Sentenza n. 11 del 1966
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SENTENZA N. 11

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente        

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige con ricorso notificato il 20 marzo 1965, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 aprile successivo, ed iscritto al n. 3 del Registro ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione tra la Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato, sorto a seguito di provvedimenti adottati dalla Commissione per l'impiego del Fondo per l'incremento edilizio in materia di istruttoria delle domande di finanziamento di cooperative edilizie in base alla legge 10 agosto 1950, n. 715.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 17 novembre 1965 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso per conflitto di attribuzione, notificato il 20 marzo 1965, al Presidente del Consiglio dei Ministri, la Regione Trentino-Alto Adige, in persona del Presidente della Giunta, rappresentato dall'avv. Giuseppe Guarino, ha impugnato: a) i provvedimenti adottati dalla Commissione per l'impiego del Fondo per l'incremento edilizio, di cui all'art. 13 della legge 10 agosto 1950, n. 715, e del Ministero dei lavori pubblici, con i quali sono state ammesse a contributo le cooperative edilizie "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet"; b) le determinazioni espresse nella lettera 18 gennaio 1965, nonché in quella precedente del 14 ottobre 1964, del Presidente della citata Commissione, relative alla delimitazione delle competenze che spettano alla Provincia di Bolzano nel procedimento di ammissione a contributo.

2. - Nel ricorso, premesso che il Comitato urbanistico di Bolzano (sezione "edilizia popolare ed economica"), istituito con legge provinciale 6 agosto 1963, n. 9, é subentrato - in forza del D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28 - al locale ufficio del Genio civile nelle competenze fissate dagli artt. 3, 6 e 7 della legge 10 agosto 1950, n. 715, la Regione denuncia che le due cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet" sono state ammesse al contributo senza il necessario intervento del Comitato provinciale; e si duole che nelle determinazioni contenute nella lettera 18 gennaio 1965 - conclusiva di una corrispondenza intercorsa con la Provincia di Bolzano, la quale aveva sollecitato un'intesa idonea a coordinare le attività di tutti gli organi chiamati ad intervenire nel procedimento di ammissione al contributo - il Presidente della Commissione statale abbia negato che il Comitato provinciale debba essere informato dell'ammontare delle somme destinate alla distribuzione nel territorio della Provincia e della loro ripartizione fra gli istituti mutuanti; abbia contestato il criterio di distribuire le somme fra i vari gruppi linguistici in base a canoni di giustizia; abbia, infine, affermato che la Commissione centrale conserva nella deliberazione dei contributi i più ampi poteri, senza essere in alcun modo condizionata dagli interventi espletati dagli organi provinciali.

Secondo l'assunto della Regione, tutte queste determinazioni sarebbero illegittime. Si osserva, infatti, che nell'ambito del procedimento predisposto dalla citata legge del 1950, n. 715, l'uscio provinciale: a) ha una propria competenza predisposta al fine di condizionare la discrezionalità dell'organo centrale alle determinazioni dell'ufficio periferico; b) non si deve limitare a verificare la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge, ma deve compiere una valutazione comparativa fra le varie domande per stabilire quali, come dice l'art. 6 della legge, abbiano "la possibilità di eventuale accoglimento" (e solo queste vanno poi trasmesse alla Commissione centrale); c) svolge, in definitiva, una attività discrezionale, il cui corretto esercizio presuppone la conoscenza dell'ammontare dei fondi da erogare nel territorio della Provincia. Si osserva altresì che la sostituzione degli organi della Provincia agli organi dello Stato - operata dal D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28 - é intesa ad assicurare la tutela degli interessi locali costituzionalmente rilevanti, tra i quali ha un posto preminente quello della parità dei gruppi linguistici.

La ricorrente conclude affermando che gli atti impugnati contrastano, per gli anzidetti motivi, con le norme della legge del 1950, n. 715, e, quindi, con quelle del citato D.P.R. del 1959, n. 28: e poiché quest'ultimo dà attuazione all'art. 11, n. 11 dello Statuto, l'illegittimità si risolve in una lesione della competenza costituzionale riservata alla Provincia.

3. - In linea subordinata la Regione osserva che ove, invece, fosse da riconoscere esatta l'interpretazione data dal Presidente della Commissione statale alle norme contenute nella legge 10 agosto 1950, n. 715, queste dovrebbero essere considerate costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 11, n. 11 e 13, dello Statuto regionale.

Lo Statuto, si afferma, conferisce alla Provincia competenza esclusiva in materia di case popolari, nella quale lo Stato non può legiferare per il solo fatto che sia presente un interesse nazionale, dovendosi ritenere che questo non implichi un limite della competenza statutaria, ma attenga solo al modo di esercizio di questa. Si osserva che la materia de qua ha una configurazione del tutto obbiettiva e comprende una serie di istituti storicamente ben individuati. Da tale premessa la ricorrente trae la deduzione che la legge del 1950, n. 715, si inquadra, appunto, nella materia delle case popolari: le caratteristiche oggettive delle case per le quali é ammesso il contributo ed i requisiti subbiettivi dei richiedenti corrispondono esattamente ai criteri informatori della legislazione sulle case popolari e lo stesso citato D.P.R. del 1959, n. 28, contenente norme di attuazione in "materia di case popolari", qualifica come rientranti in questa i poteri che, attribuiti dalla legge del 1950, n. 715, al Genio civile, sono stati trasferiti alle Province di Trento e di Bolzano. Né, a parere della ricorrente, argomento in contrario dovrebbe desumersi dalla sentenza di questa Corte n. 71 del 1962, dovendosi ritenere che la Corte non abbia inteso affermare la completa estraneità degli anzidetti poteri alla materia delle case popolari (nel qual caso non sarebbe stato possibile condizionarne il trasferimento alla emanazione di una legge provinciale; il ricorso allora prodotto avrebbe dovuto esser dichiarato inammissibile; e lo stesso D.P.R. del 1959, n. 28, risulterebbe illegittimo, come inidoneo ad operare al di fuori dell'attuazione di una norma statutaria), ma abbia voluto, invece, affermare che lo Stato ha trasferito alla Provincia dei poteri collaterali, funzionalmente collegati alla sua competenza statutaria.

La ricorrente deduce, infine, che ove la limitazione dei poteri della Provincia discendesse dall'art. 3 delle norme di attuazione, dovrebbe esser dichiarata la illegittimità di questa norma per la parte in cui sottrae alla competenza della Provincia i poteri conferiti agli organi dello Stato dagli artt. 11-16 della legge 10 agosto 1950, n. 715. Non si potrebbe, infatti, sostenere che la permanenza della competenza statale possa essere giustificata dalla circostanza che l'erogazione riguarda fondi dello Stato, dovendosi contestare che attraverso questa via possano essere sottratte le competenze statutarie alla Regione e alle Province.

4. - La ricorrente Regione conclude chiedendo che la Corte dichiari l'incompetenza dello Stato e la competenza della Provincia di Bolzano nelle materie in contestazione ed annulli conseguentemente gli atti impugnati. In linea subordinata chiede che venga sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale della legge 10 agosto 1950, n. 715 e dell'art. 4 del D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, ai sensi degli artt. 11, n. 11, 13 e 59 e segg. della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.

5. - Con atto depositato il giorno 8 aprile 1965 si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nelle relative deduzioni l'Avvocatura precisa, anzitutto, che per quanto riguarda le cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet" nessun provvedimento é stato emanato dal Ministro per i lavori pubblici, essendo solo intervenuto il parere favorevole della Commissione, espressamente subordinato alla presentazione del progetto esecutivo ed all'approvazione di questo. Nel merito si osserva che le attività istruttorie sono state compiute dal Genio civile di Bolzano, come si evince dalla documentazione esibita, in data anteriore a quella dell'entrata in vigore della legge provinciale 6 agosto 1963, n. 9, e quindi in un momento nel quale non era ancora operativo il trasferimento alla Provincia dei relativi poteri.

Sul secondo profilo del ricorso, l'Avvocatura afferma che alla Provincia non sono stati in alcun modo trasferiti i poteri che in base all'art. 13 della citata legge 1950, n. 715, competono alla Commissione centrale e richiama la sentenza n. 71 del 1962, nella quale la Corte accertò che l'art. 3 delle norme di attuazione ha limitato il trasferimento ai soli poteri relativi all'istruttoria delle domande ed al riscontro dell'esecuzione delle opere finanziate: sicché effetto di tale normativa alle Province di Trento e di Bolzano non spettano competenze più ampie di quelle riconosciute agli uffici del Genio civile.

Sulla eccezione incidentale e subordinata di illegittimità costituzionale l'Avvocatura ricorda ancora la sentenza 7 giugno 1962, n. 71, con la quale la Corte, decidendo una questione sollevata negli stessi termini che ora la Regione ripropone, escluse che la legge 1950, n. 715, incidesse sulla materia delle case popolari, e sostiene che, venuto meno questo presupposto, cadono tutte le illazioni che la ricorrente ne trae. In particolare si osserva che legittima é la disposizione dell'art. 3 delle norme di attuazione, nelle parti in cui si escludono dal trasferimento le competenze della Commissione centrale e del Ministero; legittima é la disposizione dell'art. 4, perché il Fondo per l'incremento edilizio non riguarda somme stanziate a carico del bilancio del Ministero dei lavori pubblici; e legittimo, infine, é l'intervento finanziario dello Stato, il quale conseguentemente può trattenere nella sua sfera attribuzioni con carattere decisionale.

L'Avvocatura conclude chiedendo che il ricorso venga respinto.

6. - Nella memoria depositata il 5 novembre 1965 la Regione riporta, anzitutto, la corrispondenza intercorsa fra la Provincia di Bolzano ed il Presidente della Commissione del Fondo incremento edilizio ed osserva che probabilmente la presente questione ha perduto ogni rilievo a causa della circostanza che lo Stato non ha proposto impugnativa - con ciò dimostrando di voler aderire al punto di vista espresso dalla Provincia - avverso la delibera 17 giugno 1965, n. 1301, con la quale la Giunta provinciale ha dettato i criteri direttivi per l'esame delle domande di contributo e per l'uso dei poteri discrezionali conferiti alla sezione per l'edilizia popolare ed economica del Comitato urbanistico provinciale.

Nel merito, premesso che non vengono contestate le competenze assegnate alla Commissione centrale (e, cioè: determinazione della complessiva somma annuale da erogare nel territorio provinciale; fissazione dei criteri in base ai quali tale somma va ripartita fra gli istituti di credito; nulla osta definitivo), la Regione illustra ampiamente le ragioni che, secondo il suo assunto, dimostrano il carattere discrezionale delle competenze assegnate all'organo provinciale, rilevando che: a) se le domande comportano l'erogazione di somme superiori a quelle stanziate é necessario decidere a chi il contributo possa essere assegnato, a chi debba essere negato, e tale comparazione non può essere effettuata che dalla Provincia; b) l'accertamento della "possibilità di eventuale accoglimento" (art. 6) sarebbe impossibile ove ci si dovesse limitare al puro riscontro dei requisiti richiesti dalla legge; c) il Comitato deve, a norma di legge, sentire l'istituto mutuante, il che esclude che le sue competenze vadano ristrette alla valutazione tecnica del progetto; d) una valutazione discrezionale é certamente attribuita al Comitato circa l'autorizzazione ad una maggiore ampiezza delle costruendo case (art. 2, ultimo comma) e, perciò, in considerazione del carattere omogeneo di tutte le competenze attribuite su un determinato oggetto, discrezionale é anche il più generale potere attribuito dall'art. 6; e) un esame attento delle norme esclude che l'attribuzione alla Provincia si identifichi con l'approvazione del preventivo di spese; f) il concetto stesso di trasferimento di poteri alla Provincia implica che esso debba risolversi nell'attribuzione di una situazione soggettiva favorevole, mentre adottando l'interpretazione data dallo Stato le norme di attuazione in esame darebbero luogo ad un mero obbligo.

Sulla premessa di tali considerazioni la Regione, pur non contestando che la Provincia nell'uso del potere discrezionale debba procedere in armonia con le direttive dello Stato, esclude che in una materia di competenza esclusiva o comunque solennemente attribuita con le norme di attuazione un soggetto di rilevanza costituzionale possa essere abbassato ad un rango inferiore a quello di qualsiasi organo che disponga di poteri decentrati.

La ricorrente contesta poi la validità degli argomenti addotti dalla difesa dello Stato, soffermandosi particolarmente sulla sentenza n. 71 del 1962 di questa Corte. A proposito della quale si fa rilevare che il problema in quella sede affrontato riguardava l'esclusione del trasferimento dei poteri di cui agli artt. 12 e segg. della legge del 1959, n. 715, e non già l'interpretazione degli artt. 3 e 6; e si aggiunge che neppure si può far leva sul carattere istruttorio riconosciuto dalla Corte ai poteri trasferiti, atteso che la natura dell'attività istruttoria deve essere determinata in base alla sua posizione nel procedimento: e poiché questo nella specie si conclude con un nulla osta da parte della Commissione centrale, é necessario presupporre l'avvenuto esercizio di un potere discrezionale.

La Regione assume, infine, che ove si dovesse accogliere la tesi interpretativa sostenuta dallo Stato, si porrebbe una nuova questione di legittimità costituzionale delle norme di attuazione, diversa da quella esaminata dalla Corte nella più volte citata decisione. La natura stessa delle norme di attuazione esclude che esse possano disciplinare oggetti non connessi con le norme costituzionali da applicare, sicché sembra corretto che la sentenza della Corte debba essere intesa nel senso che le "nuove attribuzioni" di cui ivi si parla debbano essere riferite al potere discrezionale che spetta al legislatore nell'interpretazione, ai fini della attuazione, delle disposizioni costituzionali.

La Regioneribadisce che la legge del 1950, n. 715, regola la materia delle case popolari, ed afferma che, se é vero che la presenza di un interesse nazionale legittima le limitazioni delle competenze regionali, queste, tuttavia, non possono essere del tutto soppresse, ma solo contenute nella misura in cui lo giustifichi l'interesse nazionale. Nel caso in esame questo sarebbe salvaguardato dalle norme che attribuiscono allo Stato il potere di determinare le somme da impiegare nel territorio provinciale, ma non affatto turbato dal conferimento alla Provincia del potere di operare la distribuzione secondo criteri concordati con lo Stato, al quale pur sempre sarebbe riservata la decisione definitiva sull'erogazione dei contributi.

Circa quanto dedotto dall'Avvocatura in merito alle procedure relative alle cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet" la Regione osserva che il principio affermato dalla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale le modifiche legislative relative a fasi anteriori del procedimento non influiscono sugli atti già compiuti, non può essere ritenuto valido in un caso, come l'attuale, in cui si é operata la sostituzione non di un organo ad un altro, ma di un Ente (la Provincia) ad altro Ente (lo Stato).

7. - Nella discussione orale le parti hanno ulteriormente illustrato le esposte tesi ed hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, contenente le norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di case popolari, ha assegnato - art. 3 - alle Province di Trento e di Bolzano i poteri che la legge 10 agosto 1950, n. 715, relativa alla "costituzione di un fondo per l'incremento edilizio" demanda agli organi del Ministero dei lavori pubblici, espressamente, però, escludendo dal trasferimento le funzioni che la legge disciplina negli artt. 12, 13, 14, 15 e 16.

Con la sentenza n. 71 del 1962 questa Corte ebbe a decidere che i poteri assegnati alle due Province non potessero considerarsi ad esse effettivamente trasferiti fin quando i due enti non avessero provveduto all'istituzione dell'organo tecnico destinato a subentrare al locale ufficio del Genio civile nelle competenze previste dagli artt. 3 e 6 della citata legge 1950, n. 715. Successivamente a tale pronuncia, con la legge provinciale 6 agosto 1963, n. 9, concernente "l'ordinamento delle funzioni tecniche e di consulenza in materia urbanistica, tutela del paesaggio ed edilizia popolare", la Provincia di Bolzano ha istituito il Comitato urbanistico provinciale, con le due sezioni "edilizia popolare" e "tutela del paesaggio", disciplinandone composizione e funzioni.

Nel ricorso introduttivo del presente giudizio il Presidente della Regione, dopo aver premesso che a seguito della ricordata legge provinciale le competenze assegnate dalla legge 10 agosto 1950, n. 715, al locale ufficio del Genio civile devono ritenersi trasferite al Comitato provinciale, assume che i provvedimenti statali relativi alle domande delle cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet", emessi senza che il predetto Comitato sia stato chiamato a pronunciarsi su di esse, violano la competenza riservata alla Provincia; e che le determinazioni contenute nella lettera 18 gennaio 1965 del Presidente della Commissione statale per l'impiego del Fondo per l'incremento edilizio - con le quali sono state disattese le richieste della Provincia in ordine ai poteri che questa rivendica - comprimono e finiscono col rendere impossibile l'esercizio delle funzioni trasferite.

Il ricorso non é fondato.

2. - Quanto al conflitto di attribuzione sollevato in riferimento ai provvedimenti relativi alle cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet", é documentato agli atti, ed é pacifico fra le parti, che l'attività istruttoria preordinata alla concessione del nulla osta venne espletata dall'ufficio del Genio civile di Bolzano prima della emanazione della legge provinciale 6 agosto 1963, n. 9, e, quindi, prima che il trasferimento dei poteri divenisse operante. É ovvio, perciò, che non sussiste la lamentata invasione di competenza, dovendosi escludere che gli atti del procedimento posti in essere dall'autorità all'epoca competente ad emetterli siano caducati dalla sopravvenuta legge, e ciò in virtù di un principio generale che non può non trovare applicazione - difformemente da quanto ritiene la difesa della ricorrente - anche quando lo spostamento di competenza riguardi organi inquadrati in enti diversi.

3. - Il conflitto di attribuzione relativo alle determinazioni enunciate nella lettera del Presidente della Commissione statale riguarda essenzialmente l'individuazione e la delimitazione dei poteri che, a seguito dell'intervenuto trasferimento, competono alla Provincia di Bolzano.

Va in proposito anzitutto rilevato che i poteri in discussione sono precisamente quelli, e solo quelli, che in virtù degli artt. 3 e 6 della legge del 1950, n. 715, già competevano al Genio civile e che ora sono trasferiti alla Provincia con lo stesso contenuto e con gli stessi limiti: si deve infatti disattendere, perché non fondata su alcun valido argomento, la tesi subordinatamente sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale, in virtù delle norme costituzionali dettate per la tutela delle autonomie locali, le attribuzioni trasferite dalle norme di attuazione debbano assumere una sfera più ampia rispetto a quella propria degli organi statali periferici.

Ciò posto, é da osservare che nel sistema della legge 10 agosto 1950, n. 715, tutti i poteri decisori circa l'impiego del fondo e l'ammissione dei richiedenti alle provvidenze finanziarie sono inequivocabilmente riservati alla Commissione statale istituita dall'art. 12 (i provvedimenti della quale sono resi esecutivi con decreto del Ministro dei lavori pubblici), sicché agli uffici periferici del Genio civile, come la Corte ebbe già ad osservare nella sentenza n. 71 del 1962, non sono riservati che poteri istruttori e di riscontro delle opere finanziate. Il che é puntualmente confermato dall'art. 6 della legge, il quale, interpretato nella sua necessaria connessione con l'art. 13 relativo alle funzioni demandate alla Commissione, non può non intendersi nel senso che l'accertamento della "possibilità di eventuale accoglimento" delle domande, devoluto al Genio civile nella fase preparatoria di sua competenza, riguarda esclusivamente la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge e non comporta affatto il potere di operare una comparazione o una graduatoria fra i vari richiedenti, destinata a vincolare le determinazioni riservate alla Commissione. La Provincia, invece, chiaramente rivendica poteri ampiamente discrezionali e sostanzialmente decisori, come emerge dalla circostanza che anche la pretesa alla previa conoscenza dell'entità della somma annualmente destinata ai finanziamenti sul suo territorio viene fondata sulla sua assunta competenza ad operare una scelta fra le varie domande presentate nel corso dell'anno e sulla conseguente necessità di elaborare, sia pure di intesa con lo Stato, criteri idonei a regolare tale selezione, in primo luogo tenendo conto dell'opportunità di un'equa ripartizione dei fondi fra gli appartenenti a distinti gruppi linguistici. Con il che, come espressamente si afferma nell'atto introduttivo e si ribadisce nella memoria, la Provincia intende condizionare attraverso la sua attività quella della Commissione statale: ma ciò non trova alcuna giustificazione nel sistema della legge.

Da queste considerazioni, che assorbono tutte le altre osservazioni prospettate dalla Regione, emerge la non fondatezza del ricorso. E va aggiunto che sulla decisione non possono aver affatto incidenza né la circostanza, a puro titolo di informazione resa nota dalla difesa della ricorrente, che nelle more del presente giudizio la Giunta di Bolzano ha stabilito vari criteri ai quali il Comitato urbanistico provinciale deve prestare osservanza, né l'atteggiamento che di fronte a tale atto possa aver assunto lo Stato.

4. - In linea subordinata la ricorrente eccepisce incidentalmente la illegittimità costituzionale della legge 10 agosto 1950, n. 715, e del D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, assumendo che, ove le norme in tali testi contenute dovessero essere interpretate nel senso che vada esclusa la competenza rivendicata alla Provincia di Bolzano, esse apparirebbero in contrasto con gli artt. 11, n. 11, 13 e 59 dello Statuto.

La tesi della Regione ripropone sostanzialmente la stessa eccezione che la Corte nella citata sentenza n. 71 del 1962 respinse come manifestamente infondata. Ed in effetti l'assunto che l'attuale questione sia del tutto diversa, perché nella precedente occasione si trattava di accertare se legittimamente lo Stato avesse escluso dal trasferimento le competenze descritte negli artt. 12 - 16 della legge 1950, n. 715, mentre ora si tratterebbe di valutare la legittimità dei limiti dei poteri trasferiti, non può essere condiviso. É evidente, infatti, che in entrambi i casi il presupposto necessario delle tesi sostenute dalla ricorrente era ed é che la legge sulla costituzione del fondo per l'incremento edilizio riguardi la materia delle case popolari, riservata alla Provincia dall'art. 11, n. 11, dello Statuto: e ciò la Corte nella ricordata sentenza escluse sulla base di considerazioni obbiettive, tratte dalle finalità e dalla disciplina posta dalla legge, ed alle quali é qui sufficiente rinviare. Gli argomenti ora addotti dalla ricorrente, infatti, o si identificano con quelli già disattesi dalla Corte o sono in conferenti. Tali appaiono quelli ricavati da leggi successive a quella qui in esame - particolarmente l'art. 4 del D.P.R. 23 maggio 1964, n. 655, e l'art. 15 del D. L. 6 settembre 1965, n. 1022, convertito con legge 1 novembre 1965, n. 1179, sui quali la difesa della Regione ha richiamato l'attenzione nella discussione orale - giacche, senza necessità di scendere alla valutazione del significato delle norme invocate, é da ritenere che l'identificazione della materia regolata dalla legge del 1950, n. 715, va operata esclusivamente attraverso criteri obbiettivamente deducibili dalla stessa legge. Del pari non attendibili appaiono sia l'argomento fondato sulla circostanza che la Provincia di Bolzano avrebbe emanato leggi a contenuto e struttura identici a quelli della legge nazionale, senza che lo Stato abbia contestato il relativo potere, sia l'argomento dedotto dalla considerazione che il trasferimento delle funzioni in contestazione é avvenuto attraverso il D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, il quale, dettando norme di attuazione in materia di edilizia popolare, non avrebbe potuto trasferire poteri che non fossero statutariamente previsti: l'uno e l'altro argomento, infatti, si risolvono nella prospettazione di questioni che sono del tutto estranee all'oggetto del presente giudizio, e non hanno alcun rilievo ai fini dell'attuale decisione.

L'eccezione subordinata va pertanto respinta.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunziando sul ricorso della Regione Trentino - Alto Adige indicato in epigrafe,

dichiara che non spetta alla Provincia di Bolzano la competenza a rinnovare gli atti istruttori, relativi alle domande di finanziamento delle cooperative "Impiegati Meranesi" e "Vaiolet", già compiuti dal locale ufficio del Genio civile;

dichiara che non spetta alla Provincia di Bolzano, nei sensi di cui in motivazione, la competenza ad esercitare, in materia di istruttoria delle domande di finanziamento in base alla legge 10 agosto 1950, n. 715, i poteri rivendicati nel ricorso;

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1966.