Sentenza n. 79 del 1972

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 SENTENZA N. 79

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti promossi con quattro ricorsi della Regione della Toscana, notificati il 30 luglio e il 20 novembre 1971, depositati in cancelleria il 3 agosto e il 9 dicembre 1971 ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 17, 18, 29 e 30 del registro ricorsi 1971, per conflitto d’attribuzione tra la stessa Regione e lo Stato, sorto a seguito:

a) del decreto 5 marzo 1971 del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato, con il quale l'acqua termo-minerale "Coniano", in territorio del Comune di Coniano, é stata data in concessione, per un trentennio, alla soc. Coniano-Poggibonsi;

b) del decreto 7 maggio 1971 del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato, con il quale l'acqua termo-minerale "Bagni di Chianciano", in territorio del Comune di Chianciano Terme, é stata data in concessione, per un trentennio, alla soc. Terme di Chianciano;

c) del decreto 26 luglio 1971 del Ministro per l'agricoltura e le foreste, con il quale la località "Duna Feniglia" in Provincia di Grosseto é stata costituita in "riserva forestale di protezione";

d) del decreto 26 luglio 1971 del Ministro per l'agricoltura e le foreste, con il quale la località "Poggio Tre Cancelli" in Provincia di Grosseto é stata costituita in "riserva naturale integrale".

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1972 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

uditi l'avv. Enzo Cheli, per la Regione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con due ricorsi del 28 luglio 1971 la Regione Toscana ha proposto conflitto d’attribuzione nei confronti dello Stato in relazione a due decreti del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato: a) decreto 5 marzo 1971, con il quale l'acqua termo- minerale "Coniano", in territorio del Comune di Coniano, é stata data in concessione, per un trentenio, alla S.r.l. Coniano-Poggibonsi; b) decreto 7 maggio 1971, con il quale l'acqua termo-minerale "Bagni di Chianciano", in territorio del Comune di Chianciano Terme, é stata data in concessione, per un trentennio, alla S.p.a. Terme di Chianciano.

La ricorrente sostiene che i predetti decreti-emanati in violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., interpretati in relazione all'art. 11, quinto e sesto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281 - violano la sfera di competenza ad essa assegnata e, di conseguenza, ne chiede l'annullamento.

2. - A fondamento delle sue richieste la Regione espone una serie di motivi, che possono essere così sintetizzati:

a) Le acque minerali e termali sono state trasferite al patrimonio indisponibile della Regione - previsto dall'art. 119 Cost. - per effetto dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e con decorrenza dal momento dell'entrata in vigore di questa legge. La prima parte del quinto comma di quell'articolo, infatti, afferma che le acque minerali e termali (e così le foreste, cave e torbiere) "sono trasferite" alle Regioni: mentre per i beni previsti dalla seconda parte dello stesso comma si dice che essi "saranno trasferiti" con i provvedimenti legislativi di cui all'art. 17 della legge.

b) Per effetto di questa diversità di statuizioni il decreto ministeriale d’individuazione dei beni, previsto nel sesto comma, riguarda solo i beni che saranno successivamente trasferiti, non già quelli - come le acque minerali e termali - che la legge stessa immediatamente trasferisce al patrimonio indisponibile delle Regioni: ma anche se così non fosse (se, cioé, il decreto ministeriale fosse richiesto per i beni trasferiti dalla legge e per quelli da trasferirsi con i decreti delegati), é certo che per le acque termo-minerali quel decreto avrebbe carattere meramente dichiarativo.

c) Per effetto dell'avvenuto trasferimento ope legis si deve ritenere che la Regione abbia acquistato immediatamente i poteri di gestione dei beni trasferiti: la condizione posta dall'art. 17 della legge n. 281, relativa al preventivo trasferimento delle funzioni a mezzo di decreti legislativi, non riguarderebbe siffatti poteri, ma solo le funzioni previste dall'art. 117 della Costituzione.

d) Anche se non si volesse accedere a siffatta conclusione, occorrerebbe pur sempre ritenere che, essendo intervenuto il trasferimento alla Regione delle acque termo-minerali, lo Stato ne eserciterebbe la gestione per conto della Regione stessa, con le limitazioni proprie di siffatto tipo di gestione: vale a dire con poteri d’ordinaria amministrazione, indirizzati alla sola conservazione dei beni.

e) Nella specie, attraverso concessioni trentennali, lo Stato ha invece esplicato un intervento tipicamente dispositivo, laddove la gestione per conto avrebbe consentito, al massimo, una disposizione del bene fino al limite iniziale dello svolgimento delle funzioni amministrative da parte della Regione (es.: concessione per due anni).

3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri - costituitosi con atto del 10 agosto 1971 a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato - ha chiesto che i due ricorsi vengano dichiarati inammissibili od in ogni caso infondati sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) L'inammissibilità deriva dalla circostanza che lo Stato ha provveduto su beni non ancora trasferiti alla Regione. La diversità d’espressione letterale della prima e della seconda parte del quinto comma dell'art. 11 della legge n. 281 non ha il significato che ad essa vuole attribuire la Regione. Il verbo presente é stato frequentemente usato negli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, ma nessuno ha mai dubitato che le relative disposizioni non avessero effetto fin tanto che il concreto trasferimento non venisse operato con le norme d’attuazione, e ciò in aderenza ad esigenze logiche e giuridiche, giacché l'attribuzione della piena proprietà di un bene non avrebbe senso senza la contestuale titolarità dell'esercizio dei diritti dominicali.

b) La legge del 1970 si é sostanzialmente uniformata a siffatto indirizzo : il sesto comma dell'art. 11 prevede che l'individuazione dei beni avvenga con decreto del Ministro per le finanze; l'art. 17, lett. a), rinvia ai decreti delegati la determinazione dei vincoli necessari a garantire l'inalienabilità, l’indisponibilità e la destinazione dei beni; l'art. 18, secondo comma, stabilisce l'inizio da parte delle Regioni delle attribuzioni amministrative trasferite al 1 gennaio successivo alla emanazione di detti decreti.

c) Valutate in questo quadro, le espressioni usate nel quinto comma dell'art. 11 acquistano un significato diverso da quello ad esse attribuito dalla Regione: acque termo-minerali, foreste, cave e torbiere sono categorie di beni già determinate, laddove i beni adibiti agli uffici ed ai servizi da trasferire sono strettamente dipendenti dal contenuto e dall'ampiezza dei decreti delegati di trasferimento.

d) Ad ogni modo, se pur fosse esatta la tesi dell'avvenuto trasferimento ope legis delle acque termo-minerali, il ricorso sarebbe infondato. La Regione riconosce di esser priva di poteri amministrativi e che questi spettano medio tempore allo Stato, ma assume che la perdurante gestione statale dovrebbe avere contenuto esclusivamente conservativo: si introduce, in tal modo, una distinzione che non ha senso in tema di potestà pubbliche e particolarmente nella materia in esame, giacché per le acque termali - salvo il caso dell'Ente di gestione delle aziende termali demaniali - la gestione in concessione é l'unico sistema normale d’utilizzazione.

4. - Con altri due ricorsi del 18 e 19 novembre 1971 la Regione Toscana ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato ed ha chiesto l'annullamento di due decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste: a) del decreto 26 luglio 1971, con il quale la località "Duna Feniglia" é stata costituita in "riserva forestale di protezione" ed affidata alla tutela e gestione dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali; d) del decreto 26 luglio 1971, con il quale la località "Poggio Tre Cancelli" é stata costituita in "riserva naturale integrale" ed affidata alla tutela e gestione della medesima azienda. Anche questi decreti violerebbero, ad avviso della ricorrente, gli artt. 117, 118 e 119 Cost. in relazione all'art. 11, quinto e sesto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281 e, di conseguenza, la sua sfera di competenza.

5. - Nei ricorsi la Regione enuncia le stesse argomentazioni poste a fondamento dell'impugnativa di cui al precedente n. 2.

Per quanto più particolarmente riguarda i decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste, la difesa regionale svolge le seguenti tesi:

a) se i provvedimenti adottati sono stati emanati in base ai normali poteri del Ministro sui beni appartenenti al demanio forestale essi, in quanto cadenti sulle foreste già trasferite per effetto immediato della legge 16 maggio 1970, n. 281, devono essere annullati perché ultronei rispetto alla sola ordinaria gestione che allo Stato può essere riconosciuta prima del trasferimento delle funzioni amministrative;

b) se invece i due decreti ministeriali (espressamente motivati col "preminente interesse nazionale" delle due zone) sottintendessero la definitiva sottrazione dei beni alla proprietà regionale, essi violerebbero la legge n. 281 che non pone alcun limite al trasferimento alle Regioni del patrimonio forestale dello Stato;

c) supposto che il Ministro abbia emanato i due provvedimenti di vincolo sulla scorta dell'ultima parte della lett. a), dell'art. 17 della legge 281 - che abilita lo Stato a porre "vincoli atti a garantire l'inalienabilità, l'indisponibilità e la destinazione dei beni di cui alla prima parte del quinto comma dell'art. 11" - é da osservare che siffatto potere può essere esercitato (come risulta dall'o.d.g. approvato dal Senato nella seduta del 18 dicembre 1970) solo con legge o con deliberazione collegiale del Governo. Se invece la predetta disposizione andasse interpretata nel senso che quel potere sia attribuito al singolo Ministro, essa risulterebbe viziata di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 5, 115, 119 e 127 della Costituzione, dai quali si deve desumere il principio che, essendo l'autonomia regionale di natura e livello costituzionale, le limitazioni consentite a tutela dell'interesse nazionale vanno poste con atti di livello corrispondente;

d) sulla base di queste ultime considerazioni la Regione propone, in ipotesi, eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 17, lett. a), della legge n. 281 del 1970.

6. - Nei due giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura espone, in primo luogo, tesi difensive analoghe a quelle svolte nei giudizi relativi ai due ricorsi concernenti le acque minerali e termali, sostenendo che la legge del 1970 non ha immediatamente trasferito le foreste alle Regioni e che non é concepibile che prima del trasferimento delle funzioni amministrative lo Stato abbia conservato un potere limitato alla c.d. gestione per conto. In ogni caso occorrerebbe ritenere che, non potendosi ammettere un vuoto di potere, lo Stato abbia conservato la pienezza dei poteri relativi ai beni forestali, specie i poteri indirizzati alla conservazione di questi: e tali sono quelli esercitati con l'imposizione di un vincolo di intangibilità. Per quanto riguarda le censure mosse dalla Regione, in via subordinata, alla legge del 1970, la difesa dello Stato sostiene che, una volta riconosciuto che lo Stato può imporre vincoli atti a garantire l'inalienabilità ed indisponibilità delle foreste, la Regione non ha titolo per sindacare, in sede di conflitto di attribuzione, la distribuzione interna della competenza statuale.

7. - In una memoria depositata il 9 febbraio 1972 la difesa della Regione Toscana ha ribadito ed approfondito le tesi svolte nei quattro ricorsi. In contrasto con le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, la difesa regionale in particolare osserva:

a) Circa il momento del trasferimento dei beni di cui si tratta, non é decisivo il richiamo alle disposizioni degli statuti speciali: in questi esistono, talvolta, norme che esplicitamente rinviano la consegna dei beni all'atto dell'emanazione delle norme di attuazione; la stessa giurisprudenza costituzionale si riferisce a decisioni di specie, riferite ai singoli ordinamenti; esistono correnti dottrinali che, sempre con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sostengono che i beni, a differenza degli uffici, sono automaticamente trasferiti dalla norma costituzionale che li contempla.

b) I lavori preparatori della legge del 1970 dimostrano che la modifica del testo originario dell'art. 11 fu voluta proprio per realizzare il trasferimento immediato dei beni diversi da quelli che fossero strumentali rispetto alle funzioni.

c) In riferimento a questa modifica introdotta nell'iter legislativo, la tesi subordinata dell'Avvocatura - che, cioé, anche ammesso l'avvenuto trasferimento della proprietà, esso sarebbe improduttivo di effetti, essendo rimasta allo Stato la titolarità delle funzioni - si risolverebbe in un’interpretazione sostanzialmente abrogativa della legge.

d) Il fenomeno della c.d. gestione per conto non é sconosciuto al nostro ordinamento positivo: se ne ritrovano esempi nella legislazione relativa all'E.N.E.L., per quanto riguarda la fase transitoria del passaggio delle imprese elettriche, e nei casi di gestione di beni di proprietà statale a mezzo di aziende autonome.

e) L'eccezione di inammissibilità non é fondata, perché la Regione fa valere l'attualità di un diritto soggettivo perfetto sui beni di cui si discute e l'attualità nella titolarità dei poteri (diverso era il caso deciso dalla sentenza n. 119 del 1971 a proposito della potestà legislativa, per la quale si escluse una confisca della competenza regionale in considerazione della circostanza che, a funzioni trasferite, le Regioni potranno liberamente sostituire la legislazione statale con proprie leggi; laddove nel caso de quo gli atti concernenti le acque creano a favore di terzi un diritto soggettivo perfetto di durata trentennale, che la Regione non potrà rimuovere).

f) Per quanto specificamente riguarda le acque minerali e termali, la regola desumibile dall'art. 5 del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 620, sulla ripartizione della competenza fra prefetto e ministro, é nel senso che le concessioni abbiano di regola durata infradecennale; d'altra parte la legge 21 giugno 1960, n. 649 dimostra che il sistema della concessione ad industria privata non controllata dal capitale pubblico non é più il mezzo normale di gestione delle acque termali.

g) Per le foreste, provvedimenti, quali quelli impugnati, che incidono in modo definitivo ed assoluto sul regime giuridico dei beni, realizzano un mutamento che sostanzialmente li sottrae alle determinazioni legislative ed amministrative della Regione.

h) Circa la funzione di "vincolo" che lo Stato vorrebbe attribuire ai due decreti del Ministro per l'agricoltura, le osservazioni fatte in merito all'art. 17, lett. a), della legge del 1970 mettono in evidenza - anche attraverso la subordinata eccezione di legittimità costituzionale - che quei vincoli non possono essere apposti con atto di un singolo ministro e dimostrano che nella specie non si é fatto uso di quella disposizione, ma si é inteso applicare l'ordinamento previgente con l'esercizio di un potere dispositivo sulle foreste inconciliabile ormai con l'avvenuto trasferimento alle Regioni.

8. - Nell'udienza pubblica le due parti hanno ulteriormente svolto le rispettive tesi difensive. L'Avvocatura dello Stato ha esibito copia di alcuni atti dei procedimenti amministrativi relativi ai decreti ministeriali impugnati.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi promossi dalla Regione Toscana contro lo Stato implicano la soluzione di questioni in gran parte identiche. Essi, pertanto, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Con i quattro ricorsi indicati in epigrafe la Regione denuncia altrettanti conflitti di attribuzione determinati dall'emanazione di due decreti del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato concernenti la concessione di acque termo-minerali (d.m. 5 marzo 1971, relativo all'acqua "Coniano", e d.m. 7 maggio 1971, relativo all'acqua "Bagni di Chianciano") e di due decreti del Ministro dell'agricoltura e foreste, con i quali sono state costituite una "riserva forestale di protezione" (d.m.26 luglio 1971 per la località "Duna Feniglia") ed una "riserva naturale integrale" (d.m. 26 luglio 1971 per la località "Poggio Tre Cancelli").

Nel chiedere l'annullamento dei predetti decreti la ricorrente - oltre che prospettare (come più innanzi si dirà) vizi più specificamente riguardanti quelli emanati dal Ministro dell'agricoltura - assume, in sostanza, che lo Stato ha esercitato una competenza che, entrata in vigore la legge 16 maggio 1970, n. 281, più non gli spetta o, quanto meno, non gli spetta in quella latitudine e pienezza che il contenuto e gli effetti degli atti impugnati presupporrebbero.

É evidente che attraverso siffatta denunzia la Regione Toscana agisce a tutela di un suo interesse attuale alla rimozione di provvedimenti che essa ritiene incidano illegittimamente su proprie attribuzioni costituzionalmente garantite (articoli 117, 118 e 119 Cost.). E perciò deve essere respinta l'eccezione preliminare di inammissibilità, opposta dalla difesa dello Stato.

3. - Ad avviso della Regione, il disposto della prima parte del quinto comma dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, statuendo che "sono" trasferite alle Regioni (oltre che le cave e torbiere, le quali non vengono qui in considerazione) le foreste appartenenti allo Stato e le acque termo-minerali, avrebbe operato l'immediato trasferimento di tali beni al patrimonio indisponibile regionale, senza la necessità di ulteriori, puntuali atti traslativi. Verificatosi tale effetto, la Regione sarebbe stata investita, ope legis, delle corrispondenti potestà amministrative e non potrebbe essere invocato il principio - art. 17 della citata legge - che per le materie di competenza regionale tale investitura collega all'emanazione dei decreti delegati di passaggio delle funzioni e del personale ovvero al decorso di un biennio. La ricorrente sostiene peraltro che, anche se non le si dovesse riconoscere l'immediata titolarità di quelle potestà, occorrerebbe pur tuttavia riconoscere che medio tempore lo Stato avrebbe potuto agire solo per conto della Regione con la conseguente limitazione dei suoi poteri ad atti indirizzati alla mera conservazione dei beni in questione.

4. - Da quanto innanzi é stato precisato risulta che l'oggetto proprio del presente giudizio non é costituito dall'appartenenza delle foreste e delle acque termo-minerali allo Stato o alla Regione, sibbene dalla titolarità, all'epoca in cui i provvedimenti ministeriali furono emanati, delle correlative potestà amministrative ovvero, supposto che queste siano rimaste allo Stato, dai limiti inerenti al loro contenuto ed esercizio.

Rilevato ciò, sembra superfluo accertare, ai fini che qui interessano, se le acque termo-minerali e le foreste appartenenti allo Stato siano state trasferite al patrimonio indisponibile regionale per effetto immediato della citata disposizione legislativa o se da questa sia nato, invece, solo l'obbligo di trasferire alle Regioni i singoli beni compresi nelle predette categorie. Ritiene infatti la Corte che in ogni caso, sia esatta la prima o la seconda tesi, é rimasta allo Stato, fino all'emanazione dei decreti delegati o al decorso del biennio, la piena legittimazione a provvedere alla concessione delle acque ed all'imposizione dei vincoli forestali di destinazione.

Si tratta, certo, di funzioni amministrative inerenti a materie comprese nella sfera di attribuzioni regionali (artt. 117, 118 e 119 Cost.), ma é altrettanto vero che nel momento in cui i decreti ministeriali furono adottati esse non erano ancora passate alle Regioni, e ciò in forza di un principio che, trovando fondamento nell'VIII disposizione transitoria della Costituzione, é stato posto legittimamente (cfr. sent. n. 39 del 1971) dall'art. 17 della legge n. 281 del 1970, ed al quale non può non riconoscersi una portata assolutamente generale.

Ammettere che per i soli beni che si suppongano già entrati a far parte del patrimonio indisponibile regionale siano state ope legis trasferite le corrispondenti potestà amministrative significherebbe introdurre un'eccezione sicuramente incompatibile con la ratio di quel principio, che é chiaramente diretto a garantire, nell'interesse della collettività, un'ordinata successione delle Regioni allo Stato attraverso la predisposizione degli strumenti, anche materiali, idonei ad assicurare che al trasferimento delle funzioni si accompagni la possibilità di un effettivo ed efficiente loro esercizio.

Né si può accogliere la tesi subordinata, sulla quale la ricorrente particolarmente insiste. Dal preteso già intervenuto trasferimento delle foreste e delle acque termo-minerali, come non si potrebbe dedurre un’immediata successione nelle funzioni inerenti a questi beni, così non si potrebbe neanche dedurre un affievolimento del perdurante potere statale. In via generale non si può escludere che in determinate situazioni le pubbliche potestà abbiano a subire una limitazione di esercizio, ma ciò deve risultare da specifiche e puntuali disposizioni o, almeno, da principi desumibili dal sistema.

Orbene, per quanto riguarda l'attuale controversia, né la Costituzione né la legge del 1970 autorizzano a ritenere che le funzioni amministrative, finché sono rimaste allo Stato, avrebbero dovuto contenersi nei limiti di una mera attività di conservazione: un regime siffatto, protratto notevolmente nel tempo, avrebbe potuto irrimediabilmente compromettere la soddisfazione di pubblici interessi, con danno dello stesso patrimonio regionale. La supposta "gestione per conto della Regione", ammesso che ne ricorressero i presupposti, avrebbe rilievo in tema di attribuzione alla Regione dei risultati, anche economici, della gestione stessa (intorno al che qui non si controverte), ma non potrebbe mai avere il significato di consentire allo Stato solo atti i cui effetti siano strettamente limitati al tempo intercorrente fra la loro adozione ed il momento dell'effettivo subentrare dei nuovi enti nelle relative potestà. Che in tal modo le Regioni possano trovarsi di fronte a situazioni giuridiche durature e non modificabili se non nei casi e nei limiti consentiti dalle leggi (quindi, giova aggiungere, anche dalle emanande leggi regionali) rappresenta, al più, un pregiudizio di fatto, che può peraltro connettersi a qualsiasi attività amministrativa posta in essere dallo Stato nel periodo transitorio fra la costituzione delle Regioni ed il trasferimento ad esse delle funzioni. Per quanto riguarda i beni pertinenti al patrimonio indisponibile regionale, si sia verificato per effetto della legge del 1970 un immediato trasferimento o sia sorto solo un obbligo di trasferimento, l'unica attività preclusa allo Stato prima del passaggio delle funzioni era quella incompatibile col diritto acquistato dalle Regioni: vale a dire un'attività - quale certamente non é quella esplicata con i decreti di cui si discute - che presupponesse un disconoscimento di siffatto diritto.

5. - Va peraltro posto in rilievo, con specifico riferimento al contenuto dei provvedimenti impugnati, che sia la concessione delle acque termali e minerali sia l'imposizione di vincoli alle foreste sono estrinsecazioni di una normale gestione di tali beni.

Per quanto riguarda le acque, la Regione finisce col non contestare che lo Stato potesse farne oggetto di concessione, ma sostiene che questa avrebbe dovuto esser contenuta in limiti di durata corrispondenti al tempo necessario e sufficiente per il trasferimento delle funzioni amministrative. Questa tesi muove dal presupposto che in generale la durata della concessione possa essere liberamente determinata dall'ente concedente e, in particolare, che in base alla legislazione vigente la concessione infradecennale rappresenti una regola, in presenza della quale quella ultradecennale costituirebbe atto di straordinaria gestione. Ma dall'art. 5 del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 620, riguardante il decentramento dei servizi del Ministero dell'industria, risulta solo una ripartizione di competenze fra prefetto e Ministro, secondo si tratti di concessione infra o ultradecennale, e non già un principio in forza del quale si possa individuare, quanto alla durata, una regola ed un'eccezione. Ed invero in relazione ad un singolo bene rientra nella discrezionalità - non in un potere di libera scelta - della autorità stabilire modalità e durata della concessione con riferimento al pubblico interesse e ad obiettivi elementi di valutazione, quali, ad esempio, quelli attinenti all'importanza del giacimento ed all'entità degli impianti necessari alla sua utilizzazione. E sono di questa natura, come risulta dal testo dei provvedimenti e degli atti preparatori, le motivazioni in base alle quali il Ministro dell'industria adottò i decreti relativi all'acqua "Coniano" ed all'acqua "Bagni di Chianciano".

Ancor più chiara é la situazione a proposito dei due decreti del Ministro dell'agricoltura. La costituzione in "riserva naturale integrale" della località "Poggio Tre Cancelli" ed in "riserva forestale di protezione" della località "Duna Feniglia" tende, con i vincoli che ne derivano, ad assicurare la conservazione dei beni, giacché essa comporta l'esclusione di ogni attività che possa comprometterne lo stato attuale. Giova aggiungere che niente giustifica il timore della Regione che i due provvedimenti esprimano la determinazione dello Stato - certamente incompatibile con quanto dispone il quinto comma dell'art. 11 della legge n. 281 del 1970 - di trattenere a sé le due foreste. Il "preminente interesse nazionale", al quale la motivazione degli atti si richiama, risulta riferito, in effetti, solo alle ragioni che giustificano l'inclusione dei due territori negli elenchi dei "biotipi meritevoli di conservazione e di protezione" e d'altra parte il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, pubblicato nelle more del giudizio, sia pure indirettamente conferma (art. 1, lett. n) che nessuna eccezione subisce il trasferimento delle foreste. E poiché non si può dubitare che, disponendo la predetta inclusione, il Ministro ha inteso esercitare una competenza afferente alle sue normali attribuzioni, é anche evidente che i due decreti non sono manifestazione di quel potere di imposizione di vincoli "atti a garantire l'inalienabilità, l'indisponibilità e la destinazione dei beni", che legittimamente (cfr. sent. n. 39 del 1971) é stato assegnato allo Stato, ma che, secondo la Regione, dovrebbe essere esercitato con legge o, quanto meno, con atto collegiale del Governo: di modo che tutta la problematica sollevata in proposito dalla difesa regionale e contrastata, anche sotto il profilo dell'ammissibilità, dall'Avvocatura dello Stato, risulta priva di presupposto e, quindi, irrilevante.

6. - Per le esposte considerazioni si deve giungere alla conclusione che con i quattro decreti impugnati lo Stato ha esercitato una propria competenza senza recar lesione alle attribuzioni della Regione Toscana.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara, nei sensi di cui in motivazione e con riferimento alle date in cui furono emanati i quattro decreti ministeriali indicati in epigrafe, che spetta allo Stato disporre la concessione di acque termali e minerali e di imporre vincoli di riserva sui beni forestali.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1972.

Giuseppe CHIARELLI – Francesco Paolo BONIFACIO

Depositata in cancelleria il 4 maggio 1972.