Sentenza n. 54 del 1961
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SENTENZA N. 54

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, quarto comma, del T.U. delle leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 12 aprile 1960 dal Pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Gaeta Enea Zamira, Ballarini Dea, Gombia Afra, Castagno Maria e Mo Luigia, iscritta al n. 55 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 del 25 giugno 1960. Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; udita nell'udienza pubblica del 21 giugno 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con provvedimento del 10 aprile 1959 l'Autorità di p.s. di Torino vietò a tale Gaeta Enea Zamira di tenere una riunione in luogo pubblico perché era stato omesso il preavviso di cui all'art. 18, primo comma, T.U. leggi di p.s. Essendosi egualmente tenuta la riunione, la predetta Gaeta fu denunziata, insieme con altre imputate, per rispondere della contravvenzione di cui al quarto e quinto comma del detto art. 18, secondo cui il contravventore al divieto é punito con la pena dell'arresto e dell'ammenda.

Il Pretore di Torino, avanti al quale pendeva il giudizio, con ordinanza 14 luglio 1959, sollevò d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice in relazione all'art. 17 della Costituzione, affermando che questo consente all'Autorità di p.s. il potere di divieto delle riunioni in luogo pubblico solo per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica.

Con ordinanza del 7 marzo 1960, n. 10, la Corte costituzionale, ritenuto che il "punto in controversia" poteva restringersi alla questione concernente la legittimità della sanzione penale stabilita dall'art. 18 T.U. leggi di p.s., affermò che la norma in controversia era stata riconosciuta conforme alla Costituzione dalla Corte stessa più volte, ed in particolare con la sentenza n. 9 del 19 giugno 1956, e dichiarò, quindi, manifestamente infondata la questione sollevata dal Pretore di Torino.

Quest'ultimo, con ordinanza 12 aprile 1960, ha nuovamente sospeso il giudizio principale ed ha rimesso per la seconda volta gli atti alla Corte costituzionale, rifacendosi alle argomentazioni già svolte nella prima ordinanza, ed affermando, a complemento di quanto già esposto, che la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale emessa dalla Corte con l'ordinanza n. 10 del 1960 lascerebbe impregiudicata l'altra e diversa questione concernente la legittimità del potere di divieto delle riunioni in luogo pubblico per il solo fatto della omissione del preavviso, questione rilevante ai fini del giudizio penale di merito in quanto investirebbe il presupposto della sanzione penale da applicarsi alle imputate.

Ad illustrare il dedotto aspetto di incostituzionalità il Pretore afferma che l'art. 18, quarto comma, T.U. citato, prevede la facoltà del Questore di vietare riunioni in luogo pubblico o per omesso preavviso, o per motivi di ordine pubblico, o di moralità, o sanità pubblica. L'art. 17 della Costituzione, invece, pur ribadendo la necessità del preavviso, porrebbe come condizione del divieto soltanto comprovati motivi di pubblica sicurezza o di incolumità pubblica. Dalla non coincidenza dell'ambito di previsione delle due norme, di cui quella costituzionale non prevede la facoltà di divieto per il solo omesso preavviso, il Pretore ha desunto la non manifesta infondatezza della questione, tenuto anche conto che non potrebbe avere rilievo nella specie la sentenza n. 9 del 19 giugno 1956 della Corte costituzionale, la quale avrebbe risolto positivamente soltanto la questione della legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo e quinto comma, T.U. leggi di p.s., stabilendo il principio della loro validità quali norme integratrici dell'art. 17 della Costituzione, senza, peraltro, considerare la questione della legittimità del divieto imposto per l'omissione del preavviso.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunica ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 25 giugno 1960, n. 155.

Si sono costituite davanti alla Corte costituzionale le imputate Gombia Afra, Mo Luisa e Castagno Maria, rappresentate e difese dagli avvocati Giorgio Menghini, Gaetano Zini Lamberti e Marcello Gallo, che hanno depositato le deduzioni nella cancelleria della Corte il 13 luglio 1960.

La difesa delle imputate, nel condividere le argomentazioni contenute nell'ordinanza del Pretore, riafferma l'incostituzionalità della norma impugnata e precisa che l'omissione del preavviso non potrebbe, in ogni caso, farsi rientrare fra i motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, previsti dalla Costituzione come i soli capaci di legittimare il divieto.

Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 19 maggio 1960.

Osserva l'Avvocatura, preliminarmente, che la questione proposta con la nuova ordinanza di rinvio sarebbe inammissibile, in quanto si riproporrebbe alla Corte il medesimo quesito già proposto dal Pretore, nello stesso giudizio principale, con l'ordinanza del 14 luglio 1959.

In subordine, l'Avvocatura sostiene l'infondatezza della questione richiamandosi, innanzi tutto, alla sentenza n. 9 del 19 giugno 1956, con la quale la Corte ha affermato che l'art. 17 della Costituzione per le riunioni in luogo pubblico "é confermativo della disciplina preesistente", onde la sanzione penale prevista dall'art. 18 del T.U. leggi di p.s., per coloro che omettono il preavviso, é da considerare come integratrice della disposizione costituzionale. Da ciò, secondo l'Avvocatura, dovrebbe senz'altro inferirsi la manifesta infondatezza della questione.

Comunque, sempre secondo l'Avvocatura, l'art. 17 della Costituzione riconosce, é vero, il diritto di riunione dei cittadini, ma al terzo comma lo subordina. per le riunioni in luogo pubblico, all'osservanza di determinate formalità seguendo lo stesso criterio adottato, ad esempio, nel subordinare il diritto di espatrio agli obblighi previsti dalla legge (passaporto), o la libertà di stampa, per quanto riguarda i giornali o i periodici, all'osservanza di determinate formalità (registrazione presso il Tribunale).

Qualora si negasse il potere di divieto in questione, prosegue l'Avvocatura, l'unica sanzione legittima per l'omissione del preavviso resterebbe la pena prevista dall'art. 18 T.U. leggi di p.s., e in tal modo rimarrebbe praticamente inoperante l'obbligo di preavviso costituzionalmente sancito, se il promotore non si arrestasse di fronte al timore della pena, senza consentire all'Autorità di p.s. di valutare preventivamente, così come vuole la Costituzione, se sussistano i motivi di merito per il divieto della riunione, e sottraendo, quindi, alla Pubblica Sicurezza stessa una delle sue peculiari funzioni quale é, appunto, la prevenzione dei reati.

L'Avvocatura dello Stato ha concluso, quindi, chiedendo dichiararsi inammissibile e, in subordine, infondata la questione sollevata con l'ordinanza del Pretore.

Fissata la causa per la decisione in camera di consiglio nella seduta dell'8 novembre 1960, ai sensi dell'art. 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la difesa delle parti private ebbe a depositare, il 27 ottobre precedente, una memoria illustrativa con cui, ribattendo l'eccezione di inammissibilià sollevata dall'Avvocatura, sostiene che la questione sottoposta alla Corte non é la stessa di quella decisa con l'ordinanza 7 marzo 1960, n. 10. Tale ordinanza, infatti, secondo la difesa, si limita a dichiarare la manifesta infondatezza della questione concernente la pretesa illegittimità costituzionale della sanzione penale prevista dall'art. 18 T.U. leggi di p.s. per l'omissione del preavviso delle riunioni in luogo pubblico, ma non investe l'altro e diverso aspetto di illegittimità di cui all'ordinanza del Pretore di Torino.

Nel merito, la difesa sviluppava le tesi già svolte in precedenza, prospettando, altresì, l'opportunità di rinviare la decisione della questione alla pubblica udienza.

Con decreto del Presidente della Corte costituzionale in data 8 aprile 1961 la causa veniva rinviata all'udienza pubblica del 21 giugno 1961, ai sensi degli artt. 18 e 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Con memoria depositata l'8 giugno 1961, l'Avvocatura dello Stato ha ampiamente illustrato le ragioni già svolte con le precedenti deduzioni, insistendo nelle conclusioni già rassegnate alla Corte.

Considerato in diritto

La questione nuovamente proposta dal Pretore di Torino con l'ordinanza del 12 aprile 1960 deve essere dichiarata inammissibile: essa, infatti é stata risolta con l'ordinanza di questa Corte del 19 febbraio 1960, n. 10.

In questa ordinanza la Corte identificava così la questione sottoposta al suo esame: "Il Pretore di Torino ha osservato nella propria ordinanza che la semplice omissione del preavviso non potrebbe rientrare nella previsione dell'art. 17 della Costituzione, che stabilisce che l'Autorità di p.s. può vietare soltanto le riunioni pericolose per la sicurezza e l'incolumità pubblica". Della questione così precisata la Corte dichiarò la manifesta infondatezza richiamando le sue precedenti pronunce: segnatamente la sentenza n. 9 del 19 giugno 1956, nella quale era stato notato come sia "normale che il precetto costituzionale non copra, per tutta la sua estensione, la materia regolata dalle norme ad essa sottordinate", intendendo, con ciò, che non é possibile addurre, per giustificare una opposta soluzione, la mancanza di un espresso divieto per il mancato preavviso; e facendo rilevare, ancora, che il preavviso é a fondamento, in questo campo, dell'attività discrezionale di prevenzione della p.s., a tutela dell'ordine pubblico, costretta, altrimenti, a rimanere inerte.

Questi rilievi stavano a comprovare il nesso che corre fra mancanza di preavviso e divieto della riunione. E non si può opporre, come pur ripete il Pretore di Torino nella sua ordinanza, rifacendosi ad una letterale ma inesatta interpretazione dell'art. 17 della Costituzione, che secondo tale articolo il divieto é consentito "soltanto" per motivi di sicurezza e di incolumità pubblica e non anche per la mancanza di preavviso, del quale caso l'art. 17 non parla. Il "soltanto" dell'art. 17 si riferisce, invece, puntualmente, alla situazione che viene a crearsi quando il preavviso sia stato dato, in modo che possa seguire il giudizio sulla pericolosità della riunione, e non già quando il preavviso sia mancato: si riferisce cioè ad una situazione che forma l'antecedente logico e necessario per dichiarare il divieto per quegli indicati motivi di carattere sostanziale. Nel caso di mancanza di preavviso, il divieto é dichiarato, invece, come semplice conseguenza della posizione antigiuridica posta in essere, che può sfociare in una grave condizione di turbamento o di pericolo pubblico.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile la questione proposta dal Pretore di Torino con l'ordinanza 12 aprile 1960 sulla legittimità costituzionale del quarto comma dell'art. 18 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento all'art. 17 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1961.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.