Sentenza n. 38 del 1962
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SENTENZA N. 38

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 dicembre 1960 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Lagomarsino Giovanni e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 27 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961;

2) ordinanza emessa il 26 ottobre 1960 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Ravotto Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 45 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 6 maggio 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 marzo 1962 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Benedetto Bussi, per gli eredi di Lagomarsino Giovanni, l'avv. Nicola De Pasquale, per Ravotto Maria, l'avv. Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con le ordinanze del 13 dicembre e del 26 ottobre 1960, emesse, la prima dal Tribunale di Genova, nella causa iniziata da Giovanni Lagomarsino contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e la seconda, dal Tribunale di Torino, in altra causa instaurata contro lo stesso Istituto da Maria Ravotto, é stata proposta una questione di illegittimità costituzionale relativamente all'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957. n. 818. che si é ritenuto esorbitante dai limiti della delegazione legislativa accordata al Governo dalla legge 4 aprile 1952, n. 218.

L'articolo denunziato stabilisce che le marche assicurative relative ai periodi anteriori di oltre cinque anni alla data di riconsegna all'Istituto delle tessere personali su cui sono applicate, sono inefficaci a tutti gli effetti e non sono rimborsabili; e le ordinanze predette osservano che il principio così adottato non ha corrispondenza nelle norme da coordinare e da riunire in base alla predetta delegazione, perché queste (artt. 43, 44, reg. 28 agosto 1924, n. 1422) determinano soltanto che la validità delle tessere personali é, di regola, di due anni e che, scaduto detto termine, le tessere debbono essere riconsegnate all'Istituto per la loro sostituzione. Secondo le ordinanze, la disposizione denunziata non é nemmeno norma transitoria o di attuazione della legge di delegazione; la quale non lascia intendere di volere la suddetta sanzione di inefficacia.

2. - L'ordinanza del Tribunale di Genova é stata notificata alle parti il 24 e il 27 gennaio 1961. Il 25 gennaio 1961 é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. É stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1 aprile 1961, n. 83.

L'ordinanza del Tribunale di Torino é stata notificata alle parti il 7 marzo 1961. Il 15 marzo successivo é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. É stata pubblicata il 6 maggio 1961 nella Gazzetta Ufficiale, n. 112.

Nel processo relativo all'ordinanza del Tribunale di Genova sono comparsi gli eredi del Lagomarsino, deceduto nelle more del giudizio, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale. In quello relativo all'ordinanza del Tribunale di Torino sono comparsi la Ravotto e l'Istituto predetto.

La Presidenza del Consiglio é intervenuta soltanto nel primo processo.

3. - Gli eredi Lagomarsino, nelle deduzioni depositate il 20 aprile 1961, rilevano che la norma denunziata non può ritenersi preesistente alla formazione del testo unico; non si può nemmeno qualificare transitoria perché riguarda anche rapporti futuri; non é di attuazione perché crea un'ipotesi nuova. Le norme positive anteriori davano alle tessere una durata biennale, ma nulla disponevano sulla validità ed efficacia delle marche applicate sulle tessere riconsegnate oltre il biennio; e, se pure la disposizione impugnata avesse carattere interpretativo, anche sotto tale aspetto starebbe fuori dei limiti della delegazione, che non riguardava l'interpretazione di norme preesistenti. Mancando in precedenza norme che regolavano la materia, non si può nemmeno supporre, secondo gli eredi Lagomarsino, che quella impugnata era necessaria per coordinare norme succedentisi. Il principio accolto non si può desumere dalla norma del regolamento del 1924, che dà una durata biennale alle tessere, perché é diversa la materia di tale durata e quella dell'efficacia delle marche, e perché il regolamento predetto dispone che solo "di regola" le tessere personali hanno validità biennale: quella norma intende perciò avere una finalità di organizzazione e neanche vieta l'applicazione di marche assicurative su tessere rilasciate da oltre due anni, tanto vero che, in precedenza, l'Istituto non ha mai escluso la validità delle marche apposte su tessere scadute. Gli eredi Lagomarsino si richiamano, infine, alla giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha ritenuto valida prova del pagamento dei contributi le ricevute di acquisto delle marche e i bollettini di versamento di conto corrente postale e ha ammesso la prova testimoniale dell'acquisto e del versamento, quando il datore di lavoro dimostri di avere perduto senza sua colpa i detti documenti.

La Ravotto, nelle deduzioni depositate il 28 aprile 1961, rileva pure che la norma denunziata non può ritenersi di attuazione o transitoria rispetto ai principi della legge di delegazione: fu diretta a normalizzare uno dei settori più delicati dell'attività previdenziale e ispirata all'indispensabile esigenza di evitare, da un lato, l'intrinseca ingiustizia derivante dalla corresponsione di pensioni pressoché uguali ai lavoratori aventi anzianità di servizio sensibilmente diversa e, dall'altro, di snellire un meccanismo funzionale di liquidazione, appesantitosi oltre ogni limite razionale, con la conseguenza di inevitabile aggravio di costi di gestione e di ineliminabili ritardi nella liquidazione. Pure la Ravotto rileva che nessuna delle leggi anteriori regola l'efficacia delle marche assicurative, in modo che nemmeno per essa la norma é di coordinamento; all'uopo viene ricordato che, per la Corte di cassazione, la mancata riconsegna tempestiva della tessera ha il solo effetto di imporre all'assicurato di provare altrimenti il versamento dei contributi e la concorrente prestazione di lavoro subordinato, giacché manca una norma che ad essa ricolleghi effetti di decadenza.

4. - Nelle deduzioni depositate il 18 aprile 1961, riguardo alla ordinanza del Tribunale di Genova, l'Istituto nazionale della previdenza sociale rileva che l'art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, stabilisce che i contributi assicurativi si prescrivono con il decorso di cinque anni dalla data in cui debbono essere versati e sancisce il divieto di versamento dopo che sia trascorso il predetto termine di prescrizione; onde non potrebbe non conseguirne l'inefficacia di versamenti fatti in contrasto con quel divieto. L'Istituto osserva, inoltre, che la disciplina minuziosa che le leggi e i regolamenti anteriori dettano, sia per le tessere che per le marche, comprova che la tessera, sulla quale il contributo si può dire sia incorporato all'atto del pagamento, é l'unico documento di quietanza ed insieme l'unico contrassegno del diritto alle prestazioni; non é perciò concepibile che un simile documento possa restare nella disponibilità incontrollata del datore di lavoro o del lavoratore interessato, per un tempo che ecceda i limiti imposti per la validità del pagamento. La norma denunziata, quindi, secondo l'Istituto, ha inteso perfezionare la disciplina delle modalità di esecuzione dell'obbligazione di contribuire, collegando al termine per adempiere quello concesso per esibire la prova dell'adempimento; e legittimamente dichiara irripetibile il contributo indebitamente versato dopo maturata la prescrizione. Si noti, conclude l'Istituto, che é impossibile accertare, a tanta distanza di tempo, a favore di chi debba operarsi il rimborso; mentre, il decorso del termine prescrizionale, per sua natura, é di ostacolo ad ogni indagine intorno agli eventi del rapporto giuridico estinto.

Nelle deduzioni depositate il 25 maggio 1961, relativamente all'ordinanza del Tribunale di Torino, l'Istituto rileva che la legge delegante ha affermato la regola che i contributi debbono essere corrisposti in unica soluzione allo scadere di ogni periodo di paga, sottolineando, in tal modo, il rilievo che occorre dare, in un sistema assicurativo, alla puntualità dell'adempimento; in modo che la norma impugnata non ha fatto che attuare la volontà espressa del legislatore previdenziale, disciplinando l'onere della tempestiva esibizione della prova dell'adempimento dell'obbligo di versare i contributi. É evidente, soggiunge l'Istituto, che l'aver trattenuto presso di sé, oltre il tempo prescritto, un documento come la tessera assicurativa, non può non influire sul valore probatorio dello stesso; e, pertanto, la norma impugnata va intesa come diretta ad armonizzare la disciplina della prova, unica ed essenziale per legge, con quella dell'adempimento dell'obbligazione di pagare i contributi assicurativi, imponendo un ragionevole onere di diligenza a chi forma e custodisce il documento. La sanzione della non rimborsabilità é connessa anche al fatto che le marche si consumano con l'uso.

5. - il Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle deduzioni depositate il 17 febbraio 1961, dopo aver rilevato che é in discussione soltanto la validità dei contributi e non anche la loro rimborsabilità , non avendo l'ordinanza a questa esteso i suoi dubbi, fa proprio l'assunto dell'Istituto, secondo il quale la ratio della disposizione denunziata deve ravvisarsi nel coordinamento fra le norme della legge delegante, che aveva modificato le precedenti disposizioni sulla durata delle tessere assicurative, e il principio dell'art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, per cui non sono ammessi versamenti di contributi assicurativi, né possono esserne ricevuti dall'Istituto dopo trascorso il termine di cinque anni.

La norma impugnata ha inteso evitare che si potesse versare qualsiasi contributo anche decorso il quinquennio per il solo fatto di essere in possesso di vecchie tessere non utilizzate; e ha sostanzialmente chiarito che data di versamento dei contributi deve essere considerata, non quella scritta dalla parte sulle marche, ma l'altra in cui la tessera viene consegnata all'Istituto e diventa, quindi, certa e operante nei suoi confronti.

6. - Gli eredi Lagomarsino, nella memoria 22 febbraio 1962, contestano che la norma denunziata possa ritenersi di attuazione dell'art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, o di coordinamento delle disposizioni della legge di delegazione con tale articolo, secondo l'assunto dell'Istituto e della Presidenza del Consiglio. L'articolo predetto, essi rilevano, non stabilisce la prescrizione dei contributi già versati, ma fa divieto di versare contributi ove siano trascorsi cinque anni dal giorno in cui avrebbero dovuto essere corrisposti; viceversa l'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, dispone che l'inadempimento dell'obbligo di consegna della tessera fa divenire inefficaci le marche apposte da oltre i cinque anni, vale a dire disciplina un'ipotesi del tutto distinta e diversa da quelle considerate nell'art. 55 su citato. Si nega che la legge di delegazione contenga norme sulla durata della tessera assicurativa alle quali l'articolo stesso avrebbe dovuto essere coordinato e si afferma che la norma denunziata ha innovato il sistema anteriore, perché ha ritenuto che data di pagamento dei contributi é quella di consegna della tessera in contrasto con le disposizioni degli artt. 51, 53 e 111 del citato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che considerano versamento l'acquisto delle marche e l'applicazione di esse sulle tessere personali. Non v'era nemmeno necessità di evitare l'utilizzazione tardiva di vecchie tessere, perché, per l'art. 8 della legge 4 aprile 1952, n. 218, l'acquisto delle marche deve avvenire in coincidenza con il versamento del contributo al fondo per l'adeguamento delle pensioni, presso il medesimo ufficio che riceve il detto contributo.

7. - La Ravotto ha presentato una memoria, che é pervenuta alla cancelleria, a mezzo del servizio postale, il 24 febbraio 1962, dopo cioé la scadenza del termine prescritto.

All'udienza di discussione le parti comparse hanno illustrato i rispettivi punti di vista.

Considerato in diritto 

1. - I due procedimenti debbono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Infatti, le ordinanze del Tribunale di Genova e di quello di Torino propongono una identica questione di legittimità costituzionale riguardo ad un medesimo articolo: l'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, che attuò la delegazione conferita al Governo con l'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218.

2. - La disposizione denunziata non ha rispettato i limiti della delegazione.

Era stata conferita al Governo la facoltà di riunire in testo unico le leggi sull'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, di coordinarle fra loro e di dettare norme transitorie e di attuazione delle disposizioni contenute nella legge delegante. L'esecutivo non aveva perciò il potere di modificare la portata che le disposizioni vigenti al tempo della delegazione avevano attribuito all'obbligo dell'assicurato o del datore di lavoro di riconsegnare all'Istituto per il rinnovo, entro il termine legale, la tessera personale di assicurazione.

Siffatto obbligo fu imposto con il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, allo scopo, come ha deciso anche questa Corte (30 dicembre 1961, n. 75), di conferire certezza alla data dei versamenti indicata sulle marche che si applicano sulla tessera entro i termini della durata di essa; in modo che, dopo la riconsegna del documento, la predetta data più non possa contestarsi. Il ritardo nella richiesta di rinnovo della tessera adduce perciò, secondo l'ordinamento anteriore alla legge delegata, solo alla conseguenza di rendere inopponibili all'Istituto i versamenti che appaiono eseguiti oltre quei termini, non di impedire all'interessato di dimostrare la verità della data contestabile. Infatti, nessuna norma di quell'ordinamento fa arguire che la riconsegna della tessera sia l'unico mezzo di accertamento della verità della data predetta o che la sua omissione o il suo ritardo implichi la decadenza dell'interessato dal diritto di far valere i versamenti provati dalle marche; ed implichi tale decadenza pur quando, con prove aventi un grado di certezza uguale a quello che può desumersi dal fatto della consegna (arg. ex art. 2704, comma primo, Cod. civ.), si dimostri che non sono fittizie le date iscritte sulle marche.

Viceversa la norma impugnata, dichiarando inefficaci le marche che, nella tessera di assicurazione, sono riferite a periodi di paga risalenti a più di cinque anni prima della sua riconsegna, ha elevato questa formalità a presupposto unico ed insostituibile del diritto al computo di quelle marche; ed é perciò che la norma ha esorbitato dall'ambito della delegazione.

3. - Hanno sostenuto l'Ente assicuratore e la Presidenza del Consiglio dei Ministri che la riconsegna della tessera completa la fattispecie del versamento dei contributi; e così ne traggono la conseguenza che la medesima ha un valore trascendente il semplice effetto della incontestabilità della data apposta sulle marche, e, se eseguita dopo il quinquennio, implica un pagamento effettuato oltre il termine di prescrizione.

Sta però in contrasto con codesto assunto il sistema delle leggi in cui la norma denunziata si inserisce. Da un lato, infatti, in forza degli artt. 51, 53 e 111 del citato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, le marche debbono essere applicate sulla tessera entro cinque giorni dalla scadenza di ogni periodo di paga, e, nel caso di tardivo versamento, a seconda dei casi; o debbono essere corrisposti gli interessi con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello in cui il versamento stesso avrebbe dovuto eseguirsi o deve essere pagata una penale equivalente all'importo dei contributi non versati; dall'altro lato, l'art. 8 della legge 4 aprile 1952, n. 218, (la legge delegante) pone l'obbligo di effettuare l'acquisto delle marche simultaneamente al versamento del contributo al fondo per l'adeguamento delle pensioni e presso lo stesso ufficio che riceve quel versamento, ed eleva a dieci giorni dalla scadenza del periodo di paga il termine entro cui deve essere adempiuto all'obbligo di applicare sulla tessera le marche acquistate. Queste norme fanno coincidere il tempo del versamento dei contributi con quello dell'applicazione delle marche sul libretto, che é l'atto attraverso il quale si individua l'assicurato: non si spiegherebbe come la obbligazione degli interessi o della penale per l'omesso o il ritardato versamento possa decorrere da un tempo anteriore a quello della riconsegna della tessera assicurativa qualora a tale riconsegna dovesse darsi l'efficacia di atto che completa la fattispecie solutoria. Se questo valore essa avesse, ne risulterebbe anzi la facoltà dell'obbligato di differire l'applicazione delle marche sulla tessera fino alla scadenza del dovere di riconsegnarla; il che sarebbe in netta opposizione con le norme sopra richiamate, le quali collegano al periodo di paga la puntualità dell'adempimento.

Si aggiunga che l'art. 55 del richiamato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, fa decorrere la prescrizione dell'obbligazione contributiva dal giorno in cui i contributi dovevano essere versati e, quindi, le marche dovevano essere applicate sulla tessera, non da quello in cui la tessera doveva riconsegnarsi per il rinnovo; e con ciò ulteriormente si dimostra che la riconsegna sta fuori dell'atto di adempimento.

4. - Non ha peso nemmeno l'altro assunto dell'Istituto di previdenza e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo il quale la norma in discussione trae fondamento dal divieto imposto all'Istituto di riconoscere versamenti che si affermino eseguiti da più di cinque anni, ed é conseguente al duplice fatto che l'obbligazione contributiva si prescrive in cinque anni e che non é ammessa una regolarizzazione della posizione contributiva dopo il decorso della medesima.

Base logica della disposizione che determina la prescrizione quinquennale dell'obbligazione contributiva é che risulti omesso il pagamento dei contributi per un periodo uguale. Si proibisce all'Istituto di ricevere i contributi non corrisposti o di riconoscere versamenti eseguiti dopo i cinque anni, ma non di riconoscere efficacia ai versamenti eseguiti tempestivamente, risultanti da tessera consegnata cinque anni dopo. La prescrizione stabilita nell'art. 55 suddetto riguarda cioè la pretesa dell'Istituto di costringere il debitore al pagamento di contributi non ancora versati o quella del debitore di regolarizzare una posizione ancora scoperta; ma nessuna di tali due pretese si identifica con quella del debitore di far valere versamenti effettivamente eseguiti. La quale, infatti, non postula una istanza di regolarizzazione, ed oppone soltanto un pagamento effettivamente verificatosi.

L'Istituto, ove la tessera sia presentata dopo la scadenza della sua durata, potrà disconoscere i versamenti che rimontino a più di cinque anni, perché potrebbero essere stati eseguiti dopo il decorso della prescrizione. Ma dovrà riconoscerli ove sia dimostrato che essi risalgono in realtà alle date che risultano dalle tessere. se l'interessato fornisce prove del proprio assunto tali da suscitare il dovuto grado di convinzione. La difficoltà di queste prove garantisce contro il pericolo di una regolarizzazione posteriore al quinquennio; che é il pericolo del quale non a torto si preoccupano tanto l'Istituto quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri

5. - Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, che riguarda tutte le sue parti e non soltanto il suo primo comma, perché tutta la sua normativa presuppone l'esistenza, nel sistema delle leggi sulla previdenza sociale, di un principio che la Corte ritiene gli sia del tutto estraneo.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

riuniti i procedimenti di cui alle ordinanze del Tribunale di Genova e di quello di Torino rispettivamente del 13 dicembre e del 26 ottobre 1960,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952. n. 218. e con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 10 aprile 1962.