Sentenza n. 101 del 1968
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 101

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2068, secondo comma, del Codice civile e della legge 2 aprile 1958, n. 339, per la tutela del rapporto di lavoro domestico, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1966 dal pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Pasquariello Teodora e Sgrosso Guido, iscritta al n. 212 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 26 novembre 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione del 26 maggio 1964, Teodora Pasquariello conveniva in giudizio davanti al pretore di Napoli, Guido Sgrosso e, premesso di avere prestato la propria opera quale lavoratrice domestica a tutto servizio e di non avere ricevuto tutte le retribuzioni ed attribuzioni ad essa spettanti, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento in di lei favore della somma di lire 172.690. Lo Sgrossi non si costituiva in giudizio e perciò veniva dichiarato contumace.

Il pretore, con ordinanza del 30 maggio 1966, sollevava, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile e della legge 2 aprile 1958, n. 339, per la tutela del rapporto di lavoro domestico, in riferimento all'art. 39, comma quarto, della Costituzione.

Osservava, circa la rilevanza della dedotta questione, che alla specie erano applicabili le disposizioni denunciate e, solo se di queste fosse stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, gli artt. 2240 e seguenti del Codice civile.

A sostegno della non manifesta infondatezza, rilevava che l'art. 39 della Costituzione attribuirebbe ai sindacati il potere di autoregolamentazione dei rapporti di lavoro, quale prima e tipica manifestazione dell'attività sindacale: correlativamente la libertà di organizzazione non sarebbe piena, ove non esistesse la libertà di porre in essere contratti collettivi. Sarebbe perciò in contrasto con l'art. 39, l'art. 2068, comma secondo, del Codice civile in quanto, sottraendo alla disciplina del contratto collettivo il rapporto di lavoro domestico, toglierebbe alle organizzazioni sindacali, quali previste dalla Carta costituzionale, l'autonomia normativa che ad esse sarebbe connaturale.

In secondo luogo, per il pretore, non sarebbe sostenibile l'inapplicabilità dell'art. 39 al rapporto di lavoro domestico in quanto "non é possibile una organizzazione sindacale dei datori di lavoro", perché non ci sarebbe una impossibilità ed esisterebbero semmai delle difficoltà superabili dal legislatore con idonei strumenti e perché, anzi, la possibilità sarebbe data per ammessa dallo stesso legislatore nella legge n. 339 del 1958.

Aggiunge ancora il pretore che, per escludere l'assoggettabilità del rapporto di lavoro domestico alla contrattazione collettiva, non giova dire che con questa lo svolgimento del rapporto sarebbe turbato, perché ciò non si verifica ed anzi il contratto collettivo costituisce un agile strumento rispondente alle esigenze sempre nuove del mondo del lavoro, nonché un argine a facili abusi ad opera delle parti dei contratti individuali.

Ed infine per il pretore non é sostenibile che l'art. 39 si riferisce ai sindacati professionali e cioè ad organizzazioni di soggetti appartenenti alla medesima categoria professionale, e che tale categoria non é configurabile, quanto ai datori di lavoro, al di fuori dell'impresa, perché il sindacato non deve necessariamente inerire ad un'attività professionale relativa ad un'impresa e perché (qualora si consideri compatibile con l'art. 39 il contratto collettivo unilateralmente sindacale) non é necessario che la regolamentazione collettiva riguardi rapporti bilateralmente professionali, e cioè inerenti ad un'impresa.

Sarebbe viziata di illegittimità costituzionale, secondo il pretore, come si é detto, anche la legge n. 339 del 1958, contenente norme per la tutela del rapporto di lavoro domestico. E ciò perché codesto rapporto dovrebbe essere disciplinato dalla contrattazione collettiva e quella legge sarebbe stata emessa proprio sul presupposto che la materia del lavoro domestico fosse sottratta alla regolamentazione collettiva. Per il pretore, sia che si segua la tesi del potere sostitutivo o integrativo dello Stato (specie in caso di mancata realizzazione in fatto della autonomia normativa dei sindacati) e sia che si accolga invece la tesi della competenza ripartita e complementare (che - a suo avviso - sarebbe maggiormente convincente), lo Stato con la detta legge avrebbe invaso - e non in via transitoria - una sfera che, in ogni caso, non può ritenersi di sua competenza.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e notificata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 26 novembre 1966.

Nel giudizio davanti a questa Corte, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 15 dicembre 1966.

L'Avvocatura dello Stato preliminarmente ha avanzato dubbi circa la rilevanza della questione, osservando che nel difetto della normativa regolatrice della materia di cui all'art. 39, comma quarto, della Costituzione, e nella insussistenza, anche sul piano di fatto, di uno o più sindacati che raggruppino le lavoratrici domestiche, la detta questione sarebbe intempestiva e cioè irrilevante. Non sarebbe, per altro, fondata e sufficiente la motivazione della rilevanza fornita dal pretore perché l'asserita illegittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, riguarderebbe anche gli artt. 2240 e seguenti del Codice civile, con la conseguenza che verrebbe a mancare qualsiasi normativa concernente il lavoro domestico e l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 339 del 1958 (che avrebbe abrogato gli artt. 2240 e seguenti del Codice civile) non porterebbe ad una reviviscenza della citata disciplina del Codice civile, che, per altro, come si é detto, sarebbe comunque costituzionalmente illegittima.

La rilevanza prospettata dal pretore sarebbe non attuale e quindi non necessaria ai fini della decisione in relazione al rapporto dedotto nel giudizio de quo.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe comunque infondata. L'art. 2068 del Codice civile non vieta né preclude agli appartenenti alla categoria di organizzarsi sotto forma di sindacati. Si limita solo a stabilire che il rapporto di lavoro domestico resta escluso dalla disciplina prevista e imposta dal Codice civile (che presuppone l'ordinamento corporativo, cessato, quanto meno, con l'entrata in vigore della Costituzione). Il divieto posto dall'art. 2068, comma secondo, é totalmente irrilevante per ciò che concerne la nuova disciplina dei rapporti di lavoro. E potrebbe comportare l'illegittimità costituzionale della disposizione solo se, attuandosi il regime sindacale in base all'art. 39, il rapporto di lavoro domestico dovesse, senza una adeguata giustificazione, essere sottratto alla regolamentazione collettiva. Allo stato, ogni questione in proposito é vuota di contenuto e si appalesa puramente accademica ed astratta.

Del pari, la legge n. 339 del 1958 é pienamente legittima. In atto, secondo l'Avvocatura dello Stato, non può dirsi vietato al legislatore di disciplinare con legge una materia che per la sua estensione ha assunto un'importanza sociale di carattere cogente. E non ha pregio quanto dice il pretore, che detta legge non ha carattere transitorio. Per giudicare della legittimità costituzionale delle relative disposizioni, infatti, occorre rifarsi al momento in cui verrà emessa la normativa ex art. 39 e sempre che quelle disposizioni non dovessero essere abrogate.

Pertanto, l'Avvocatura dello Stato ha concluso perché fosse dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale proposta con l'ordinanza in epigrafe.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Napoli ha ritenuto che la sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile e della legge 2 aprile 1958, n. 339, in riferimento all'art. 39, comma quarto, della Costituzione, fosse rilevante, assumendo puramente e semplicemente che alla specie fossero applicabili quelle disposizioni e, solo qualora di esse dovesse essere dichiarata la illegittimità costituzionale, la diversa normativa di cui agli artt. 2240 e seguenti del Codice civile.

Il controllo della Corte sulla rilevanza della dedotta questione va condotto non in relazione alle disposizioni denunciate, complessivamente considerate, sebbene, separatamente, e a proposito della legge n. 339 del 1958. Non può essere trascurato, infatti, che se anche l'art. 2068, comma secondo, disponendo che non possono essere regolati da contratto collettivo i rapporti di lavoro che abbiano ad oggetto prestazioni di servizi di carattere domestico, si pone come presupposto e logico antecedente della legge n. 339 del 1958 (nonché di tutte le altre disposizioni normative, contenute nel Codice civile o in leggi speciali), ai fini della decisione della causa di cui si tratta, rileva il contenuto negativo del precetto che in quell'articolo si contiene. Con l'art. 2068, comma secondo, il legislatore, infatti, si rivolge alle associazioni sindacali, dotate di autonomia collettiva con efficacia generale, e vieta alle stesse che si possano servire dello strumento, sia pure ad esse connaturale, del contratto collettivo, e però non detta alcuna disposizione destinata ad operare direttamente nei confronti dei consociati. Conseguentemente, codesta disposizione può dirsi disapplicata se ed in quanto, nella materia di cui si tratta, intervenga un contratto collettivo con efficacia generale.

Nel giudizio pendente davanti al pretore di Napoli dall'attrice non é stato invocato alcun contratto collettivo, né il pretore ha ritenuto che il caso dovesse essere deciso sulla base di disposizioni contenute in un contratto collettivo. Anzi é nella ordinanza l'espressa, e sopra ricordata, affermazione che alla specie fossero applicabili solo disposizioni legislative (del Codice civile e della legge speciale).

E ciò significa che nella specie il divieto di regolamentazione collettiva non ha alcun rilievo attuale.

La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del detto art. 2068, comma secondo, non può farlo in astratto o in ipotesi, ma deve procedervi tenendo conto della rilevanza della questione ai fini della decisione della controversia di cui si tratta. Così operando, non può non immediatamente constatare che, in ordine all'art. 2068, comma secondo, la sollevata questione non é rilevante.

Il pretore si é posto altresì il problema della rilevanza, in relazione alla legge n. 339 del 1958, dettata per il rapporto di lavoro domestico di almeno quattro ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro. Al riguardo, come si é sopra ricordato, ha osservato che alla specie é applicabile la normativa di cui alla legge n. 339 del 1958 e che se questa venisse dichiarata illegittima, si dovrebbe far ricorso alla "diversa normativa prevista dagli artt. 2240 e segg. del Codice civile, attualmente applicabile al lavoro domestico che impegni il lavoratore per meno di quattro ore al giorno".

Nonostante il rilievo messo dall'Avvocatura dello Stato, che non ha, per altro, sollevato una questione preliminare in proposito e secondo cui la questione non é tempestiva e si appalesa cioè irrilevante, perché manca la disciplina legislativa dell'autonomia sindacale (ex art. 39, comma quarto) e non ci sono sindacati di prestatori di lavoro domestico, la Corte é dell'avviso che la motivazione offerta sul punto dal pretore, in ordine alla rilevanza, sia sufficiente e che quindi non sia consentita alcuna indagine al riguardo.

Rimane in tal modo superato il (diverso e ulteriore) profilo della critica mossa dall'Avvocatura dello Stato diretta a contestare la rilevanza della dedotta questione, in quanto, se fossero valide le ragioni avanzate dal pretore, l'illegittimità costituzionale travolgerebbe anche la normativa di cui agli artt. 2240 e seguenti del Codice civile e si verrebbe a constatare la "inesistenza di una qualsiasi normativa concernente il lavoro domestico". La eventuale mancanza, originaria o sopravvenuta, di una disciplina specifica della materia, infatti (a parte la non incidenza di essa sul giudizio di legittimità costituzionale) non lascerebbe il rapporto de quo privo di regolamentazione: soccorrerebbero in ogni caso le ordinarie fonti normative o contrattuali.

2. - La questione di legittimità costituzionale della legge n. 339 del 1958 non é fondata.

Circa i rapporti tra la legge e il contratto collettivo (quale é previsto dall'ultimo comma dell'art. 39 della Costituzione), la Corte ha avuto occasione di pronunciarsi con la sentenza n. 106 del 1962.

In relazione alla specie però non si può fare a meno di rilevare la mancata attuazione dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione e l'assenza e di sindacati registrati e di contratti collettivi, con efficacia generale, posti in essere a sensi di quella disposizione. E perciò appare necessario che la questione di legittimità costituzionale vada esaminata con riferimento a norme o principi costituzionali in atto operanti.

In un sistema, quale é quello attuale, caratterizzato da ampia libertà sindacale, sia per la costituzione di associazioni che per la iscrizione alle stesse, e da un'autonomia collettiva, destinata ad ingenerare direttamente effetti solo tra le parti contraenti, l'intervento del legislatore nella e per la disciplina dei rapporti individuali di lavoro subordinato é nella logica del sistema, e si presenta quanto mai opportuno e addirittura essenziale per la tutela di dati interessi, pubblici o collettivi con norme cogenti ovvero per la tutela di altri interessi, pubblici o privati, con norme suppletive o dispositive.

La legge n. 339 del 1958 é l'espressione di codeste esigenze. E le disposizioni che la compongono, e che ad esse obbediscono, stanno a testimoniare l'opportunità o la necessità della presenza della legge, come fonte di diritto, in un settore dell'attività umana che, seppure tendenzialmente portato a costituire anche oggetto dell'autonomia collettiva, sia da questa in fatto trascurato, in tutto o in parte, o negletto, ovvero evidenzi interessi bisognevoli di una tutela inderogabile dalla volontà delle parti del contratto collettivo o di quello individuale.

Non c'é bisogno per ciò di scendere ad un esame (per altro non prospettato dall'ordinanza) della legittimità costituzionale delle singole disposizioni di detta legge. Basta dire che é pienamente legittimo, per le ragioni sopra dette, il mezzo o strumento di produzione normativa e che in quelle disposizioni difetta qualsiasi negazione o violazione della libertà sindacale e della connessa possibilità, per le associazioni sindacali, di porre, entro i limiti consentiti, regole impegnative per i propri iscritti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 39, comma quarto, della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 2 aprile 1958, n. 339, contenente norme per la tutela del rapporto di lavoro domestico, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 39, comma quarto, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

 Depositata in cancelleria il 16 luglio 1968.