Sentenza n. 196 del 1982
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 196

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente 

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario) promossi con le ordinanze emesse dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Rovereto il 26 novembre 1974, dalla Commissione tributaria di l grado di Avezzano il 12 febbraio 1976, dalla Commissione Tributaria di 2 grado di Ravenna il 3 dicembre 1975 (dieci ordinanze), dalla Commissione tributaria di 2 grado di Lucca il 15 maggio 1976, dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Bolzano il 29 aprile 1976, dalla Commissione Tributaria di 20 grado di Udine il 22 maggio 1976, dalla Commissione Tributaria di 2 grado di Salerno il 15 marzo 1976, dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Lucera il 21 febbraio 1975, dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Verbania il 26 novembre 1975, dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Terni il 16 novembre 1977, dalla Commissione Tributaria di 1 grado di Pesaro il l9 gennaio 1978, dalla Commissione Tributaria di 2 grado di Lucca il 28 novembre 1978 e dalla Commissione Tributaria di Alessandria il 3 febbraio l979, rispettivamente iscritte al n. 337 del registro ordinanze 1975, ai nn. 351, da 367 a 376, 561, 608, 609, 647 e 656 del registro ordinanze 1976, ai nn. 15 e 184 del registro ordinanze 1977, ai nn. 297 e 391 del registro ordinanze 1978 ed ai nn. 274 e 355 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 1975, nn. 158, 260, 300, 321, e 333 del 1976, nn. 51 e 148 del 1977, nn. 250 e 300 del 1978 e nn. 168 e 182 del 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1982 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

uditi gli avvocati dello Stato Giuseppe Angelini Rota e Giovanni Albisinni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con dieci ordinanze emesse il 3 dicembre 1975, la Commissione tributaria di 2 grado di Ravenna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'intero decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636 ("Revisione della disciplina del contenzioso tributario") per contrasto con l'art. 102, secondo comma, e con la VI disposizione transitoria, e con l'art. 24 della Costituzione; degli artt. 25, 26 e 40 dello stesso d.P.R. n. 636/1972, per quanto attiene "al rapporto fra le Commissioni ed il giudice ordinario con particolare riferimento all'impugnabilità delle decisioni delle Commissioni di 2 grado", per difformità del decreto delegato rispetto ai principi e criteri direttivi fissati dalla legge di delegazione e quindi con l'art. 76 Cost. in relazione all'art. 10, n. 14 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nonché per contrasto con gli artt. 111, 3 e 24 della Costituzione; degli artt. 2, 3 e 9 dello stesso d.P.R. n. 636/1972, quanto alla scelta dei componenti ed alla formazione delle Commissioni, per contrasto con l'art. 108 della Costituzione; degli artt. 35 e 39 di detto d.P.R., quanto all'istruzione probatoria davanti alle Commissioni, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La prima questione investe la qualifica da attribuire alle commissioni istituite dal d.P.R. n. 636/1972: se, infatti, si trattasse di organi amministrativi, sorgerebbe contrasto con l'art. 24, primo comma, Cost. in quanto il contribuente sarebbe obbligato ad adire le commissioni di 1 e 2 grado prima di scegliere tra il ricorso alla Commissione centrale o alla Corte di appello e, nel caso di decisione della Commissione centrale, di proporre ricorso in Cassazione. Nel caso invece che le commissioni fossero organi giurisdizionali potrebbe ravvisarsi contrasto con le norme della Costituzione che vietano la creazione di nuovi organi giurisdizionali speciali.

Parimenti sarebbe non conforme a Costituzione il sistema d'impugnazione delle decisioni delle Commissioni di 2 grado, in quanto l'esclusione dell'impugnativa dinanzi alla Cassazione delle questioni relative a semplice valutazione estimativa prevista dall'art. 40, contrasterebbe con l'art. 111; inoltre la previsione della possibilità di adire la Corte d'appello solo dopo decorso il termine per ricorrere alla Commissione centrale, contrasterebbe con l'art. 10, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 nonché, tenendo conto sia dei mezzi di acquisizione delle prove nell'una e nell'altra sede, sia della composizione della Commissione centrale, con l'art. 24 della Costituzione.

La composizione delle commissioni tributarie, sarebbe, a sua volta, in contrasto con l'art. 108 Cost. per poter essere le commissioni di 1 e 2 grado presiedute anche da Intendenti di finanza o da Intendenti aggiunti di finanza a riposo e composte, quanto a metà dei componenti da persone designate da province e comuni i quali hanno un loro diretto interesse dato che sono destinatari di una aliquota del gettito tributario e, quanto all'altra metà dei componenti, eventualmente sulla base di elenchi formati dall'Amministrazione finanziaria e, pertanto, da persone strettamente collegate ad una delle parti del procedimento tributario.

Si é costituito davanti a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l'irrilevanza di alcune questioni e comunque l'infondatezza di tutte.

In particolare, in relazione alla prima questione, nelle deduzioni depositate si rileva che la natura giurisdizionale delle commissioni, pure secondo il precedente ordinamento, non sembra ormai potersi revocare in dubbio, dopo che questa Corte con la sentenza del 27 dicembre 1974, n. 287, si é espressamente pronunciata al riguardo, sicché la dedotta violazione dell'art. 24 della Costituzione non sussiste, così come prospettata in relazione alla natura amministrativa delle commissioni tributarie.

Ma anche il dedotto contrasto con l'art. 102 Cost. non sussiste, avendo la Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 287 del 1974, già dimostrato il contrario.

Quanto alle altre questioni se ne deduce l'irrilevanza nel giudizio a quo, riferendosi a norme in esso non applicabili. Quanto al merito, circa le censure relative alla composizione delle commissioni tributarie, nelle note depositate si osserva che il requisito dell'indipendenza, per i giudici speciali, non deve necessariamente valutarsi con lo stesso metro previsto per i giudici ordinari, giacché "la sua regolamentazione propone problemi diversi... e non consente uniformità, dovendo adeguarsi alla varietà di giurisdizione" (Sent. n. 108/1962).

E poiché la specialità della giurisdizione tributaria trova giustificazione anche nell'esigenza che la decisione delle liti sia affidata a persone particolarmente qualificate nello specifico settore, le norme relative alla indicazione delle categorie, nelle quali deve essere operata la scelta dei componenti delle commissioni, si presentano aderenti ai principi costituzionali.

Il principio dell'indipendenza, inoltre, opera sul piano dell'esercizio della funzione giurisdizionale, la quale deve potersi svolgere senza vincoli di dipendenza rispetto alla autorità che delibera la nomina. E tale indipendenza, nella specie, é in concreto assicurata sia con la previsione della nomina a tempo indeterminato (art. 10), sia con un'ampia indicazione dei casi di incompatibilità (art. 5), espressamente estesi a tutti coloro che, come amministratori o funzionari siano interessati alle vicende degli accertamenti tributari (art. 5, lettere d, e, g, i), sia, infine, con l'attribuzione del potere di nomina ad organi estranei all'Amministrazione finanziaria (artt. 2, 3 e 9) rispetto alla quale, quindi, non si vede in qual modo i nominati potrebbero sentirsi vincolati, così da indursi a non compiere correttamente il dovere proprio di ogni giudice, ribadito dall'art. 10 del decreto delegato in esame, di indirizzare la propria funzione "unicamente alla applicazione della legge in base all'obiettivo apprezzamento degli elementi di giudizio, esclusa ogni considerazione di interessi territoriali, di categoria o di parte ".

Le stesse considerazioni valgono anche per quanto concerne la previsione della nomina di membri delle commissioni di 1 e di 2 grado tra persone indicate in elenchi forniti dalle province, dai comuni e dall'Amministrazione finanziaria.

Con altra ordinanza emessa il 26 novembre 1974, la Commissione tributaria di 1 grado di Rovereto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76, 77, 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 35 e 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nelle parti in cui non consentono di disporre consulenze tecniche d'ufficio, non prevedono la partecipazione degli interessati alle operazioni peritali degli organi tecnici dello Stato disposte dalle Commissioni tributarie, non prevedono il rimborso del costo degli accessi per i membri di dette Commissioni ed escludono la ripetibilità delle spese processuali da parte del contribuente nei confronti dell'Amministrazione soccombente.

Si é costituito davanti a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo che non sussiste violazione degli artt. 76 e 77 Cost. in relazione ai principi fissati dalla legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, in quanto il divieto di disporre consulenze tecniche non incide sull'autonomia e l'indipendenza delle Commissioni tributarie.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, é in armonia con detti principi la possibilità attribuita alle Commissioni tributarie dall'art. 35, comma secondo, di chiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'Amministrazione dello Stato, possibilità che é correlata alla facoltà spettante al contribuente, a norma dello stesso secondo comma dell'art. 35, di presentare una relazione sottoscritta da professionista o da esperto, cosicché il giudice tributario può valutare imparzialmente le relazioni tecniche nel contraddittorio fra le parti.

Per le stesse ragioni non sussisterebbe la denunciata violazione, in relazione alla mancata possibilità di disporre consulenze tecniche, degli artt. 3 e 24 della Costituzione, perché tale mancata possibilità non determina una disparità di trattamento, in considerazione anche di una necessaria differenziazione del processo tributario innanzi alle Commissioni rispetto all'ordinario processo civile né determina una violazione dei diritti di difesa.

Gli indicati artt. 3 e 24 della Costituzione non appaiono nemmeno violati - secondo l'Avvocatura - per la ritenuta impossibilità, in punto di fatto, per le Commissioni tributarie, di compiere accessi, non essendo sufficiente, ad escludere l'esercizio del potere, espressamente attribuito alle Commissioni dall'art. 35, primo comma, del testo normativo in discussione, di effettuare tali accessi, la mancata previsione dei mezzi atti a far fronte alle spese occorrenti per le dette indagini ispettive.

Né, infine, i principi posti negli artt. 3 e 24 della Costituzione sarebbero violati in conseguenza della esclusione, ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. n. 636/1972, della applicazione, per il processo tributario innanzi alle Commissioni, degli artt. da 90 a 97 cod. proc. civ., relativi alla responsabilità delle parti per spese e danni processuali.

Tale esclusione sarebbe infatti giustificata dalla particolare natura e struttura del processo tributario, nel quale, fra l'altro, sia per la maggiore semplicità di forme, sia perché non vi trova applicazione il rigido criterio dell'onere della prova, i contribuenti sono posti in grado di agire senza la necessità di assistenza di tecnici del diritto.

L'Avvocatura dello Stato ha concluso, pertanto, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

Con altra ordinanza, emessa il 21 febbraio 1975, la Commissione tributaria di 1 grado di Lucera, ritenuto di dover disporre un accertamento tecnico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 108 della Costituzione, dello stesso art. 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in quanto tale norma, limitando per le Commissioni tributarie la facoltà di scelta dei propri ausiliari tecnici "nell'ambito dell'Amministrazione dello Stato che é parte nel procedimento tributario", violerebbe il principio dell'indipendenza del giudice.

Si é costituito dinanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Con ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 anche la Commissione tributaria di 1 grado di Avezzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, in quanto non prevedono la possibilità di nominare consulenti tecnici fra quelli iscritti negli appositi albi, non prevedono il contraddittorio e la partecipazione del contribuente alle operazioni peritali.

Il Presidente del Consiglio dei ministri si é costituito davanti a questa Corte anche in tale giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata per le stesse ragioni esposte negli altri giudizi analoghi, sopra riportate.

Questioni in parte analoghe alle precedenti sono state sollevate dalla Commissione tributaria di 2 grado di Udine con ordinanza 22 maggio 1976, con la quale é stata dedotta la illegittimità costituzionale degli artt. 12, 35 e 39 del d.P.R. n. 636/1972, in riferimento agli artt. 24, 36, 97, 101, 108 e 113 della Costituzione. In tale ordinanza si deduce che il sistema retributivo dei membri delle Commissioni, determina un conflitto d'interessi tra la parte e le persone dei componenti la Commissione ed é in contrasto con l'art. 36 della Costituzione e con l'art. 97 in quanto non tiene in conto l'attività effettivamente prestata dai giudici per la decisione della causa.

Tale normativa, secondo l'ordinanza della detta Commissione tributaria di 2 grado di Udine, contrasterebbe anche con gli artt. 113, 101, secondo comma, e 108, primo comma, della Costituzione, "nella parte in cui dispone che i compensi dei componenti le Commissioni siano determinati da una delle parti, anziché dal legislatore, ed in maniera indipendente dal lavoro effettivamente prestato ed, in particolare, nella parte in cui, trattandosi di attività assimilabile ad attività professionale, non stabilisce che la Commissione provvede a liquidare il compenso in base a tariffa, a simiglianza dei notai ed, in attesa di apposita normazione da parte del legislatore, in base alla tabella per questi in vigore, applicata per analogia".

Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi, ha chiesto che anche tale questione sia dichiarata non fondata. Altra questione analoga alla precedente é stata sollevata dalla Commissione tributaria di 1 grado di Verbania, con ordinanza emessa il 26 novembre 1975 nella quale é stata dedotta, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.

Questioni simili alle precedenti sono state sollevate pure dalla Commissione tributaria di 2 grado di Salerno, con ordinanza emessa il 15 maggio 1976; dalla Commissione tributaria di 1 grado di Bolzano, con due ordinanze emesse il 29 aprile 1976; dalla Commissione tributaria di 2 grado di Lucca, con ordinanza emessa il 15 maggio 1976; dalla Commissione tributaria di 1 grado di Terni con ordinanza emessa il 16 novembre 1977; dalla Commissione tributaria di 1 grado di Pesaro con ordinanza emessa il 18 gennaio 1978, dalla Commissione tributaria di 2 grado di Lucca con ordinanza emessa il 28 novembre 1978; dalla Commissione tributaria di 2 grado di Alessandria con ordinanza emessa il 3 febbraio 1979.

Anche nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con tali ordinanze si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe hanno tutte ad oggetto la disciplina del contenzioso tributario di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ("Nuova disciplina del contenzioso tributario") e sollevano questioni in gran parte identiche: i relativi giudizi, pertanto, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La prima delle questioni predette, sollevata dalla Commissione tributaria di 2 grado di Ravenna con dieci ordinanze del tutto identiche (nn. 367 a 376 r.o. 1976) ha ad oggetto ancora una volta la natura giuridica delle commissioni tributarie prevedute dal citato d.P.R. n. 636/1972.

Assume la commissione tributaria predetta che se tali commissioni hanno natura di organi amministrativi si avrebbe violazione dell'art. 24 primo comma, Cost., in quanto il contribuente é obbligato ad esperire un ricorso amministrativo prima di scegliere fra il ricorso alla commissione tributaria centrale o alla Corte d'appello; se, invece, le stesse commissioni hanno natura giurisdizionale si avrebbe violazione dell'art. 102, secondo comma, e della disposizione VI transitoria Cost.

Questa Corte ha già avuto occasione di occuparsi del problema concernente la natura giuridica delle commissioni tributarie previste dal d.P.R. n. 636/1972 e con la sentenza n. 287 del 1974 ha affermato la loro natura giurisdizionale. Con la successiva sentenza n. 215 del 1976 questa medesima Corte ha escluso che la istituzione delle nuove commissioni tributarie comporti violazione dell'art. 102, secondo comma, e della disposizione VI transitoria della Costituzione.

Le ordinanze in epigrafe non aggiungono nulla a quanto questa Corte ebbe ad esporre in ordine ai problemi predetti: ne consegue che le questioni sollevate con le ripetute ordinanze vanno dichiarate manifestamente infondate.

3. - Una seconda questione di legittimità costituzionale (sollevata dalle stesse ordinanze della commissione tributaria di 2 grado di Ravenna di cui si é fatto cenno) concerne in particolare gli artt. 25, 26 e 40 del d.P.R. n. 636/1972, i quali, ad avviso di detta commissione, potrebbero violare gli artt. 3, 24 e 111 Cost. ed il principio contenuto nell'art. 10, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 ("Delega al Governo per la riforma tributaria"), sia in quanto sarebbe escluso il ricorso diretto alla Corte di cassazione contro le pronunce emesse dalle commissioni tributarie di 2 grado per le questioni di estimazione semplice sia in quanto il citato n. 14 dell'art. 10, non avrebbe potuto avere l'intendimento di imporre ai soggetti interessati la possibilità di avvalersi del mezzo di "difesa più ampia" (il ricorso per cassazione) solo a seguito dell'esercizio di un mezzo più ristretto.

La questione é palesemente irrilevante nei giudizi pendenti dinanzi al giudice a quo: le norme denunciate hanno ad oggetto la disciplina delle impugnazioni delle pronunce emesse dalle commissioni tributarie di 2 grado e, quindi, toccando una fase processuale logicamente e temporalmente successiva oltre che eventuale, non possono in alcun modo incidere sul giudizio che deve essere emesso dalle stesse commissioni di 2 grado.

4. - Una terza questione di legittimità costituzionale (sollevata sempre dalle citate ordinanze della commissione tributaria di 2 grado di Ravenna) tocca la composizione delle commissioni tributarie ed investe gli artt. 2, 3 e 9 del d.P.R. n. 636/1972.

Essa si articola in due profili, il primo dei quali attiene alla composizione della commissione tributaria centrale (art. 9, cit. d.P.R. n. 636). Ma sotto questo aspetto la questione é anch'essa palesemente irrilevante, perché, come la questione di cui al n. 3, investe una fase del giudizio successivo a quella che si svolge dinanzi alle commissioni di 2 grado.

Non altrettanto, invece, é da dire per il secondo profilo che ha ad oggetto la composizione delle commissioni tributarie di 1 e 2 grado, e cioè gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 636: queste disposizioni, ad avviso del giudice a quo, sarebbero in contrasto con l'art. 108, secondo comma, Cost., in base al quale "la legge assicura la indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali... e degli estranei che partecipano alla amministrazione della giustizia".

La violazione del principio di indipendenza consisterebbe nel fatto che le commissioni tributarie di 1 e 2 grado sarebbero presiedute dagli intendenti di finanza e composte per una metà da persone scelte fra quelle designate dalle Province e dai Comuni e per l'altra metà da persone scelte in elenchi formati dagli intendenti di finanza: pertanto da un lato una parte dei giudici viene designata da enti pubblici (Comuni e Province) che sono interessati alla materia, in quanto destinatari di aliquote di imposte, e dall'altra si avrebbe uno stretto collegamento fra il potere esecutivo, che é parte nel procedimento, e l'organo giudicante, il quale non si troverebbe in posizione di neutralità.

Per questo aspetto la questione non é fondata.

La giurisprudenza di questa Corte, nelle numerose occasioni nelle quali ha avuto modo di occuparsi della indipendenza dei giudici speciali, ha affermato che la indipendenza stessa va cercata piuttosto nei modi con i quali si svolge la funzione che non in quelli concernenti la nomina dei membri (sentenza n. 1/1967) e che per aversi la indipendenza dell'organo occorre che questo sia immune da vincoli i quali comportino una soggezione formale o sostanziale da altri, che vi sia inamovibilità e possibilità di sottrarsi alle risultanze emergenti dagli atti di ufficio della stessa Amministrazione (sentenze nn. 121/1970 e 128/1974).

Si é poi anche affermato, a proposito degli estranei alle magistrature che appartengano a sezioni specializzate, che essi ben possono essere voci di determinate esigenze locali, purché, una volta assunti alla carica e chiamati a riflettere sugli interessi generali del settore risultino sottratti a situazioni di soggezione verso l'ente di provenienza, sì da consentire la obiettiva applicazione della legge (sentenza n. 108/1962).

Infine si é detto ancora (sentenza n. 103/1964) che non é incostituzionale la norma la quale affida la scelta dei componenti le commissioni tributarie delle quali si trattava ad un organo amministrativo (nella specie l'intendente di finanza) su designazione del comune, dato che il primo aveva facoltà di scelta nell'ambito delle designazioni.

Ciò premesso occorre ora vedere il complesso delle disposizioni contenute a tale riguardo nel d.P.R. n. 636, disposizioni che il giudice a quo non sempre cita esattamente.

A norma dell'art. 2, quarto comma, presidenti sia delle commissioni di 1 grado sia delle loro sezioni possono essere soltanto magistrati, ordinari od amministrativi, in servizio od a riposo, od anche intendenti di finanza: ma questi ultimi devono essere stati già collocati a riposo, sicché non sono in rapporto di servizio con l'Amministrazione statale.

Quanto ai componenti le commissioni di 1 grado, una metà di essi (quinto comma del cit. art. 2) é scelta fra persone designate dai consigli comunali dei comuni compresi nella circoscrizione; l'altra metà (sesto comma) é scelta "anche" (e cioé non esclusivamente) in base ad elenchi formati dalla amministrazione finanziaria: al presidente del tribunale é data facoltà (sempre sesto comma) di chiedere elenchi ad altri organismi pubblici (camere di commercio, industria, agricoltura ed artigianato; consigli degli ordini professionali degli avvocati, degli ingegneri, dei dottori commercialisti e dei ragionieri).

In ogni caso si tratta di mere designazioni, poiché il settimo comma del ripetuto art. 2 affida ad un magistrato, e cioè al presidente del tribunale, la scelta delle persone che in concreto comporranno le commissioni.

Infine, in base allo stesso settimo comma, alla nomina provvede "in conformità" il Ministro per le finanze, al quale, come é evidente, non é lasciata alcuna discrezionalità nella scelta delle persone, dovendo egli attenersi strettamente alle designazioni formulate dal presidente del tribunale.

Analogamente dispone l'art. 3 per quel che riguarda la composizione delle commissioni di 2 grado, sostituendo peraltro, il consiglio provinciale al consiglio comunale per la designazione di una metà dei componenti ed il presidente della Corte d'appello al presidente del tribunale per la designazione al Ministro.

Premesse queste disposizioni, lo stesso d.P.R. n. 636 all'art. 10 stabilisce che i componenti le commissioni in questione "hanno tutti identica funzione, indirizzata unicamente alla applicazione della legge... esclusa ogni considerazione di interessi territoriali, di categoria o di parte".

I componenti rimangono in carica a tempo indeterminato e cessano da essa solo al compimento del 75 anno di età ovvero per decadenza nei casi espressamente stabiliti dalla legge (commi secondo e terzo dell'art. 10).

L'art. 39, infine, dichiara applicabili alle commissioni tributarie tutte le disposizioni del libro I del c.p.c. con esclusione soltanto di alcuni articoli (che qui non interessano) ma comprese le norme relative alla astensione e ricusazione.

Ciò posto, ritiene la Corte che i dubbi di costituzionalità sollevati dal giudice a quo siano inconsistenti.

Ed invero non può parlarsi di uno stretto collegamento fra la P.A., parte nel giudizio o comunque a questo interessata, perché, se in tal modo si vuole fare riferimento al sistema di nomina, é evidente che la procedura si incentra tutta nella scelta del presidente del tribunale o del presidente della Corte d'appello, che hanno ampia facoltà di selezione, possono (almeno in parte) prescindere dalle designazioni di altri organi o soggetti e vincolano in modo rigoroso la successiva attività del Ministro. Il decreto del Ministro per le finanze, del resto, é necessario soltanto per quel che attiene agli effetti amministrativi della nomina, così come avviene anche per la magistratura ordinaria, ove le deliberazioni del C.S.M. devono sempre essere trasfuse in un provvedimento amministrativo del Capo dello Stato o del Ministro di grazia e giustizia.

Né può dirsi che una parte delle designazioni viene effettuata da enti pubblici (comuni e province) che sono interessati all'accrescimento del gettito delle imposte: un interesse del genere é ampio e generico e certamente non si riconnette in alcun modo con le singole controversie che i collegi devono risolvere. Né va taciuto che soltanto una parte dei componenti viene designata dai predetti enti territoriali, che la designazione viene poi filtrata attraverso la scelta del capo della magistratura locale, che l'art. 10 del d.P.R. impone di prescindere, nel giudizio, da ogni considerazione di interessi territoriali o di categoria; che, infine, il componente avrebbe obbligo di astenersi (e potrebbe essere ricusato) ove venisse a trovarsi nelle condizioni di cui agli artt. 51 e 52 c.p.c.

5. - Una quarta questione di legittimità costituzionale é stata sollevata ancora dalle citate ordinanze della commissione tributaria di 2 grado di Ravenna nonché dalle ordinanze delle commissioni di 1 grado di Rovereto (n. 337/1975), di 1 grado di Lucera (n. 15/1977), di 1 grado di Terni (n. 297/1978), di 1 grado di Avezzano (n. 351/1976), di 2 grado di Salerno (n. 656/1976), di 1 grado di Bolzano (nn. 608-609/ 1976), di 2 grado di Udine (n. 647/1976), di 2 grado di Lucca (n. 561/1976 e n. 274/1979).

Tale questione investe gli artt. 35, secondo comma, e 39, primo comma, del d.P.R. n. 636/1972, in pretesa violazione degli artt. 3, 24, 76, 77, 97 e 108 Cost., in quanto attribuiscono alle commissioni tributarie il potere-dovere di acquisire elementi conoscitivi tecnici soltanto attraverso relazioni di organi tecnici dell'Amministrazione dello Stato, escludendo la consulenza tecnica a mezzo di periti nominati ad hoc ed escludendo altresì la partecipazione dei difensori del contribuente nel corso delle indagini svolte dagli organi tecnici dello Stato.

Successivamente alle ordinanze di rimessione, l'art. 23 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 ("Norme integrative e correttive del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, concernente la revisione del contenzioso tributario") ha dato una diversa disciplina tanto alla acquisizione di ufficio da parte delle commissioni tributarie dei necessari elementi conoscitivi tecnici (di cui tratta in particolare l'art. 35) quanto alla possibilità di nomina di un consulente tecnico (di cui si occupava l'art. 39 del d.P.R. n. 636/1972).

Conseguentemente, si ravvisa la necessità di disporre la restituzione degli atti alle commissioni tributarie sopraindicate, perché accertino se, ed in qual misura, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

6. - La quinta delle questioni sottoposte all'esame della Corte é stata sollevata dalla commissione tributaria di 1 grado di Rovereto (n. 337/1975), dalla commissione tributaria di 1 grado di Avezzano (n. 351/1976), dalla commissione tributaria di 2 grado di Udine (n. 647/1976), dalla commissione tributaria di 1 grado di Pesaro (n. 391/1978), dalla commissione tributaria di 2 grado di Alessandria (n. 355/ 1979) e dalla commissione tributaria di 2 grado di Palermo (n. 656/1976).

Essa investe ancora l'art. 39 del d.P.R. n. 636/1972 nella parte nella quale esclude la condanna al pagamento delle spese nel processo tributario, in quanto ciò violerebbe gli artt. 3, 24 e 113 Cost.

Anche questa questione non é fondata.

Osserva al riguardo la Corte che non sussiste, anzitutto, la violazione dell'art. 3 Cost., in quanto l'avere escluso nel processo tributario dinanzi alle commissioni in parola la possibilità della condanna nelle spese non appare irragionevole.

In effetti, come emerge in particolare dall'art. 92, secondo comma, del c.p.c., l'istituto della condanna del soccombente nel pagamento delle spese ha bensì carattere generale, ma non é assoluto e inderogabile: e la inderogabilità, come é consentita al giudice quando nelle singole fattispecie ravvisi la esistenza dei "giusti motivi" indicati nel citato art. 92, così ugualmente può essere preveduta dalla legge quando ravvisi la presenza di elementi che giustifichino la diversificazione dalla regola generale del c.p.c.

E per quel che riguarda il processo tributario nella fase che si svolge davanti alle commissioni in parola (alla quale soltanto si riferisce la inapplicabilità della cennata regola generale) si può rilevare che questo processo, per quanto con le ultime riforme sia stato reso più complesso, é pur sempre diverso e più snello dell'ordinario procedimento civile, come viene riconosciuto anche dalla dottrina: e questa notevole diversità vale a spiegare la assenza, in esso, della possibilità di condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali.

Né sussiste violazione del diritto alla difesa (artt. 24 e 113 Cost.), poiché non può affatto dirsi che la possibilità di conseguire la ripetizione delle spese processuali consenta al contribuente di meglio difendere la sua posizione e di apprestare meglio le sue difese, il che avviene indipendentemente dal fatto che in prosieguo di tempo si abbia o meno quella ripetizione.

7. - Una sesta questione sollevata dalla commissione tributaria di 1 grado di Rovereto (n. 337/1975) e dalla commissione tributaria di 2 grado di Salerno (n. 656/1976) investe ancora l'art. 35 del d.P.R. n. 636 nella parte nella quale esso non prevede come si debba far fronte alle spese occorrenti per esperire i mezzi istruttori (accessi, perizie, ecc.), con la conseguenza che le commissioni tributarie sarebbero private della facoltà di disporli: in tal modo sarebbero violati gli artt. 3, primo comma e 24, secondo comma, Cost.

Anche tale questione non é fondata.

Premesso che l'art. 23 del più recente d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, ha stabilito che qualora i mezzi istruttori siano chiesti dalle parti le relative spese sono a carico di costoro, si deve rilevare che l'art. 35, primo comma, della cui legittimità costituzionale si dubita, stabilisce espressamente che le commissioni tributarie hanno "tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e di chiarimenti conferite agli uffici dalle singole leggi di imposta".

Questa disposizione, ad avviso della Corte, non ha soltanto il significato di conferire alle commissioni in parola i poteri di indagine che sono propri degli uffici: essa in sostanza pone gli organi giurisdizionali sullo stesso piano degli uffici finanziari per tutto quanto attiene alle possibilità di esperire mezzi istruttori.

E perciò la norma riguarda non soltanto i tipi di poteri spettanti alle commissioni, ma altresì il loro modo di esercizio, ivi compreso il modo di fronteggiare le spese all'uopo necessarie: a tali spese, di conseguenza, si può sempre fare fronte con gli stessi fondi di bilancio con i quali vi fanno fronte gli uffici dell'Amministrazione finanziaria.

8. - Una settima ed ultima questione (sollevata dalle commissioni tributarie di 2 grado di Udine e di 1 grado di Verbania con le ordinanze, rispettivamente, n. 647/1976 e n. 184/1977) investe l'art. 12, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 636, per violazione degli artt. 36, 97, primo comma, 108, primo comma, 76 e 77 Cost., nelle parte in cui determinano il trattamento economico dei componenti le commissioni tributarie di primo e di secondo grado.

Anche tale questione é palesemente irrilevante.

La disposizione concernente i compensi previsti per i componenti le commissioni in parola, infetti, non incide sul rapporto giuridico che le commissioni tributarie sono chiamate a decidere e, di conseguenza, é una disposizione la quale non trova e non può trovare applicazione alcuna da parte delle dette commissioni: essa attiene invece ella regolamentazione del rapporto che si costituisce fra i componenti le commissioni e l'Amministrazione finanziaria competente a liquidare e pagare i corrispettivi in parola e le controversie che possono sorgere al riguardo vanno sottoposte ad altri giudici del nostro ordinamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 25, 26 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ("Nuova disciplina del contenzioso tributario"), sollevata, in riferimento egli artt. 3, 24, 111 e 76 delle Costituzione, con le ordinanze in epigrafe dalla commissione tributaria di 2 grado di Ravenna (r.o. nn. da 367 a 376/1976);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sollevata, in riferimento all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe dalla commissione tributaria di 2 grado di Ravenna (r.o. nn. da 367 a 376/1976);

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 primo e secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento agli artt. 36, 97, primo comma, 108, primo comma, 76 e 77 della Costituzione, sollevata con le ordinanze in epigrafe dalle commissioni tributarie di 2 grado di Udine (r.o. n. 647/1976) e di 1 grado di Verbania (r.o. n. 14/1977);

4) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'intero d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sollevata in riferimento agli artt. 24, primo comma, 102, secondo comma, ed alla VI disposizione transitoria delle Costituzione con le ordinanze in epigrafe della commissione tributaria di 2 grado di Ravenna (r.o. nn. da 367 e 376/1976);

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sollevata, in riferimento all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe dalla commissione tributaria di 2 grado di Ravenna (r.o. nn. da 367 a 376/1976);

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nelle parte in cui esclude la condanna alle spese nel processo tributario, in riferimento agli artt. 3 24 e 113 della Costituzione, sollevate con le ordinanze in epigrafe dalle commissioni tributarie di 1 grado di Rovereto (r.o. n. 337/1975), Avezzano (r.o. n. 351/1976) e Pesaro (r.o. n. 391/1978) e dalle commissioni tributarie di 2 grado di Udine (r.o. n. 647/1976), Alessandria (r.o. n. 355/1976) e Salerno (r.o. n. 656/1976);

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella parte in cui non prevede come si debba far fronte alle spese occorrenti per esperire i mezzi istruttori, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma e 24, secondo comma della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe delle commissioni tributarie di 1 grado di Rovereto (r.o. n. 337/1975) e di 2 grado di Salerno (r.o. n. 656/1976);

8) ordina la restituzione degli atti, per un nuovo esame della rilevanza - quanto alle questioni relative alle altre parti impugnate dagli artt. 35 e 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 - alle commissioni tributarie di 1 grado di Rovereto, Lucera, Terni, Avezzano, Bolzano e di 2 grado di Ravenna, Salerno, Udine e Lucca, indicate in epigrafe e recanti, rispettivamente i nn. 337/1975; 15/1977; 297/1978; 351/1976; 608-609/1976; da 367 a 376/1976; 656/1976; 647/1976; 561/1976 e 274/1979.

Così deciso in Roma, nella sede delle Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN- Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE . Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 24 novembre 1982.