Sentenza n. 43 del 1966
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SENTENZA N. 43

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 275, primo comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 luglio 1964 dal Pretore di Salerno nel procedimento penale a carico di Romagnoli Maria Grazia, iscritta al n. 27 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 3 aprile 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 30 marzo 1966 la relazione del Giudice Antonio Manca:

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del giudizio penale a carico di Romagnoli Maria Grazia imputata del reato di cui all'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (contravvenzione al foglio di via obbligatorio) e del reato preveduto dal primo comma dell'art. 341 del Codice penale (oltraggio a pubblico ufficiale), il Pretore di Salerno, con ordinanza del 28 luglio 1964, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, primo comma, del Codice processuale penale.

Il Pretore muove dal presupposto: che, per il primo reato di carattere contravvenzionale, non sarebbe legittimo neppure l'arresto in flagranza, ai sensi degli artt. 235 e 236 del Codice di procedura penale, in quanto le disposizioni contenute negli artt. 175 e 220 del decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) sarebbero state modificate sia dalla legge citata del 1956, sia in virtù della legge 18 giugno 1955, n. 517, che ha modificato gli artt. 235 e 236 del Codice di procedura penale circa l'arresto in flagranza; e che, per il secondo reato (oltraggio a pubblico ufficiale), sebbene autorizzato l'arresto in flagranza, non sarebbe invece consentita l'emissione del mandato di cattura.

Osserva quindi che l'imputata era stata rinviata a dibattimento in stato di detenzione, legittimo soltanto per il secondo reato; che, qualora dovesse essere affermata la responsabilità per il reato contravvenzionale e non già per il secondo, per il quale soltanto sarebbe legittimo l'arresto in flagranza, non sarebbe possibile la scarcerazione dell'imputata, in quanto osterebbe la disposizione del citato art. 275, secondo il quale, con la sentenza di condanna a pena detentiva, anche se soggetta ad impugnazione, non può essere ordinata la scarcerazione dell'imputato detenuto.

Donde, secondo il Pretore, il dubbio circa la illegittimità di questa disposizione in riferimento:

a) all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, non potendo essere considerato colpevole l'imputato se non intervenga sentenza di condanna definitiva;

b) all'art. 13, in quanto la detenzione non sarebbe legittimata da un provvedimento legittimamente emanato dall'Autorità giudiziaria, bensì in base ad una sentenza non definitiva, la quale importerebbe una inammissibile sanatoria di un arresto fin dall'origine illegittimo, con violazione perciò della libertà personale;

c) all'art. 3 per la disuguaglianza fra cittadini, in quanto quelli arrestati in base a mandato di cattura facoltativo potrebbero ottenere, per reati più gravi ed anche in caso di condanna, la libertà provvisoria, a differenza dell'ipotesi che si sarebbe verificata nel caso attuale.

É peraltro da notare che il Pretore nell'emettere l'ordinanza di rimessione degli atti a questa Corte, con la sospensione del giudizio ha ordinato anche l'immediata scarcerazione dell'imputata.

L'ordinanza é stata notificata e comunicata a norma di legge; ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 3 aprile 1965.

In questa sede é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato che ha depositato deduzioni e memoria rispettivamente in data 29 gennaio 1965 e 9 marzo 1966.

La difesa dello Stato rileva preliminarmente la manifesta illogicità della motivazione dell'ordinanza, nella quale si prospetta il dubbio circa la illegittimità dell'art. 275 del Codice di rito penale, nonostante mancassero i presupposti necessari per sollevare in proposito la questione di costituzionalità; e cioè lo stato di detenzione dell'imputata, che era venuta a cessare e la sentenza di condanna.

Ritiene quindi l'Avvocatura, richiamando al riguardo anche la giurisprudenza di questa Corte, che la questione dovrebbe dichiararsi inammissibile, perché risulterebbe prima facie il difetto di rilevanza.

Comunque, nel merito, la questione dovrebbe ritenersi infondata.

Sostiene, in sostanza, la difesa dello Stato, che la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 275, in tanto sarebbe applicabile, in quanto si accertasse, da parte del giudice, la legittimità originaria dello stato di detenzione dell'imputato. Giacché, in caso diverso, e nella situazione prospettata in via di ipotesi dall'ordinanza, si dovrebbe procedere senz'altro alla scarcerazione, come appunto ha fatto il Pretore, in conformità di quanto ha già più volte ritenuto la Corte di cassazione.

Nessun contrasto quindi sarebbe ravvisabile con gli articoli della Costituzione ai quali si é riferito il Pretore.

La disposizione impugnata, infatti, in base all'accennata interpretazione, risponderebbe ad una inderogabile esigenza di giustizia, inerente alla custodia preventiva dell'imputato nei casi tassativamente preveduti dalla legge, data la finalità che l'istituto intende perseguire e le garanzie che, all'uopo, la legge stabilisce.

Non avrebbe quindi alcun rilievo, né il richiamo al secondo comma dell'art. 27 della Costituzione, poiché la custodia preventiva non implica alcun concetto di colpevolezza; né all'art. 13, dato che il Pretore avrebbe avuto l'obbligo di procedere senz'altro alla scarcerazione dell'imputato, obbligo non contrastato dalla disposizione impugnata; e, tanto meno all'art. 3, in quanto l'istituto della libertà provvisoria é ben diverso nei suoi presupposti e nei suoi effetti, dalla scarcerazione per l'illegittimità della detenzione.

L'Avvocatura conclude pertanto chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

 

Considerato in diritto

 

Da quanto si é in precedenza riferito risulta che la questione di costituzionalità dell'art. 275, primo comma, del Codice di procedura penale é stata sollevata nel presupposto che l'imputata era stata rinviata a giudizio in stato di detenzione, e che la scarcerazione della medesima, nel caso di proscioglimento per il reato di oltraggio e di affermazione di colpevolezza per la contravvenzione, troverebbe ostacolo nella citata disposizione. Sennonché, come risulta dall'ultima parte dell'ordinanza di rimessione, il Pretore, non ritenendo legittima la detenzione dell'imputata per i motivi nell'ordinanza indicati, ne ha ordinato la scarcerazione nel momento stesso in cui ha emesso l'ordinanza di rimessione ed ha disposto la sospensione del giudizio.

É chiaro quindi che, con l'accennato provvedimento, venendo a cessare lo stato di detenzione ritenuto illegittimo, sono venuti meno, con esso, anche il presupposto della questione di costituzionalità e, in conseguenza, la rilevanza della questione medesima. É poi da aggiungere che, non consentendo i reati contestati l'emissione del mandato di cattura, come pure rileva il Pretore, la situazione dell'imputata non potrebbe essere più modificata, in relazione ai detti reati, se non in seguito all'esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva.

Poiché quindi si verte nell'ipotesi (già esaminata da questa Corte con la sentenza n. 13 del 1965) in cui il difetto di rilevanza risulta prima facie dalla stessa ordinanza, la questione deve essere dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione sulla legittimità costituzionale dell'art. 275, primo comma, del Codice di procedura penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO  

 

Depositata in cancelleria il 14 maggio 1966.