Sentenza n. 70 del 1969
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SENTENZA N. 70

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1475, e n. 1490, promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1967 dal tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra Boscarelli Nicola e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 185 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 14 ottobre 1967.

Visti gli atti di costituzione degli eredi Boscarelli e dell'Opera per la valorizzazione della Sila;

udita nell'udienza pubblica del 26 febbraio 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per gli eredi Boscarelli ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

In attuazione della legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila), con decreti presidenziali del 24 dicembre 1951, nn. 1475 e 1490, venivano espropriati in danno di Boscarelli Nicola ettari 374.01.90 di terreni, di cui ettari 313.04.07 in territorio del Comune di Bisignano ed ettari 60.97.20 in Comune di Santa Sofia d'Epiro.

Con due distinti atti di citazione, il Boscarelli conveniva davanti il tribunale di Cosenza l'Opera valorizzazione Sila chiedendone la condanna alla restituzione dei terreni, ovvero al pagamento del controvalore, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale dei menzionati provvedimenti presidenziali in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, in quanto i piani particolareggiati di espropriazione erano stati formulati in base agli elementi del nuovo catasto in formazione entrato in funzione il 1 agosto 1955, e non già in base al catasto vigente alla data del 15 novembre 1949. E poiché secondo i dati risultanti da quest'ultimo l'intera proprietà del Boscarelli ammontava ad ettari 666.40.01, con la espropriazione di ettari 374.01.90, si sarebbe inciso sulla quota intangibile di ettari 300.

L'Opera Sila contestava l'assunto dell'attore, ponendo in evidenza che con i ripetuti decreti non era stata intaccata la quota intangibile.

Riuniti i due procedimenti, il tribunale con ordinanza del 21 novembre 1962, sottoponeva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale nei termini prospettati dal Boscarelli. Nel giudizio si costituivano gli eredi del Boscarelli, deceduto il 5 dicembre 1952, e l'Opera valorizzazione Sua. Interveniva anche il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con provvedimento del 12 dicembre 1963, la Corte restituiva gli atti al tribunale perché procedesse all'accertamento della effettiva consistenza dei terreni di proprietà del Boscarelli alla data del 15 novembre 1949.

Il tribunale procedeva all'accertamento della consistenza dei terreni alla data sopraindicata - sia della consistenza risultante dai dati del catasto, sia di quella effettiva, discordante dalla prima -, e, con ordinanza del 7 giugno 1967, rimetteva nuovamente gli atti a questa Corte, rilevando che, tenuti presenti i dati catastali, in base ai quali la proprietà é di ettari 671.04.83, sarebbe stata intaccata la quota intangibile dei 300 ettari, dal momento che i decreti espropriativi comprendono terreni per la superficie di ettari 374.01.90.

Per le medesime ragioni addotte dalla ordinanza, gli eredi Boscarelli ribadiscono che é stata intaccata la quota dei 300 ettari, dovendosi tener conto - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - della consistenza terriera risultante dal catasto.

L'Opera valorizzazione Sila, invece, rileva che questa Corte con l'ordinanza sopraindicata con la quale ha richiesto gli accertamenti, si é riferita alla consistenza effettiva dei terreni, e non a quella risultante dal catasto. E poiché la proprietà Boscarelli é risultata, secondo la relazione del consulente tecnico, della estensione di ettari 896.04.83, dopo l'espropriazione di ettari 368.16.20, sono residuati 530.68.86 ettari a libera disponibilità dei proprietari. Per altro la quota intangibile di ettari 300 non é stata intaccata neppure facendo riferimento ai 671.04.83 ettari risultanti dai libri catastali. Infatti, a seguito di rettifica operata a norma della legge 15 marzo 1956, n. 156, per il pagamento delle indennità, i terreni espropriati sono stati ridotti ad ettari 368.16.20, e sono residuati perciò ettari 302.98.63 e cioè più della quota intangibile. Pertanto la questione di illegittimità sarebbe infondata.

Ad eguale conclusione é pervenuta anche l'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha addotto le stesse suindicate ragioni.

Con memoria del 13 febbraio 1969, la difesa dei Boscarelli insiste nella tesi che si debba tenere conto soltanto dei dati risultanti dal catasto, assumendo che i decreti di espropriazione sarebbero illegittimi se fossero fondati su dati diversi. Per dimostrare ciò, la difesa stessa esamina in quale modo e sulla base di quali principi, il Governo delegato, possa decidere, caso per caso, se e quanta area sia da espropriare, dopo avere lasciato al proprietario la quota dei 300 ettari. Qualora si dovesse prescindere dai dati catastali, dai quali possono essere desunti principi e criteri direttivi, la legge delega n. 230 del 1950 sarebbe illegittima per violazione dell'art. 76 della Costituzione. Ad evitare ciò, occorre interpretare gli artt. 2, 3 e 5 della legge Sila in maniera da individuare in essi i presupposti oggettivi ed uniformi ai quali risulti vincolato il potere di scelta rimesso al legislatore delegato. Escluso che la legge abbia potuto fare obbligo di procedere ad una misurazione della consistenza effettiva di tutti i terreni, per individuare un criterio obbiettivo ed uniforme, anche se non specificato dalla legge, occorre fare riferimento al regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572, testo unico delle leggi sul nuovo catasto, il cui scopo é, fra l'altro, quello di accertare le proprietà immobiliari e tenerne in evidenza le mutazioni. E questo accertamento é indubbiamente vincolante per la pubblica autorità in ogni caso in cui l'esercizio di un potere abbia per presupposto l'accertamento della consistenza della proprietà, e non sia previsto un metro diverso di valutazione. Inoltre una legge espropriativa, quale é quella in esame, deve intendersi integrata dalla normazione generale in materia e deve quindi ritenersi applicabile l'art. 16 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che, per quanto concerne la individuazione dei beni, si riporta ai dati iscritti nei registri catastali. Ed, infine, l'art. 7 della stessa legge n. 230 del 1950 stabilendo che l'indennità di espropriazione é commisurata ai valori definitivamente accertati per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, richiama implicitamente le norme di legge, le quali, per la valutazione dei terreni fanno esplicito riferimento al reddito dominicale, e cioè al reddito stabilito dal catasto. Pertanto, la legge Sila va interpretata nel senso che esiste un criterio direttivo anche per l'esercizio del potere relativo alla quantità dei beni da espropriare. Esso é rappresentato dai dati catastali dai quali non si può prescindere nella valutazione della consistenza della proprietà.

Se le suesposte considerazioni non fossero esatte, si dovrebbe sollevare - sempre secondo la difesa dei Boscarelli - la questione di legittimità costituzionale della legge 12 maggio 1950, n. 230, sotto i seguenti, distinti profili:

1) contrasto degli artt. 2, 3 e 5 con gli artt. 76 e 77 della Costituzione;

2) contrasto della intera legge con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, per il differente trattamento fra la pubblica amministrazione che, per il pagamento delle indennità, si avvale dei dati catastali ed il privato per il quale tali dati non hanno rilievo;

3) violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione, con riferimento anche agli artt. 24, 25 e 27;

4) violazione dell'art. 81 della Costituzione, per mancanza di copertura della spesa per gli anni successivi all'esercizio 1949-1950.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte ritiene di dovere limitare il proprio esame alla sola questione di eccesso di delega dei decreti del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, nn. 1475 e 1490, sottopostale dal giudice a quo, senza pronunziarsi invece sulle rimanenti questioni sollevate dalla parte privata per la prima volta nella memoria difensiva depositata in data 13 febbraio 1969 e poi svolte alla udienza nei confronti della legge di delega 12 maggio 1950, n. 230. La risoluzione di tali questioni né é stata chiesta infatti dal giudice a quo, né appare in alcun modo strumentale rispetto alla decisione dell'unica questione che forma oggetto del presente giudizio.

2. - A seguito degli accertamenti peritali, che il tribunale di Cosenza ha disposto in esecuzione dell'ordinanza n. 173 del 12 dicembre 1963, con la quale questa Corte richiedeva che si stabilisse quale era - alla data del 15 novembre 1949 - la consistenza effettiva della proprietà terriera di Nicola Boscarelli, é risultata una notevole differenza fra la estensione reale di ettari 896.85.06 e quella ricavabile dai dati catastali di ettari 671.04.83, ond'é che, al fine di risolvere la questione di legittimità dei decreti espropriativi e di vedere se é stata dagli stessi intaccata la quota intangibile di trecento ettari, occorre decidere di quali dati - a termini dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230 - si debba tenere conto: se di quelli veri rilevati dalla misurazione diretta, oppure di quelli non esatti (per mancato aggiornamento oppure per errore) indicati dal catasto. Il tribunale di Cosenza ha ritenuto che occorre seguire i dati catastali "in conformità della costante opinione espressa dalla Corte costituzionale" come si legge nella ordinanza di rimessione del 7 giugno 1967, con la quale ha riproposto la questione di legittimità costituzionale dei decreti espropriativi.

Ai fini di siffatta indagine, la Corte ritiene opportuno porre in evidenza, per prima cosa, la differente rilevanza che i dati catastali assumono nelle due leggi di espropriazione, bonifica e colonizzazione dei terreni, 12 maggio 1950, n. 230 (la cosiddetta legge Sila) e 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), perché mentre in quest'ultima la quota da espropriare viene determinata in base al reddito dominicale, desumibile dalla qualità e classe dei terreni e da altri dati che si rinvengono soltanto nel catasto, per la legge Sila invece sono soggette alla espropriazione le persone e le società che "al 15 novembre 1949 avevano più di trecento ettari" di terreni suscettibili di trasformazione; e ciò a motivo della uniformità dei terreni e della vetustà del catasto nel territorio considerato, come risulta dalla relazione al Senato del Ministro proponente, e come é stato di già posto in rilievo dalla sentenza di questa Corte n. 19 del 1968.

Per la legge Sila, dunque, l'unico elemento essenziale - oltre il requisito della possibilità di trasformazione agraria - é quello della estensione della proprietà terriera che superi la quota intangibile dei 300 ettari. E poiché la legge omette di dare qualsiasi prescrizione in merito al modo di accertare tale estensione, affida evidentemente al libero apprezzamento dell'ente espropriante la scelta del mezzo più idoneo per raggiungere lo scopo, compreso quello eventuale della misurazione diretta del terreno. Dal che deriva, in primo luogo, che, pur non potendosi negare una funzione strumentale ai dati risultanti dal catasto, essi non hanno tuttavia rilevanza diretta, tale da farli ritenere determinanti; ed, in secondo luogo che, nel caso di incertezza oppure di differenza fra i dati catastali e la consistenza reale, é questa ultima che deve avere la preferenza, siccome decisiva. Per altro tale principio é stato più volte affermato da questa Corte, anche a proposito della legge stralcio, non solo per quanto riguarda le intestazioni catastali a persone diverse dal proprietario del terreno, ma anche per quanto attiene allo stato di fatto dei terreni, perché occorre tenere presente quello che é lo scopo delle leggi di scorporo, di colpire cioè la proprietà appartenente ad un determinato soggetto giuridico, alla data del 15 novembre 1949, nella sua consistenza reale e non già in quella apparente (sentenza n. 9 del 1963).

3. - Non ha pregio la tesi sostenuta dalla difesa delle parti private che - anche agli effetti della legge Sila - le risultanze catastali sarebbero determinati, costituendo esse i principi direttivi ed i criteri, che la legge delegante implicitamente dà al Governo per la determinazione delle proprietà espropriabili. Ed invero, anche se questa affermazione fosse esatta in via di fatto, non potrebbe di certo derivarne la conseguenza che, una volta accertato l'errore delle risultanze catastali, queste debbono ciononostante costituire la base dei decreti espropriativi, perché sarebbe antigiuridico anteporre - alla realtà - l'errore. Per altro sta di fatto che la norma di legge, la quale statuisce che trecento ettari di terreno rimangono al proprietario ed il rimanente é soggetto ad espropriazione, rappresenta, di per se stessa, un quadro completo dell'ambito nel quale debbono agire i decreti delegati. E, per quel che riguarda la quantità di terreno espropriabile, i criteri direttivi si traggono da numerosi elementi posti in essere dalla legge, quali la suscettibilità dei terreni alla trasformazione agraria, il computo di altre terre appartenenti allo stesso proprietario, la formazione della proprietà contadina, la colonizzazione ed altri elementi relativi alla riforma fondiaria.

4. - Risultando pertanto che, sulla intera proprietà di ettari 896.85.06, sono stati espropriati ettari 374.01.80, come risulta dai decreti impugnati (oppure ettari 368.16.20, come in definitiva é risultato per rettifica eseguita a termini dell'art. 5 della legge 15 marzo 1956, n. 156) non può certamente affermarsi che sia stata intaccata la quota intangibile dei trecento ettari. Dal che deriva la infondatezza della questione sollevata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, nn. 1475 e 1490, proposta dal tribunale di Cosenza in relazione agli artt. 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione con ordinanze del 21 novembre 1962 e del 7 giugno 1967.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 9 aprile 1969.