Sentenza n. 127 del 1968
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SENTENZA N. 127

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 151, secondo comma, del Cod. civ. promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1966 dal Tribunale di Genova nel procedimento di separazione personale dei coniugi Fasce Italo Luigi ed Ekmark Liv Wally, iscritta al n. 233 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967.

Udita nella camera di consiglio del 21 novembre 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In un giudizio di separazione personale pendente tra i coniugi Fasce Italo Luigi ed Ekmark Liv Wally il Tribunale di Genova ha sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 151 del Codice civile.

Nell'ordinanza di rimessione, emessa il 21 ottobre 1966, il Tribunale, dopo un'ampia esposizione dei motivi attinenti al giudizio di rilevanza, osserva che la disposizione legislativa denunziata, nella parte in cui stabilisce che l'adulterio del marito - a differenza dell'adulterio della moglie - é rilevante solo se "contiene in sé anche l'estremo dell'offesa", é fonte di una illegittima disparità di trattamento fra i coniugi: Il legislatore, infatti, finisce con l'ammettere che l'adulterio del marito possa non costituire ingiuria alla moglie e col collegare ad un fatto obiettivamente identico conseguenze diverse a seconda che esso sia commesso dall'uomo o dalla donna. In ciò il Tribunale ravvisa una sicura violazione dell'art. 29 della Costituzione, che all'eguaglianza dei coniugi consente siano apportati limiti solo in funzione dell'unità familiare: limiti non certo invocabili a proposito di una disposizione che appare chiaramente rivolta alla tutela dei coniugi e non della famiglia nel suo complesso.

Dall'esame dei lavori preparatori della Costituzione il giudice a quo trae argomento per dimostrare che non é ammissibile una posizione di privilegio del marito che sia stabilita nel suo personale interesse e che il legislatore costituente ha inteso reagire contro la discriminazione tradizionale fra uomo e donna. Riferendosi alla sentenza n. 64 del 1961, con la quale questa Corte ritenne non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 559 del codice penale, l'ordinanza, dopo aver ricordato che la stessa questione é stata di recente nuovamente sollevata da altri giudici, ritiene che alla luce delle esposte considerazioni la disparità non potrebbe essere giustificata col richiamo al costume sociale, che peraltro in questi ultimi anni ha subito profonde trasformazioni: ad ogni modo la valutazione della legittimità della norma penale relativa all'adulterio non sarebbe influente sulla valutazione del regime della separazione personale. A proposito di questo ultimo il tribunale richiama i principi affermati dalla Corte in occasione del controllo di costituzionalità dell'art. 156, primo comma, del Codice civile (sent. n. 44 del 1966), esprimendo l'avviso che essi siano invocabili anche in riferimento al trattamento delle cause di separazione e costituiscano, perciò, valido argomento in favore della denunziata illegittimità dell'art. 151 del Codice civile.

2. - L'ordinanza, ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 14 gennaio 1967. Nel presente giudizio non é intervenuto il Presidente del Consiglio né si é costituita alcuna delle parti. La causa, pertanto, viene decisa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il primo comma dell'art. 151 del Codice civile stabilisce quali sono le cause per le quali può essere chiesta la separazione personale dei coniugi, elencando fra esse, in primo luogo, l'adulterio; il secondo comma, tuttavia, esclude l'ammissibilità dell'azione per adulterio del marito quando non concorrano "circostanze tali che il fatto costituisca ingiuria grave alla moglie".

La questione dì legittimità costituzionale proposta dal tribunale di Genova ha per oggetto - come risulta dal giudizio di rilevanza e dalla motivazione relativa alla non manifesta infondatezza - quest'ultima disposizione, che viene denunciata in riferimento al capoverso dell'art. 29 della Costituzione a causa del diverso trattamento fatto all'adulterio del marito rispetto a quello commesso dalla moglie.

2. - Con sentenza depositata in data di oggi é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 559, primo e secondo comma, del Codice di procedura penale. In occasione di tale decisione la Corte ha ritenuto che il legislatore non può collegare ad identica violazione del dovere di fedeltà coniugale conseguenze giuridiche diverse secondo che i fatti che la integrano siano posti in essere dal marito o dalla moglie; ha altresì escluso che in riferimento ad essi una diversa disciplina giuridica possa trovare giustificazione nell'esigenza di garantire l'unità familiare, solo in vista della quale la legge é abilitata a porre limiti all'eguaglianza dei coniugi.

Le stesse ragioni inducono a ritenere fondata anche la presente questione di legittimità costituzionale. Il legislatore é libero, nel suo prudente apprezzamento politico, di stabilire se ed in quali casi l'infedeltà del coniuge possa dar luogo alla separazione personale, ma non può determinare discriminazioni fra il marito e la moglie che non siano giustificate dall'unità familiare. L'art. 151 del Codice civile prevede (primo comma) che l'adulterio sia causa di separazione, ma considera l'adulterio del marito (secondo comma) irrilevante a tal fine quando esso non sia accompagnato da circostanze che valgano a conferire al fatto il carattere di ingiuria grave alla moglie: così statuendo, la disposizione crea a vantaggio del marito una situazione di vero e proprio privilegio. L'infedeltà della moglie é sempre causa di separazione personale, l'infedeltà del marito, tranne il caso suddetto, é priva di sanzione: anche qui, dunque, come a proposito della disciplina penale dell'adulterio, il marito e la moglie vengono sottoposti a trattamento diverso, nonostante che ad entrambi la legge (art. 143 del Codice civile) imponga un eguale dovere di fedeltà. Né si può sostenere che il secondo comma dell'art. 151, con lo stabilire un regime eccezionale per il marito, deroghi all'eguaglianza fra i coniugi in funzione dell'unità familiare. Poiché non sarebbe ragionevole ipotizzare che l'irrilevanza giuridica dell'infedeltà del marito contribuisca a conservare l'unità della famiglia, la disposizione impugnata non può non essere considerata fonte di una non consentita discriminazione a favore dell'uomo od a svantaggio della donna: di una disciplina, cioè, che é in contrasto con l'art. 29 cpv. della Costituzione.

3. - La conclusione non sarebbe diversa se si volesse supporre che l'art. 151, nella parte qui presa in considerazione, tuteli non già il diritto alla fedeltà, ma l'onorabilità del coniuge, e se si ritenesse che, a questo fine, il legislatore si sia conformato ad un diverso apprezzamento sociale dell'adulterio del marito e di quello della moglie. La Costituzione, infatti, afferma il principio dell'eguaglianza anche "morale" dei coniugi, ed esprime in tale modo una diretta sua valutazione della pari dignità di entrambi, disponendo che a questa debbano ispirarsi le strutture giuridiche del matrimonio: di tal che lo Stato non può avallare o, addirittura, consolidare col presidio della legge (la quale, peraltro, contribuisce, essa stessa, in misura rilevante alla formazione della coscienza sociale) un costume che risulti incompatibile con i valori morali verso i quali la Carta costituzionale volle indirizzare la nostra società.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 151, secondo comma, del Codice di procedura civile.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE 

 

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1968.