Sentenza n. 165 del 1975
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SENTENZA N. 165

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 25 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1972 dal giudice conciliatore di Lecce nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e Basile Nicola ed altro, iscritta al n. 387 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 24 aprile 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida.

Ritenuto in fatto

In un procedimento civile vertente tra l'INAM - surrogatosi ex art. 1916 del codice civile, nei diritti di Maria Cristina Merito, che aveva riportato lesioni a seguito di investimento da parte di un autocarro guidato da Giovanni Sabetta - e Nicola Basile, proprietario del mezzo investitore, l'adito conciliatore di Lecce - rilevato che il Sabetta era stato assolto (con sentenza del pretore di Lecce) dal reato di lesioni colpose per insufficienza di prove sulla sussistenza del fatto; onde l'azione civile non poteva essere iniziata stante la preclusione di cui all'art. 25 del codice di procedura penale - con ordinanza 10 novembre 1972, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ha sollevato di ufficio questione di legittimità - in riferimento all'art. 24 della Costituzione - dell'art. 25 cod. proc. pen. innanzi citato, per la parte, appunto, in cui vieta la proposizione dell'azione civile anche alle persone che non hanno partecipato al giudizio penale conclusosi con una delle sentenze dalla norma stessa prevista.

Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza de qua ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, nessuna delle parti si é in questo costituita, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Con riferimento alla fattispecie particolare dell'assicuratore "surrogatosi nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili" ex art. 1916 del codice civile - il quale, secondo l'opinione in dottrina dominante, non può, in quanto non direttamente danneggiato dal reato, costituirsi parte civile nel procedimento contro l'autore del danno - ed avendo, per altro, riguardo alle ipotesi, in genere, di soggetti non legittimati all'esercizio dell'azione civile ex artt. 22 e 23 del codice di procedura penale o, comunque, non posti, in concreto, in grado di partecipare al giudizio penale, dubita - come detto - il giudice a quo, della legittimità, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dell'art. 25 cod. proc. pen., per la parte, appunto, in cui tale norma fa divieto, anche ai soggetti anzidetti, di proporre l'azione restitutoria o riparatoria in sede civile ove il giudizio penale (cui i soggetti stessi sono, per quanto detto, rimasti estranei) si sia concluso con una delle enunciate formule assolutorie.

2. - La questione é fondata.

La preclusione - sancita dalla norma impugnata - ad esercitare l'azione in sede civile, in dipendenza della formula assolutoria con cui siasi concluso il giudizio penale - ove riferita a soggetti che a detto giudizio sono rimasti estranei, in quanto per qualsivoglia ragione non legittimati a costituirsi in esso parte civile o, comunque, di fatto non posti in grado di parteciparvi - contrasta, invero, con il diritto della difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione.

La violazione di tale precetto e della connessa esigenza di un effettivo e reale contraddittorio non é, d'altra parte, neppure giustificabile sulla base di presunte ragioni di economia processuale o della esigenza di evitare contraddizioni fra giudicati: come questa Corte ampiamente ha rilevato con le precedenti pronunzie n. 55 del 1971 e n. 99 del 1973, con le quali ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, rispettivamente, dell'art. 28 e dell'art. 27 cod. proc. pen., per la parte in cui, anche tali norme, estendevano il previsto vincolo - del giudicato penale sull'azione civile conseguente - anche nei confronti di soggetti al giudizio stesso rimasti estranei.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25 del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che "l'azione civile non può essere proposta (proseguita o riproposta) davanti al giudice civile (o amministrativo) - quando in seguito a giudizio é stato dichiarato che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto fu compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero che non é sufficiente la prova che il fatto sussista o che l'imputato lo abbia commesso" -, anche da parte di soggetti rimasti estranei al giudizio penale, perché non legittimati a costituirsi in esso parte civile o, comunque, di fatto, non posti in grado di parteciparvi.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1975.