Sentenza n. 133 del 1968
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SENTENZA N. 133

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 16 giugno 1932, n. 973, concernenti gli orari dei negozi ed esercizi di vendita, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 29 settembre 1966 dal pretore di Palmanova nel procedimento penale a carico di Cressati Manlio, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967;

2) ordinanza emessa il 19 gennaio 1968 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Ranfagni Mario e Bertini Valerio, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 113 del 4 maggio 1968.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Ranfagni Mario e Bertini Valerio;

udita nell'udienza pubblica del 6 novembre 1968 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;

uditi l'avv. Paolo Barile, per Ranfagni e Bertini, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa in udienza il 29 settembre 1966 nel procedimento penale a carico di Cressati Manlio, imputato della contravvenzione di cui agli artt. 2 e 3 della legge 16 giugno 1932, n. 973, per non essersi attenuto alle norme di chiusura infrasettimanale del suo negozio di stoffe, in violazione del decreto prefettizio 51303, III, del 13 ottobre 1950, il pretore di Palmanova ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme suddette della legge del 1932 "per la parte attualmente in vigore", in relazione agli artt. 39 e 41 della Costituzione.

Osserva il pretore nell'ordinanza che la norma dell'art. 2 della citata legge, affidando al prefetto il compito di stabilire gli orari di apertura e chiusura degli esercizi su concorde richiesta delle organizzazioni sindacali, demanderebbe la disciplina dell'esercizio dell'iniziativa privata alla discrezionalità dell'autorità amministrativa, e si porrebbe quindi in contrasto con la riserva di legge sancita al riguardo dall'art. 41, ultimo comma, della Costituzione, mentre, per altro verso, "condizionando il detto potere discrezionale alla richiesta delle organizzazioni sindacali, oggi prive di personalità giuridica, nell'attuale carenza di una legge generale in materia" si porrebbe altresì in contrasto con l'art. 39 della Costituzione.

L'ordinanza, notificata il 12 ottobre al Presidente del Consiglio e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 14 gennaio 1967.

Avanti alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 3 febbraio 1967.

L'Avvocatura obbietta che la legge impugnata si ricollega alla legge 7 luglio 1907, n. 489, ed al R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692 (convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 413), sull'orario massimo normale di lavoro, perché proprio lo stesso art. 2 in esame fa espressamente salvo "quando dispongano altre leggi" chiarendo che la legge del 1932 opererebbe "nell'ambito del sistema normativo stabilito dalle precedenti leggi, le quali, d'altra parte, conterrebbero una dettagliata disciplina tendente ad assicurare le finalità sociali cui deve corrispondere l'attività economica". La legge avrebbe così inteso solo provvedere riguardo alle mutevoli particolarità delle situazioni locali, valutabili solo in sede esecutiva. La censura rivolta alle disposizioni impugnate in relazione all'art. 41, ultimo comma, della Costituzione sarebbe quindi infondata perché la disciplina in esame, mentre, da un lato, si limiterebbe ad indicare l'organo amministrativo attraverso il quale vanno attuate le limitazioni stabilite dalla legge, dall'altro, disponendo l'acquisizione preventiva dei prescritti pareri e richieste determinerebbe anche la fisionomia dell'iter procedurale del provvedimento di competenza del prefetto e la sfera di attribuzioni del medesimo.

Quando all'altra censura, l'Avvocatura rileva che non potrebbe configurarsi in alcun modo un vizio di legittimità costituzionale nel fatto che la legge disponga l'obbligo preventivo, per l'Amministrazione, di sentire il parere di associazioni di fatto o di esperti in materia prima dell'adozione di determinati provvedimenti.

Chiede pertanto dichiararsi infondate le questioni come sopra sollevate.

Con ordinanza emessa in udienza il 19 gennaio 1968 nel procedimento penale a carico di Ranfagni Mario e Bertini Valerio, imputati di reato analogo a quello sopra menzionato per avere protratto l'orario di chiusura serale dell'esercizio di libreria, in violazione del decreto del prefetto, il pretore di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 2 della legge 973 del 1932, in relazione agli artt. 41, 39 e 3 della Costituzione.

Quanto al primo profilo il pretore, rilevato che la legge impugnata deve ritenersi ancora vigente, pur dopo la soppressione dell'ordinamento corporativo, dato che i riferimenti alle organizzazioni sindacali corporative contenuti nelle leggi del tempo andrebbero pacificamente intesi come riferimenti alle attuali organizzazioni sindacali, ripropone la censura contenuta nella precedente ordinanza in relazione all'art. 41 della Costituzione, precisando che il prefetto resterebbe arbitro di disciplinare nell'an e nel quomodo l'orario dei negozi pur dopo la prescritta richiesta ed il parere del sindaco, col solo limite legislativamente precostituito che il provvedimento possa essere attivato solo dalle associazioni.

Ma anche se la richiesta stessa potesse ritenersi vincolante, e perciò esclusiva di ogni discrezionalità, secondo il pretore si incorrerebbe nella violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, poiché il provvedimento, efficace per tutti i datori di lavoro e lavoratori interessati, verrebbe emanato a richiesta di organizzazioni sindacali carenti di rappresentatività generale, quali appunto sono le attuali organizzazioni post-corporative, e quindi porrebbe in essere una ingiustificata discriminazione fra gli iscritti ed i non iscritti alle organizzazioni, i quali ultimi, a differenza dei primi, non avrebbero il potere di intervenire comunque nel procedimento di formazione del provvedimento prefettizio.

Infine il pretore considera che, se la materia in esame fosse oggetto di contrattazione collettiva ai fini della concorde richiesta al prefetto, dall'applicazione della legge conseguirebbe l'efficacia obbligatoria dei relativi accordi per tutti gli appartenenti alle rispettive categorie, e ciò in contrasto con l'art. 39 della Costituzione, che prevede l'efficacia erga omnes dei contratti collettivi solo alle condizioni dettate dallo stesso articolo, ma non ancora realizzate. Onde si attribuirebbero alle attuali associazioni sindacali poteri di rappresentanza collettiva in violazione della norma costituzionale invocata.

L'ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 15 febbraio 1968 ed agli imputati il 5 marzo successivo, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 113 del 4 maggio 1968.

Si sono costituiti il Ranfagni ed il Bertini, rappresentati e difesi dagli avvocati prof. Paolo Barile e Elia Clarizia, che hanno depositato le deduzioni il 24 maggio 1968.

La difesa sottolinea le argomentazioni contenute nell'ordinanza di rinvio a sostegno della non manifesta infondatezza della questione, insistendo particolarmente nell'affermare, peraltro, che l'art. 2 impugnato sarebbe ormai di impossibile applicazione. Invero, a dire della difesa, il sistema previsto dalla legge in esame poggerebbe sulla personalità di diritto pubblico attribuita all'epoca ai sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori, che avevano ex lege la rappresentanza della intera categoria. Disciolte le organizzazioni sindacali fasciste ed a causa della perdurante mancanza delle previste leggi di attuazione dell'art. 39 della Costituzione repubblicana, le attuali organizzazioni sindacali difetterebbero di tale potere di rappresentanza, e mancherebbero quindi oggi gli organi giuridicamente qualificati per esprimere quella concorde richiesta che, quale atto iniziale del procedimento previsto dalla legge, costituirebbe il presupposto di fatto e di diritto per l'emanazione dei decreti prefettizi in discorso. Questi provvedimenti, aggiunge la difesa, sarebbero altresì vincolati alle intese sindacali espresse nella concorde richiesta prevista dalla norma impugnata, il che confermerebbe l'inapplicabilità della stessa giacché il prefetto, provvedendo in difetto della detta richiesta, usufruirebbe di una discrezionalità che la legge invece non gli concede.

Da quanto premesso deriverebbe tra l'altro, secondo la difesa, il contrasto della norma impugnata con l'art. 41 della Costituzione che pone la riserva di legge in tema di limitazioni alla libertà di iniziativa economica, giacché tale riserva non si potrebbe "considerare rispettata là dove si sia in presenza di una legge sicuramente inapplicabile".

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi l'illegittimità costituzionale della legge denunziata per contrasto con gli articoli 3, 39 e 41 della Costituzione.

La difesa delle parti private costituite ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa con cui ribadisce e sviluppa le censure di illegittimità di cui all'ordinanza di rinvio. In particolare, per l'ipotesi che la "concorde richiesta" di cui alle norme impugnate possa considerarsi non vincolante per il prefetto, desume la violazione della riserva di legge posta dall'art. 41 della Costituzione rifacendosi analiticamente ai criteri interpretativi che avrebbe stabilito in materia la giurisprudenza della Corte costituzionale circa la inconciliabilità di una troppa ampia discrezionalità amministrativa con l'osservanza della detta riserva di legge, discrezionalità che nella specie non sarebbe in nessun modo limitata neppure dalle norme della legge 7 luglio 1907, n. 489, abrogata, e del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, troppo generiche e dettate comunque per disciplinare l'orario di lavoro, cioè con finalità che solo indirettamente atterrebbero alla materia in esame.

Svolgendo poi le argomentazioni prospettate a sostegno della attuale inapplicabilità della norma impugnata per la mancanza delle organizzazioni sindacali di diritto pubblico generalmente rappresentative su cui poggerebbe il meccanismo delle norme impugnate, precisa che, ove si addivenisse a simile conclusione verrebbe conseguentemente meno la competenza della Corte, giacché si farebbe questione di applicabilità delle norme, e non già della loro legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

Data l'identità delle questioni prospettate con le due ordinanze di rinvio, di cui in epigrafe, può disporsi la riunione delle cause per la loro decisione con unica sentenza.

1. - Entrambe le ordinanze muovono dal riconoscimento e dalla premessa che per "organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori" interessate a richiedere la determinazione degli orari dei negozi ed esercizi di vendita, secondo detta l'art. 2 della legge 16 giugno 1932, n. 973, debbano attualmente intendersi le odierne organizzazioni sindacali post-corporative, pur mancanti di personalità giuridica e di rappresentatività generale.

Posta tale premessa, le ordinanze prospettano due questioni di costituzionalità.

2. - La prima questione, con riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, si basa sul concetto che, ove la richiesta delle associazioni debba ritenersi determinante, anche nel merito, dei provvedimenti prefettizi, l'incostituzionalità colpirebbe nel suo complesso il sistema normativo, in quanto gli imprenditori non appartenenti ad alcuna associazione sindacale, verrebbero ad essere sottoposti ugualmente ad iniziative ed a vincoli provenienti da associazioni sindacali libere, non registrate e sprovviste di capacità di provvedere erga omnes.

La Corte osserva che esatta é la premessa concernente la posizione da assegnarsi alle odierne organizzazioni sindacali, nell'ambito della legge sottoposta al controllo di costituzionalità, in confronto a quelle organizzazioni, di tipo corporativo, esistenti al momento dell'emanazione della legge.

Posto che l'intervento dei sindacati é stato introdotto in funzione di tutela degli interessi collettivi di categorie produttive o professionali, ne consegue che, in pendenza di sviluppi attuativi dell'art. 39 della Costituzione, tale funzione, immanente per sua origine e natura, ben può considerarsi oggi continuativamente esercitata dalle attuali associazioni sindacali che perseguono anche esse finalità di pubblico interesse e sono legislativamente riconosciute, in più di un caso e sia pure a limitati effetti, come dotate di poteri ordinati alla tutela di tali finalità.

Un effetto particolare alla materia in esame é appunto quello di riconoscere agli odierni sindacati la capacità di rendersi portatori degli interessi di categorie commerciali nella fissazione degli orari dei negozi, in veste di necessari collaboratori dei prefetti.

Tale necessità di collaborazione non può, tuttavia, spingersi sino al punto, ipotizzato in ispecie nell'ordinanza del pretore di Firenze, che l'intervento delle associazioni sindacali condizioni, anche nel merito, i provvedimenti prefettizi, che ad esso dovrebbero essere pedissequamente conformi. Non sarebbe razionale configurare il prefetto quale strumento passivo della volontà dei sindacati: ciò é confermato dallo stesso art. 2 della legge in esame che testualmente dispone: "Il prefetto potrà determinare l'orario".

Condizione necessaria e sufficiente é che i sindacati siano posti in grado di rendersi portatori, esteriorizzandoli a chi di dovere, degli interessi di categoria. Il che si risolve nella loro consultazione, doverosa e non eliminabile, allo scopo di consentire l'emanazione di informati provvedimenti, consoni alle situazioni locali: non diversamente dall'obbligo di consultazione delle organizzazioni sindacali interessate, inserito nella legge 22 febbraio 1934, n. 370, sul riposo domenicale e festivo.

Correlativo alla surrogazione, nei sensi suesposti, delle odierne organizzazioni sindacali alle precedenti, é che il requisito della "concorde richiesta" di cui all'impugnato art. 2 della legge in esame, spiegabile in regime di concentrazione bipartita delle organizzazioni sindacali del tempo, deve adattarsi, secondo l'odierna situazione di pluralismo sindacale: così che deve ora intendersi devoluto agli organi prefettizi l'identificazione, nella sfera degli interessi da tutelare, delle organizzazioni, qualificate ad esprimere le istanze delle collettività particolari, in funzione dei preminenti interessi generali della collettività.

Ne consegue l'infondatezza della questione, sia in rapporto all'art. 3 della Costituzione (poiché i non iscritti ad associazioni sindacali non vengono posti, data la situazione sopra rilevata, su di un piano diverso dagli iscritti) sia in rapporto all'art. 39 (poiché, a parte che manca la coincidenza, sul piano della stipulazione di contratti collettivi obbligatori erga omnes, tra l'attuale situazione sindacale e quella considerata nella legge in esame, la legge stessa non conferisce in alcun modo detta obbligatorietà in quanto, viceversa, la vincolatività della disciplina oraria deriva per tutti dal provvedimento prefettizio).

3. - La seconda questione, con riferimento all'art. 41 della Costituzione e particolarmente al comma terzo, si basa sul rilievo che provvedimenti incidenti ai fini di utilità sociale sull'esercizio della libera iniziativa economica privata, non troverebbero qui alcun appoggio in leggi che ne precisino il contenuto ed i limiti.

La questione non é fondata.

In primo luogo, va tenuta presente la giurisprudenza di questa Corte, costante nel giudicare che la riserva di legge di cui al citato articolo non esige che la disciplina della libera iniziativa economica venga, tutta e per intero, regolata da atti normativi, bastando la predeterminazione di criteri direttivi che, avendo per fine l'utilità sociale, delineino, circoscrivendola, l'attività esecutiva della pubblica amministrazione, così da togliere ad essa carattere di assoluta, illimitata discrezionalità.

In secondo luogo, tale predeterminazione, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. 9 marzo 1967, n. 24

), può ricavarsi da norme, valutate nel loro complesso, soprattutto secondo il principio informatore che le ha dettate.

Ciò premesso, la Corte osserva che l'art. 2 della legge in esame risponde a queste esigenze sotto più di un aspetto.

A quanto si é detto circa l'indispensabilità della consultazione delle associazioni, affinché siano rappresentati gli interessi di categoria, si aggiunge la pari esigenza che, sullo stesso piano ed a necessaria integrazione dell'esame, sia sentito anche il sindaco in nome degli interessi generali della popolazione e della tutela dei consumatori in rapporto ai vari tipi di esigenze di località.

La norma si inserisce poi, con proprio oggetto, anche nel quadro generale della regolamentazione del riposo dei lavoratori.

Sicché il decreto prefettizio viene a costituire la risultante della coordinazione e del contemperamento tra i predetti fini ai quali può, ovviamente, aggiungersi anche l'altro di evitare il verificarsi di una disordinata concorrenza tra esercenti.

Ciò basta ad escludere, nel caso, l'ipotesi di una illimitata discrezionalità autoritativa del decreto prefettizio e per assicurare, a rimedio di ogni eventuale vizio rilevabile nell'atto, la presentazione di ricorsi nelle vie ordinarie di impugnazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 16 giugno 1932, n. 973, concernente gli orari dei negozi ed esercizi di vendita, questione proposta con le ordinanze di cui in epigrafe in relazione agli artt. 3, 39 e 41, comma terzo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1968.

 

 

 Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE

 

 

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1968