Ordinanza n.88 del 1985

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ORDINANZA N. 88

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26, 28, 30 e 31 della legge 3 maggio 1982, n.203 (Conversione del contratto di mezzadria in affitto ), promossi con ordinanza 25 ottobre 1983 dal Tribunale di Padova il 15 febbraio 1984 e il 16 novembre 1983 dalla Corte di Appello di Venezia, il 16 dicembre 1983, il 13 e 20 gennaio 1984 dal tribunale di Fermo (n. 7 ord. ), il 21 dicembre dal Tribunale di Chieti, e il 10 febbraio 1984 dal Tribunale di Ascoli Piceno, iscritte ai nn. 161, 403, 423, 463, 464, 487, 488, 489, 490, 491, 514 e 814 del registro ordinanze 1984 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica nn. 115, 226, 273, 280, 287, 307 e 321 dell'anno 1984.

Visti gli atti di costituzione di Radici Tedeschi Alberto, di Pilo Boyl Vittorio ed altri, della Soc. Genagricola, di Luciano Ada e di Danesi Luisetta;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1985 il Giudice relatore Francesco Saja.

Ritenuto che nel corso di giudizi civili aventi per oggetto la conversione del contratto di mezzadria in affitto, disciplinata dagli artt. 25 e segg. l. 3 maggio 1982 n. 203, i Tribunali di Padova, Fermo, Chieti e Ascoli Piceno, nonché la Corte di Appello di Venezia, con le ordinanze indicate in epigrafe sollevano questioni di leggittimità costituzionale delle norme disciplinanti il detto istituto;

che precisamente, mentre con tutte la ordinanze di rimessione veniva impugnato l'art. 25 l. cit. nella parte in cui esso prevede la conversione "automatica", ossia attuabile attraverso il solo atto di esercizio di un diritto del mezzadro, alcune in ordine a detta impugnativa richiamavano, al solo fine di meglio argomentare, anche il successivo art. 26, concernente la diversa disciplina della conversione richiesta dal concedente e non realizzabile senza il consenso del mezzadro (Tribunali di Chieti e Ascoli Piceno, Corte di Appello di Venezia);

che i Tribunali di Padova ed Ascoli Piceno impugnavano anche l'art. 30 l. cit., relativo alla conversione nel caso in cui il concedente sia imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 l. 9 maggio 1975 n. 153;

che alcune delle ordinanze sopra citate, infine, indicavano genericamente, e solo per corroborare la denuncia di incostituzionalità delle norme già dette, gli artt. 28, 29 e 31 l. ult. cit.;

che i giudici rimettenti facevano riferimento alle seguenti norme della Costituzione:

- art. 3, in quanto la conversione é rimessa al mero arbitrio dei concessionari, che vengono così posti in una ingiustificata situazione di privilegio di fronte ai concedenti;

- ancora art. 3, in quanto la conversione lascia in vita le imprese mezzadrili più deboli, chiamate dall'art. 31 l. cit. "unità produttive insufficienti", e sacrifica quelle più prospere, cosi palesando un'intrinseca irragionevolezza;

- art. 4, in quanto l'iniziativa del mezzadro può porre il concedente-imprenditore nella necessità di abbandonare la propria attività professionale;

- art. 41, in quanto la conversione annulla la libertà di iniziativa economica del concedente, intesa come libertà di destinare un capitale a fini produttivi;

- ancora art. 41, in quanto l'affidamento della conversione al mero arbitrio del mezzadro contrasta con la riserva di legge in materia di valutazione dell' "utilità sociale", quale condizione necessaria del sacrificio dell'iniziativa economica privata (questione sollevata dal solo Tribunale di Padova);

- artt. 42, 43 e 44, in quanto il concedente é sostanzialmente espropriato del suo fondo, ossia della propria azienda, senza indennizzo e senza che l'espropriazione possa servire a realizzare più equi rapporti sociali;

- art. 46, in quanto la trasformazione della mezzadria in affitto contrasta con l'intenzione del Costituente di favorire la formazione di imprese con associazione di capitale e lavoro (Corte d'Appello di Venezia, n. 423/1984);

che nelle cause nn. 161, 403, 423, 514 e 814 del 1984 si costituivano i concedenti Radici Tedeschi, Pilo Boyl, s.p.a. Genagricola, Luciano e Danesi, chiedendo che la Corte dichiarasse manifestamente infondate le suddette questioni.

Considerato che tutti i giudizi vanno riuniti per la loro identità o connessione;

che le questioni sono state già decise con sentenza 7 maggio 1984 n. 138;

che in essa la Corte ha premesso come il legislatore, attraverso l'istituto della trasformazione della mezzadria in affitto, abbia confermato il disfavore, già espresso nella precedente normativa, verso il primo tipo di contratto agrario ed abbia perseguito la duplice finalità di incrementare la produzione ed evitare la persistente conflittualità tra le parti del rapporto, considerando con particolare favore la posizione del mezzadro, il quale all'attività di condirezione dell'impresa unisce il lavoro manuale e perciò ha un più intenso e diretto vincolo con il fondo;

che del resto - come la Corte ha precisato - l'istituto della cosiddetta conversione, attualmente in questione, consiste in un mutamento più formale che sostanziale del tipo di contratto, da associativo in commutativo, giacché il legislatore si é limitato a prendere atto che nella generalità dei casi la collaborazione tra concedente e mezzadro era solo apparente: infatti l'impresa mezzadrile veniva gestita solo dal secondo, ed il primo si era trasformato in un puro percettore di reddito;

che per tali considerazioni sono state ritenute giustificate così l'attribuzione del diritto di conversione al mezzadro e non anche al concedente, come la non operatività dell'istituto per le unità produttive insufficienti (art. 31 l. cit.), dovendosi conseguentemente escludere le prospettate violazioni dell'art. 3 Cost.;

che la Corte ha altresì osservato come alla conversione sia estranea qualsiasi fattispecie espropriativa, ossia di trasferimento coattivo di beni, verificandosi solo una limitazione dell'autonomia privata giustificata dai suddetti fini di utilità sociale e così non potendo ravvisarsi la violazione degli artt. 42 e 43 Cost.;

che le giustificazioni sopra dette, e in particolare l'assenteismo del concedente - riscontrabile, secondo l'espressione contenuta nei lavori preparatori della legge, nella grande maggioranza dei casi - escludono in linea di principio anche la violazione degli artt. 41 e 44 Cost., nonché dell'art. 46 Cost., che favorisce le forme di imprenditorialità associativa solo in presenza di un interesse generale, non ravvisato nel caso di specie dal legislatore per le considerazioni sopra esposte;

che, tuttavia, poiché l'assenteismo del concedente non é sempre riscontrabile, la Corte ha ritenuto che l'art. 25 l. cit. contrasti con gli artt. 41 e 44 Cost. nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 l. n. 153 del 1975 o che comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma dello stesso art. 25, la conversione abbia luogo senza il consenso del concedente stesso;

che in conseguenza la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, oltre che, parzialmente, dell'art. 25, anche dell'art. 30 l. cit.;

che la detta pronuncia assorbe anche la censura relativa all'art. 4 Cost.;

che, in conclusione, le questioni, in quanto già decise ed ora non sorrette da alcun nuovo motivo, debbono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26 l. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26, 28, 29, 30 e 31 l. 3 maggio 1982 n. 203, sollevate in riferimento agli artt. 3, 4, 41, 42, 43, 44, 46 Cost. dai Tribunali di Padova, Fermo, Chieti e Ascoli Piceno, nonché dalla Corte d'Appello di Venezia con le ordinanze indicate in epigrafe, in quanto già decise con la Sent. n. 138 del 1984.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Francesco SAJA

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1985.