Sentenza n. 173 del 1983

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SENTENZA N. 173

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 41 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 (Testo Unico delle leggi e delle norme giuridiche emanate in virtù dell'art. 1, n. 3, della legge 31 gennaio 1926, n. 100, sulla istruzione elementare, post-elementare e sulle sue opere di integrazione), modificato dal R.D. 11 agosto 1933, n. 1286, e dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n.470; dell'art. 6 del R.D. 11 agosto 1933 n.1286 (Modificazioni ed aggiunte al Testo Unico delle leggi sulla istruzione elementare circa l'ordinamento degli istituti per la formazione delle insegnanti per le scuole del grado preparatorio) e dell'art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444 (ordinamento della scuola materna statale) promosso con ordinanza emessa il 9 gennaio 1978 dal Tribunale Amministrativo regionale delle Marche sul ricorso proposto da Orioli Stefano contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altro iscritta al n. 422 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella pubblica udienza del 12 aprile 1983 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 9 gennaio 1978, su ricorso proposto da Orioli Stefano contro il Ministero della Pubblica Istruzione, il TAR delle Marche ha sollevato, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale della normativa relativa alle scuole magistrali ed a quelle del grado preparatorio, nella parte in cui escludono l'accesso degli studenti maschi alle scuole magistrali e degli insegnanti dello stesso sesso alle scuole del grado preparatorio, per presunto contrasto con gli artt. 3, 34 e 51 Cost.

Formano oggetto di censura, precisamente, gli artt. 39 e 41 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 (modificato dal R.D. 11 agosto 1933, n. 1286 e dall'art. 1 legge n. 470 del 1958), e inoltre gli artt. 6 R.D. n. 1286/33 e 4, 9 e 14 della legge n. 444 del 1968.

2. - Il suddetto Stefano Orioli chiedeva di essere ammesso agli esami di abilitazione all'insegnamento nelle scuole del grado preparatorio, per la sessione estiva del 1975, presso la scuola magistrale statale di Fossombrone-Pesaro. In seguito ad un colloquio con un funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione, la Preside dell'Istituto comunicava con lettera all'Orioli di non poter accogliere la sua domanda.

L'interessato proponeva ricorso gerarchico al Ministero, censurando, oltre la mancata motivazione dell'atto, la violazione e falsa applicazione delle norme concernenti l'ammissione agli esami di abilitazione nelle scuole magistrali statali.

Successivamente alla proposizione del ricorso, il Ministero comunicava con telegramma alla Preside che, in base alla vigente normativa, potevano essere ammesse ai suddetti esami solo candidate di sesso femminile. L'interessato proponeva, quindi, ricorso giurisdizionale (per violazione e falsa applicazione), oltre che delle norme sull'ammissione all'esame di abilitazione suddetto, anche delle altre, riguardanti il personale docente delle scuole materne. Nel ricorso si eccepiva la violazione degli artt. 3, 34 e 51 Cost., deducendo che l'interpretazione in base alla quale i cittadini di sesso maschile sono esclusi dalle scuole materne trae origine dall'art. 41 Cost. del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 e dalla legge sulla scuola materna statale del 18 marzo 1968, n. 444. Tali disposizioni, con riferimento l'una al corpo discente, l'altra al personale docente, adoperano infatti il sostantivo al femminile. Qualora dovesse accogliersi il significato che risulta dalla statuizione letterale dei testi di legge - osservava il ricorrente - la normativa in esame dovrebbe tuttavia essere dichiarata incostituzionale, in quanto irrazionalmente discriminatoria nei confronti dei cittadini di sesso maschile.

In via preliminare veniva quindi chiesto al TAR di sollevare la questione di costituzionalità avente ad oggetto gli artt. 4, 9 e 14 legge n. 444/1968, l'art. 6 R.D. 11 agosto 1933, n. 1286 e gli artt. 39 e 41 R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 e successive modifiche (art. 1 R.D. 11 agosto 1933, n. 1286), "e comunque delle norme poste a fondamento del provvedimento impugnato e di ogni altra norma ad esse connessa".

3. - Il Ministero, costituitosi davanti al TAR, chiedeva dal canto suo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o comunque infondato.

Ad avviso del giudice a quo, la rilevanza della questione ora prospettata alla Corte, non può, come aveva invece dedotto innanzi ad esso il Ministero, venire esclusa dal fatto che l'espletamento degli esami di abilitazione all'insegnamento nelle scuole del grado preparatorio sia, nella specie, già avvenuto. Infatti, l'accoglimento del ricorso farebbe nascere l'obbligo di provvedere "ora per allora", e con la conseguente necessità per l'amministrazione di adeguarsi al giudicato, facendo espletare al ricorrente gli esami, per modo che, in caso di esito favorevole, gli sia attribuita, ex tunc, la corrispondente qualifica soggettiva.

La rilevanza sussisterebbe, poi, anche in relazione all'oggetto della questione, in quanto si censurano norme direttamente applicabili nella specie.

Nel merito, osserva anzitutto il TAR che la normativa censurata riserva effettivamente alle donne l'accesso ai suddetti esami e all'insegnamento nel grado preparatorio.

Per l'accesso agli esami, si dice, ciò risulta evidente dall'art. 41 R.D. n. 577/1928, come modificato dal R.D. 11 agosto 1933, n.1286 e dall'art. 1 legge 3 aprile 1958, n. 470, che prevede l'istituzione delle scuole magistrali al fine di formare "le insegnanti" per il grado preparatorio. Anche l'art. 6 R.D. 11 agosto 1933, n. 1286, menziona le "privatiste", in relazione alle domande di ammissione agli esami suddetti. Infine l'art. 9 della legge n. 444 del 1968, sull'istituzione della scuola materna statale, fa testuale riferimento solo al personale insegnante femminile. Lo stesso accade in altri articoli della legge.

Fondamentale, a giudizio del TAR, é comunque la precisazione del capoverso dell'art. 9, da cui risulta che "le insegnanti" devono essere fornite di diploma rilasciato dalle scuole o dagli istituti magistrali e che la prescritta abilitazione si consegue contestualmente al concorso di cui all'art. 14.

Del resto, si soggiunge, al non equivoco tenore della normativa si accompagna il fatto che l'amministrazione non ha manifestato alcun dubbio nel confermare, con riferimento alla domanda dell'Orioli, che "agli esami di abilitazione presso le scuole magistrali sono ammesse unicamente le candidate femminili" e che "il personale docente ed assistente del grado preparatorio può essere costituito soltanto da donne".

Ad avviso del TAR, la questione sollevata dal ricorrente, non é allora manifestamente infondata. Le norme censurate configurano una discriminazione incompatibile con il divieto costituzionale, ex art. 3 del testo fondamentale, di alcuna disparità di trattamento basata sul sesso; si delinea, altresì, la violazione dell'art. 34, in forza del quale la scuola é aperta a tutti, giacché sarebbe inconciliabile con l'attuale concezione dell'ordinamento scolastico il precludere ai cittadini maschi alcun tipo di istruzione utile "per l'accesso ad un ordine generale di studi e per lo svolgimento dell'attività didattica entro un campo di notevole importanza in linea settoriale o addirittura globale". Quanto al presunto contrasto con l'art. 51 Cost., l'inciso ivi contenuto, "secondo i requisiti stabiliti dalla legge", non riconosce al legislatore indiscriminata libertà di escludere aprioristicamente le donne o gli uomini dall'accesso ai pubblici impieghi, quando si prevedono i relativi requisiti. Detti requisiti possono, beninteso, riguardare anche il sesso dei candidati, ma solo se questo rileva sul piano oggettivo, ad esempio sotto il profilo dell'idoneità fisica a svolgere determinati lavori. Ora, l'aver escluso gli uomini dal corpo insegnante delle scuole materne non sembra trovare giustificazione nel contenuto e negli scopi dell'insegnamento e delle attività che si svolgono nelle scuole in parola.

Rileva, peraltro, il giudice a quo, come la funzione familiare della donna, riconosciuta dall'art. 37 Cost., non valga certo a spiegare l'esclusione degli uomini dalla scuola denominata come materna; questa stessa denominazione rispecchierebbe concetti ormai superati, difettando apprezzabili ragioni che, in ordine alla lamentata discriminazione, possano collegarsi ad incompatibilità funzionali alla stregua della scienza, dalla tecnica o dal complesso della metodologia didattica. La suddetta interpretazione dell'inciso dell'art. 51 Cost. troverebbe del resto conforto nelle sentenze nn. 56/58 e 33/60 di questa Corte (in tema di accesso delle donne ai pubblici uffici).

D'altra parte, il giudice a quo ritiene che l'esame della stessa normativa in questione non suffraghi alcuna maggiore attitudine femminile all'educazione negli anni dell'infanzia; molti validi contributi nel campo della pedagogia, della psichiatria infantile, pediatria, sono infatti dovuti a studiosi di ambo i sessi.

La Corte é chiamata perciò a stabilire se la censurata disparità di trattamento sia frutto di preconcetti o invece di una razionale valutazione dei requisiti fisici o attitudinali.

4. - Le censure di incostituzionalità sono puntualizzate nell'ordinanza di rinvio con un richiamo all'evoluzione della normativa. Il primo riferimento alle scuole materne s'incontra nel regolamento generale del 1895. Ivi, all'art. 218, si prevedeva che comuni, enti morali e privati potessero aprire istituti di educazione infantile: e fino allora, in sostanza, lo Stato si limitava ad esercitare soltanto un controllo sull'attività di tali istituti.

Un anno dopo veniva prevista l'apertura, presso varie scuole per la preparazione delle insegnanti, di giardini d'infanzia, successivamente trasformati in centri di educazione.

La definizione dei compiti di tali scuole é stata tuttavia precisata solo nel 1923, nell'art. 7 del R.D. 1 ottobre n. 2185, quando si é stabilito che le suddette scuole hanno carattere ricreativo e tendono "a disciplinare le prime manifestazioni dell'intelligenza e del carattere del bambino".

Lo Stato si é inoltre preoccupato di curare preparazione e idoneità delle insegnanti, con l'istituire apposite scuole di metodo. Ancora più di recente, si é data attuazione al dettato dell'art. 33 Cost. "La Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi" configurando scuole statali del grado preparatorio, prima con la legge 24 luglio 1962, n. 1703, e poi con la citata legge 18 marzo 1968, n. 444.

Con tutto ciò, la disciplina in questione sarebbe rimasta su basi normative arretrate e in contrasto con i principi della moderna scienza pedagogica. Nell'elaborazione dei testi normativi é infatti prevalsa la tendenza all'esclusiva assunzione del personale femminile. Il legislatore avrebbe ravvisato in questa scelta una più efficace garanzia del proficuo svolgimento del compito da esso attribuito alla scuola materna, che sarebbe quello di supplire alla famiglia, accentuando il ruolo della donna quale responsabile dell'educazione infantile. Ma il tradizionale criterio della "maestra-mamma", alla quale bastano amore, intuito e pazienza, sebbene valido sotto altro riguardo, sarebbe superato e restrittivo per quel che concerne il caso in esame, dal momento che, come dimostrerebbero i più recenti studi, la scuola preparatoria deve costituire un mondo nuovo, un'organizzazione che offra "al bambino un ambiente differente da quello domestico".

Ma anche a voler prescindere da simili considerazioni, continua il TAR, e ad ammettere che la scuola suddetta costituisca una proiezione della famiglia, resta il fatto che le indagini scientifiche di psicologia infantile e pedagogia son venute valorizzando la funzione paterna, fondamentale quanto quella materna per lo sviluppo della personalità del bambino.

Il docente nei primi anni della scuola ha, segnatamente con riferimento all'inserimento dei bambini nella sfera del sociale, compiti assai delicati ed impegnativi, e non si vede perché gli uomini debbano esserne esclusi.

Osserva ancora il giudice a quo che l'esigenza parificatrice in relazione all'accesso ai pubblici uffici é particolarmente avvertita nel campo degli studi e dell'insegnamento. L'esclusione dell'uno o dell'altro sesso "vizierebbe in radice la completezza delle tendenze di progresso, di innovazione e di aggiornamento spirituale, scientifico e formativo".

L'esclusiva presenza del personale docente femminile rischierebbe peraltro di fornire al bambino un'immagine deformata della realtà sociale; sarebbe inutile predicare l'eguaglianza, se poi essa appare ai bambini palesemente violata nella stessa composizione del corpo insegnante che dà vita alle prime e decisive esperienze scolastiche, e di formazione o sviluppo della personalità.

Del resto, lo stesso legislatore avrebbe, almeno in parte, preso atto della mutata realtà e delle surrichiamate esigenze. Il TAR ricorda in proposito la legge 9 febbraio 1963, n. 66, sull'accesso delle donne alle cariche, professioni e impieghi pubblici e la nota più recente legge n. 903 del 1977 sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro. Quest'ultima, all'art. 7, riconosce al padre lavoratore il diritto di assentarsi dal posto di lavoro e lo stesso trattamento economico previsto per la madre nel primo anno dopo il parto, nei casi di affidamento esclusivo della prole o di assenza alternativa della genitrice.

5. - Il Presidente del Consiglio, intervenuto nel presente giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, chiede la restituzione degli atti al giudice a quo. "Nel frattempo" - deduce l'Avvocatura - "é entrata in vigore la legge 9 dicembre 1977, n. 903", ai sensi della quale (cfr. art. 1) é vietata ogni discriminazione fra uomini e donne per l'accesso al lavoro e sono abrogate (cfr. art. 19) tutte le disposizioni legislative incompatibili.

Considerato in diritto

1. - Come si spiega in narrativa, la presente questione é sollevata dal Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, su ricorso di un candidato "privatista" all'abilitazione all'insegnamento nelle scuole del grado preparatorio, il quale deduceva di essere stato escluso dai relativi esami, riservati alle sole donne.

Il giudice a quo ritiene che la lamentata discriminazione discenda dall'inequivoco senso della normativa che egli censura, quale risulta dal R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 del T. U., come modificato dal R.D. 11 agosto 1933, n. 1286. D'altra parte, non vi sarebbero elementi logici che autorizzino l'interprete ad ampliare la sfera di applicabilità delle norme censurate, avendo il legislatore perseguito l'evidente intento di escludere i cittadini maschi dalla frequenza delle scuole magistrali, che servono a formare il corpo docente delle scuole materne, prima ancora che dall'insegnamento in queste ultime scuole. Posto ciò, il TAR delle Marche denunzia avanti la Corte "le norme che regolano la frequenza della scuola magistrale statale, l'ammissione ai relativi esami di abilitazione e l'attività didattica nella scuola statale del grado preparatorio: in particolare, gli artt. 39 e 41 R.D. 5 febbraio 1928, n. 577, modificato dal R.D. 11 agosto 1933, n. 1286, e dall'art. 1 della legge n. 470 del 1958, art. 6 dello stesso R.D. 11 agosto 1933, n. 1286, art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444: per la parte in cui escludono l'accesso a tali scuole degli alunni e, rispettivamente, degli insegnanti di sesso maschile".

2. - La dedotta disparità della disciplina, che discrimina secondo il sesso allievi, candidati agli esami di abilitazione ed insegnanti, offenderebbe, oltre al principio di eguaglianza, gli artt. 34 e 51 Cost. L'art. 34, si dice, ravvisa nell'istruzione l'intero patrimonio della collettività sociale e prescrive inderogabilmente che la scuola sia aperta a tutti, con la conseguenza che nessun tipo od ordine degli studi, e delle connesse attività didattiche, può essere precluso ai cittadini dell'uno o dell'altro sesso. Quanto all'art. 51, si soggiunge, esso dispone che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive secondo i requisiti stabiliti dalla legge. La definizione di tali requisiti andrebbe, però, pur sempre compiuta nel rispetto delle condizioni di eguaglianza previste nel contesto dello stesso art. 51 Cost. Il criterio di parità potrebbe quindi subire deroghe - sotto il riflesso in esame - nel solo caso in cui la differenza fra uomo e donna si "estrinsechi sul piano oggettivo" dell'"idoneità fisica" o della "compatibilità funzionale o attitudinale" dell'un sesso, invece ehe dell'altro, in relazione al caratteristieo contenuto dell'attività, che con l'accesso all'ufficio volta volta si connette. Ma ciò - ritiene il TAR - non accade nella specie. A suo avviso, infatti, non vi é base razionale per presumere che il cittadino maschio sia inadatto all'apprendimento delle nozioni impartite nella scuola magistrale, ovvero ai compiti educativi e didattici di chi debba insegnare nella scuola materna. L'ordinamento della materia, avverte al riguardo il giudice a quo, é passato da una prima fase - nella quale la scuola materna era in mano ai privati, ai comuni e agli enti morali, limitandosi lo Stato a controllarne l'attività e a curare la formazione del corpo insegnante - ad un'altra, in cui é stato definito il carattere dell'istruzione del grado preparatorio, e la gestione di tale scuola é divenuta una diretta finalità statuale. Anche in quest'ultimo stadio, però, il sistema della legislazione rimarrebbe ancorato alla visione, riduttiva e ormai superata dalla scienza pedagogica, di un istituto volto a supplire la famiglia e ad accentuare il ruolo della donna quale unica responsabile dell'educazione infantile. Come dimostrerebbero le più avanzate indagini scientifiche, questo primo grado dell'istruzione serve invece ad inserire il bambino nella società offrendogli un ambiente nuovo e diverso rispetto alla cerchia familiare. Pur quando, poi, la scuola fosse qui considerata come mera proiezione della famiglia, l'insegnante dovrebbe poter rispecchiare anche la figura del padre, importante per l'educazione dei figli quanto quella materna. Questo tipo di scuola esigerebbe, in conclusione, quella compiutezza e pluralità di esperienze e di orientamenti, che può essere solo assicurata da docenti di ambo i sessi. Il giudice a quo osserva che, del resto, depone in tal senso la generale tendenza della legislazione, negli ultimi anni sempre più largamente ispirata ai precetti degli artt. 3 e 51 Cost.; ed in proposito ricorda il disposto della legge 9 dicembre del 1977 n. 903 ("Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro"), che, all'art. 1, vieta "qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro". Analoga preoccupazione, "per evidenti ragioni storico- sociali", non avrebbe tuttavia ispirato il legislatore con riguardo al caso di specie.

3. - L'Avvocatura dello Stato, va preliminarmente osservato, chiede alla Corte, in considerazione del testé richiamato art. 1 della legge n. 903 del 1977, e dell'art. 19 della stessa legge, che dichiara abrogate tutte le disposizioni incompatibili, di rimettere gli atti del giudizio al giudice a quo, perché riesamini la questione in relazione a detto ius superveniens. L'istanza non può essere accolta. Come si é or ora visto, il TAR delle Marche ha già tenuto conto della statuizione in discorso, e ne ha peraltro ritenuto l'inapplicabilità alla specie. Questa conclusione va condivisa, dal momento che la legge n. 903 del 1977 non abbraccia retroattivamente - né all'art. 1, né all'art. 19 - il caso da cui trae origine il presente giudizio.

Detto ciò, giova alla corretta indagine della questione stabilire, prima di tutto, quale normativa sia dedotta in controversia. Il giudice a quo ha denunziato l'intero complesso delle norme che regolano la frequenza della scuola magistrale, l'ammissione ai relativi esami di abilitazione e l'attività didattica nella scuola del grado preparatorio, per poi censurare, "in particolare", le singole disposizioni, sopra indicate al n. 1. Ora, é chiaro che l'indagine rimessa alla Corte deve ritenersi limitata a queste ultime statuizioni, che nell'ordinanza di rimessione sono puntualmente individuate. Rispetto alle altre, attratte in blocco nella censura, difettano gli estremi della rilevante e rituale identificazione delle norme, che possono costituire oggetto del presente giudizio di costituzionalità. Va peraltro osservato che, a rigor di termini, la sola norma della quale il giudice a quo é chiamato a fare immediata applicazione é quella che, nella specie, vieta l'ammissione dei candidati di sesso maschile agli esami di abilitazione all'insegnamento nelle scuole del grado preparatorio (art. 6 del T. U. del 1933). Senonché questa e le altre singole disposizioni censurate (artt. 39 e 41 R.D. n. 577 del 1928 e successive modificazioni; art. 1 legge 3 aprile 1958, n. 470; art. 9 legge n. 444 del 1968), risultano, nella prospettiva in cui é posta la questione, strette da un nesso logico necessario, che giustifica la loro congiunta denuncia in questa sede. Viene invero dedotto che l'esclusione dei "privatisti" di sesso maschile dagli esami di abilitazione é stata disposta, precisamente ed esclusivamente, in ragione delle altre norme discriminatrici, le quali riservano alle donne prima la frequenza della scuola magistrale, poi l'insegnamento nella scuola materna. Detti esami di abilitazione hanno luogo alla fine (del ciclo triennale) dell'una scuola, e servono al conseguimento del titolo, che abilita all'attività didattica nell'altra. Si tratta allora, in definitiva, di sindacare il criterio discretivo, sul quale sono ordinate a sistema le disposizioni che impediscono l'accesso dei cittadini maschi al corpo insegnante della scuola materna. La questione é fondata, per le considerazioni di seguito svolte.

4. - Ingiustificata, in primo luogo, é l'esclusione degli allievi maschi dalla frequenza delle scuole magistrali, giacché non può certo presumersi che alcun discente sia, in funzione del sesso, inidoneo all'ordine o al tipo di studi qui considerato. La norma che determina la censurata discriminazione confligge dunque con il principio di eguaglianza, prima ancora che con il precetto dell'art. 34 Cost., in forza del quale "la scuola é aperta a tutti". Lesiva dell'art. 3 Cost. é poi, a pari titolo, la statuizione che si riferisce alle sole privatiste, e così esclude implicitamente dagli esami di abilitazione i candidati dell'altro sesso. Essa non trae, va precisato, alcun razionale supporto nemmeno dall'essere, come si diceva, intimamente connessa con l'altra norma, che per la scuola materna contempla soltanto insegnanti donne. Anche la soluzione adottata a quest'ultimo proposito dal legislatore é, infatti, incompatibile col principio di eguaglianza.

5.- Quanto si é or ora affermato risulta chiaro, solo che si consideri come l'istruzione del grado preparatorio sia collocata nel quadro della scuola statale. Il fatto che essa sia vocata ad operare in una sfera, nella quale possono riflettersi altri valori costituzionalmente garantiti, diversi da quelli che ineriscono alla scuola - quali, per esempio, la famiglia e il diritto-dovere dei genitori di educare ed istruire i figli (art. 30, primo comma, Cost.), o la tutela dell'infanzia (art. 31, secondo comma, Cost.) - nulla toglie alla sua funzione educativa e formatrice: semmai, ne rischiara l'importanza, del resto attestata dalla lunga esperienza che anche all'estero si é fatta di scuole analoghe alla materna (Ecole maternelle francese, Kindergarten statunitense, Nursery o Infant School britannica), e dal costante interesse della scienza pedagogica ai problemi della corrispondente fascia dell'età infantile. Ai sensi della legge n. 444 del 1968, che ne ha configurato l'assetto, la scuola materna statale "accoglie i bambini nell'età pre-scolastica dai 3 ai 6 anni e si propone fini di educazione e di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione della scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia". Gli orientamenti dell'attività educativa, adottati con decreto del Presidente della Repubblica (10 settembre 1969, n. 647) in conformità ed attuazione dell'art. 2 della stessa legge, stabiliscono che l'insegnante promuove e dirige con libertà di metodo lo sviluppo della personalità del bambino nelle molteplici sfere dell'educazione (religiosa, affettiva, morale e sociale, intellettuale, fisica e sanitaria), nel gioco, nell'attività costruttiva e di vita pratica, e nell'espressione grafico - pittorica e plastica. Il modello di scuola ivi disegnato deve inoltre rispondere agli odierni bisogni della collettività. Non occorre indagare le basi scientifiche di queste prescrizioni, perché si veda che nulla impedisce di affidare i risultati prefigurati dal legislatore anche all'opera degli insegnanti maschi: una volta, beninteso, che questi siano provvisti della preparazione specialistica e della esperienza professionale, prescritte per il conseguimento del relativo titolo abilitante. La presenza di una componente maschile nel corpo insegnante può anzi arricchire la scuola materna del contributo di più varie risorse educative e di una maggiore apertura di tutta l'attività didattica alla realtà sociale.

6. - A ciò si aggiunge che lo stesso legislatore ha con altre e più recenti norme disatteso qualsiasi presunzione, la quale valga nella specie a giustificare - in punto di requisiti attitudinali - l'esclusione dei cittadini maschi dall'istruzione e dall'insegnamento. Cade qui opportuno ricordare la legge n. 903 del 1977. Si é già avvertito che le sue previsioni non toccano il caso in esame (v. sopra, n. 3). Non vi é dubbio, tuttavia, che, sul piano temporale in cui spiegano effetto, esse siano venute ad adeguare l'assetto dei rapporti di lavoro alla parità di trattamento fra uomo e donna: e questo criterio, sancito in via generale, esclude secondo dottrina e giurisprudenza anche le ingiustificate disparità di disciplina, che operino ai danni del lavoratore maschio.

Così, appunto, é stata intesa, nell'ambito che qui interessa, dall'amministrazione la disciplina a detta legge sopravvenuta. La legge 9 agosto 1978, n. 463, che reca tra l'altro "misure per l'immissione in ruolo del personale precario nelle scuole materne", dispone, all'art. 10, settimo comma: "gli insegnanti elementari iscritti nelle graduatorie provinciali permanenti possono chiedere" - nei limiti dei posti vacanti e disponibili, e per ciascuno degli anni ivi indicati - "di essere nominati nel ruolo degli insegnanti delle scuole materne statali della provincia". Tale disposizione é stata applicata agli insegnanti di ambo i sessi (cfr. circolari nn. 191 dell'8 agosto 1978 e 273 del 10 novembre 1979 del Ministero della Pubblica Istruzione - Servizio per la scuola materna), nell'evidente presupposto che sia caduta la preclusione prima prevista nei confronti del personale maschile. Lo stesso può dirsi di quanto attualmente dispongono le ordinanze del Ministro per la Pubblica Istruzione, che del settore scolastico in considerazione si occupano sotto vario riguardo: trasferimenti, passaggi di ruolo ed assegnazioni provvisorie di sede degli insegnanti di scuola materna statale (per l'anno scolastico 1983-84: n. 64, prot. n. 1531 del 24 febbraio 1983); scrutini finali ed esami di idoneità integrativi e di abilitazione nella scuola magistrale: 18 febbraio 1983 (cfr. spec., riguardo ai privatisti, il paragrafo 11); nomina degli insegnanti non di ruolo nelle scuole materne statali (per gli anni scolastici 1982-83, 1983-84: n. 134, prot. n. 3485 del 4 maggio 1982); concorsi ordinari per esami e titoli per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento nella scuola materna, nonché per l'accesso ai ruoli provinciali del personale docente della scuola materna statale (n. 272, prot. n. 5947 del 3 settembre 1982); concorsi ordinari per esami e titoli a posti di insegnante di ruolo di scuola materna statale (n. 272, prot. n. 12045, del 10 novembre 1979; n. 97, prot. n. 4835, del 12 aprile 1976). In tutti questi provvedimenti ministeriali il sesso femminile non figura fra i requisiti stabiliti ai fini dell'attività didattica, o dell'ammissione a concorsi od esami. Ai cittadini maschi é, dunque, ora consentito di frequentare le scuole magistrali e di insegnare nelle scuole materne statali. Il successivo adeguamento della legislazione e della prassi amministrativa al criterio della parità dei sessi avvalora, in conclusione, il risultato sopra raggiunto: le statuizioni discriminatrici oggetto del presente giudizio sono prive di effettiva giustificazione.

7. - Le osservazioni che precedono impongono altresì di dichiarare, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale degli artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20, 28 della citata legge n. 444 del 1968, per la parte in cui si riferiscono alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi. Sempre in via conseguenziale, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni particolari, contenute nell'art. 9 della citata legge n.463 del 1978, sul funzionamento delle scuole materne statali, nella parte in cui il termine "insegnanti" é ivi adoperato esclusivamente al femminile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 39 del R. D. 5 febbraio 1928, n. 577, e dell'art. 41 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1 del R.D. 11 agosto 1933, n. 1286 e dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470; dell'art. 6 del citato R.D. n. 1286 del 1933; dell'art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444 ("Ordinamento della scuola materna statale"), nella parte in cui tali disposizioni escludono gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attività didattica della scuola statale del grado preparatorio;

b) dichiara, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale degli artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20, 28 della citata legge n. 444 del 1968; nonché dell'art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463 ("Modifica dei criteri di determinazione degli organici e delle procedure per il conferimento degli incarichi del personale docente e non docente; misure per l'immissione in ruolo del personale precario nelle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche, nonché nuove norme relative al reclutamento del personale docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado"), nella parte in cui tali disposizioni si riferiscono alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 1983.

Leopoldo ELIA – Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

         Depositata in cancelleria il 16 giugno 1983.