Sentenza n. 87 del 1962
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SENTENZA N. 87

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 209 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, delle leggi sulle imposte dirette, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 maggio 1961 dal Pretore di Legnago nel procedimento civile vertente tra Soave Arrigo e l'esattore comunale di Cerea, iscritta al n. 141 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 232 del 16 settembre 1961;

2) ordinanza emessa il 14 ottobre 1961 dal Pretore di Manduria nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Baldari Cosimo ed altri, le Esattorie comunali di Manduria, Maruggio e Avetrana e il Servizio contributi agricoli unificati, iscritta al n. 49 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo 1962.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 giugno 1962 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi l'avvocato Antonio Sorrentino, per il Servizio contributi agricoli unificati, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto 

1. - Il signor Arrigo Soave propose davanti al Pretore di Legnago opposizione contro l'esecuzione iniziata nei suoi confronti dall'esattore del Comune di Cerea, sollevando contestualmente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 209 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, delle leggi sulle imposte dirette, che non ammette in siffatti procedimenti di esecuzione "le opposizioni regolate dagli articoli da 615 a 618 del Cod. proc. civ." (secondo comma), ma consente soltanto a coloro che, giusta il primo comma dell'art. 208 del medesimo T.U., possono ricorrere contro gli atti esecutivi dell'esattore all'Intendente di finanza e si ritengano lesi dall'esecuzione esattoriale, di agire in sede giudiziaria contro l'esattore "dopo il compimento dell'esecuzione stessa" e "ai soli fini del risarcimento dei danni" (terzo comma).

Il Pretore di Legnago ha ritenuto la questione pregiudiziale a tutta "una serie di eccezioni procedurali" sollevate dall'esattore di Cerea, e non manifestamente infondata, perché ha visto nella norma impugnata "una specifica limitazione del generale principio secondo il quale contro gli atti amministrativi che ledano diritti soggettivi, é sempre possibile il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria" giusta l'art. 113, primo comma, e, insieme, nient'altro se non una applicazione del principio del solve et repete alla fase esecutiva della riscossione d'imposta e più specificamente "quasi una norma dipendente e sussidiaria" di quel principio, alla quale sarebbe difficile "riconoscere vita autonoma". In conseguenza, con ordinanza emessa l'11 maggio 1961 ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti a questa Corte. L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 232 del 16 settembre 1961.

2. - Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando le proprie deduzioni in cancelleria il 4 settembre 1961.

Sostiene l'Avvocatura che l'art. 209 del T.U. delle leggi sulle imposte dirette forma sistema col precedente art. 208: tale sistema distinguerebbe tra il contribuente e le persone che il legislatore discrezionalmente gli equipara (coniuge, parenti e affini fino al terzo grado, coobbligati, ecc.) da una parte e il terzo dall'altra; e, laddove il contribuente sarebbe qualificato da un rapporto speciale con la pubblica Amministrazione, che lo rende soggetto di un rapporto giuridico - amministrativo (rapporto d'imposta), il terzo resta estraneo a un rapporto siffatto. Ne conseguirebbe che il contribuente non può rivolgersi se non all'autorità amministrativa responsabile del provvedimento e nel caso, giusta l'art. 208 all'Intendente di finanza, che provvede con atto amministrativo impugnabile secondo la sua natura, senza che contro di esso sia precluso alcun rimedio giurisdizionale. Niente porterebbe, pertanto, a ritenere violato l'art. 113, primo comma, della Costituzione.

Ad avviso dell'Avvocatura l'unica questione che potrebbe essere sollevata, sarebbe quella se nel procedimento ora delineato si faccia questione di diritto o di interesse legittimo e, in conseguenza, se competente a giudicare sui reclami avverso il provvedimento intendentizio sia il Consiglio di Stato o l'autorità giudiziaria ordinaria. Ma si tratterebbe di questione che dovrebbe essere risolta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, non già da questa Corte. Comunque, anche nell'ipotesi che l'art. 208 del ricordato T.U. affievolisse in interesse il diritto soggettivo del contribuente, in vista di un superiore interesse dello Stato, non per questo si potrebbe ritenere fondata la questione di costituzionalità, stante che non sarebbe dato ritrovare, dice l'Avvocatura, "una sola norma costituzionale che dia pretesto a considerare illegittima tale metamorfosi, perché l'art. 113 sia osservato".

Aggiunge ancora l'Avvocatura che non vi sarebbe alcun rapporto tra il solve et repete e le guarentigie amministrative e giurisdizionali accordate dall'art. 208: tutta la giurisprudenza in materia, infatti, insegnerebbe che, se nelle more del provvedimento dell'Intendente di finanza il contribuente paga, egli perde l'azione ex art. 208 e acquista ex novo il risarcimento del danno ex art. 209, ultima parte. In conseguenza, il contribuente ingiustamente leso avrebbe tre rimedi: amministrativo, giurisdizionale contro il procedimento definitivo, e l'azione per danni. Né sarebbe migliore il trattamento usato al terzo, il quale non ha il rimedio del ricorso all'Intendente di finanza, ma l'azione giudiziaria in contenzioso coi rischi che questa comporta della trasformazione del processo di esecuzione in processo di cognizione e del possibile relativo spostamento di competenze. Conclude perché si dichiari l'infondatezza della sollevata questione di legittimità.

Non vi é stata costituzione di parti private.

3. - Al Pretore di Manduria furono presentati dal signor Cosimo Baldari e altri ricorsi in opposizione contro le esecuzioni iniziate nei loro confronti dagli esattori di Manduria, Maruggio e Avetrana, tutti fondati sull'illegittimità costituzionale delle norme che impongono e regolano il pagamento dei contributi unificati in agricoltura. Il Pretore sospese le esecuzioni e nel giudizio si costituirono gli esattori e intervenne volontariamente il Servizio contributi agricoli unificati (d'ora innanzi designato come "Servizio") in persona del presidente della Commissione centrale. All'udienza del 13 ottobre 1961 le opposizioni furono riunite in un unico procedimento. Il Pretore, di fronte alla tesi dell'esattore del Servizio dell'inammissibilità delle opposizioni ex art. 209, secondo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette e della conseguente carenza di giurisdizione, ha sollevato d'ufficio la questione d'incostituzionalità del ricordato art. 209, ritenendolo in contrasto con gli artt. 3 e 113 della Costituzione e ritenendo perciò di non poter decidere la questione relativa alla giurisdizione prima che fosse risolta l'ora enunciata questione di costituzionalità.

Il motivo al quale il Pretore di Manduria (che conosce e cita l'ordinanza soprariferita del Pretore di Legnago) si richiama per dimostrarne la non manifesta infondatezza, é quello della violazione del precetto costituzionale, secondo il quale contro gli atti della pubblica Amministrazione é sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione ordinaria o di giurisdizione amministrativa. La limitazione imposta dalla norma impugnata a tale tutela nei confronti di particolari soggetti, violerebbe anche il principio dell'eguaglianza di tutti davanti alla legge, sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Viceversa il Pretore non ha ritenuto di poter proporre anche la questione di legittimità delle norme sui contributi agricoli unificati (della cui fondatezza d'altra parte non dubita e che sa, del resto, già portata all'esame di questa Corte), perché ritiene necessaria la preliminare risoluzione della questione della norma dell'art. 209, vigendo la quale il giudice sarebbe, a suo avviso, carente di giurisdizione.

L'ordinanza é stata notificata alle parti e al Presidente del Consiglio, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 31 marzo 1962.

4. - In questo giudizio si é costituito il Servizio depositando le sue deduzioni il 22 novembre 1961. Secondo la difesa la norma impugnata (art. 209, secondo comma) va posta in relazione con l'intero articolo del quale fa parte e col precedente art. 208, i quali costituirebbero applicazione del principio fondamentale contenuto nell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, il quale fa divieto all'autorità giudiziaria di sospendere l'esecuzione dell'atto amministrativo. La norma impugnata, pertanto, non inciderebbe sul diritto del contribuente di adire il giudice competente per far accertare l'inesistenza del debito d'imposta o l'avvenuta estinzione di esso o il suo diverso ammontare, ma si limiterebbe a regolare l'esecuzione, che può essere sospesa soltanto dall'Intendente di finanza.

Ciò premesso, non sarebbe esatto che nel caso in esame si vieti, com'é detto nell'ordinanza, nei confronti degli esattori l'uso di azioni giudiziarie generalmente ammesse. Nei suoi termini veri il problema sarebbe un altro: nel caso in esame, in relazione all'esecutività dell'atto amministrativo, si fa divieto di sospendere la riscossione dei tributi, senza che con ciò si possa dir violato l'art. 113 e, tanto meno, l'art. 3 della Costituzione, in quanto la violazione del precetto costituzionale (sia quello contenuto nell'art. 24, sia quello di cui all'art. 113) secondo l'insegnamento di questa Corte "si avrebbe quando s'interdice il controllo del giudice su una pretesa che, secondo la legge, ha la consistenza di un diritto soggettivo, e non quando, come nel caso, l'ordinamento non gli riconosca tale qualifica". Nel caso in esame, infatti, la legge avrebbe conferito, mediante il ricorso all'autorità amministrativa, all'interesse del contribuente la qualifica di interesse legittimo. La violazione dell'art. 113 della Costituzione si sarebbe avuta qualora fosse stato interdetto il ricorso al Consiglio di Stato, o l'esperimento dell'azione diretta a contestare davanti al giudice ordinario l'esistenza del debito tributario. Quando l'ordinamento non riconosce il diritto di ottenere dal giudice la sospensione dell'atto dell'esattore, mancherebbe il diritto, non già la tutela del diritto.

5. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le sue deduzioni il 13 novembre 1961 nelle quali riproduce le argomentazioni già svolte nel giudizio di costituzionalità promosso dal Pretore di Legnago, e che la fanno persuasa dell'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 209 del Testo unico.

Aggiunge poi, nell'ipotesi che il Pretore di Manduria abbia voluto proporre in via eventuale anche la questione dei contributi unificati, alcune considerazioni secondo le quali quella questione sarebbe infondata sia nei confronti dell'art. 23, sia nei confronti dell'art. 76 della Costituzione.

6. - Queste medesime ragioni sono ribadite anche in una breve memoria che l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato il 7 giugno scorso sia per l'uno che per l'altro giudizio di costituzionalità.

7. - Una più lunga memoria ha depositato il 6 giugno la difesa del Servizio. In essa ricorda in primo luogo che nella fase di accertamento delle imposte dirette la tutela giurisdizionale del contribuente é piena e integrale, sia per i tributi erariali, sia per quelli locali, sia per gli altri crediti ai quali sia stata estesa la procedura privilegiata, e ricorda altresì i rimedi che l'art. 188 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, prevede anche dopo l'iscrizione nei ruoli. La difesa del Servizio riafferma che le limitazioni che si riscontrano nell'ultimo comma del ricordato art. 188, giusta il quale il ricorso contro l'esecuzione non sospende la riscossione, non sarebbe se non l'applicazione della regola contenuta nell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.

Lo stesso sarebbe da dire della norma contenuta nel secondo comma dell'art. 209. A questo riguardo la difesa del Servizio ritiene di poter dedurre da un esame degli artt. 615-618 del Cod. proc. civ, la cui applicazione é esclusa dalla norma impugnata, la conseguenza che l'esclusione dell'opposizione prevista da questa norma non avrebbe altro effetto se non quello di impedire la sospensione dell'esecuzione senza incidere punto sulle azioni spettanti al contribuente per negare l'esistenza del suo debito o per far valere, ai fini del risarcimento dei danni, l'irregolarità dell'esecuzione.

Ciò premesso, la difesa del Servizio riafferma che non sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione perché il trattamento differenziato sarebbe, nel caso in esame, giustificato dal fatto che si tratta di crediti di una pubblica Amministrazione, che costituiscono il corrispettivo di pubblici servizi e, più generalmente, del principio che assegna efficacia esecutiva alle pretese della pubblica Amministrazione: nessuno potrebbe trovare incostituzionale il fatto che allo Stato sia fatto un trattamento differenziato rispetto a quello riservato ai privati.

La difesa riafferma, altresì, la mancanza di fondamento dell'asserita violazione dell'art. 113 della Costituzione. Secondo l'insegnamento della Corte, il legislatore ordinario potrebbe regolare diversamente le condizioni di sostanza e di forma per l'esercizio del potere di azione nelle varie fattispecie; lo stesso art. 113, inoltre, consentendo al legislatore ordinario di stabilire quali organi di giurisdizione possono annullare (e, quindi, sospendere) gli atti della pubblica Amministrazione, nei casi e con gli effetti previsti dalla medesima legge, avrebbe convalidato i principi contenuti nella legge del 1865. Di più, in questo settore che é all'esame, il legislatore ordinario avrebbe, ad avviso della difesa del Servizio, limitato le prerogative riconosciute in via generale al potere esecutivo, accentuando, per converso, le garanzie del cittadino. La difesa si prospetta anche, per respingerle, le ipotesi che il Governo delegato ad emanare il T. U, escludendo le opposizioni previste dagli artt. 615-618 del Cod. proc. civ, avrebbe violato i limiti della delega; o che la norma impugnata possa contrastare con l'art. 24 della Costituzione; o che la sua illegittimità possa dedursi dalla dichiarata incostituzionalità del solve et repete che nascerebbe dall'equivoco, ormai dissipato, che questo principio sia un'applicazione dell'altro dell'esecutorietà degli atti amministrativi. Anzi la difesa ritiene di poter trarre dalla sentenza della Corte che dichiarò l'incostituzionalità di quel principio validi argomenti a favore dell'infondatezza della presente questione di costituzionalità.

Infine, la difesa del Servizio sostiene che il procedimento esecutivo esattoriale non si inquadra nell'ambito dei procedimenti giudiziari esecutivi, ma sarebbe, giusta la prevalente dottrina, un procedimento amministrativo. Con che sarebbe dimostrata l'infondatezza di tutte quante le mosse censure di incostituzionalità. Non sarebbe violato l'art. 3, stante che al contribuente non sarebbe fatto un trattamento diverso da quello riservato a chiunque altro sia soggetto a un procedimento espropriativo o ablativo da parte della pubblica Amministrazione; né l'art. 24, perché le opposizioni precluse dall'art. 209, secondo comma, si inseriscono in una procedura esecutiva giudiziaria; né gli artt. 24 e 113, in quanto contro gli atti amministrativi che costituiscono il procedimento esecutivo esattoriale sono dati i comuni ricorsi giurisdizionali consentiti in via generale contro gli atti dei procedimenti amministrativi.

8. - All'udienza del 20 giugno il Presidente, avvalendosi della facoltà conferitagli dall'art. 15 delle Norme integrative, ha disposto che le due cause fossero discusse congiuntamente. Le difese delle parti hanno insistito nelle loro conclusioni, riportandosi agli argomenti svolti negli scritti difensivi.  

Considerato in diritto 

1. - Le due cause hanno per oggetto la medesima questione di legittimità costituzionale, anche se l'ordinanza del Pretore di Manduria limita l'impugativa al secondo comma dell'art. 209 del T.U. delle leggi sulle imposte dirette: pertanto, devono essere decise con un'unica sentenza.

2. - Occorre preliminarmente sgombrare il terreno dall'asserito contrasto della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione, che é sollevato soltanto dall'ordinanza del Pretore di Manduria. Tale contrasto non sussiste, segnatamente nei termini proposti, in quanto, cioè, la norma dell'art. 209 del T.U. vieterebbe nei confronti di particolari soggetti "l'uso di azioni giudiziarie generalmente ammesse". É noto che la Corte ha costantemente interpretato il principio di eguaglianza non soltanto nel senso che esso imponga alla legge ordinaria di non operare discriminazioni fra i cittadini ai quali si rivolge il suo comando, ma anche nell'altro che essa possa e debba imporre un trattamento differenziato a situazioni oggettivamente e non arbitrariamente diverse. Per il caso sottoposto all'esame della Corte é da dire che si é puntualmente nell'ambito di codesta interpretazione, non potendosi disconoscere la particolarità del rapporto che si stabilisce tra lo Stato creditore (e per esso, nella fase esecutiva, l'esattore, senza che qui occorra determinare quale sia la figura di costui nel rapporto) e il contribuente o, più generalmente, l'obbligato di imposta: particolarità che ben giustifica un trattamento differenziato dell'esecuzione esattoriale nei confronti dell'ordinario processo esecutivo.

3. La questione, pertanto, é soltanto questa: di vedere, cioè, se le norme contenute nel secondo e terzo comma dell'art. 209 del più volte citato T.U. violino, oppure non, la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 113 della Costituzione, secondo la quale la tutela giurisdizionale assicurata contro gli atti amministrativi non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

Nemmeno questa tesi é fondata. In primo luogo occorre precisare che la norma contenuta nell'ora citato comma dell'art. 113 della Costituzione, che, come si é visto, le ordinanze richiamano quale termine di confronto dell'illegittimità delle norme impugnate, non può significare che contro l'atto amministrativo il cittadino abbia la facoltà di invocare la tutela giurisdizionale in ogni caso nella medesima maniera e con i medesimi effetti. Il proposito del Costituente fu di garantire il diritto del cittadino, che si sentisse leso dall'atto della pubblica Amministrazione, di richiedere la tutela giurisdizionale, non già di eliminare il potere del legislatore ordinario di regolare i modi e l'efficacia di questa.

Il più volte ricordato secondo comma dell'art. 113 non può essere interpretato senza collegarlo col comma che lo segue immediatamente e che contiene la norma, secondo la quale la legge può determinare quali organi di giurisdizione possano annullare gli atti della pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge medesima. Il che sta a significare che codesta potestà di annullamento non é riconosciuta a tutti indistintamente gli organi di giurisdizione, né é ammessa in tutti i casi, e non produce in tutti i casi i medesimi effetti.

Ora l'esecuzione esattoriale rappresenta un caso particolare di esecuzione, diverso dall'ordinario processo esecutivo, e regolato dalla legge (artt. 208 e 209 del T.U. citato) come procedimento amministrativo, lasciando da parte la questione dottrinale, che non é necessario risolvere in questa sede, della sua specifica qualificazione giuridica e del posto che le spetta nel sistema.

Si tratta, ch'é più, di un procedimento nel quale si manifesta, più energicamente forse che non in altri, data l'importanza dell'interesse tutelato (tra l'altro quello fondamentale di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato) il principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo: un principio che, quale che sia la sua ragione giustificatrice, é certamente fondamentale nel nostro ordinamento e comporta come conseguenza che, di regola, il giudice ordinario non possa modificare o revocare l'atto amministrativo o sospenderne l'esecuzione, impedire, cioè, che l'atto stesso spieghi intera la sua efficacia; conseguenza che la Costituzione non ha voluto del tutto eliminare, com'é fatto palese, tra l'altro, dall'interpretazione che la Corte ritiene debba essere data al terzo comma dell'art. 113 della Costituzione. L'applicazione di questi principi, nell'interpretazione che pure il nuovo contesto costituzionale, nel quale si inseriscono, consente, giustifica già la dichiarazione di non fondatezza della proposta questione.

4. - D'altra parte, é stato esattamente osservato tanto dalla difesa della Presidenza del Consiglio quanto dalla difesa del Servizio che gli artt. 208 e 209 fanno sistema: sistema, occorre aggiungere, che la dichiarazione di illegittimità della regola del solve et repete integra e completa. Codesto sistema comporta in primo luogo il diritto del contribuente di agire davanti all'autorità giudiziaria competente (una volta osservate le condizioni poste dall'art. 22 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, segnatamente la pubblicazione dei ruoli, e perciò anche prima dell'inizio dell'esecuzione, che si ha con la notifica dell'avviso di mora), per far accertare la totale o parziale inesistenza della pretesa impositiva, senza che sia necessario, per l'esercizio di questa azione di accertamento negativo, il pagamento del debito di imposta. In secondo luogo, il contribuente, e coloro che l'art. 208 del T.U. gli equipara, hanno facoltà di ricorrere all'Intendente di finanza (conseguenza e conferma a un tempo del carattere amministrativo del procedimento), contro tutte le questioni connesse con l'esecuzione. Contro i provvedimenti dell'Intendente di finanza, compreso quello che sospenda gli atti esecutivi, e che sono definitivi, possono essere esperiti i rimedi approntati dall'ordinamento, limitandosi l'ultimo comma dell'art. 208 a ridurre a 60 giorni il termine per il ricorso in via straordinaria al Capo dello Stato. In terzo e ultimo luogo, conclusa questa fase, senza che l'esecuzione sia stata sospesa, il contribuente, e coloro che la legge gli equipara, possono agire contro l'esattore in sede giudiziaria per il risarcimento dei danni e l'esattore risponde dei danni e delle spese del giudizio anche con la cauzione prestata, salvi i diritti spettanti all'ente impositore. Sicché non si può affermare, fondando sulla mera lettera del secondo comma dell'art. 209 del T. U, che le garanzie apprestate dagli artt. 615-618 del Cod. proc. civ. siano state sic et simpliciter negate al cittadino, ma si deve piuttosto ritenere che a quelle opposizioni sono subentrati altri mezzi di tutela conformi all'istituto dell'esecuzione esattoriale, e che al sistema dell'esecuzione ordinaria é stato sostituito un altro diverso e non illegittimo sistema.

Mediante esso la tutela giurisdizionale é garantita nella maniera più ampia in aderenza alle norme contenute nell'art. 113 della Costituzione, pur nelle forme peculiari richieste dalla particolare natura dell'esecuzione esattoriale e nel rispetto del principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo. Né a questa conclusione si può opporre l'osservazione, che si legge nelle ordinanze di rimessione, secondo la quale in questo caso si negherebbe la tutela giurisdizionale propria dei diritti soggettivi. Non si può dire, infatti, che si abbia una violazione dell'art. 113 della Costituzione quando la legge, come in questo caso, assicuri contro l'atto amministrativo una particolare tutela amministrativa e, in relazione con questa, garantisca i rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento.

5. - L'ordinanza del Pretore di Legnago fa richiamo, come si é visto, alla dichiarata illegittimità costituzionale della regola del solve et repete, ma fugacemente e si direbbe senza molta convinzione. In verità, come risulta da quanto si é esposto, la particolarità del sistema costituito dagli artt. 208 e 209 del T.U. e dagli altri che con essi si collegano, non discende dall'applicazione di quella regola, ma piuttosto dal principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo. E codesto principio, nei limiti nei quali esso vale nei confronti della sopravvenuta Costituzione, fu già fatto salvo dalla Corte nella sentenza n. 21 del 1961, con la quale quella illegittimità fu dichiarata. E, in verità, esso non esclude punto la proponibilità dell'azione davanti all'autorità giudiziaria competente, né la sottopone all'adempimento di alcun onere preliminare, ma stabilisce l'indipendenza dell'azione giudiziaria dal procedimento esecutivo; non impedisce la pronuncia del giudice, ma ne limita l'efficacia entro certi confini, vietandogli di revocare o modificare l'atto amministrativo impugnato nei casi e con gli effetti previsti dalla legge medesima (art. 113 della Costituzione, terzo comma). Nel caso poi sottoposto alla Corte, come é assicurato al contribuente, dopo la pubblicazione dei ruoli, di proporre l'azione di accertamento negativo, senza che sia necessario il previo pagamento del debito di imposta, così é da ritenere che, dopo la fine dell'esecuzione, il cittadino possa adire il giudice competente non soltanto per il risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimità dell'esecuzione esattoriale, ma altresì, se non l'abbia ancora fatto, per far accertare l'infondatezza della pretesa impositiva e le conseguenze che da questo accertamento discendono.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondate le questioni sollevate dai Pretori di Legnago e di Manduria sulla legittimità costituzionale dell'art. 209, secondo e terzo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in riferimento agli artt. 3 e 113 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 7 luglio 1962.