell'ottava disp. trans. Cost., dalle ordinarie leggi della Repubblica (sent. n. 180 del 1980, n. 3 del considerato in diritto): inoltre l'esercizio di tali competenze é consentito al Governo "in via permanente" (sent. n. 212 del 1984, n. 2, in fine, del considerato in diritto).

Tale permanenza della particolare fonte "norma d'attuazione" va naturalmente intesa in termini compatibili col nostro sistema; e dunque, in contrasto con il carattere meramente transitorio che si vorrebbe attribuire ad essa, dev'essere riconosciuta fino a che non si esaurisca l'attuazione delle norme statutarie. D'altra parte non si vede come, al di fuori di una specifica normativa di rango costituzionale, sarebbe possibile prevedere un procedimento di legislazione parlamentare che mantenesse gli elementi di compartecipazione regionale e di intervento governativo ora previsti.

Naturalmente gli argomenti di natura generale, ora addotti per escludere che sia qui accettabile lo schema della delega in cui il Consiglio di Stato inquadra le norme di attuazione, non toccano l'eccezione avanzata in ordine alla violazione del termine biennale ex art. 108, primo comma, dello Statuto del Trentino-Alto Adige.

Tuttavia, anche l'affermazione del carattere perentorio di detto termine non risulta fondata per chi legga i tre commi del successivo art. 109 in stretto collegamento, com'é necessario, con la prescrizione del più generale disposto sul biennio di cui all'art. 108, primo comma. Infatti, soltanto nelle due fattispecie relative alla indicazione dei beni d'interesse nazionale appartenenti al patrimonio storico ed artistico nonché all'ordinamento scolastico ex art. 19 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, la norma statutaria fa derivare determinati effetti dalla mancata emanazione delle norme di attuazione entro il termine preveduto: e cioé che le province possano assumere con legge le funzioni amministrative relative a tali materie. Nella ipotesi più comprensiva dell'art. 108, nessuna conseguenza é ricollegata all'inutile decorso del termine: e del resto, nemmeno nelle fattispecie di cui all'art. 109, é previsto il venir meno del potere normativo del Governo, ma si fa luogo al deterrente (risultato efficace) della facoltizzazione delle province ad assumere con legge l'amministrazione nei settori ora indicati.

Dall'inutile decorso del termine ex art. 108, primo comma, può sicuramente trarsi motivo per far valere la responsabilità politica del Governo, che, a termini dell'art. 108, secondo comma, dovrebbe emanare le norme d'attuazione, prescindendo dal parere della Commissione paritetica istituita a norma dell'art. 107, quando questa non abbia emesso i pareri nei primi diciotto mesi del biennio: ma le Camere, lungi dal far valere tale responsabilità, si sono limitate nel 1980 e nel 1981 a sollecitare il Governo ad adottare le residue norme di attuazione (cfr. ordine del giorno approvato dal Senato il 9 dicembre 1980) o a richiedere iniziative del Governo stesso le quali presupponevano il protrarsi del potere governativo in materia (cfr. ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati il 7 ottobre 1981).

D'altronde era logico attendersi che così si comportasse un Parlamento che nel dicembre del 1969 aveva assentito alla proposta globale (o "pacchetto") presentato dal Governo per superare le difficoltà della questione alto-atesina. Parte non secondaria di tale proposta era rappresentata dalla differenziata previsione dei diversi tipi di norme che dovevano servire ad introdurre nel nostro ordinamento le numerose misure ampliative dei poteri delle province: distinguendosi misure da introdurre con norme costituzionali, misure da adottare con norme di attuazione dello Statuto speciale così profondamente modificato e misure da adottare con appositi provvedimenti legislativi (cfr. principalmente L. 11 marzo 1972, n. 118). Orbene, l'assegnazione del tipo di fonte ai vari gruppi di misure appariva tutt'altro che casuale, specie se si considera il particolare tipo di procedimento che precede l'emanazione delle norme d'attuazione. Neppure é casuale che fin qui il Governo non abbia mai ritenuto di procedere alla deliberazione su tali norme prescindendo dal parere della Commissione paritetica, come avrebbe ben potuto a norma dell'art. 108, secondo comma, dello Statuto del Trentino- Alto Adige.

Va poi aggiunto che leggi statali successive alla scadenza del biennio (20 gennaio 1972 - 20 gennaio 1974) si riferiscono comprensivamente, per il passaggio di ulteriori funzioni alle Regioni differenziate e alle province, alle procedure prescritte in ogni singolo Statuto e nelle relative norme di attuazione (cfr. art. 2, primo comma, L. 23 dicembre 1975, n. 698, sullo scioglimento e trasferimento delle funzioni dell'ONMI; art. 1, primo comma, della L. 23 dicembre 1975, n. 745, sul trasferimento di funzioni statali alle Regioni e sulle norme di principio per la ristrutturazione regionalizzata degli istituti zooprofilattici sperimentali; e soprattutto art. 80, secondo comma, della L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale).

Infine, sarebbe davvero da considerare assai disarmonica nel nostro ordinamento una situazione nella quale gli enti dotati della più ampia autonomia costituzionalmente garantita (e cioé le Province di Trento e di Bolzano) non avessero aperitio oris nei procedimenti di attuazione delle norme statutarie a seguito della perentorietà del termine biennale di cui all'art. 108, primo comma, dello Statuto del Trentino-Alto Adige, diversamente da ciò che si verifica per altre regioni a Statuto speciale come la Sicilia, la Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia. Ma, come si é visto, tale disarmonia non esiste e non già perché ci si debba rassegnare ad una situazione di fatto ormai consolidatasi nel periodo ultradecennale seguito al 20 gennaio 1974: ma perché i dati normativi richiamati convincono che il termine, fissato per motivi politici facilmente intuibili, ha natura meramente ordinatoria.

3. - Si può ora passare all'esame delle questioni concernenti norme specifiche del d.P.R. n. 752 del 1976.

Il ricorrente al Consiglio di Stato si duole di non essere stato ammesso a concorrere al posto di titolare del Deposito Personale Viaggiante FF.SS. di Bolzano e chiede l'annullamento del foglio disposizioni n. 46 in data 1 aprile 1978 emesso dal Compartimento di Verona, con il quale si limitava la partecipazione al concorso interno ai soli dipendenti che si trovassero nelle condizioni previste dagli artt. 9 e 46 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752.

In subordine il ricorrente ha chiesto che il Consiglio di Stato sollevasse questione di legittimità costituzionale (oltre che dell'intero decreto per i motivi già esaminati) degli artt. 9 e 46 del citato d.P.R. n. 752 del 1976, in quanto la facoltà riconosciuta ai membri del gruppo di lingua tedesca di usare la loro lingua nei rapporti con i titolari degli organi e degli uffici della pubblica amministrazione operanti nella provincia di Bolzano non imporrebbe affatto a tutti i pubblici dipendenti la conoscenza della lingua tedesca e non giustificherebbe le limitazioni alla progressione in carriera dei dipendenti di lingua italiana già in ruolo in tale provincia, limitazioni disposte appunto con le norme impugnate.

Il Consiglio di Stato giudica non manifestamente infondata la questione, sia per l'argomentazione svolta dal ricorrente "precipuamente in ordine all'art. 100 del Testo Unico dello Statuto del Trentino-Alto Adige", sia per quella svolta dallo stesso Consiglio in ordine all'art. 89 del Testo Unico: con gli artt. 89 e 100 del Testo Unico dello Statuto del Trentino-Alto Adige si porrebbero dunque in contrasto gli artt. 9 e 46 del cit. d.P.R. n. 752 del 1976.

Ma gli argomenti addotti dal ricorrente come dal Consiglio sembrano fondarsi in parte su un equivoco ed in parte su affermazioni che non possono essere accettate.

Il problema dell'uso della lingua tedesca non può essere evocato in questa circostanza, dato che nel caso sottoposto al Consiglio di Stato si tratta soltanto di realizzare le precondizioni perché si creino posti da assegnare secondo il criterio della proporzionale etnica di cui all'art. 89 del Testo Unico dello Statuto del Trentino-Alto Adige. É solo nella fase delle conseguenti assunzioni che assume rilievo il requisito del bilinguismo.

D'altra parte si deve premettere che con l'art. 8 del d.P.R. n. 752 del 1976 sono stati istituiti i ruoli locali e sono stati riservati i posti previsti nei ruoli stessi agli appartenenti ai gruppi linguistici in conformità ai criteri della proporzionale etnica. Si tratta dunque di raggiungere progressivamente l'obbiettivo prefissato nell'art. 89 del Testo Unico dello Statuto del Trentino-Alto Adige (e cioé la occupazione dei posti vacanti nei ruoli locali) riducendo gli ostacoli derivanti da situazioni soggettive meno qualificate di altre ritenute degne di maggior protezione.

In questa prospettiva le norme di attuazione dello Statuto, come modificato nel 1971, hanno tutelato in misura maggiore (in ordine alle possibilità di progressione in carriera) il personale già in servizio alla data del 20 gennaio 1972 o assunto successivamente entro la data del 30 novembre 1976 (giorno dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 752), purché fosse già residente nella provincia di Bolzano alla data suddetta (e cioé 20 gennaio 1972).

Il criterio di delimitazione del personale "ad esaurimento" (e il d.P.R. 29 aprile 1982, n. 327, reca conferma di questa interpretazione) non appare arbitrario in quanto ricollegato alla entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1971 e finalizzato alle possibilità di effettive assunzioni dei nuovi ruoli locali.

Le limitazioni prodotte da tali norme a danno del personale di lingua italiana, che non si trovasse in possesso dei requisiti di cui agli artt. 9 e 46 del d.P.R. n. 752, potranno tutt'al più essere ritenute praeter statum, ma non contra statutum, in quanto mirano, con uno dei mezzi offerti alla discrezionale scelta del legislatore, a realizzare gli obiettivi fissati nell'art. 89 Statuto. Da questo punto di vista, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, si rimane nell'ambito della "attuazione" e non si violano nemmeno i principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

In effetti tale eccezione mira innanzitutto a contestare, alla luce dell'art. 3 della Costituzione, la disparità di trattamento (e la sua irragionevolezza) operata fra i dipendenti dei vari gruppi linguistici. Ma il sacrificio consistente nelle impossibilità di occupare talune delle "titolarità e dirigenze" libere per alcuni dipendenti in servizio prima della entrata in vigore del d.P.R. n. 752 non risulta in contrasto con norme statutarie o con norme costituzionali in conseguenza della presa in considerazione "retroattiva" da parte del legislatore di taluni presupposti temporalmente individuati riguardo ad un assetto dei ruoli, ritenuto essenziale rispetto allo scopo perseguito dal precetto statutario.

Va infatti sottolineato: che valutazioni ex post di presupposti anteriormente venuti in essere al fine di statuire conseguenze nuove sono consentite dall'ordinamento alla legge anche se ciò induce vera e propria retroattività, giustificata nella specie dal conseguimento di obbiettivi imposti da norme di grado superiore e che, anche di fronte a casi di vera retroattività, situazioni del genere, specie in fasi transitorie, non sono sconosciute nella disciplina dei rapporti di pubblico impiego, né sono tutelate come diritti quesiti.

Non evocati a proposito appaiono poi i parametri degli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione, in quanto nessuno dei beni da essi protetto é, all'evidenza, posto in pericolo dalle disposizioni denunziate.

Tali norme non sono dunque in contrasto con precetti costituzionali o con precetti statutari e le relative questioni di legittimità costituzionale vanno perciò dichiarate non fondate. Va peraltro dichiarata la inammissibilità per difetto di rilevanza della questione sollevata in ordine all'art. 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

4. - Tuttavia la pronuncia di non fondatezza in ordine alle questioni sollevate dall'ordinanza del Consiglio di Stato non esime dal rilevare che i problemi concernenti l'applicazione dei principi sulla proporzionale etnica vanno affrontati tenendo conto di molteplici fattori, il che non significa o non comporta intenzioni o volontà elusive dei principi stessi accolti nello Statuto come modificato nel 1971. In particolare il primo comma dell'art. 46 del d.P.R. n. 752 prevede in modo espresso che le quote di cui al terzo comma dell'art. 9 dello Statuto devono essere raggiunte progressivamente entro un congruo termine. Ciò consente, come dimostrano anche talune disposizioni del già citato d.P.R. 29 aprile 1982, n. 327, discipline transitorie e aggiustamenti in itinere, dettati da esigenze di gradualismo e da necessità di funzionamento dei servizi pubblici. Né va d'altronde dimenticato che, come emerge anche dall'accordo di coalizione per la IX Legislatura, adottato dalla maggioranza del Consiglio provinciale (cfr. Bollettino della Provincia Autonoma, 1984, fascicolo n. 36-37, pag. 23), l'applicazione dell'art. 15 dello Statuto in tema di edilizia agevolata si é svolta ripartendo i mezzi agevolativi in deroga al criterio di proporzionalità alla consistenza numerica dei singoli gruppi linguistici ed in favore del gruppo maggioritario nell'ambito della provincia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara:

a) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'intero testo del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, in riferimento agli artt. 107 e 108 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e agli artt. 70, 76, 77 e 87 della Costituzione;

b) non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 46 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, in riferimento agli artt. 89 e 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e agli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 della Costituzione;

c) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, sollevate dal Consiglio di Stato con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 1985.

Leopoldo ELIA

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1985.