Sentenza n. 23 del 1969
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SENTENZA N. 23

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 91 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge del registro, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1966 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra il fallimento di Rossi Giuseppe e Marchesi Roberto ed altro, iscritta al n. 60 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione del fallimento Rossi;

udita nell'udienza pubblica del 20 novembre 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Pietro Rescigno, per il fallimento Rossi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione del 2 febbraio 1966 il curatore del fallimento dell'imprenditore edile Giuseppe Rossi conveniva in giudizio davanti al tribunale di Milano, Roberto Marchesi. Esponeva che, essendo insorti contrasti in ordine all'esecuzione di lavori commessigli in appalto dal Marchesi, le parti avevano convenuto con atto del 27 settembre 1963 di risolvere il precedente contratto e di affidare ad un collegio misto, di tecnici e legali, il compito di porre fine alle controversie, determinando le rispettive ragioni, e che il collegio, con atto dell'11 aprile 1964, aveva determinato in lire 92 milioni l'importo dovuto al Rossi, stabilendo altresì le modalità di pagamento. Ed assumendo che il Marchesi si era rifiutato di adempiere, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma come sopra determinata.

Il procedimento, su istanza di parte, veniva riunito ad altro già pendente davanti allo stesso tribunale e promosso dal Marchesi nei confronti del Rossi al fine di ottenere la risoluzione del contratto di appalto e la condanna del convenuto al risarcimento del danno. In tale procedimento aveva spiegato intervento la Cementifera Italiana Fibronit s.p.a.

In corso di istruttoria, con memoria del 20 aprile 1966, la difesa della curatela tenuta a mettere in regola i sopradetti due atti agli effetti della legge di registro e a provvedere, a norma dell'art. 91 della legge di registro (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269), al pagamento del tributo contemporaneamente alla registrazione, sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 91 in riferimento all'art. 3, comma primo, della Costituzione e specificamente con riguardo alla disparità di trattamento che l'applicazione dell'art. 91 determinerebbe in favore del fisco ed a danno della massa dei creditori per un debito del fallito destinato a cadere, come tale, sotto la regola della par condicio creditorum di cui all'art. 52 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

Con ordinanza del 10 novembre 1966 il tribunale di Milano riteneva pregiudiziale la decisione in ordine alla sollevata questione, perché, ai fini della pronuncia definitiva sul merito, non si sarebbe potuto prescindere dal prendere in esame i due ripetuti atti, che, per altro, non erano stati registrati. E riteneva altresì non manifestamente infondata la questione.

Premesso che per la legge di registro il sorgere dell'obbligazione tributaria é determinato dall'esistenza dell'atto idoneo al trasferimento di un bene o alla nascita di un'obbligazione, dal disposto dell'art. 91 della legge di registro, che prevede il meccanismo di riscossione dell'imposta di registro, nonché dell'art. 106 della stessa legge secondo cui "gli atti soggetti registrazione e non registrati non possono farsi valere in giudizio fino a tanto che non siano stati registrati", discende - ad avviso del tribunale - che, in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei soggetti in capo ai quali il debito d'imposta é già sorto, l'amministrazione finanziaria dello Stato é posta "in una indiscutibile situazione di privilegio rispetto a tutti gli altri creditori del fallimento", in quanto il credito viene sottratto all'eventuale falcidia fallimentare.

Ora, con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, nella costante interpretazione di questa Corte, mal si concilierebbe codesta situazione di privilegio, "poiché non pare individuabile la particolare ragione che dovrebbe giustificarla". E comunque esula dai poteri del giudice ordinario l'accertare se esistano eventuali condizioni particolari che giustifichino la rilevata disparità di trattamento, per situazioni giuridiche che invece appaiono identiche.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 22 aprile 1967.

Nel giudizio si costituiva il dott. Enrico De Lorenzo, quale curatore del fallimento di Giuseppe Rossi, il quale con deduzioni depositate il 6 aprile 1967, chiedeva che fosse dichiarata la fondatezza della sollevata questione. E spiegava intervento, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, concludendo, con deduzioni del 28 febbraio 1967, per la declaratoria di infondatezza.

Rilevava la difesa della curatela del fallimento che per la prestazione de qua non si potevano assumere come dato di partenza e sviluppare le affermazioni fatte da questa Corte, con la sentenza n. 45 del 1963, con riguardo agli artt. 106 e 108 della legge di registro, perché diversa sarebbe la situazione prospettata. Non si ha nella specie, un rifiuto di corrispondere l'imposta, motivato dalla sopravvenuta incapacità patrimoniale del soggetto, ma solo una richiesta che il credito d'imposta vantato dal fisco per la mancata registrazione dell'atto nel termine fisso, trattandosi di credito verso il fallito, sia assoggettato alla regola dell'eguale trattamento dei creditori (salve le cause di prelazione previste dalla legge: e nella specie, salvo il privilegio speciale ex art. 97 legge registro).

La pretesa del fisco opera qui in danno di terzi (quali sono i creditori del fallito) estranei all'atto ed al relativo rapporto d'imposta ed assoggettati alla regola del concorso (art. 52 della legge fallimentare) che é destinata ad assicurarne la parità di trattamento.

L'applicazione dell'art. 91 della legge di registro si risolve in una discriminazione dei soggetti (fisco e ceto creditorio) relativamente all'applicazione della legge fallimentare, attuata nel senso di assicurare ad un soggetto (e cioè al fisco) l'immediata, integrale soddisfazione del suo credito per l'imposta di registro, laddove agli altri soggetti (e cioè ai creditori, compreso il fisco per altri crediti) si impongono le regole improntate al rispetto della par condicio ed operanti in sede di accertamento del passivo e di liquidazione e riparto dell'attivo.

Sarebbe in tal modo violato l'art. 3, comma primo, della Costituzione in quanto il trattamento discriminante a favore del fisco e contro tutti gli altri creditori del fallito, si risolve in una palese disuguaglianza davanti alla legge, e specificamente davanti alla legge fallimentare che assume come presupposto di applicazione delle proprie regole (informate a loro volta alla par condicio) la qualità di creditori, e salvo per il rilievo dei privilegi in senso tecnico in sede di liquidazione e riparto dell'attivo.

Concludeva, pertanto, la difesa della curatela nel senso sopra detto, precisando per altro che l'impostazione data al problema presupponeva che il debito dell'imposta di registro dovesse considerarsi come un debito del fallito e che si riconoscesse al curatore del fallimento la funzione, preminente nella legge fallimentare e di squisita natura pubblicistica, della tutela del ceto creditorio.

Concludeva, invece, come si é detto, per l'infondatezza della sollevata questione l'interveniente Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con le deduzioni e con la successiva memoria del 7 novembre 1968, l'Avvocatura dello Stato sosteneva che la norma in questione ha il suo fondamento, nel sistema della legge tributaria, da un lato nella natura stessa del tributo di registro, caratterizzato, quanto meno parzialmente, dal servizio che si rende al cittadino, e dall'altro nell'interesse generale della collettività alla riscossione dei tributi, tutelato dall'art. 53 della Costituzione, e che pertanto la registrazione non può essere separata dalla contestuale ed integrale riscossione del tributo. Osservava, ancora in particolare, che il rapporto tributario sorge con la formazione dell'atto tra vivi ed implica il pagamento, versandosi altrimenti in illecito adeguatamente sanzionato, e che codesto obbligo sussiste a carico di ogni cittadino e quindi anche a carico del curatore del fallimento. Riteneva, inoltre, non potersi invocare, in relazione alla posizione dell'amministrazione finanziaria circa la pretesa a vedere soddisfatto tale obbligo, né il principio della par condicio dei creditori nel procedimento fallimentare né, comunque, il principio dell'eguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione, perché la par condicio anzitutto non é assoluta e in secondo luogo nulla ha a che fare con l'adempimento di oneri e di spese che il curatore deve sopportare nel difendersi e nell'agire in giudizio per le liti relative al fallimento o per lo svolgimento della propria attività, perché la par condicio non costituisce pura e semplice applicazione dell'art. 3 della Costituzione, e perché al principio di eguaglianza non ci si può rifare per sottrarsi all'adempimento di un'obbligazione che si sarebbe dovuta soddisfare già prima del giudizio. Ed osservava, infine, che comunque il principio di eguaglianza non esclude trattamenti differenziati sulla base di una obiettiva e giustificata diversità di valutazione assunta dal legislatore in modo non irrazionale né arbitrario e qui ricorrerebbero, come si é detto, e la natura particolare del tributo e l'interesse generale della collettività alla riscossione dei tributi, per far apparire l'art. 91 della legge di registro, pienamente conforme alla Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 91 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge del registro, impone (anche) al curatore del fallimento, il quale, a sensi degli artt. 106 e 108 della stessa legge, voglia avvalersi in giudizio di scritture private poste in essere dall'imprenditore commerciale non ancora dichiarato fallito e soggette a registrazione in termine fisso, e debba richiederne la registrazione, l'obbligo di pagare l'intero ammontare dell'imposta in occasione del compimento di tale atto.

Secondo il tribunale di Milano, la norma sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perché prevederebbe un trattamento differenziato ed ingiustificato tra i creditori del fallito, ponendo, in violazione del principio della par condicio, l'Amministrazione finanziaria dello Stato in una posizione di sostanziale privilegio nei confronti degli altri creditori, anche al di fuori della ragione di prelazione di cui all'art. 97 della legge di registro.

Secondo l'ordinanza, il rapporto di imposta in materia di registro in genere sorge appena viene ad esistenza l'atto che, considerato in sé e per sé, sia idoneo a produrre l'obbligazione o ad attuare il trasferimento di un bene, e nella specie, le relative obbligazioni per imposta di registro erano sorte nei confronti dell'imprenditore commerciale non ancora dichiarato fallito e quando erano state perfezionate le due scritture private, del 27 settembre 1963 e dell' 11 aprile 1964, che il curatore del fallimento intendeva esibire in giudizio. E da ciò discende la conseguenza che i debiti sorti per quelle due scritture, essendo debiti del fallito, devono sottostare alla regola del concorso di cui agli artt. 2741 del Codice civile e 52 e seguenti del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (che contiene la disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali).

La Corte, pur convenendo circa la premessa, non ritiene accettabili l'impostazione e soluzione del problema e le conseguenze che se ne vogliono trarre, e per ciò non considera fondata la questione di legittimità costituzionale come sopra prospettata.

2. - I debiti di imposta per i due atti che nella specie avrebbero dovuto essere registrati dall'imprenditore commerciale in termine fisso e prima del fallimento, divengono, intervenuta la sentenza dichiarativa, debiti del fallito. E tali rimangono e debbono essere considerati qualora si faccia riferimento unicamente all'interesse della Amministrazione finanziaria dello Stato alla riscossione del tributo.

Ma, a proposito di essi, qualora invece si ponga mente all'interesse dell'ufficio della curatela fallimentare a disporre, per il giudizio, delle due scritture registrate, viene in evidenza la autonoma disciplina di codesto interesse, e conseguentemente rileva il sistema di riscossione del tributo previsto dall'art. 91 della legge di registro.

Pur essendo la singola obbligazione tributaria sorta al momento del perfezionamento dell'atto consacrato nella scrittura privata soggetta a registrazione in termine fisso, non ricorrono, quando interviene la sentenza dichiarativa di fallimento, tutti i presupposti e tutti i requisiti occorrenti perché il relativo credito possa essere attualmente preteso ed il connesso obbligo adempiuto. E ciò perché ad opera dei soggetti obbligati alla registrazione non si é provveduto alla presentazione della scrittura privata all'ufficio del registro con il contemporaneo deposito della somma occorrente per la registrazione, e quindi non risulta determinato l'ammontare della imposta dovuta.

Nella specie, a proposito di quella obbligazione, acquista rilievo un fatto a sé stante rappresentato dalla richiesta di registrazione della scrittura avanzata dal curatore del fallimento. Tale richiesta ha luogo non in adempimento dell'obbligo di legge gravante sui contraenti dell'atto (o sugli altri soggetti tenuti a sensi dell'art. 80 della legge di registro) e previsto in funzione del pagamento dell'imposta, ma in attuazione di un onere direttamente connesso all'attività di gestione propria dell'ufficio di cui il curatore é titolare. Autorizzato dal giudice delegato ad agire contro un debitore del fallito, per ottenere il pagamento di una somma a questo dovuta, il curatore é legittimato e tenuto a registrare la scrittura (che del debito é prova documentale) per poterne produrre copia in giudizio. E non avendo ottenuto o non potendo ottenere dal giudice delegato l'emanazione del decreto per la prenotazione a debito di cui all'art. 91 della legge fallimentare, é obbligato a pagare per imposta di registro l'intero ammontare di essa contemporaneamente alla registrazione della scrittura. Il fatto che il curatore sia tenuto a pagare la intera imposta al momento della registrazione non é perciò connesso alla natura del debito (del fallito o meno), ma all'atto da lui posto in essere: la richiesta di registrazione é per il curatore un atto di gestione, la cui spesa non può che gravare sulla massa.

Ma, pur dovendo il curatore provvedere all'integrale pagamento dell'imposta, tale debito, rientrando tra quelli del fallito, non cessa di rimanere tale. Il curatore, infatti, con la richiesta di registrazione della singola scrittura privata, si presenta, nei confronti dell'atto e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato come portatore di un interesse autonomo, e sopra di lui non grava un obbligo di registrazione, sibbene un semplice onere. Viene, così, immediatamente realizzato l'interesse dell'ufficio fallimentare, a disporre per il giudizio della singola scrittura registrata; e ciò anche se ad ogni modo ricorre e del pari viene realizzato l'altro interesse dell'Amministrazione finanziaria dello Stato alla riscossione del tributo.

3. - La circostanza che in relazione ad un debito del fallito, destinato a seguire la sorte degli altri debiti dello stesso fallito, il creditore (Amministrazione finanziaria dello Stato) possa pretendere ed ottenere il pagamento dell'intero non in sede di riparto delle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo ed a prescindere dalla legittima causa di prelazione (privilegio ex art. 97 legge registro), non significa che l'Amministrazione finanziaria dello Stato, in quanto creditrice del fallito, si viene a trovare in una posizione di ingiustificato vantaggio nei confronti degli altri creditori dello stesso fallito, e non comporta che l'art. 91 della legge di registro violi l'art. 3 della Costituzione e non rispetti il principio della par condicio creditorum. Sul terreno della ripartizione dell'attivo fallimentare, la posizione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, per il credito di imposta di registro, non viene alterata dagli effetti connessi al meccanismo e al fatto del pagamento della imposta; e rileva unicamente la partecipazione, con privilegio o pro quota, alla detta ripartizione. Di modo che, ragionandosi con riferimento a quel profilo, non entra in gioco l'art. 91 della legge di registro, oggetto della presente denuncia.

Detto articolo si colloca invece sul terreno dell'esazione della imposta e contiene una regola che valutata in sé e per sé non crea né può creare posizioni di vantaggio in favore dell'Amministrazione finanziaria dello Stato ed anzi, ed é questo profilo che forse di più interessa, pone tutti i debitori d'imposta sullo stesso piano, conformandosi interamente al disposto dell'art. 3 della Costituzione. Con la conseguenza che il citato art. 91 non é destinato ad operare nell'ambito della procedura fallimentare, nella quale, invece, si applicano unicamente le disposizioni del codice civile e della legge fallimentare che prevedono i modi ed i tempi della ripartizione dell'attivo.

Non si può dire, perciò, che l'art. 91 della legge di registro, per la previsione in esso contenuta e come sopra enucleata dal tribunale di Milano, sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto violi il principio di eguaglianza di fronte alla legge (fallimentare). La norma non é destinata ad operare entro i confini segnati dalle disposizioni relative alla ripartizione dell'attivo fallimentare, che presuppongono e rispettano la par condicio tra i creditori del fallito ma esclusivamente entro quelli posti dalle disposizioni relative alla riscossione del tributo di registro.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che approva la legge del registro, sollevata dal tribunale di Milano con ordinanza del 10 novembre 1966, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1969.