Sentenza n. 75 del 1961
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SENTENZA N. 75

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 26 luglio 1960 dal Tribunale di Udine nel procedimento civile tra Brun Rizza Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 81 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 254 del 15 ottobre 1960.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 22 novembre 1961 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avvocato Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Il 16 maggio 1959 l'Istituto nazionale della previdenza sociale rifiutava a Maria Brun Rizza il rinnovo della tessera per l'assicurazione obbligatoria, ai fini della prosecuzione volontaria della stessa, alla quale la Brun Rizza era stata autorizzata con decorrenza dal 12 novembre 1945. L'Istituto faceva osservare che l'istante era decaduta da tale prosecuzione perché alla data di riconsegna dell'ultima tessera non risultavano versati 52 contributi settimanali nell'ultimo quinquennio, ai sensi dell'art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218.

Essendo stato respinto un suo ricorso al Comitato esecutivo dell'Istituto, la Brun Rizza, con citazione 18 gennaio 1960, con veniva l'Ente stesso innanzi al Tribunale di Udine, al quale chiedeva che venisse accertato il diritto di lei alla continuazione volontaria dell'assicurazione e ad eseguire i versamenti delle contribuzioni dal 29 ottobre 1958 in poi.

2. - Innanzi al Tribunale l'Istituto opponeva che l'art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, richiede il requisito da esso opposto, ad ogni istanza di autorizzazione alla prosecuzione volontaria, e che, comunque, l'esigenza predetta é stata esplicitamente riaffermata dall'art. 15 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, il quale prescrive che l'assicurato ammesso alla prosecuzione deve risultare in possesso del requisito predetto, alla data di scadenza di validità di ciascuna tessera.

Ma il Tribunale, con ordinanza 26 luglio 1960, in accoglimento di analoga istanza dell'attrice, promuoveva giudizio di illegittimità costituzionale dell'art. 15 del decreto invocato dall'Istituto.

All'uopo considerava che la legge del 1952 non contiene alcuna norma la quale autorizzi a ritenere che l'assicurato ammesso alla prosecuzione debba risultare in possesso di qualche requisito contributivo alla scadenza delle singole tessere assicurative e che il citato D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, nel richiedere per la rinnovazione di tali tessere i medesimi requisiti richiesti per l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione, é andato al di là dei limiti della delegazione conferita al Governo dall'art. 37 della predetta legge, ai cui criteri avrebbe dovuto uniformarsi. Rilevava che, d'altra parte, gli effetti delle irregolarità nel pagamento dei contributi sono previsti nell'art. 6 della legge delegante, nonché in altre disposizioni relative alla materia, e sono diversi da quelli che nella legge delegata si é creduto di determinare.

L'ordinanza il 29 luglio 1960 veniva notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri; nella stessa data veniva comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati e successivamente veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 1960.

3. - Innanzi a questa Corte la Brun Rizza ribadiva l'assunto svolto dal Tribunale con le deduzioni e la memoria rispettivamente depositate il 25 agosto 1960 e il 9 novembre 1961; sostiene perciò che, in base alla legge delegante, soltanto ed esclusivamente l'autorizzazione iniziale ai versamenti é subordinata alla sussistenza di requisiti contributivi e che unica sanzione prevista da quella legge, a carico di coloro che non versano tempestivamente i contributi, é quella di non poter coprire i periodi di inadempienza con versamenti che regolarizzino le tessere per un tempo anteriore ai sei mesi dalla riconsegna delle medesime, quando, decorsi i due anni dal rilascio, l'assicurato ne deve chiedere la rinnovazione.

L'Istituto nazionale della previdenza sociale, nelle deduzioni depositate il 2 novembre 1960, si é richiamato, oltre che all'art. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, il quale vuole un minimo di contributi nel quinquennio, all'art. 6 della legge stessa, per cui l'applicazione delle marche di contribuzione volontaria deve avvenire allo scadere di periodi prefissati e, come si é rilevato, la regolarizzazione non é ammessa per un periodo superiore ai sei mesi anteriori alla riconsegna delle tessere. Secondo l'Istituto, dal sistema della legge delegante si desume, da un lato, l'obbligo della periodicità continuativa della contribuzione e, dall'altro, la necessità di mantenere in vita il rapporto assicurativo, nonostante le interruzioni, nei limiti stabiliti per l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria, che é un limite richiesto dalle basi tecniche del rapporto: allo stesso termine previsto come presupposto per la prosecuzione si riferisce, infatti, la legge per commisurare il tempo di prescrizione del contributo e il periodo di attesa per conseguire la pensione di invalidità. Sostanzialmente l'art. 15 del decreto impugnato avrebbe consentito versamenti discontinui e non periodici alla condizione che, alla data di scadenza di ciascuna tessera biennale, risulti il versamento dello stesso numero di con tributi previsto per l'ammissione alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione; si tratterebbe di una facilitazione consentita all'assicurato, che trova riscontro nell'art. 9 della legge, la quale assicura la pensione soltanto agli assicurati da almeno cinque anni che, nel quinquennio precedente la domanda di pensione, abbiano corrisposto un minimo di contributi settimanali.

Il Presidente del Consiglio, intervenuto il 27 agosto 1960, rileva che l'art. 15 del decreto impugnato, per un verso, rispetta la volontà, espressa dalla legge del 1952, di evitare la cessazione del rapporto di assicurazione nel caso di violazione del principio di continuità e di periodicità dei versamenti e, per altro verso, si conforma al principio che ispira il sistema delle assicurazioni sociali, per cui é necessario un minimo di versamenti contributivi per aver diritto alla prestazione assicurativa. Osserva che logica conseguenza dell'istituto dell'autorizzazione alla prosecuzione dell'assicurazione, la quale rientra fra le ammissioni, é che la sussistenza del requisito per l'autorizzazione sia controllato periodicamente, ad ogni rinnovo di tessera assicurativa.  

Considerato in diritto 

1. - Come risulta dall'esposizione del fatto, l'art. 15 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, viene denunciato a questa Corte perché il suo contenuto eccede i limiti della delegazione conferita al Governo dall'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, avendo esso subordinato anche il diritto del lavoratore di avere rinnovata la tessera assicurativa, dopo la sua scadenza biennale, alla sussistenza dei minimi contributivi richiesti dalla legge predetta per la prosecuzione volontaria del rapporto assicurativo da essa regolato.

Non é certo esatto ritenere, come sostengono il Tribunale e la Brun Rizza, che la parificazione cui é addivenuto l'articolo denunciato é in contrasto con la norma dettata nel settimo comma dell'art. 6 della legge, ove si proibisce, al lavoratore che ha chiesto tardivamente la rinnovazione, di applicare, nella nuova tessera, marche che coprano periodi anteriori ai sei mesi. Questa norma é destinata ad attenuare le conseguenze dell'inadempimento del lavoratore alla sua obbligazione di versare i contributi assicurativi con continuità e con periodicità; e non riguarda, quindi, l'esistenza di un potere dell'Istituto come quello conferito nella disposizione impugnata. Non può far indurre né fare escludere l'esistenza di quel potere.

Decisiva é, invece, la considerazione che la legge di delegazione, pur avendo imposto un minimo di contributi per l'accoglimento dell'istanza di prosecuzione (art. 5) e per far valere il diritto alle prestazioni assicurative (art. 2), non ha prescritto un requisito del genere per la rinnovazione della tessera, né implicitamente, né esplicitamente. La legge delegata non poteva, quindi, prevederlo; e la norma che lo ha stabilito, l'art. 15 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, ha violato i criteri che il Governo doveva tenere presenti nell'esercizio della delegazione conferitagli.

2. - É infondato che la disposizione denunciata sia conseguenza necessaria dell'obbligo, fatto al lavoratore, di applicare le marche sulla tessera con continuità e con periodicità.

Analogo obbligo é fatto al datore di lavoro nella fase obbligatoria del rapporto assicurativo (art. 47 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827; art. 19 cit. legge del 1952); e tuttavia il regolamento alle leggi sulle assicurazioni per l'invalidità e la vecchiaia (art. 14 R.D. 28 agosto 1924, n. 1422), tuttora in vigore (art. 140 del cit. R.D. del 1935), e che ha valore pure per l'assicurazione contro la tubercolosi (art. 1 R.D. 7 giugno 1928, n. 1342) e per l'assicurazione relativa ai superstiti (arg. art. 2 R.D.L. 14 giugno 1939, n. 636), dispone che l'ufficio che ritira la tessera scaduta deve rilasciarne contemporaneamente una nuova. All'ufficio predetto si fa soltanto l'obbligo di eseguire le annotazioni imposte dalle istruzioni ricevute (cfr. anche l'art. 37 R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270, sull'assicurazione contro la disoccupazione involontaria), non anche quello di controllare, prima della consegna della nuova tessera, se sussistano ancora gli estremi (quanto meno soggettivi) per la persistenza del rapporto assicurativo.

Basterebbe questo richiamo per ritenere che l'ordinamento positivo dell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia, i superstiti e la tubercolosi, cui appartiene la legge di delegazione, contiene il principio della sostituzione automatica della tessera scaduta, anche per la fase di prosecuzione volontaria del rapporto. Infatti, l'accoglimento dell'istanza con la quale si richiede di continuare nel pagamento dei contributi non costituisce, com'é noto, un nuovo e diverso rapporto, ma dà luogo alla continuazione di quello che si era formato ex lege; e, pertanto, le regole che riguardano la fase obbligatoria concernono pure quella facoltativa.

Ad ogni modo, che, in questa seconda fase, la sostituzione della tessera scaduta non deve essere negata quand'anche le marche contributive non vi risultino apposte con periodicità e continuità, si arguisce dall'art. 6, sesto comma, della legge di delegazione, ove si prescrive che il lavoratore deve consegnare la tessera non più in vigore e l'Istituto deve rilasciarne una nuova, pure senza far cenno ad un qualsiasi obbligo di accertare che sussistano i presupposti per la continuazione del rapporto. Si aggiunga che il settimo comma del medesimo art. 6, nell'imporre la consegna della nuova tessera financo quando sia scaduto il tempo prescritto per la restituzione di quella anteriore, non stabilisce un termine oltre il quale la rinnovazione non é più consentita; e così ammette che questa rinnovazione possa essere domandata anche dopo i cinque anni dalla scadenza della precedente tessera, per quanto non sia stato fatto alcun versamento; cioè in una situazione che, secondo la norma denunciata, impedirebbe di far luogo alla sostituzione. Ed ancora, il comma ultimo citato consente la regolarizzazione del semestre di contributi anteriore alla scadenza della tessera, senza distinguere il caso in cui questa era priva di marche da quello in cui essa era parzialmente riempita; e così autorizza il lavoratore a cominciare i suoi versamenti anche dopo il quinto anno dall'accoglimento della domanda di prosecuzione, ciò che non potrebbe fare secondo il dettato della norma delegata.

La possibilità di regolarizzazione tardiva della posizione contributiva indebolisce il rigore dell'obbligo di eseguire i versamenti con continuità e periodicità; e deve contestarsi perciò che la legge di delegazione abbia valutato l'esatto adempimento di quell'obbligo come richiesto dalle basi tecniche dell'assicurazione, secondo l'assunto dell'Istituto. Anche perché la legge predetta ulteriormente affievolisce quell'obbligo con il fissare unitariamente i minimi cui deve essere subordinato il conseguimento delle prestazioni assicurative, e con l'imporre di sommare i versamenti della fase obbligatoria a quelli della fase volontaria, che é l'effetto dello avere equiparato ai primi i secondi (art. 6, ultimo comma; ma si v. anche art. 58, ultimo comma, R.D. del 1935). Pertanto, secondo la legge di delegazione, quanto meno nei primi tempi della prosecuzione, il lavoratore può utilizzare i versamenti eseguiti dal datore di lavoro durante la fase obbligatoria dell'assicurazione, e omettere i versamenti periodici nella misura in cui non risulta pregiudicato il raggiungimento dei minimi prescritti; il che non gli é consentito dalla norma denunciata.

3. - É vano, inoltre, discutere se l'atto con cui l'Istituto accoglie la domanda di prosecuzione debba sistemarsi fra le ammissioni, e se, quindi, sia in re la esistenza del potere che la norma denunciata ha previsto.

É pacifico che la legge di delegazione dà alla tessera un termine di durata soltanto al fine di conferire certezza di data ai versamenti eseguiti: tale scopo certamente non include l'idea di un controllo come quello statuito dalla legge delegata.

Questa, nell'istituire tale controllo, ha financo fatto divenire requisiti del diritto alla prestazione assicurativa quelli che la legge di delegazione riferisce, invece, al diritto alla prosecuzione del rapporto: l'illegittimità di codesta equiparazione é rivelata dal fatto che, in alcuni casi, come in quello dei contributi di cui alla tabella B, n. 3, quei requisiti non sono identici. E, del resto, é incontrastato che l'emissione della polizza non influenza né il sorgere né il permanere del rapporto di assicurazione. La tessera é un documento destinato a rendere possibile l'adempimento del l'obbligazione contributiva; e sarebbe illogico ritenere che la sua consegna dipenda da quell'adempimento, perché é proprio questo che essa deve permettere. Inoltre, il diritto alla tessera é un diritto alla prova del rapporto; e non lo si può subordinare all'attuazione dell'obbligazione contributiva, perché questa é in correlazione soltanto con il diritto alla prestazione dell'assicuratore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e con riferimento all'art. 76 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 dicembre 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1961.