Sentenza n. 98 del 1974
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SENTENZA N. 98

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 53, primo comma, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1971 dal tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Missiroli Nello e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 23 febbraio 1972.

Visti l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Antonio Giorgi e Sergio Traverso, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 10 novembre 1971, nel procedimento civile vertente tra Missiroli Nello e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il tribunale di Ravenna ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, primo comma, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, con riferimento agli artt. 3 e 23 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata, nella parte in cui prevede, nel caso di omesso o irregolare versamento dei contributi previdenziali, la facoltà assolutamente discrezionale dell'ente assicuratore di rinunciare al pagamento della somma aggiuntiva prevista dall'art. 111, n. 2, del decreto n. 1827 del 1935, contrasta con il principio di eguaglianza e con il principio della riserva di legge in materia di prestazioni imposte.

Il tribunale di Ravenna, dopo essersi richiamato all'orientamento della Corte costituzionale, che ha affermato la natura di sanzione amministrativa della somma aggiuntiva prevista dal citato art. 111, n. 2, ritiene che il reale contenuto della norma impugnata non sia quello di attribuire una scelta all'istituto assicuratore tra due forme di risarcimento (pagamento della somma aggiuntiva e pagamento degli interessi di mora, di cui all'art. 53), ma quello di attribuirgli la potestà di rinunciare ad libitum all'applicazione di una pena amministrativa.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, e si é costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale, i quali chiedono che la dedotta questione di legittimità costituzionale sia dichiarata infondata.

La difesa dello Stato, dopo aver ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 76 del 1966, ha tra l'altro affermato la legittimità costituzionale degli artt. 111 e 112 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, osserva che la questione sollevata dal tribunale di Ravenna, relativamente alla facoltà dell'Ente di rinunziare al pagamento della somma aggiuntiva prevista dall'art. 111, n. 2, in realtà investe proprio quest'ultima norma e non il denunciato art. 53, perché quel potere non trova fondamento nella norma impugnata ma appunto nell'art. 111 del decreto n. 1827 del 1935.

Tale questione, prosegue l'Avvocatura, é già stata affrontata e risolta dalla Corte con la citata sentenza n. 76 del 1966 e proprio nel punto in cui si é riconosciuto che la eventuale riduzione della misura della somma aggiuntiva rientra nell'ambito di una ragionevole elasticità volta alla soluzione del conflitto di interessi, soluzione che giova sia all'Ente sia alle controparti.

Anche la difesa dell'Istituto assicuratore si richiama alla sentenza n. 76 del 1966, in cui la Corte costituzionale, esaminando il problema delle sanzioni civili, ha chiarito che, proprio in relazione alla funzione assegnata all'INPS, trova la sua giustificazione il potere dell'Ente di valutare con una certa elasticità le diverse situazioni concrete. In particolare, la circostanza che la legge consente all'Istituto di sanzionare in modo diverso (con l'applicazione delle sanzioni civili o dei semplici interessi di mora) uno stesso fatto (e cioè la omissione e il ritardo nel versamento dei contributi) potrebbe, in linea di fatto, dar luogo a una disparità di trattamento tra due situazioni identiche: ma la possibilità di tali inconvenienti non giustifica la dichiarazione di illegittimità della norma, ma bensì quegli altri diversi rimedi (ricorsi amministrativi, tutela giurisdizionale) che, caso per caso, il legislatore ha previsto, oltre, naturalmente, le garanzie che derivano dagli organi di controllo dell'Istituto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il tribunale di Ravenna deferisce alla Corte una questione di costituzionalità concernente l'art. 53, primo comma, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, sulla previdenza sociale, articolo il quale dispone che: "nei casi di tardivo versamento dei contributi delle assicurazioni obbligatorie, per i quali non si faccia luogo all'applicazione della disposizione di cui al n. 2 dell'art. 111, il datore di lavoro é tenuto al contemporaneo pagamento degli interessi di mora, nella misura stabilita per l'interesse legale in materia civile".

Secondo il giudice a quo, il detto articolo autorizzerebbe l'INPS, in sede di applicazione di penalità per omesso o ritardato pagamento dei contributi, ad operare una scelta fra due tipi di sanzioni: il pagamento degli interessi di mora, ovvero quello della somma aggiuntiva prevista dall'art. 111 dello stesso decreto e consistente in una somma pari a quella dei contributi omessi. E poiché tale scelta sarebbe puramente discrezionale, l'art. 53, che concederebbe la facoltà di compierla, violerebbe sia l'art. 23 che l'art. 3 della Costituzione. Ciò in quanto il detto art. 53, pur autorizzando una prestazione imposta, non ne determinerebbe i criteri di imposizione e non ne stabilirebbe i controlli, violando con ciò il principio della riserva di legge e, per gli arbitrii cui potrebbe dar luogo, anche quello di eguaglianza.

2 - La questione non é fondata.

Risulta del tutto gratuita e contraria alla realtà normativa l'affermazione che l'art. 53 denunziato autorizzi una scelta fra le due sanzioni.

In realtà quell'articolo si limita a disporre che, quando non si fa luogo all'applicazione della maggior sanzione del pagamento della somma aggiuntiva, prevista dall'art. 111, debbono pagarsi gli interessi di mora. Ma la previsione che concerne l'obbligo di pagare, come quello di non pagare, la somma aggiuntiva non é contenuta - contrariamente a quanto afferma il giudice a quo - nell'art. 53, ma é bensì contemplata nel 111, al quale articolo la somma escussa dall'INPS aveva infatti riferito, nel giudizio di merito, la questione di costituzionalità, che lo stesso giudice ha invece dichiarata non fondata.

É infatti nell'art. 111 che si fa carico al datore di lavoro inadempiente all'obbligo del versamento dei contributi, di pagare una somma aggiuntiva, ma si dispone anche nell'ultimo comma che, ove egli presenti domanda di oblazione, il Comitato esecutivo dell'Istituto può ridurre l'importo di quella somma, e può farlo, non essendo previsto alcun limite, sino alla sua totale ablazione.

Deve perciò ritenersi che é nell'art. 111, regolante i poteri del detto organo dell'Istituto, che deve rinvenirsi quello, in presenza dell'inadempimento, di dar corso o non dar corso, in tutto o in parte, al pagamento della somma aggiuntiva. E non é inutile ricordare che un'analoga questione di costituzionalità del detto articolo, proposta in riferimento agli artt. 3, 23, 24, primo comma, e 53 della Costituzione, fu dalla Corte, con sentenza n. 76 del 1966, dichiarata non fondata.

3. - L'art. 53 denunziato, che sancisce l'obbligo del pagamento degli interessi di mora, non autorizza dunque nessuna scelta, ma ne presuppone una, fra il doversi o no pagare la somma aggiuntiva, che é stata già operata, in forza dell'articolo 111, dal Comitato esecutivo.

E, ove si tenga conto che gli interessi di mora sono dovuti in forza del disposto dell'art. 1124 del codice civile, si concluderà che l'art. 53 esprime in forma impropriamente positiva un concetto sostanzialmente negativo, e cioè che gli interessi di mora (di cui all'art. 1124 c.c.) non sono dovuti quando si é tenuti al pagamento (perché il Comitato esecutivo, in forza dell'art. 111, così ha disposto) della somma aggiuntiva, in qualsiasi misura.

La norma denunziata ha dunque un contenuto diverso da quello attribuitogli dal giudice a quo ed al quale é stata riferita la questione di costituzionalità Questa deve pertanto essere dichiarata non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, primo comma, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, sul coordinamento legislativo della previdenza sociale; questione proposta, con l'ordinanza in epigrafe, dal tribunale di Ravenna, in riferimento agli artt. 23 e 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1974.