Sentenza n. 148 del 1972

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SENTENZA N. 148

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 18 ottobre 1950, n. 920, concernente la proroga dei termini assegnati dalle disposizioni d’attuazione del codice civile nei riguardi di società e di consorzi, promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1970 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Rebora Gianguglielmo e la società Montecatini-Edison, iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 del 17 febbraio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Rebora Gianguglielmo e della società Montecatini-Edison e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1972 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Edoardo Clerici, per il Rebora, l'avv. Rosario Nicolò, per la società Montecatini-Edison, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza 29 ottobre 1970, emessa nel procedimento civile vertente tra Rebora Gianguglielmo e la società p.a. Montecatini-Edison, il tribunale di Milano ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'articolo 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge 18 ottobre 1950, n. 920, avente ad oggetto la proroga dei termini assegnati dalle disposizioni di attuazione del codice civile nei riguardi di società e di consorzi.

Nell’ordinanza di rinvio si osserva che la legge impugnata, prorogando i termini relativi agli adempimenti previsti dagli artt. 204, secondo comma, 206, 209, secondo comma, 213, 215, secondo comma, 216, 217, secondo comma, 221 e 223 delle disposizioni di attuazione del codice civile vigente "fino all’attuazione della revisione del codice civile", pone in essere una disciplina che non é circoscritta, secondo le caratteristiche delle norme transitorie, ad un periodo di tempo limitato e predeterminato, ma si affianca, in via definitiva, al sistema previsto dagli artt. 2368 e 2369 del codice civile.

La contemporanea esistenza, per un periodo di tempo indeterminato, di due diverse discipline legislative applicabili a situazioni sostanzialmente eguali é in contrasto, secondo il tribunale di Milano, con il principio della parità di trattamento, sancito dall'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituite entrambe le parti. Il Rebora, con deduzioni depositate in cancelleria il 14 dicembre 1970, condivide le censure prospettate nell’ordinanza di rinvio, sostenendo che la legge impugnata pone in essere, per le società costituite anteriormente al 1942, un sistema di privilegio che consente di adottare, in deroga alle disposizioni del codice civile relative ai quorum assembleari, deliberazioni anche gravissime con maggioranza irrisoria, e quindi senza alcuna garanzia di serietà e di ponderatezza.

La società Montecatini-Edison, invece, con atto del 3 marzo 1971, deduce l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale, osservando che il tribunale di Milano avrebbe dovuto, nel denunciare la violazione del principio di eguaglianza, escludere l'obbiettiva diversità delle situazioni diversamente disciplinate, oppure assumere che la differenza di disciplina sarebbe informata a criteri assolutamente irrazionali.

Secondo la società, nessuna di tali affermazioni sarebbe possibile nel caso di specie perché il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, avrebbe tenuto conto proprio della diversità di situazioni obbiettive con riferimento alla data di costituzione delle società, e le avrebbe regolate in base a un criterio che si presenta razionale, in quanto collegato ad un contesto sociale nuovo e più complesso di quello operante, per le società per azioni, al momento dell’entrata in vigore del codice.

3. - É intervenuto in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con deduzioni del 3 marzo 1971, ha chiesto che la Corte dichiari infondata la questione di legittimità proposta dal tribunale di Milano. Dopo aver premesso che l'efficacia limitata nel tempo non costituisce carattere essenziale e necessario della norma transitoria, l'Avvocatura osserva che la legittimità costituzionale della norma impugnata va verificata non già sulla base della sua efficacia temporanea o definitiva, bensì esaminando in concreto se la disciplina dettata dalla legge sia o meno in contrasto con il principio di eguaglianza invocato dal giudice a quo. Ora, secondo la difesa dello Stato, la legge n. 920 del 1950, che si riferisce alla data di costituzione delle società per stabilire una diversa regolamentazione tra le società costituite prima e quelle costituite dopo la entrata in vigore del codice civile, non costituirebbe una deviazione dalla logica del sistema, perché altre norme, di sui non si pone in dubbio la leggittimità costituzionale, attribuiscono rilevanza al medesimo fatto; inoltre, la discriminazione tra società costituite prima e società costituite dopo l'entrata in vigore del codice civile sarebbe del tutto ragionevole perché troverebbe la sua obbiettiva giustificazione nelle ragioni che indussero il legislatore a rinviare la modifica degli atti costitutivi e degli statuti delle società costituite prima dell’entrata in vigore del codice vigente, dopo che si era manifestata la necessità di addivenire ad una profonda e radicale revisione delle disposizioni del codice regolanti le società commerciali.

4. - All'udienza le parti si sono riportate, illustrandole, alle precedenti deduzioni.

 

Considerato in diritto

1. - Gli artt. 2368 e 2369 del vigente codice civile stabiliscono, per la costituzione delle assemblee e per la validità delle deliberazioni delle società per azioni, determinate maggioranze; inderogabili nel minimo, in ciò innovando alla disciplina dispositiva e suppletiva del codice di commercio del 1882, in cui i quorum assembleari previsti dal legislatore erano applicabili solo se le società, nell'atto costituitivo o nello statuto, non avessero diversamente disposto (artt. 157 e 158).

Per l'adeguamento degli anteriori atti statutari alle nuove norme, l'art. 206 delle disposizioni di attuazione del codice civile (r.d. 30 marzo 1942, n. 318) concedeva termine fino al 30 giugno 1945. Tale termine, con vari provvedimenti legislativi, fu più volte rinviato a scadenze determinate, fin quando, con la legge 18 ottobre 1950, n. 920, esso venne ulteriormente prorogato con una formula che ne disponeva il differimento "fino all'attuazione della revisione del codice civile".

Il tribunale di Milano, considerato che la proroga da ultimo stabilita é collegata alla stessa revisione della disciplina attualmente vigente per le società per azioni, ritiene che la disposizione che la sancisce sia incompatibile con un sistema di diritto transitorio perché in realtà essa darebbe luogo a due regolamentazioni definitive, diverse e contrastanti, della stessa materia, a seconda che le società siano state costituite anteriormente o posteriormente all'entrata in vigore del nuovo codice. Tale duplicità di regolamentazione é assunta dal giudice a quo a fondamento della dedotta illegittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge del 1950, per violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione.

2. - Come é noto, l'originario termine entro il quale le società regolarmente costituite al giorno dell’entrata in vigore del codice dovevano provvedere ad uniformare allo stesso l'atto costitutivo e lo statuto, aveva lo scopo di evitare che quelle società potessero risentire danno dall'applicazione troppo precipitosa di una innovazione che aveva riflessi sulla loro organizzazione interna e sulla regolarità del loro funzionamento. Scaduto quel termine, a sollecitarne di volta in volta la proroga contribuirono da un lato talune esigenze di carattere temporaneo, connesse allo stato di guerra (d.l.lgt. 4 gennaio 1945, n. 11); dall'altro ragioni di carattere sostanziale che investivano le stesse scelte di politica legislativa adottate dal codice del 1942, nella materia in esame. In particolare, si profilava, negli ambienti politici ed economici, il dubbio che la ratio, che ispira il codice vigente, di rendere più rigido il sistema mediante la previsione di quorum costitutivi e deliberativi inderogabili, non costituisse effettivamente lo strumento più idoneo, nel mutato contesto politico-sociale, per tutelare le minoranze e per garantire in misura adeguata la posizione dei soci assenti e dissenzienti.

Tali perplessità, alimentate dall’impossibilità di valutare criticamente, nella difficile situazione del Paese impegnato nella ricostruzione, tutti gli aspetti, politici ed economici, delle innovazioni del codice vigente in materia di società e di consorzi, indussero il legislatore a prorogare ulteriormente i relativi termini previsti dalle disposizioni di attuazione, dapprima a tempo determinato (d.l.C.P.S. 29 marzo 1947, n. 361; d.lg. 25 marzo 1948, n. 484; 1. 19 dicembre 1949, n. 1051), e poi fino all'attuazione della revisione del codice civile (1. 18 ottobre 1950, n. 920).

3. - Così precisate le finalità delle leggi di proroga, va rilevato, preliminarmente, che nessuna influenza riveste, ai fini della decisione, la formulazione della norma impugnata, già censurata in sede di lavori preparatori e, successivamente, da parte della dottrina. Né alcun contributo può recare alla soluzione del problema l'indagine, necessariamente astratta, delle caratteristiche delle norme di diritto c.d. transitorio: come già questa Corte ha avuto occasione di rilevare (sentenza n. 101 del 1967), "la definizione di una norma come transitoria implica solo che, nel passaggio da una vecchia ad una nuova disciplina, alcuni fatti o rapporti, in considerazione della loro collocazione cronologica, sono sottratti alla efficacia del nuovo regolamento, ma non esclude che la norma possa trovare applicazione, per un tempo indefinito, tutte le volte in cui quei fatti e quei rapporti siano oggetto di valutazione giuridica".

Ciò posto, occorre esaminare se l'espressione secondo la quale i termini in esame a sono ulteriormente prorogati sino alla attuazione della revisione del codice civile" volesse introdurre semplicemente una proroga sine die, diretta a mantenere in vita a tempo praticamente indeterminato, per le società costituite anteriormente alla entrata in vigore del codice civile, le disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto che non fossero ad esso conformi, oppure se quella espressione servisse, nelle intenzioni del legislatore, a fissare nel tempo un termine finale alla durata del differimento della efficacia di quelle disposizioni.

A questo proposito va sottolineato che il collegamento tra la proroga e la modifica delle norme del libro V del codice trova esplicito riferimento non solo nella formulazione della legge impugnata, ma anche nei lavori preparatori dell'ultima delle leggi di proroga a termine, la legge 19 dicembre 1949, n. 1051, con cui il legislatore provvide a rinviare di un anno l'estensione delle disposizioni del codice civile in tema di società e di consorzi.

Quest'ultimo rilievo permette di valutare esattamente il significato della espressione contenuta nell'art. 1 della legge 18 ottobre 1950, n. 920, nel senso che essa aveva la funzione di indicare il termine finale della proroga, che il legislatore aveva già preventivamente determinato nell'an e, ragionevolmente, ritenuto determinabile nel quando (cfr. sent. n. 16 del 1968).

Di conseguenza, non può essere condiviso l'assunto del giudice a quo, secondo cui la legge n. 920 del 1950 attribuisce carattere definitivo al sistema di diritto transitorio, previsto dalle norme di attuazione; deve, al contrario, ritenersi che la proroga di tale sistema é riferita ad un termine finale che il legislatore, nell'ambito del suo potere discrezionale, ha determinato in modo elastico e flessibile, collegandolo ad un avvenimento che si aveva ragione di ritenere, se non imminente, quanto meno prossimo.

4. - Decisivo é, comunque, il rilievo che la previsione di un duplice sistema di regolamentazione delle società commerciali e dei consorzi in tema di quorum assembleari si presentava, al momento in cui fu disposta la proroga, perfettamente corrispondente alle esigenze prese in considerazione dal legislatore. In effetti, in una situazione politica caratterizzata da non poche incertezze in ordine agli strumenti giuridici adeguati alle necessità del momento per regolare istituti fondamentali per lo sviluppo economico del Paese, quali le società per azioni, non può non apparire razionale la scelta del Parlamento di evitare l'applicazione di quelle norme del nuovo codice di cui si prevedeva, sin d'allora, una modificazione.

D'altra parte, che tale previsione fosse aderente alla realtà politica e sociale, é dimostrato dagli avvenimenti verificatisi negli anni successivi, in cui, anche per effetto della rapida industrializzazione del Paese e della diffusione dell'azionariato, il problema della riforma della disciplina delle società per azioni é stato sempre considerato una esigenza viva, sia dagli studiosi della materia che da parte dei rappresentanti politici.

A questo proposito, merita di essere ricordato che, dopo precedenti studi e proposte, il Governo, nel novembre 1963, assunse impegno dinanzi al Parlamento di portare a compimento quella riforma e che, sulla base di un'ampia elaborazione effettuata da una commissione di studio particolarmente qualificata, nel gennaio 1967 fu diramato per il parere uno schema di disegno di legge, che, per diverse ragioni, che in questa sede non é il caso di valutare, non fu poi presentato all'approvazione degli organi parlamentari.

Nel frattempo, delineatasi, a livello comunitario, l'esigenza di eliminare taluni contrasti esistenti nella disciplina delle società per azioni nei diversi paesi della C.e.e., il Governo emanava la legge delegata 29 dicembre 1969, n. 1127, con cui, in attuazione della direttiva della C.e.e. 9 marzo 1968, n. 151, venivano introdotte parziali modifiche al regime delle società.

Attualmente, il problema relativo ad una più incisiva e generale riforma della disciplina societaria é tuttora aperto e non può considerarsi né risolto né superato. Infatti, nel "documento programmatico preliminare", contenente elementi per l'impostazione del programma economico nazionale per il quinquennio 1971-1975, é stata ancora una volta sottolineata l'urgenza di adottare "misure legislative idonee a rendere la struttura societaria più funzionale tanto ai fini dello sviluppo economico generale, quanto a quelli di una corretta raccolta e canalizzazione del risparmio".

In questa prospettiva, ritiene la Corte che il collegamento operato dalla legge impugnata tra il differimento della applicazione di determinate norme del codice e la riforma della disciplina delle società, resta tuttora valido nel suo presupposto di fatto. Di conseguenza, in materia di maggioranze assembleari, la diversità di regolamentazione esistente tra le società costituite anteriormente o posteriormente alla entrata in vigore del codice civile, trova anche oggi una valida giustificazione, nell'attesa della disciplina che, tenendo conto dei rilevanti mutamenti della situazione economico-sociale, regoli in modo unitario il regime giuridico delle società.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 18 ottobre 1950, n. 920, relativa alla proroga dei termini assegnati dalle disposizioni di attuazione del codice civile in materia di società e consorzi, questione proposta dal tribunale di Milano, con ordinanza 29 ottobre 1970, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Ercole ROCCHETTI

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1972.