Sentenza n. 12 del 1971
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SENTENZA N. 12

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198 (modificazioni alla legge 24 marzo 1958, n. 195, sulla costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), e dell'articolo 34, secondo comma, del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511 (guarentigie della magistratura), promossi con ordinanze emesse il 12 ed il 15 maggio 1970 dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nei procedimenti disciplinari rispettivamente a carico di Monteverde Lino e Albanese Massimo, iscritte ai nn. 208 e 220 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 22 luglio 1970 e n. 222 del 2 settembre 1970.

Visti gli atti di costituzione di Lino Monteverde e Massimo Albanese;

udito nell'udienza pubblica del 16 dicembre 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con ordinanza del 12 maggio 1970 la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, pronunciandosi su alcune eccezioni sollevate dal dott. Lino Monteverde, sottoposto a procedimento disciplinare, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate due questioni di legittimità costituzionale concernenti gli artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, e l'art. 34, comma secondo, del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511.

Nel provvedimento di rimessione, premessa la natura giurisdizionale del procedimento disciplinare a carico dei magistrati, si osserva che la devoluzione della relativa competenza ad una sezione anziché al Consiglio stesso giustifica il dubbio che gli artt. l e 2 della legge n. 1198 del 1967 si pongano in contrasto con gli artt. 104 e 105 della Costituzione. Quanto alla seconda questione, l'ordinanza ritiene che l'art. 34, secondo comma, della citata legge sulle guarentigie della magistratura, per il fatto che limita l'assistenza del difensore alla sola fase della discussione orale con esclusione di quella istruttoria, contrasti con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

La Sezione ha ritenuto, invece, manifestamente infondata l'eccezione sollevata dalla parte circa l'illegittimità dell'art. 32, comma terzo, del r.d.l. n. 511 del 1946 ed irrilevante quella concernente l'art. 33, comma terzo, dello stesso regio decreto.

2. - Con altra ordinanza, emessa il 15 maggio 1970 nel procedimento disciplinare a carico del dott. Massimo Albanese, la stessa Sezione ha riproposto le stesse due questioni di legittimità costituzionale ed ha devoluto all'esame di questa Corte anche l'art. 34, secondo comma, del citato regio decreto del 1946, nella parte in cui si stabilisce che la discussione ha luogo a porte chiuse. A tal proposito la Sezione osserva che la pubblicità del dibattimento é garanzia di giustizia, perché é diretta a consentire alla generalità dei cittadini, nel cui nome la giustizia stessa é amministrata (art. 101 Cost.), il controllo dell'imparzialità della decisione e della sua motivazione (art. 111 Cost.), e contribuisce ad offrire la certezza che i diritti di tutti siano tutelati (artt. 24 e 28 Cost.): di tal che le eccezioni a siffatto principio sono legittime solo se siano dirette a salvaguardare interessi costituzionalmente garantiti.

3. - La difesa dei dott. Massimo Albanese e Lino Monteverde - costituitisi innanzi a questa Corte con atti depositati il 30 luglio 1970 - ha chiesto che le questioni innanzi descritte vengano riconosciute fondate.

In una memoria depositata il 3 dicembre 1970 la difesa, dopo aver sostenuto, con ampi riferimenti alla giurisprudenza, alla dottrina ed alla storia della legislazione in materia, la natura giurisdizionale della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione al Consiglio, si sofferma sulle singole questioni, a proposito delle quali espone - anche qui con vasti richiami alla dottrina ed a precedenti giurisprudenziali - un complesso di argomentazioni che possono così sintetizzarsi:

a) L'illegittimità del conferimento alla Sezione disciplinare di una funzione che la Costituzione sicuramente attribuisce all'intero Consiglio - nonostante le precedenti pronunce di manifesta infondatezza in passato adottate dalla stessa Sezione e ribadite dalle Sezioni unite della Cassazione anche in una recente pronunzia del gennaio dello scorso anno - risulta, anzitutto, dalle fondate critiche che possono muoversi alle argomentazioni che sono state addotte a fondamento della tesi contraria: l'analogia fra Consiglio ed organi giudiziari (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti) che, pur previsti dalla Costituzione, possono legittimamente articolarsi in Sezioni, é del tutto fallace, perché solo a proposito del primo la Carta ha disciplinato la struttura del nuovo Organo; la mancanza di un espresso divieto costituzionale nulla dimostra, perché nel silenzio della Costituzione il legislatore non é autorizzato a smembrare il Consiglio ed a dargli una fisionomia diversa proprio a proposito di una delle sue più impegnative funzioni, creando una sezione che non costituisce una sua articolazione, ma un organo a sé stante: vale a dire una vera e propria autonoma corte disciplinare. In verità quando il costituente, a proposito di organi costituzionali, ha autorizzato la formazione di organi derivati, lo ha fatto con esplicita disposizione (ad es. art. 72, terzo comma): laddove, nella materia in esame, é stato il legislatore ordinario ad espropriare il Consiglio di una sua competenza. Le critiche che investono il modo in cui la sezione é stata formata (affidamento della presidenza al Vice Presidente, con la illogica conseguenza che la presidenza del Capo dello Stato viene meno proprio quando viene esercitata la più delicata delle attribuzioni conferite al nuovo organo; l'alterazione degli squilibri realizzati nella struttura del Consiglio considerato nella sua normale costituzione; l'esclusione della maggioranza dei componenti del Consiglio stesso) corroborano la tesi della illegittimità costituzionale, a favore della quale milita il fondamentale rilievo che proprio nella materia disciplinare é necessaria la partecipazione di tutto il Consiglio, perché si tratta di raffrontare la condotta del magistrato non con una condotta tipicamente predeterminata dalla legge, sibbene con una condotta ideale la cui ipotizzazione non può esser data che da una sintesi degli apprezzamenti di tutti i membri del Consiglio, non certo di una sola parte di essi, e ciò soprattutto in considerazione dell'eterogeneità di struttura dell'organo. L'insieme di queste argomentazioni inducono alla conclusione che la Costituzione é da interpretarsi nel senso che esclusivamente all'intero Consiglio spettano i provvedimenti disciplinari: ed alla stregua di ciò, la legge vigente sarebbe valida solo se essa si potesse interpretare, secondo un'isolata tesi dottrinale, nel senso che alla Sezione essa attribuisca un limitato potere istruttorio. Né la tesi dell'appartenenza al Consiglio della funzione disciplinare può trovare ostacolo nella circostanza che a quell'organo partecipa il procuratore generale presso la Corte di cassazione, al quale é nel contempo riconosciuta la titolarità dell'azione disciplinare: tale titolarità gli viene affidata solo dalla legge ordinaria e la sua abolizione si armonizzerebbe con la Costituzione, che é da interpretare nel senso che quell'azione é affidata esclusivamente al Ministro della giustizia.

b) Quanto al contrasto fra l'art. 34, secondo comma, del r.d.l. n. 511 del 1946 e l'art. 24 della Costituzione, é certo che quella disposizione, raffrontata con l'art. 32, esclude la partecipazione del difensore alla fase istruttoria. Orbene una molteplicità di argomentazioni - fra le quali hanno particolare rilevanza quelle desumibili da noti precedenti giurisprudenziali di questa Corte che hanno allargato la partecipazione difensiva nell'istruttoria penale - dimostra la sicura illegittimità di siffatta totale esclusione: a proposito della quale va ricordato che essa trova un riscontro storico nell'analoga disciplina del procedimento innanzi al tribunale speciale per la difesa dello Stato.

c) Infine illegittimo é il secondo comma dell'art. 34 dello stesso decreto legge nella parte in cui impone che il dibattimento abbia luogo a porte chiuse. Proprio la Corte costituzionale, con sentenza n. 25 del 1965, ha riconosciuto che la pubblicità del dibattimento é garanzia di giustizia, e deve riconoscersi che la disposizione impugnata contrasta con tutti i precetti costituzionali riferibili allo svolgimento del processo.

d) A proposito di quest'ultima questione, si osserva che, dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, al procedimento disciplinare si dovrebbe applicare - in forza del generico richiamo contenuto nell'ultimo comma dell'art. 34 -, l'art. 423 del codice di procedura penale che consente, in alcuni casi, deroghe al generale principio della pubblicità del dibattimento: e resta affidato alla Corte di valutare se di tali deroghe possa conoscersi in forza dei poteri conferiti dall'art. 27 della legge n. 87 del 1953 ovvero se possa sollevarsi in via incidentale la relativa questione di legittimità costituzionale.  

Considerato in diritto 

1. - Le due ordinanze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura propongono questioni, in parte identiche, attinenti tutte alla materia del procedimento disciplinare a carico dei magistrati ed alla legittimità costituzionale dell'organo che ad esso presiede. I relativi giudizi possono essere pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - In base ai provvedimenti di rimessione questa Corte é chiamata a decidere: a) se siano costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli artt. 104 e 105 Cost., gli artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, nella parte in cui essi " demandano la cognizione dei procedimenti disciplinari, anziché all'intero Consiglio, ad una sezione di esso composta di quindici membri eletti all'interno dell'organo, la quale delibera, poi, con solo nove componenti estratti a sorte"; b) se l'art. 34, secondo comma, del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, in quanto limita "l'assistenza del difensore alla sola fase della discussione orale, con esclusione di quella istruttoria", contrasti con l'art. 24, secondo comma, Cost.; c) se, infine, sia compatibile col principio di pubblicità dei dibattimenti giudiziari, quale si evince dal complesso di varie disposizioni costituzionali (artt. 101, 111, 24 e 28 Cost.), lo stesso art. 34 che, nella prima parte dello stesso secondo comma, stabilisce che "la discussione ha luogo a porte chiuse".

3. - In via preliminare si rende necessario accertare se le predette questioni siano state proposte, come richiede l'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, da "un giudice nel corso di un giudizio".

La Corte ritiene che questo presupposto sussista nel caso in esame. Ai limitati fini che qui interessano, é sufficiente la constatazione, non controvertibile, che il legislatore, con espresse ed univoche statuizioni, ha conferito carattere giurisdizionale alla funzione ora esercitata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. A tutela dell'indipendenza dei magistrati la legislazione vigente -, riconfermando un principio che già aveva ricevuto applicazione nell'ordinamento democratico prefascista e che ancor più valida giustificazione trova nella posizione che all'ordine giudiziario nel suo complesso ed ai singoli suoi appartenenti riserva la Costituzione repubblicana - stabilisce che il procedimento disciplinare si svolga nelle forme e nei modi che sono tipici del processo, affinché al provvedimento destinato ad incidere sullo stato dell'interessato, adottato con un atto che la legge definisce "sentenza" (cfr. la rubrica dell'art. 35 del r.d.l. n. 511 del 1946) e contro il quale é ammesso il ricorso alle Sezioni unite della Cassazione (art. 17, ultimo comma, legge 24 marzo 1958, n. 195), si addivenga con le garanzie che sono proprie e tipiche della funzione giurisdizionale. E non é senza rilievo la circostanza che il procedimento disciplinare a carico dei magistrati, a differenza dell'analogo procedimento a carico dei pubblici dipendenti, viene instaurato da un soggetto (dal Ministro della giustizia, secondo l'art. 107, secondo comma, Cost.; anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, in base all'art. 14 della legge 24 marzo 1958, n. 195), rispetto al quale il Consiglio superiore é collocato in posizione di assoluta estraneità ed indipendenza.

4. - Passando all'esame della prima questione, si deve ribadire (cfr. sent. n. 44 del 1968) che il Consiglio superiore é stato voluto dalla Costituzione in diretta attuazione del principio secondo il quale " la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104) e che, in funzione di siffatta garanzia, ad esso é stato riservato (art. 105) ogni provvedimento concernente lo stato dei magistrati: sicché l'effetto proprio del conferimento di tali attribuzioni al Consiglio é quello di escludere, in materia, la competenza di altri pubblici poteri e di impedire che l'esercizio di esse (salvo il caso dell'azione disciplinare) possa essere condizionato ad iniziative esterne (cfr. sent. n. 168 del 1963). Ma, rispettata tale riserva, la legge - alla quale é demandata, nell'ambito delle indicazioni fondamentali contenute nell'articolo 104, la determinazione della concreta struttura del Consiglio, ed alla quale lo stesso art. 105 rinvia per la disciplina che deve presiedere all'esercizio delle funzioni ivi elencate - può legittimamente porre norme attinenti all'organizzazione di quel consesso: e tali sono, indubbiamente, quelle che concernono l'istituzione di un'apposita sezione disciplinare. Dalle norme costituzionali di raffronto, in definitiva, non é data in alcun modo la possibilità di dedurre che la Costituzione abbia voluto che tutte le competenze elencate nell'art. 105 siano esercitate dal Consiglio nel suo plenum; ché invece, il largo spazio riservato al legislatore ordinario induce a negare l'esistenza di una siffatta direttiva. Né questa può ricavarsi da un principio che, secondo la tesi sostenuta dalle parti, sarebbe comune a tutti gli organi ai quali la Costituzione direttamente attribuisce determinate competenze, principio del quale l'art. 72, terzo comma, darebbe indiretta conferma. Ed invero é da ritenere che per quanto riguarda l'ordinamento di tali organi sia necessario tener conto, di volta in volta, della peculiarità delle singole funzioni e del grado di maggiore o minore dettaglio col quale la Costituzione o leggi costituzionali ne abbiano disciplinato la struttura ed il funzionamento. E nella specie - come si é detto e come già fu messo in luce, ad altri effetti, nella sent. n. 168 del 1963 - non c'é dubbio che gli artt. 104 e 105 Cost. abbiano affidato al legislatore ordinario un ampio potere di organizzazione.

Va peraltro aggiunto che, se nessun precetto costituzionale vieta l'articolazione del Consiglio superiore in sezioni, nel determinare la struttura di queste si deve rispettare l'autonomia del Consiglio, al quale va demandata la scelta dei componenti, ed occorre necessariamente tener conto delle linee fondamentali secondo le quali, in conformità dell'art. 104 Cost., risulta strutturato il consesso. Con quest'ultima affermazione si vuol dire che il legislatore non può istituire sezioni deliberanti nelle quali non siano presenti componenti eletti dal Parlamento o componenti appartenenti ad una delle categorie di magistrati che concorrono alla formazione del Consiglio: e ciò non perché in questo si faccia luogo a rappresentanza di interessi di gruppo - il che sarebbe del tutto inconciliabile con il carattere assolutamente generale degli interessi affidati alla cura di quell'organo -, ma in considerazione del fatto che le linee strutturali segnate nell'art. 104 Cost., ispirate all'esigenza che all'esercizio dei delicati compiti inerenti al governo della magistratura contribuiscano le diverse esperienze di cui le singole categorie sono portatrici, devono trovare ragionevole corrispondenza nelle singole sezioni, quando a queste siano commessi poteri deliberanti.

5. - Conforme ai principi ora enunciati é la struttura della Sezione disciplinare delineata nell'art. 1 della legge impugnata, secondo il quale essa é composta dal vice presidente del Consiglio, che la presiede di diritto, da cinque magistrati di cassazione (di cui due con ufficio direttivo), da tre magistrati di corte di appello, da tre magistrati di tribunale e da tre componenti eletti dal Parlamento, tutti nominati per elezione dal Consiglio stesso. Risulta da ciò che tutte le categorie elettive che compongono il consesso unitario concorrono - e, almeno tendenzialmente, in modo proporzionale - a formare la Sezione, mentre, per quanto riguarda i membri di diritto, é da osservare che il Presidente del Consiglio deve presiederla in alcuni casi ed in tutti gli altri ha facoltà di presiederla quando lo ritenga opportuno (art. 18 legge 24 marzo 1958, n. 195), e che l'esclusione del presidente e del procuratore generale della Corte di cassazione trova giustificazione, per il primo, nella circostanza che avverso le decisioni della Sezione é previsto il ricorso alle Sezioni Unite dell'organo che egli presiede e, per il secondo, nell'attribuzione allo stesso della titolarità dell'azione disciplinare, conferitagli dall'art. 14 della legge n. 195 del 1958 e della funzione requirente presso la Sezione stessa (art. 1, ultimo comma, legge n. 1198 del 1967).

A diversa conclusione si deve invece pervenire per l'art. 2, secondo il quale, nell'ambito della sezione, il collegio deliberante per il singolo procedimento é composto, oltre che dal vice presidente, da due membri eletti dal Parlamento, da tre magistrati di Cassazione (di cui uno con ufficio direttivo) e da tre magistrati di appello o di tribunale: tutti prescelti col metodo del sorteggio fra i componenti della Sezione. In base a quanto innanzi é stato precisato, la norma risulta viziata di illegittimità costituzionale perché consente che il singolo collegio possa risultare composto con la totale esclusione dei magistrati di appello o dei magistrati di tribunale. Vero é che l'ultima parte del primo comma prevede che "almeno due" dei suddetti magistrati debbano appartenere alla stessa categoria dell'incolpato e che il secondo comma stabilisce che, procedendosi nei confronti di un uditore o di un aggiunto, due dei componenti debbano essere magistrati di tribunale: ma é ovvio che anche in questi casi il meccanismo é tale da poter comportare l'esclusione dal collegio di tutti i magistrati di appello o di tutti i magistrati di tribunale. E risulta con ciò violato l'art. 104 Cost., perché nell'esercizio di una delle più delicate competenze del Consiglio, non é assicurata la presenza di tutte le categorie che, in base alla stessa legge, concorrono alla formazione del consesso unitario.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve necessariamente colpire, oltre che il primo ed il secondo comma, anche: a) il quarto comma che - sulla imprescindibile base della struttura organizzativa delineata nel primo comma - stabilisce una particolare composizione del collegio nell'ipotesi in cui siano sottoposti a procedimento disciplinare il primo presidente, il presidente aggiunto, il procuratore generale della Corte di cassazione o il presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche: la dichiarazione di illegittimità non riguarda, tuttavia, quella parte della disposizione che per le suddette ipotesi prevede che la Sezione sia presieduta dal Presidente del Consiglio; b) il quinto comma che, in diretta connessione col primo, stabilisce il metodo del sorteggio.

6. - In conseguenza delle statuizioni indicate nel numero precedente, la Sezione disciplinare eserciterà le sue funzioni nella struttura precisata dalle disposizioni per le quali non interviene la dichiarazione di illegittimità costituzionale. Il legislatore, tuttavia, dovrà provvedere a dettare la disciplina per le supplenze che si rendessero necessarie ed a regolare il modo in cui, nei casi nei quali la presidenza viene assunta dal Presidente del Consiglio, debba farsi luogo all'esclusione dal collegio di uno dei tre componenti eletti dal Parlamento.

7. - La seconda questione é infondata. Entrambe le ordinanze, partendo dal presupposto che sia preclusa l'assistenza del difensore durante l'istruttoria, impugnano l'art. 34, secondo comma, del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511. Ma tale articolo riguarda esclusivamente la fase dibattimentale, mentre quella istruttoria trova la sua disciplina nell'art. 32 che, nel terzo comma, rinvia alle norme relative all'istruttoria nei procedimenti penali "in quanto compatibili"; di tal che il dubbio di illegittimità costituzionale prospettato dalle ordinanze avrebbe dovuto investire questa disposizione, che invece non é stata oggetto di denunzia.

8. - Infondata é anche la questione concernente lo stesso art. 34, secondo comma, nella parte in cui esso dispone che "la discussione ha luogo a porte chiuse".

Sebbene da nessuna delle singole norme costituzionali di raffronto indicante nell'ordinanza sia posta la regola della pubblicità dei dibattimenti giudiziari, la Corte - ribadendo quanto fu già affermato nella sentenza n. 25 del 1965 - ritiene che essa sia coessenziale ai principi ai quali, in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare, deve conformarsi l'amministrazione della giustizia che in quella sovranità trova fondamento (art. 101, primo comma, Cost.).

Questa regola, tuttavia, come la Corte riconobbe nella precedente ricordata occasione, può subire eccezioni, in riferimento a determinati procedimenti, quando esse abbiano obiettiva e razionale giustificazione. E va qui precisato che, mentre quando si tratta del processo penale (per il quale la pubblicità del dibattimento ha un valore particolarmente rilevante (le deroghe possono essere disposte solo a garanzia di beni a rilevanza costituzionale, negli altri casi più ampio potere discrezionale deve essere riconosciuto al legislatore nella valutazione degli interessi che possano giustificare la celebrazione del dibattimento a porte chiuse. Tanto é a dirsi, in particolare, per il procedimento qui in esame, al quale, come innanzi si é detto, é stato dato carattere giurisdizionale solo in funzione di una più rigorosa tutela dell'indipendenza del singolo magistrato, senza, quindi, l'assoluta necessità che esso soggiaccia a tutte le regole che sono proprie del processo penale. Di tal che non risulta illegittimo che il legislatore, valutandone la convenienza in relazione a ragionevoli esigenze di rispetto di interessi che travalicano quello del singolo magistrato, abbia disposto che la discussione si svolga a porte chiuse.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi primo, secondo e quinto dell'art. 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198 (contenente "modificazioni alla legge 24 marzo 1958, n. 195, sulla costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura"), nonché del comma quarto dello stesso articolo limitatamente alla parte "ed é composta, oltre che dal vice presidente, da uno dei componenti eletti dal Parlamento, da tre magistrati di Corte di cassazione, di cui due con ufficio direttivo, due magistrati di Corte d'appello e un magistrato di tribunale";

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della stessa legge n. 1198 del 1967, proposta dalle ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli articoli 104 e 105 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma secondo, seconda parte, del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511 (contenente disposizioni sulle "guarentigie della magistratura"), proposta dalle ordinanze indicate in epigrafe in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 34, comma secondo, prima parte, proposta dall'ordinanza n. 220 del 1970, indicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 24, 28, 101 e 111 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1971.