Sentenza n.65 del 1973
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SENTENZA N. 65

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO,  Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 21, 26, 31 e 34 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, contenente disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 dicembre 1970 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Pompa Mario, Aratore Felice ed altri e l'Azienda trasporti municipalizzati di Milano, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971;

2) ordinanze emesse il 31 maggio 1971 dalla Corte d'appello di Genova nei procedimenti civili vertenti tra Marengo Alfredo, Stoppa Angelo e l'Azienda municipalizzata trasporti di Genova, iscritte ai nn. 394 e 395 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 1 dicembre 1971 e n. 311 del 9 dicembre 1971.

Visti gli atti di costituzione di Aratore Felice e dell'Azienda trasporti municipalizzati di Milano;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1973 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

uditi l'avv. Filippo Lubrano, per Felice Aratore, e l'avv. Salvatore Villari, per l'Azienda trasporti municipalizzati di Milano.

Ritenuto in fatto

1. - Con atto di citazione in data 10 luglio 1970, Pompa Mario ed altri, tutti dipendenti dall'Azienda trasporti municipalizzati di Milano, con mansioni di bigliettai e conducenti, convenivano in giudizio, davanti al tribunale di Milano, la azienda stessa, assumendo:

a) di aver prestato e di prestare la propria opera per sette giorni consecutivi, usufruendo del riposo settimanale solo all'ottavo giorno;

b) di aver percepito e di percepire la retribuzione per il settimo giorno di lavoro con paga ordinaria, anziché straordinaria.

c) di essere, pertanto, creditori della maggiorazione prevista dagli accordi collettivi per le ore di lavoro prestate nel settimo giorno, da considerarsi festivo a tutti gli effetti giuridici;

In base all'assunto, le parti chiedevano al tribunale - previo riconoscimento che le prestazioni dell'attività lavorativa per sette giorni consecutivi comportavano e comportano per l'A.T.M. l'obbligo di retribuire le ore compiute al settimo giorno di lavoro con le maggiorazioni previste dall'art. 3 dell'accordo nazionale 3 dicembre 1958 - la condanna della azienda al pagamento delle indicate spettanze.

Nel corso della trattazione della causa, il difensore delle parti attrici eccepiva la illegittimità costituzionale degli articoli 21, 26, 31, 34 delle disposizioni generali annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, in quanto in contrasto con l'art. 36, terzo comma, della Costituzione per il riflesso esercitato su tali disposizioni di legge dalla sentenza 15 dicembre 1967, n. 150, della Corte costituzionale, con la quale veniva dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 16 delle precitate disposizioni generali.

Il tribunale di Milano - sezione X civile -, ritenendo che la prospettata questione di legittimità costituzionale non fosse manifestamente infondata, sia per essersi, anche l'azienda convenuta, nel resistere alle pretese degli attori, riferita agli artt. 21, 26, 31, 34 delle più volte citate disposizioni generali - articoli che consentirebbero la fissazione dei 52 riposi settimanali senza predeterminare alcuna cadenza nelle pause lavorative -, sia per i riflessi esercitati sull'oggetto della causa dalla sentenza n. 150 del 1967 della Corte costituzionale, sospendeva il giudizio in corso ed emetteva ordinanza - datata 23 dicembre 1970 - con la quale disponeva la trasmissione degli atti alla Corte per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale degli stessi artt. 21, 26, 31, 34 delle disposizioni generali annesse al r.d.l. 2 dicembre 1923, numero 2682, in relazione all'art. 36, terzo comma, della Costituzione.

Davanti alla Corte si sono regolarmente costituiti uno degli attori, Aratore Felice, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Arcadu e prof. Filippo Lubrano e l'Azienda trasporti municipalizzati di Milano, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, difesa ed assistita dagli avvocati Giuseppe Ferrari e prof. Salvatore Villari.

Non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. La parte attrice, riportandosi, nelle deduzioni depositate il 5 agosto 1971, alla su ricordata sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 1967 e alla sentenza della stessa Corte del 30 giugno 1971, n. 146 (successiva all'ordinanza del tribunale di Milano), con la quale é stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 21 del r.d.l. n. 2328 del 1923 - la prima delle disposizioni impugnate nella stessa ordinanza di rimessione - per gli stessi motivi per i quali, con la precedente sentenza, era stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 16, rileva che le considerazioni svolte dalla Corte, nel motivare le due decisioni, debbono essere estese anche alla questione in atto, attesa la identità di contenuto delle norme impugnate.

Infatti, per la parte attrice, le norme richiamate ometterebbero di "indicare in quale modo deve essere regolato l'esercizio del diritto del lavoratore, inteso nel senso che ad un certo numero di giornate lavorative faccia seguito quella di riposo" consentendo, di riflesso, "di raggruppare in modo irrazionale ed arbitrario, le giornate di riposo, e pertanto, di poterle concedere anche dopo lunghi periodi di lavoro o addirittura in un unico contesto di tempo".

L'A.T.M., nelle deduzioni depositate il 13 luglio 1971, osserva, in via preliminare, che, ripetendo gli artt. 26, 31 e 34 del r.d.l. n. 2328 del 1923 la stessa dizione letterale dell'articolo 16 dello stesso testo legislativo, articolo dichiarato incostituzionale, non sorgono questioni diverse e che, per quanto riguarda l'art. 21, la sollevata questione dovrà essere dichiarata infondata per effetto della sentenza n. 146 del 1971.

Fa rilevare, comunque, che la sentenza n. 146 del 1971 non prescrive una disciplina uniforme della periodicità del riposo, ma, anzi, consente una disciplina differenziata, purché: si tratti di casi di necessità a tutela di altri apprezzabili interessi; non venga, nel complesso, snaturato ed eluso il rapporto di un giorno di riposo e sei di lavoro; non siano superati i limiti di ragionevolezza, sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela dei lavoratori, soprattutto per quanto riguarda la loro salute.

Sulla base di tale rilievo, la convenuta ritiene che nessuna rilevanza assumerebbe, per il giudizio a quo, la questione sollevata dal tribunale di Milano, in quanto questi non potrebbe accogliere la domanda degli attori a seguito della eventuale dichiarazione di incostituzionalità degli articoli contestati, ma dovrebbe vagliare se la disciplina attuata in concreto con "atto di autonomia" sia in contrasto o meno con i principi enunciati nella sentenza n. 146 del 1971.

2. - Con sentenza 7 luglio - 29 agosto 1970 il tribunale di Genova respingeva, per improponibilità dell'azione, la domanda di Marengo Alfredo ed altri diretta a conseguire la condanna dell'Azienda municipalizzata (A.T.M.) di quella città a retribuire loro come lavoro straordinario festivo il servizio prestato nel settimo giorno consecutivo di lavoro in attuazione dei turni predisposti dalla società stessa, che prevedevano il riposo settimanale solo nell'ottavo giorno di attività.

Contro la sentenza proponeva gravame il Marengo Alfredo, chiedendo alla Corte di appello, in riforma dell'impugnata sentenza, di ritenere proponibile la domanda attrice e di accogliere, nel merito, le istanze. Con sentenza 31 maggio 1971 la Corte di appello di Genova, sezione magistratura del lavoro, riteneva proponibile l'azione e respingeva l'eccezione, sollevata dalla convenuta A.T.M., di avvenuta prescrizione.

Con ordinanza successiva e in pari data, la stessa Corte sollevava d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'articolo 26 del r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, in relazione all'art. 36, ultimo comma, della Costituzione.

La Corte, dopo aver precisato nella motivazione, che la fattispecie ricade sotto la disposizione di cui all'art. 26 del r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, che modifica il r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, in quanto l'appellante deve essere inquadrato, per le mansioni svolte, tra il personale delle stazioni e scali di cui al titolo IV della legge e non già sotto quella dell'art. 21, osserva che l'art. 26 sarebbe incostituzionale in quanto consente una periodicità del riposo non corrispondente ai fini dell'istituto e in contrasto con l'art. 36, ultimo comma, della Costituzione.

Nessuna delle parti si é costituita davanti alla Corte e non vi é stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - Analoga ordinanza emetteva la stessa Corte d'appello di Genova, in data 31 maggio 1971, nella causa di appello promossa da Stoppa Angelo contro la sentenza del tribunale di Genova del 7 luglio - 29 agosto 1970, parte convenuta l'A.T.M. di Genova.

La questione di legittimità costituzionale, in relazione all'articolo 36, ultimo comma, della Costituzione, investe, nel caso, l'art. 31 del r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, che modifica il r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, rientrando l'appellante tra il "personale di linea", di cui al titolo V della legge. La motivazione dell'ordinanza é del tutto identica alla precedente. Anche in relazione a tale ordinanza non vi é stata costituzione di parte e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza del tribunale di Milano e quelle della Corte di appello di Genova prospettano la questione di legittimità costituzionale, con riferimento all'ultimo comma dell'articolo 36 della Costituzione nella parte relativa al diritto del lavoratore al riposo settimanale, degli artt. 21, 26, 31, 34 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, convertito nella legge 17 luglio 1925, n. 473, e contenente disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione.

Poiché le questioni prospettate sono identiche, le cause possono essere riunite.

2. - Preliminarmente la Corte osserva che privo di fondamento si palesa il rilievo prospettato dall'A.T.M. di Milano circa la nessuna rilevanza che assumerebbe, per il giudizio a quo, la sollevata questione di legittimità costituzionale, in quanto il tribunale non potrebbe accogliere la domanda attrice neppure a seguito della dichiarazione di incostituzionalità degli articoli contestati, ma dovrebbe vagliare se la disciplina attuata dall'A.T.M. in concreto "con atto di autorità", sia in contrasto o meno con i principi enunciati nella sentenza n. 146 del 1971.

L'osservazione attiene al merito della causa. La rilevanza della questione é data dal fatto che l'adottata disciplina del''A.T.M. trae la sua derivazione dalle norme giuridiche impugnate, alle quali la stessa A.T.M. si é riferita per opporsi alle istanze della parte attrice, per cui il giudizio non può essere definito, nei termini proposti dal giudice a quo, indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale.

3. - Gli artt. 21, 26, 31, 34 delle disposizioni annesse al richiamato r.d.l. 1923, n. 2328, contengono disposizioni normative letteralmente identiche e differiscono soltanto rispetto alle categorie dei soggetti ai quali ogni singola disposizione si riferisce.

Infatti, l'art. 21 disciplina il riposo periodico del personale di scorta ai treni e del personale navigante; l'art. 26, quello delle stazioni e degli scali; l'art. 31, quello del personale delle linee; e, infine, l'art. 34, quello del personale vario.

Le norme impugnate dettano, in perfetta sincronia: "tra i riposi continuati in residenza... ve ne debbono essere 52 all'anno della durata di 24 ore, senza pregiudizio del congedo regolamentare".

4. - Questa Corte ha già dichiarato, con sentenza n. 146 del 1971, l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, uniformandosi alla sentenza n. 150 del 1967, con la quale é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 16 dello stesso r.d.l. 1923, n. 2328, e riferibile al riposo periodico del personale di macchina. Consegue, pertanto, la manifesta infondatezza della questione sollevata in merito all'art. 21.

5. - La Corte, con le sentenze n. 150 del 1967 e n. 146 del 1971, ha ritenuto che la formulazione vaga e imprecisa delle norme contemplate violi il principio del diritto al riposo settimanale nel concetto espresso dall'art. 36, terzo comma, della Costituzione, in quanto consente di raggruppare in modo irrazionale e arbitrario le giornate di riposo e di concederle anche dopo lunghi periodi di lavoro o addirittura in un unico contesto di tempo.

La Corte ha altresì stabilito, con le richiamate sentenze, che l'art. 36, terzo comma, della Costituzione, col termine "riposo settimanale" intende affermare la periodicità del riposo, nel rapporto, in linea di massima, di un giorno su sei di lavoro. Ha chiarito, infine, che la varietà di qualità e di tipi di lavoro non consente una uniforme disciplina che urterebbe contro gli interessi del mondo del lavoro e degli stessi lavoratori, per cui devesi necessariamente ammettere la legittimità di una periodicità differenziata. Tale disciplina differenziata deve attenersi ai seguenti principi:

a) si tratti di casi di necessità a tutela di apprezzabili interessi;

b) non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore, soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso.

Poiché le norme impugnate con le ordinanze del tribunale di Milano e della Corte di appello di Genova ricadono nello stesso vizio già rilevato per gli artt. 16 e 21 del medesimo r.d.l., dovrà esserne riconosciuta l'illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 26, 31 e 34 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (Disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione), modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, numero 2682;

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle stesse disposizioni, già dichiarato illegittimo con sentenza n. 146 del 1971.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1973.