Sentenza n. 193 del 1976
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SENTENZA N. 193

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 30 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 (testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1970 dal giudice conciliatore di Oristano nel procedimento civile vertente tra l'Istituto autonomo per le case popolari per la provincia di Cagliari e Neri Luciana, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 75 del 20 marzo 1974.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1976 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento per convalida di licenza per finita locazione promosso dall'Istituto autonomo per le case popolari per la provincia di Cagliari contro Neri Luciana, assegnataria di un appartamento sito in Oristano di proprietà dell'Istituto, il giudice conciliatore di Oristano con ordinanza 9 dicembre 1970 (pervenuta a questa Corte il 14 febbraio 1974) ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 30 del testo unico sull'edilizia popolare ed economica approvato con r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Osserva anzitutto il giudice a quo che gli Istituti per le case popolari perseguono scopi di interesse pubblico a vantaggio delle classi meno abbienti, alle quali gli alloggi sono assegnati secondo una particolare procedura di concorso, che sfocia in una graduatoria.

Da ciò deriverebbe che l'Istituto, una volta riconosciuta nell'assegnatario la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, non possa sovvertire il diritto all'assegnazione dell'alloggio, acquisito a seguito di regolare concorso. La stipulazione, perciò, di un contratto di locazione a tempo determinato o anche indeterminato - con le conseguenze di cui al codice civile - sarebbe in netto contrasto con tale acquisito diritto.

Il testo unico citato prevede come causa di risoluzione del contratto solo il mancato pagamento del canone; ed anche il caso dell'avvenuto mutamento delle condizioni soggettive e oggettive fatte valere in sede di concorso e graduatoria potrebbe rappresentare una legittima causa di risoluzione del rapporto. La pretesa dell'Istituto di por termine a suo piacimento al rapporto, senza che l'assegnatario nulla possa opporre, si risolverebbe quindi nella violazione di un acquisito diritto alla locazione a vantaggio di altro aspirante.

Concludendo, il giudice a quo afferma che le norme denunciate, in quanto carenti di disposizioni che adeguatamente tutelino l'assegnatario titolare di un diritto soggettivo riconosciuto, sarebbero incostituzionali, sia perché - in violazione dell'art. 24 Cost. - pongono l'assegnatario nella impossibilità di tutelare il suo diritto, assicurando, per contro, all'Istituto una posizione di privilegio in contrasto con le finalità pubbliche da esso perseguite; sia perché - in violazione dell'art. 3 Cost. - creano inammissibili disparità di trattamento tra cittadini.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri - rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato - il quale nelle proprie deduzioni, depositate in cancelleria il 2 ottobre 1971, rileva che nessun contrasto può sussistere tra le norme impugnate ed il principio di uguaglianza proclamato dall'art. 3 Cost. Il giudice a quo pone a confronto la posizione del vecchio assegnatario e quella di altro aspirante che potrebbe essergli preferito in sede di nuova assegnazione dello stesso alloggio. Nessuna norma però impedisce al precedente assegnatario di concorrere con altri a tale nuova assegnazione. La parità di trattamento si realizza o si viola in sede di assegnazione e non in sede di determinazione della durata del rapporto di locazione che dalla assegnazione deriva.

Del pari insussistente, secondo l'Avvocatura, é il denunciato contrasto con l'art. 24 Cost., non risultando in alcun modo condizionato o limitato il diritto di difesa dalle norme in esame. Il fatto che gli Istituti possano determinare la durata del contratto di locazione non impedisce in alcun modo agli assegnatari di tutelare in giudizio le proprie ragioni, qualora la disdetta per finita locazione dovesse rivelarsi illegittima.

L'Avvocatura conclude, quindi, per la infondatezza della proposta questione.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di rinvio viene sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 30 del testo unico sull'edilizia economica e popolare approvato con r.d. 28 aprile 1938, n. 1165.

L'impugnativa trae motivo dal rilievo che le denunciate norme prevedono la cessione in locazione degli alloggi popolari - dopo l'espletamento di concorso, con il quale sia stato accertato il possesso, da parte dell'assegnatario, dei requisiti di legge in misura prevalente rispetto agli altri aspiranti - mediante stipula di contratti a tempo determinato o anche indeterminato, senza limitare le ipotesi di cessazione del relativo rapporto ai soli casi di morosità o di perdita, da parte dell'assegnatario, delle condizioni soggettive ed oggettive, valutate in sede di graduatoria per l'assegnazione. La fine della locazione per lo spirare del termine, e la facoltà dell'Istituto locatore di negare immotivatamente la rinnovazione, concreterebbero una violazione del diritto acquisito dall'assegnatario, ad ingiustificato vantaggio di altro aspirante, cui l'alloggio potrebbe essere ceduto, malgrado il possesso di requisiti soggettivi ed oggettivi inferiori a quelli del precedente assegnatario.

La denunciata normativa contrasterebbe, quindi, con due articoli della Costituzione: con l'art. 3, perché creerebbe una inammissibile disparità di trattamento tra cittadini; con l'articolo 24, perché porrebbe il cittadino nella impossibilità di far valere le proprie ragioni, fondate sull'acquisito diritto allo alloggio.

2. - La sollevata questione va esaminata prendendo le mosse dall'analisi del complesso rapporto che si instaura tra gli Istituti delle case popolari e gli assegnatari in locazione degli alloggi. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, si devono in esso distinguere due fasi: la prima, di natura pubblicistica, che ha termine con l'atto unilaterale di assegnazione, ed é caratterizzata da posizioni di interesse legittimo; la seconda, di natura privatistica, che ha inizio con la convenzione di locazione (stipulata in dipendenza del provvedimento amministrativo di assegnazione), ed é caratterizzata da posizioni di diritto soggettivo perfetto e di correlative obbligazioni. La locazione, pur presupponendo il procedimento di assegnazione, ha carattere autonomo rispetto alla precedente fase; di guisa che i diritti soggettivi, scaturenti dal negozio bilaterale, regolato dal diritto privato, restano delimitati, quanto alla loro estensione ed alla loro durata, dal contratto medesimo. Ne consegue che la locazione é soggetta alle cause di risoluzione, di cessazione e di estinzione, previste dal contratto e dalle norme integrative del codice civile, in quanto non esplicitamente derogate; e l'efficacia di tali censure non é condizionata alla formale revoca, da parte dell'Istituto, dell'atto amministrativo di assegnazione, che ha concluso la prima fase del rapporto. In altri termini, se il collegamento genetico tra il provvedimento amministrativo di assegnazione ed il negozio bilaterale di locazione, può importare che la revoca dell'assegnazione si rifletta sul rapporto di locazione, non può invece affermarsi che la cessazione della locazione sia sempre e necessariamente condizionata alla preventiva revoca dell'assegnazione, nel senso che l'estinzione prevista dalla disciplina contrattuale non possa operare indipendentemente dalla revoca dell'assegnazione. In particolare, ove la locazione sia stata stipulata a tempo determinato e il termine sia trascorso, o la locazione sia comunque scaduta in base al contratto, il diritto dell'assegnatario al godimento dell'alloggio cessa al pari di quanto si verifica per ogni altro conduttore, anche se non sia intervenuto provvedimento di revoca dell'assegnazione, che in tal caso si appalesa oltretutto superfluo.

3. - La struttura del rapporto, così delineata, e la sostanziale autonomia delle due fasi in esso enucleate, trovano, sempre secondo la richiamata giurisprudenza, la loro base legislativa nelle norme del citato testo unico n. 1165 del 1938, ed in particolare nell'art. 30, ove espressamente si dispone che la gestione degli alloggi da parte degl'istituti ed enti per le case economiche e popolari, avvenga mediante locazione, da effettuarsi secondo determinati criteri preferenziali. Di tale articolo, così interpretato, il giudice a quo prospetta il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

La questione é fondata.

Questa Corte ha già avuto occasione (sent. n. 159 del 1969) di sottolineare le finalità sociali e gli scopi di pubblico interesse perseguiti dagl'Istituti per le case popolari; e di affermare la diversità di situazione tra l'inquilino di una privata abitazione e l'assegnatario di un alloggio popolare, sul piano del rapporto locativo che li lega, ai rispettivi proprietari dell'immobile. Gli istituti in questione sono, infatti, enti pubblici, creati dallo Stato per il soddisfacimento di un proprio fine, che si identifica con l'interesse e l'obbligo sociale di costruire appartamenti economici da porre a disposizione delle categorie di cittadini meno abbienti e più bisognosi; ed i canoni da questi corrisposti, più modesti di quelli correnti sul mercato, perché calcolati senza intenti speculativi o di lucro, non sono equiparabili alla controprestazione in senso privatistico. La natura pubblicistica sia degli enti sia della funzione dai medesimi esplicata, incide sul rapporto intercedente tra l'Istituto e l'assegnatario dell'alloggio, dando luogo a peculiari caratteristiche, non riscontrabili nel comune rapporto di locazione.

Con la riconosciuta preponderanza dell'aspetto pubblicistico del rapporto mal si concilia, peraltro, l'ampiezza privatistica dell'autonomia negoziale attribuita ai suddetti istituti, cui si riconosce la illimitata facoltà d'imporre, nel negozio bilaterale susseguente all'assegnazione dell'alloggio, termini di scadenza che determinano la cessazione del rapporto di locazione, senza che sia previsto alcun nesso con la revoca dell'atto amministrativo di assegnazione, o con altre ipotesi di risoluzione legislativamente sancite. Se la mens legis é quella univoca, di fornire un abitazione alle "classi meno agiate", ed in tale ambito ai più bisognosi secondo predeterminati criteri preferenziali, irrazionale ed incongrua si appalesa la norma che consente di eludere lo scopo chiaramente voluto dal legislatore. Infatti, il rigoroso procedimento amministrativo di assegnazione, che si concreta in un concorso e si conclude con una graduatoria degli aspiranti, può agevolmente essere frustrato, con l'apporre al rapporto locatizio, che si instaura in conseguenza dell'atto di assegnazione, un breve termine (talvolta anche di un solo mese), allo scader del quale il rapporto cessa ex lege, essendo in facoltà dell'istituto locatore di negarne ad nutum la rinnovazione, pur conservando l'assegnatario i requisiti soggettivi ed oggettivi che nella graduatoria lo avevano anteposto agli altri aspiranti. L'alloggio può, quindi, dall'Istituto, essere dato in locazione ad altro soggetto, che abbia minori titoli preferenziali rispetto al precedente assegnatario, e magari lo segue nell'ordine della stessa graduatoria; o essere posto nuovamente a concorso, alla cui alea l'assegnatario dovrebbe sobbarcarsi per riottenerlo in locazione. Ad altri assegnatari, invece, l'Istituto può concedere la rinnovazione del contratto scaduto, senza dover esternare le ragioni del diverso comportamento, avvantaggiandoli così nei confronti di quelli, del pari utilmente classificati in graduatoria, ai quali il rinnovo sia stato negato. La norma in esame, nel consentire questa arbitraria ed ingiustificata disparità di trattamento, in irrazionale antitesi con la voluta preliminare selezione dei più bisognosi, vulnera il primo comma dell'art. 3 della Costituzione. Ed appare, altresì, in contrasto con il secondo comma dello stesso articolo, in quanto impedisce il perseguimento della finalità, di alto rilievo sociale, intesa a fornire l'alloggio ai meno abbienti, per i quali la estrema difficoltà di procurarsi l'abitazione sul libero mercato costituisce indubbiamente uno tra i più gravi ostacoli al pieno sviluppo della persona umana ed all'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Né varrebbe il rilievo che gl'Istituti si avvalgono della scadenza del termine per porre fine al rapporto con assegnatari che non abbiano più i requisiti di legge. É facile replicare che in tali casi altro é il rimedio apprestato dall'ordinamento, quale la risoluzione di diritto dei contratto per decadenza, annullamento e revoca dell'assegnazione, e ad esso é doveroso far ricorso, anche per le maggiori garanzie in sede giurisdizionale che offre agl'interessati. Al qual proposito questa Corte ha già riconosciuto (ord. n. 48 del 1974) che il d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, é intervenuto a dettare una organica disciplina dell'intera materia delle assegnazioni in locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, delle ipotesi di decadenza delle stesse nonché di loro annullamento e revoca (e conseguente risoluzione di diritto del rapporto di locazione) per il venir meno nell'inquilino dei requisiti, accentuando così gli aspetti pubblicistici delle precedenti disposizioni del citato testo unico n. 1165 del 1938, nonché della legge 16 maggio 1956, n. 503, e del d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655, in ordine ai mezzi di tutela amministrativa e giurisdizionale, di cui gl'Istituti per le case popolari e gli enti assimilati possono valersi per l'assolvimento dei loro compiti. La richiamata disciplina é applicabile alla quasi totalità delle case popolari che, per essere state costruite a totale carico e con il concorso o con il contributo dello Stato, rientrano nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica. A quelle che non vi sono comprese, la normativa stessa, qualora ritenuta non applicabile in via analogica, potrebbe essere estesa dal legislatore con apposito provvedimento.

Conclusivamente, per i su esposti motivi, va dichiarata la illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'impugnato art. 30 del testo unico n. 1165 del 1938, nella parte in cui consente agli enti pubblici concedenti di stipulare con gli assegnatari degli alloggi popolari contratti di locazione per un tempo determinato, nonché di avvalersi nei confronti degli stessi del procedimento per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione.

Resta così assorbita l'altra censura, dedotta, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, nei confronti dello stesso art. 30.

4. - Inammissibile per difetto di rilevanza é, invece, la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, sempre con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nei confronti dell'art. 21 dello stesso testo unico n. 1165 del 1938: tale articolo, infatti, ha per oggetto la costruzione delle case popolari ed economiche, mentre nel giudizio a quo si verte in tema di locazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica, approvato con r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sollevata dal giudice conciliatore di Oristano con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 30 dello stesso testo unico n. 1165 del 1938, nella parte in cui consente agli enti pubblici concedenti di stipulare con gli assegnatari degli alloggi popolari contratti di locazione per un tempo determinato, nonché di avvalersi nei loro confronti del procedimento per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.