Sentenza n. 4 del 1970
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 4

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 225, 231, primo comma, 398, secondo comma, e 409 (in relazione all'art. 148, terzo comma, seconda parte) del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 marzo 1968 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Valentini Fernando, iscritta al n. 81 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968;

2) ordinanza emessa il 14 maggio 1968 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di La Sorsa Cordelia ed altri, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1968 é pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 261 del 12 ottobre 1968;

3) ordinanza emessa il 23 gennaio 1969 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Ferraris Roberto, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 1969 é pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.

Visti gli atti di costituzione di Valentini Fernando e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice relatore Paolo Rossi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del processo penale a carico di Valentini Fernando il pretore di Roma, con ordinanza 6 marzo 1968, ha sollevato, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale degli artt. 231 e 398 del codice di procedura penale in quanto le espressioni "che reputa necessari" (art. 231) e "può compiere" (art. 398) autorizzano il pretore a compiere o meno atti di istruzione sommaria nei procedimenti per reati di sua competenza.

Si assume nell'ordinanza che la discrezionalità così lasciata al pretore può risolversi in violazione del principio consacrato nell'art. 24 della Costituzione togliendo al prevenuto il mezzo di conoscere tempestivamente le accuse mossegli, di presentare difese e d'ottenere il proscioglimento in fase istruttoria. Anche il principio più generale dell'art. 3 della Costituzione potrebbe essere violato per l'eventuale diverso uso delle facoltà consentite dagli artt. 231 e 398 del codice di procedura penale nei confronti di soggetti che pur si trovino in situazioni analoghe.

Il pretore di Roma ha sollevato altresì la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale in relazione all'art. 148, terzo comma, parte seconda, stesso codice, con riferimento all'art. 111, primo comma, della Costituzione, osservando che le norme impugnate consentono che il decreto di citazione a giudizio dell'imputato non sia motivato, contro il principio costituzionale secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati".

Il giudice a quo ha infine denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 225 del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui con l'inciso "per quanto é possibile" ha consentito che non si ritenessero applicabili anche al c.d. esame del sospettando da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria, le disposizioni di cui agli artt. 304 e 304 quater del codice di procedura penale, relative all'interrogatorio dell'imputato.

2. - Nel corso del procedimento penale a carico di La Sorsa Cordelia ed altri, il pretore di Roma, con ordinanza del 14 maggio 1968, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 231, primo comma, e 398, secondo comma, del codice di procedura penale nei medesimi limiti sopra precisati, in riferimento agli stessi artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione.

3. - Nel corso del procedimento penale a carico di Ferraris Roberto, il pretore di Torino, con ordinanza del 23 gennaio 1969, ha sollevato la questione di legittimità da ultimo ricordata, in termini sostanzialmente analoghi.

La prima ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata é pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1968.

In questa sede sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, mediante atto depositato il 5 luglio 1968 e l'avvocato Enzo Gaito, nell'interesse dell'imputato Valentini Fernando, con atto depositato il 19 giugno 1968.

L'Avvocatura dello Stato ha rilevato:

a) che la prima questione deve ritenersi certamente infondata perché dichiarata tale dalla Corte costituzionale, una prima volta con la sentenza n. 46 del 1967 e successivamente con l'ordinanza n. 4 del 1968;

b) che ugualmente infondata appare la questione concernente l'assenza di motivazione del decreto di citazione a giudizio, perché da un lato, essendo atto meramente strumentale, non manifesta un contenuto giurisdizionale, e, d'altro canto, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali della Corte costituzionale (sentenza n. 119 del 1957), risulta che l'obbligo della motivazione é sancito al fine principale "di rendere più penetrante é più efficace il sindacato del provvedimento in caso di impugnazione", scopo in relazione al quale non può certamente pretendersi l'estensione del principio all'ipotesi del decreto di citazione in giudizio;

c) che nemmeno la terza questione si palesa fondata; invero la denuncia dell'art. 225 del codice di procedura penale appare in primo luogo inammissibile, posto che la norma trova applicazione nella fattispecie dell'interrogatorio sommario della persona arrestata in flagranza di reato, e tale non é il caso ricorrente nel procedimento nel quale la norma é stata denunciata; in secondo luogo la riserva in essa contenuta, alla stregua della quale le norme relative all'interrogatorio dell'imputato si applicano solo "per quanto possibile", trova giustificazione nella circostanza che si tratta di un atto di polizia giudiziaria assunto, il più delle volte, quando l'azione penale non é stata iniziata e la competenza non é stata ancora individuata.

La parte privata si é limitata a far proprie le argomentazioni svolte dal giudice a quo per quanto attiene alla prima e alla terza questione sollevata, aggiungendo, in ordine alla seconda (art. 409 del codice di procedura penale) che, poiché il decreto di citazione a giudizio presuppone il convincimento della sussistenza di sufficienti elementi probatori a carico del prevenuto, esso contiene una volontà decisoria identica a quella propria della sentenza di rinvio a giudizio, sicché, come questa, deve anch'esso esser motivato.

Risultano altresì ritualmente comunicate e pubblicate la seconda e la terza ordinanza di remissione, sopra indicate.

 

Considerato in diritto

 

Le questioni sollevate dalle tre ordinanze dei pretori di Roma e di Torino coincidono completamente per quanto riguarda gli artt. 231 e 398 del codice di procedura penale. Le cause devono, quindi, venir riunite e decise con unica sentenza.

All'esame della Corte le questioni si presentano nei seguenti termini:

1) Se il potere di compiere i soli atti istruttori che reputi necessari, attribuito discrezionalmente al pretore dagli artt. 231, primo comma (nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della legge 5 dicembre 1969, n. 932), e 398, secondo comma, del codice di procedura penale, non costituisca violazione degli artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione, in quanto consente al pretore di non contestare il fatto all'imputato e di non interrogarlo prima di emettere il decreto di citazione a giudizio, con la possibilità di procedere in maniera diversa nei confronti di soggetti versanti in uguali condizioni.

2) Se l'articolo 225 del codice di procedura penale (nel testo vigente prima della citata legge 5 dicembre 1969, n. 932), disponendo che nei casi di flagranza o di urgenza gli ufficiali di polizia possono procedere a sommario interrogatorio dell'arrestato, sommarie informazioni testimoniali, nonché ad atti di ricognizione ispezione o confronto, osservate solo "per quanto é possibile" le norme sull'istruzione formale, non contrasti con il principio sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, secondo cui la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

3) Se l'art. 409 del codice di procedura penale, non comprendendo tra i requisiti del decreto di citazione in giudizio davanti al pretore l'obbligo di indicarne i motivi, non contrasti con il principio sancito nell'art. 111 della Costituzione, per cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Nessuna delle questioni può trovare accoglimento.

1) Sulla prima questione (artt. 231 e 398 del codice di procedura penale; artt. 24 e 3 della Costituzione) la Corte si é già ripetutamente pronunciata con la sentenza n. 46 del 1967 e con l'ordinanza n. 4 del 1968, né sono stati dedotti motivi che inducano a diverso avviso.

2) La seconda questione (art. 225 del codice di procedura penale; art. 24 della Costituzione) é venuta a cadere con la sentenza di questa Corte n. 86 del 1968 che dichiarò appunto la illegittimità costituzionale degli artt. 225 e 232 del codice di procedura penale, nella parte in cui consentivano, nelle indagini di polizia ivi previste, il compimento di atti istruttori senza l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter, quater del codice di procedura penale.

3) La terza questione é infondata. In dottrina si suole distinguere tra provvedimenti giurisdizionali soggetti all'obbligo della motivazione (art. 111, primo comma, Costituzione) e provvedimenti ordinatori, nei quali si potrebbe far rientrare il decreto di citazione davanti al pretore che non ha alcun carattere decisorio. É certo comunque che il decreto di citazione a giudizio, avente i soli scopi di contestazione dell'accusa e di assegnazione di termini processuali, non può essere motivato altrimenti che in funzione di tali scopi. E deve ritenersi che esso rispetta il principio costituzionale sancito dall'art. 111, primo comma, quando contiene l'enunciazione del fatto contestato, del titolo del reato, degli articoli di legge applicabili ed indica altresì i testimoni a carico e discarico che il giudice reputa utili per l'accertamento della verità.

L'intrinseca garanzia dei diritti di difesa dell'imputato nei processi davanti al pretore si rinviene nell'art. 398 del codice di procedura penale, così come esso deve leggersi dopo le sentenze n. 33 del 1966 e n. 151 del 1967.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 231, primo comma (testo antecedente alla legge 5 dicembre 1969, n. 932) e 398, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata dal pretore di Roma con ordinanze del 6 marzo 1968 e del 14 maggio 1968 nonché dal pretore di Torino con ordinanza 23 gennaio 1969, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 225 del codice di procedura penale (testo antecedente alla citata legge 5 dicembre 1969, n. 932), sollevata, limitatamente all'inciso "per quanto é possibile" dall'ordinanza 6 marzo 1968 del pretore di Roma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale, sollevata dall'ordinanza 6 marzo 1968 del pretore di Roma, in riferimento all'art. 111, primo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.