Sentenza n.150 del 1973
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SENTENZA N. 150

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1971 dal pretore di Viareggio nel procedimento civile vertente tra Baldi Salvatore e la società Cantieri Picchiotti, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 7 luglio 1971.

Udito nella camera di consiglio del 30 maggio 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento per convalida di sfratto per morosità promosso con atto del 3 novembre 1967 da Salvatore Baldi contro la s.p.a. Cantieri Picchiotti e relativo ad un immobile di proprietà del Baldi e detenuto in locazione, in regime vincolistico, dalla società intimata, e dopo che questa aveva proceduto, anteriormente all'udienza di comparizione, al pagamento delle pigioni scadute, il pretore di Viareggio, chiamato a pronunciarsi in ordine alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, con ordinanza del 26 marzo 1969, prospettava il dubbio che l'art. 37 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), fosse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Premesso che la norma del detto articolo "affida all'insindacabile discrezionalità del giudice il potere di concedere al conduttore moroso un termine per il pagamento dei canoni scaduti, degli interessi e delle spese, nel provvedimento che dispone il rilascio per morosità di un immobile", il pretore riteneva che, accordandosi al conduttore moroso la facoltà di purgare la mora mediante una dilazione al pagamento, si "viene a determinare una specie di perpetuatio obligationis che vale a riammettere il debitore nelle stesse condizioni in cui egli si trovava prima che gli venisse intimato il rilascio per morosità, in deroga ai principi generali"; che in tal modo alla parte creditrice é precluso di continuare ad esercitare l'azione di risoluzione del contratto attraverso l'indagine sull'importanza dell'inadempimento e sulla gravità della colpa, in deroga al principio generale di cui all'art. 1453 del codice civile; che ciò determina, nei confronti dei conduttori morosi, una disparità di trattamento non sorretta da una diversità obiettiva di situazione e priva di una ragionevole giustificazione; che, infatti, qualora paghi le pigioni scadute prima dell'emissione del provvedimento di rilascio, il conduttore, pur ponendo in essere una maggiore diligenza "valutabile a suo favore, sotto il riflesso soggettivo (art. 1176 c.c.), tuttavia viene a trovarsi in uno stato di inferiorità e di minor favore" rispetto al conduttore che effettui lo stesso pagamento entro il termine assegnatogli in base al citato art. 37, "in quanto dalla sanatoria della morosità può ritrarre, come effetto immediato, soltanto il beneficio di evitare il rilascio dell'immobile durante la pendenza del giudizio, non operando in suo favore la rimessione in termine, che deroga al principio fissato dall'articolo 1453 c.c."; e pertanto, che "il legislatore ha adottato solo in riferimento al momento in cui viene sanata la morosità una disparità di trattamento tra gli appartenenti alla stessa categoria di conduttori morosi, senza alcuna adeguata giustificazione, accordandosi addirittura una più intensa protezione giuridica ed una posizione di privilegio a quelli che adempiono con maggiore ritardo, con un criterio irragionevole ed illogico".

Stante ciò e non potendo la diversa disciplina giuridica essere messa in relazione alle condizioni economiche della parte inadempiente, il pretore sollevava, d'ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'anzidetto art. 37 nella parte in cui la norma "limita la facoltà di purgare la mora mediante la concessione di termine di grazia soltanto per gli inquilini morosi che sanano la morosità dopo il provvedimento di rilascio, senza prevedere analogo beneficio conseguente all'adempimento, in favore degli inquilini, ugualmente morosi che sanano la morosità anteriormente".

La questione, secondo il pretore, appariva, poi, rilevante ai fini della decisione di merito, perché dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma in parte qua sarebbe derivata per tutti i debitori della medesima prestazione una uguale posizione sul piano giuridico ed in particolare per i conduttori morosi che pagano le pigioni scadute prima della concessione del termine di grazia e "agli effetti di poter conseguire il beneficio della definizione del giudizio in virtù della semplice solutio in deroga al principio stabilito dall'art. 1453 c.c." e al di fuori di ogni riferimento al momento della sanatoria della morosità.

L'ordinanza veniva ritualmente comunicata, notificata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 18 giugno 1969).

2. - Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti. Interveniva invece il Presidente del Consiglio dei ministri che, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto del 7 luglio 1969, chiedeva che la Corte, ove non avesse ritenuto inammissibile la questione, la volesse dichiarare non fondata.

All'Avvocatura dello Stato, anzitutto, non appariva corretta l'interpretazione restrittiva data dal pretore alla norma in esame, e sembrava invece potersi ritenere che "il carattere derogativo dell'art. 37 della legge n. 253 del 1950 abbia una portata generale e non sia collegato, come effetto a causa, ad una domanda preventiva della parte inadempiente", per cui il giudice, valutate le circostanze della mora, possa negare la risoluzione anche nel caso che dopo la citazione e prima dell'emanazione del provvedimento di rilascio, il conduttore abbia già pagato.

Seguendo codesta interpretazione, mancherebbero i presupposti per la proposizione della questione di legittimità costituzionale, che dovrebbe quindi essere dichiarata inammissibile.

Ad ogni modo, interpretata la norma in senso restrittivo, la questione, sotto il profilo dedotto, sarebbe infondata. Per l'Avvocatura dello Stato, la deroga al principio generale di cui all'ultimo comma del citato art. 1453, é resa operativa solo attraverso l'atto del giudice e quindi il risultato non é conseguibile unicamente con il comportamento del debitore. Per ciò le due parti, quella che ottiene il termine di grazia e quella che soddisfa il debito prima della concessione del termine, non si trovano su un piano di parità; e la diversità obiettiva di situazioni é sufficiente a rendere ragione della disparità di trattamento. D'altronde, tale disparità di trattamento é apparente, perché l'art. 37 non comporta una discriminazione rispetto ai debitori nei cui confronti ricorrano i presupposti per la pronuncia di risoluzione o per la convalida e che chiedono la concessione del beneficio del termine.

Tra le anzidette due categorie di debitori morosi, in effetti, é da ravvisare una sostanziale diversità, che é rappresentata dal differente operato e che non viene meno solo perché ricorre come elemento comune il fatto dell'adempimento.

In sostanza, a base dell'ordinanza di rimessione starebbe un equivoco (per cui per altro potrebbe dubitarsi circa l'ammissibilità della questione): non aver considerato che la materia é disciplinata da due norme di legge (l'art. 37 della citata legge 1950 e l'art. 1453, ultimo comma, del codice civile) e che é ipotizzabile una disparità di trattamento solo quando la norma, che ne consenta la prospettazione, sia la medesima.

All'udienza pubblica del 13 gennaio 1971, l'Avvocatura dello Stato insisteva nelle conclusioni di cui all'atto di intervento e deduzioni.

3. - Questa Corte, con ordinanza emessa il 16 marzo 1971, n. 50, rilevato che in pendenza del giudizio era sopravvenuta la legge 26 novembre 1969, n. 833, la quale con l'art. 4, commi sesto e settimo, aveva dettato disposizioni concernenti la materia disciplinata dalla norma impugnata, disponeva che gli atti fossero restituiti al pretore perché esaminasse anche alla stregua delle nuove norme la rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Il pretore di Viareggio, con ordinanza emessa il 20 aprile 1971, ritenuto che "l'art. 4, commi sesto e settimo, della legge n. 833 del 1969 non ha apportato alcuna innovazione e modifica sostanziale al sistema precedente, ad eccezione della esclusione delle spese e degli interessi dal provvedimento di concessione del termine di grazia" e che la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata avesse conservato inalterato il carattere di rilevanza e d'attualità, disponeva, richiamati tutti i motivi esposti nella precedente ordinanza, la restituzione degli atti a questa Corte "già investita della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 37 della legge 23 maggio 1950, n. 253, in riferimento all'art. 3 della Costituzione".

4. - L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 7 luglio 1971).

Davanti a questa Corte non si é costituita nessuna delle parti né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. E pertanto la causa viene decisa, a sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, con la procedura di camera di consiglio.

Considerato in diritto

1. - Con ordinanza del 26 marzo 1969, il pretore di Viareggio ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), secondo cui "nel provvedimento che dispone il rilascio per morosità di un immobile destinato ad uso di abitazione, può essere concesso al conduttore un termine non inferiore a 20 giorni e non superiore a 60 per il pagamento delle pigioni scadute, degli interessi e delle spese giudiziali" e "il provvedimento perde la sua efficacia, qualora il conduttore paghi le somme dovute entro il termine" che gli venga assegnato, e nella parte in cui il detto articolo "limita la facoltà di purgare la mora mediante la concessione di termine di grazia soltanto per gli inquilini morosi che sanano la morosità dopo il provvedimento di rilascio, senza prevedere analogo beneficio conseguente all'adempimento, in favore degli inquilini, ugualmente morosi, che sanano la morosità anteriormente".

La Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 50 del 1971, considerato che in pendenza del giudizio era sopravvenuta la legge 26 novembre 1969, n. 833 (norme relative alle locazioni degli immobili urbani), la quale, all'art. 4, commi sesto e settimo, aveva dettato disposizioni concernenti la materia disciplinata dall'impugnata norma, e che si rendeva per ciò necessario che anche alla stregua delle nuove disposizioni, il giudice a quo esaminasse la rilevanza della questione come sopra sollevata, ha provveduto alla restituzione degli atti.

Con ordinanza del 20 aprile 1971, il pretore ha ritenuto che l'art. 4. commi sesto e settimo, della nuova legge, nel dettare disposizioni concernenti la materia disciplinata dalla norma impugnata, non aveva apportato alcuna innovazione e modifica sostanziale al sistema precedente, ad eccezione della esclusione delle spese e degli interessi dal provvedimento di concessione del termine di grazia e di conseguenza, che anche alla stregua della nuova disciplina normativa, la questione di legittimità costituzionale della disposizione impugnata avesse conservato inalterato il carattere di rilevanza e di attualità e, "richiamati tutti i motivi esposti" nell'ordinanza del 26 marzo 1969, ha disposto "la restituzione degli atti alla Corte costituzionale già investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 23 maggio 1950. n. 253, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, ferma restando la sospensione del giudizio in corso".

2. - Dalla seconda ordinanza risulta che (per il giudice a quo) la disciplina della materia di cui si tratta, contenuta nell'art. 37 della legge n. 253 del 1950, ha subito, ad opera della nuova legge, una innovazione e modifica sostanziale solo sul punto relativo agli interessi e alle spese giudiziali, per cui con il provvedimento di rilascio é consentita la concessione del termine solo per il pagamento delle somme dovute a titolo di pigione, e che quindi sul piano sostanziale, accanto alla conferma per tutto il resto, si é avuta una limitata modifica della precedente legge.

Risulta parimenti che l'art. 37 é stato abrogato dall'art. 4, comma sesto, della legge n. 833 del 1969: ciò é ammesso, anche se implicitamente, dallo stesso giudice a quo il quale, infatti, nulla ha detto in contrario, ed in particolare sulla possibile ed eventuale ultrattività della prima legge posta in relazione alla seconda e nella parte in cui entrambe presentano lo stesso contenuto, e neppure sull'eventuale applicabilità nella specie solo dell'art. 37, nonostante la vigenza dell'art. 4, comma sesto.

Stante ciò, questa Corte é chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della sopra riportata norma (dell'art. 37 della legge n. 253 del 1950, ed ora) dell'art. 4, comma sesto, della legge n. 833 del 1969, in vigore in forza dell'art. 56, ultimo comma, del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, e della legge di conversione 18 dicembre 1970, n. 1034, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

E ad esaminare se ricorra o meno la denunciata disparità di trattamento, la quale non é riconducibile alla norma ora individuata e all'art. 1453, ultimo comma, del codice civile secondo cui "dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione", sibbene solo alla prima, interpretata restrittivamente, nella parte in cui essa concede il sopradetto beneficio ai conduttori morosi che provvedono al pagamento delle pigioni scadute nel termine ad essi appositamente concesso e nel contempo lo nega a quelli che abbiano effettuato lo stesso pagamento in epoca anteriore alla pronuncia di merito.

3. - L'art. 3 della Costituzione, secondo il pretore di Viareggio, sarebbe violato perché la norma in questione avrebbe trattato differentemente, tenendo conto del momento in cui ha luogo il pagamento delle pigioni, e senza una valida giustificazione (in quanto si sarebbe dovuto prescindere dalle condizioni economiche dei debitori), conduttori trovatisi nella stessa situazione (di morosità), ed addirittura avrebbe riservato ai conduttori che hanno pagato le pigioni nel corso del giudizio (e quindi sarebbero meritevoli di maggior favore) un trattamento peggiore di quello riservato agli stessi conduttori che effettuano tale pagamento solo nel termine assegnato nel provvedimento di rilascio.

Ma codesta ingiustificata disparità di trattamento non sussiste.

Va preliminarmente tenuto presente che negli artt. 658 e seguenti del codice di procedura civile e nell'art. 37 della legge n. 253 del 1950, il legislatore ha previsto varie ipotesi in cui si può trovare ogni conduttore moroso nei cui confronti sia stato intimato sfratto per morosità e per esse ha dettato una disciplina articolata. Così, é considerato il caso del conduttore che abbia eseguito il pagamento delle pigioni dovute, anteriormente all'udienza di comparizione o all'udienza (ed il locatore non possa dichiarare che la morosità persiste), e per tale caso si esclude che il giudice possa convalidare lo sfratto (art. 663, comma secondo); se il conduttore non paga le pigioni, comparisce all'udienza ed oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il giudice può pronunciare ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni (articolo 665, comma primo); se il conduttore nega la propria morosità contestando l'ammontare della somma pretesa dal locatore, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa e concedere all'uopo un termine non superiore a venti giorni, e se il conduttore non ottempera all'ordine di pagamento, il giudice deve convalidare l'intimazione di sfratto (art. 666, comma primo); ed infine, se il conduttore ammette di dover pagare le pigioni scadute e però chiede, in maniera espressa o implicita, l'assegnazione di un termine a sensi e per gli effetti di, cui al citato art. 37, il giudice deve convalidare l'intimazione di sfratto e può, con la sentenza definitiva, pronunciare la risoluzione del contratto ed in entrambi i casi, con il provvedimento di rilascio, può concedere il chiesto termine, con la conseguenza che, se il conduttore paga nel termine le pigioni da lui dovute, il provvedimento di rilascio diventa inefficace.

Ora mettere a confronto tali situazioni significa raffrontare entità non eguali e neppure omogenee ed equivalenti o assimilabili, perché verificatisi in momenti diversi ed in stadi differenti del procedimento di convalida dell'intimazione e di quello conseguente di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento.

Ciò si nota (e rileva ai fini della decisione sulla questione di cui si tratta) a proposito delle due situazioni che il pretore di Viareggio considera meritevoli dello stesso trattamento e precisamente della situazione del conduttore che paga anteriormente alla prima udienza (o alla stessa prima udienza) e di quella del conduttore che non paga le pigioni dovute e richieda prima della trattazione della causa la concessione del termine per il pagamento di quelle pigioni, con il provvedimento di rilascio. Queste due situazioni sono ben differenti in un caso, il pagamento delle pigioni é avvenuto, nell'altro, no; in un caso, la possibilità materiale e giuridica della concessione giudiziale di un termine per adempiere alla propria obbligazione e rimuovere totalmente e definitivamente la mora, non esiste, nell'altro codesta possibilità, c'é. Il che significa che stante tale obiettiva diversità di situazioni, gli effetti non possono che essere differenti.

Non vale dire, come fa il pretore, che il legislatore ricollega effetti diversi ad uno stesso fatto, e cioè al pagamento delle pigioni, e pretendere di derivare da ciò che il differente trattamento determini una ingiustificata disparità.

Perché il pagamento pur essendo sempre dovuto, nel primo caso avviene ad iniziativa del debitore e senza alcun intervento del magistrato, nel secondo avviene sempre ad iniziativa del debitore, ma questi può pagare solo perché il magistrato glielo consente, accogliendo la di lui richiesta. Nel primo caso, il magistrato valuterà il comportamento del debitore (compreso il pagamento) in un momento successivo a quello in cui il pagamento é avvenuto; nel secondo caso, quella valutazione sarà fatta in ordine allo stesso comportamento ma il pagamento sarà considerato come futuro ed eventuale e però sempre nell'ambito e nell'economia dell'intero comportamento. E ciò comprova che le due situazioni sono diverse e giustamente sono disciplinate legislativamente in modo differente. Nel contempo deve riconoscersi che, al fondo, esiste un'unitaria considerazione degli interessi fondamentali (di carattere individuale e sociale) che stanno a base della locazione d'immobile adibito ad uso di abitazione e della risoluzione del relativo contratto per inadempimento del conduttore (morosità), perché nell'ambito del sistema emergente dall'art. 1453 e seguenti del codice civile ed in sede di applicazione specifica degli artt. 1176, 1218, 1453, ultimo comma, e 1455 dello stesso codice, é riservato al giudice di accertare se nel singolo caso l'asserito inadempimento esiste e se lo stesso é importante, tenuto conto dell'interesse della controparte, e perché, in sede di esame della richiesta di concessione del termine ex art. 37, acquista rilievo il godimento dell'immobile locato ad uso di abitazione (e ciò per le implicazioni e incidenze sul terreno sociale) ed in sede di esame della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, la norma di cui all'art. 37, anche se inapplicabile direttamente o per analogia, non può non spiegare una qualche influenza sul terreno della specifica valutazione del pagamento già avvenuto e sul peso di questo ai fini dell'accoglimento o del rigetto della domanda di risoluzione.

Si può per ciò concludere nel senso che l'art. 37 nella sua parte implicita (secondo cui il beneficio della rimessione in termine é escluso quando il pagamento delle pigioni sia avvenuto anteriormente alla udienza di comparizione) non urta contro l'art. 3 della Costituzione. La questione, almeno sotto i profili della sua prospettazione, deve quindi dirsi non fondata.

Nessun peso, infine, può darsi alla circostanza che il pagamento effettuato nel termine assegnato a sensi dell'articolo 37, facendo diventare inefficace il provvedimento di rilascio, chiude definitivamente il processo, perché essa riflette una mera e logica conseguenza della disciplina legislativa, di cui nei modi e limiti che precedono, si é negata la contrarietà alla Costituzione.

PER OUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), sostituito con modifiche dall'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833 (norme relative alle locazioni degli immobili urbani), nella parte in cui la norma esclude dal beneficio di sanare definitivamente la mora il conduttore che paghi nel corso del giudizio le pigioni dovute, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Viareggio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1973.