Sentenza n. 6 del 1960
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SENTENZA N. 6

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 88, 1 comma, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 14 luglio 1959 emessa dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - sul ricorso proposto da Caccuri Edmondo contro il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 117 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 28 novembre 1959;

2) ordinanza 14 luglio 1959 emessa dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - sul ricorso proposto da Pitzalis Giovanni contro il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 118 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 28 novembre 1959;

3) ordinanza 14 luglio 1959 emessa dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - sul ricorso proposto da Petrucci Giovanni contro il Ministero dei trasporti, iscritta al n. 119 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 28 novembre 1959;

4) ordinanza 14 luglio 1959 emessa dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - sul ricorso proposto da Cerreti Alfonso contro il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 124 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 5 dicembre 1959.

Udita nell'udienza pubblica del 20 gennaio 1960 la relazione del Giudice Tomaso Perassi;

uditi gli avvocati Aldo Dedin e Raffaele Resta, per il Pitzalis, Raffaele Resta, per il Petrucci, Giambattista Rizzo, per il Cerreti, e il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per i Ministeri di grazia e giustizia, della pubblica istruzione e dei trasporti.

 

Ritenuto in fatto

 

Edmondo Caccuri, magistrato di appello addetto alla Corte di cassazione, Giovanni Pitzalis, ispettore generale del Ministero della pubblica istruzione, Giovanni Petrucci, direttore dell'Ispettorato compartimentale della motorizzazione civile in Sicilia, ed Alfonso Cerreti, provveditore agli studi a Messina, essendo stati eletti deputati al Parlamento per la presente legislatura, vennero collocati in aspettativa, dalle Amministrazioni da cui rispettivamente dipendevano, per tutta la durata del mandato parlamentare, in base all'art. 88, primo comma, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361.

Nei provvedimenti coi quali sono stati collocati in aspettativa i predetti dipendenti dello Stato é disposto che ciascuno di essi continua a godere del trattamento economico precedente in quanto più favorevole dell'indennità parlamentare e nel provvedimento concernente il Cerreti più precisamente si dispone che "dalla data di decorrenza dell'aspettativa compete all'interessato, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, il trattamento economico più favorevole tra lo stipendio di pubblico impiegato e l'indennità fissa mensile attribuita ai membri del Parlamento dall'art. 1 della legge 9 agosto 1948, n. 1102".

Ciascuno dei detti dipendenti dello Stato ha impugnato dinanzi al Consiglio di Stato il provvedimento che lo concerne, assumendo che l'art. 88, primo comma, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati é in contrasto con l'art. 51, terzo comma, della Costituzione, il quale stabilisce che "chi é chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto di lavoro".

Il Cerreti ha dedotto, poi, l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 88 del testo citato anche sotto un altro profilo: perché, disponendo nel terzo comma che i professori di università e i direttori di istituti sperimentali equiparati siano collocati in aspettativa solo a loro domanda, violerebbe il principio dell'eguaglianza dei cittadini nell'accesso alle cariche elettive, sancito nel primo comma dello stesso art. 51 della Costituzione.

In ciascuno dei quattro procedimenti così promossi dinanzi al Consiglio di Stato, si é costituita l'Amministrazione interessata (Ministero di grazia e giustizia nel procedimento promosso dal Caccuri, Ministero della pubblica istruzione nei procedimenti promossi dal Pitzalis e dal Cerreti, Ministero dei trasporti nel procedimento promosso dal Petrucci) ed ha resistito al ricorso, chiedendone il rigetto.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le dedotte questioni di legittimità costituzionale non siano manifestamente infondate e ne ha rimesso perciò la decisione a questa Corte con quattro ordinanze - una per ciascun procedimento - emesse in data 14 luglio 1959.

Tali ordinanze, debitamente notificate alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, sono state pubblicate: tre nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 28 novembre 1959 e la quarta (quella emessa nel procedimento fra il Cerreti e il Ministero della pubblica istruzione) nella Gazzetta Ufficiale n. 295 del 5 dicembre 1959. Nel registro generale delle ordinanze pervenute a questa Corte nel 1959, sono iscritte ai numeri 117, 118, 119 e 124.

Dinanzi a questa Corte, nel giudizio promosso con la prima ordinanza (n. 117), si é costituito solo il Ministero di grazia e giustizia. In ciascuno degli altri tre giudizi si sono costituite entrambe le parti.

In ordine alla questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 88 del testo unico 30 marzo 1957, n. 361, sollevata in riferimento al terzo comma dell'art. 51 della Costituzione, il Pitzalis, il Petrucci ed il Cerreti sostengono, nelle loro deduzioni, che la norma costituzionale non é diretta a garantire soltanto la conservazione del posto di lavoro a chi é investito di funzioni pubbliche elettive, ma anche a garantirgli la possibilità di continuare a svolgere, contemporaneamente, le precedenti funzioni. Questa interpretazione non solo sarebbe conforme alla lettera del testo costituzionale, ove é espressamente stabilito che "chi é chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento", ma sarebbe altresì conforme agli scopi intrinseci della norma, identificabili anche attraverso le discussioni svoltesi in seno all'Assemblea costituente. Chiamata a scegliere fra due tesi - quella di ritenere in ogni caso incompatibile il contemporaneo esercizio del mandato politico e dell'impiego e quella di ritenerlo invece compatibile assicurando però, da un lato, il retto adempimento delle funzioni elettive e non pregiudicando dall'altro, diritti e interessi dell'eletto nel rapporto d'impiego - la Costituente, ispirata anche da atteggiamento di sfavore verso il cosiddetto professionismo politico, avrebbe finito con l'accogliere la seconda soluzione, approvando la norma in esame, simile, anche nella formulazione, ad una norma già contenuta nella costituzione di Weimar. Tale norma, nel suo più profondo significato, sarebbe diretta a garantire libertà e indipendenza assolute ad ogni cittadino, anche a chi presti lavoro subordinato, che voglia dare il suo contributo all'attività politica della Nazione.

Il Pitzalis, il Petrucci e il Cerreti fanno poi rilevare che fino all'emanazione della norma impugnata, il legislatore ordinario aveva sempre inteso il precetto costituzionale nel senso di ritener compatibile l'esercizio delle funzioni politiche elettive con l'esercizio delle funzioni di impiegato, e ricordano l'art. 25 della legge 20 gennaio 1948, n. 6, che aveva lasciato esclusivamente alla sensibilità e alla discrezione dello stesso impiegato di chiedere il congedo straordinario ove ritenesse di non poter continuare a svolgere proficuamente le precedenti funzioni, nonché i lavori preparatori della legge 13 febbraio 1953, n. 60, sulle incompatibilità parlamentari, durante i quali fu soppresso alla Camera un articolo del disegno di legge dove era prescritto che il collocamento in congedo dell'impiegato eletto al Parlamento dovesse essere sempre disposto di ufficio.

Passando all'esame della norma impugnata (contenuta nell'art. 41 della legge 16 maggio 1956, n. 493, poi trasfusa nell'art. 88 del citato testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati del 1957, n. 361), il Pitzalis, il Petrucci e il Cerreti ricordano che anche l'adozione di questa norma fu oggetto di vivaci contrasti alla Camera dei deputati e al Senato, accennano ai vari problemi a cui può dar luogo la sua pratica applicazione e si soffermano a dimostrarne il contrasto con la norma dell'art. 51 della Costituzione, come da loro interpretata, facendo rilevare che il collocamento in aspettativa porta, in modo ancora più netto che nel congedo, all'allontanamento dell'impiegato dall'esercizio delle sue funzioni e in taluni casi implica pure sostituzione nell'ufficio e cioè perdita del posto. Il Cerreti offre a questo riguardo l'esempio del caso suo personale, giacché, dopo averlo collocato in aspettativa, il Ministero della pubblica istruzione lo ha sostituito con altro "titolare" al Provveditorato agli studi di Messina.

In ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'intero art. 88 del testo unico 30 marzo 1957, n. 361, sollevata in riferimento al primo comma dell'art. 51 della Costituzione, il Cerreti sostiene che il diverso trattamento fatto dal legislatore ai professori di università e di istituti equiparati, pei quali il collocamento in aspettativa può aver luogo solo "a domanda", non ha alcuna apprezzabile giustificazione, dato che anche i professori universitari sono astretti a particolari doveri, fra cui quello di osservare l'orario scolastico prestabilito e di risiedere stabilmente nella sede dell'Università o Istituto a cui appartengono, con possibilità eccezionale di deroga solo per residenza in località prossima (artt. 6 e 7 legge 18 marzo 1958, n. 311). Appunto perché priva di giustificazione, la disparità di trattamento fra professori universitari ed altri impiegati violerebbe il principio sancito nel primo comma dell'art. 51 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.

L'Avvocatura dello Stato, nelle deduzioni presentate per ciascuno dei tre Ministeri in causa, nega che la lettera dell'art. 51, terzo comma, della Costituzione autorizzi l'interpretazione datane ex adverso e sostiene - desumendo anch'essa elementi dai lavori preparatori - che l'intenzione dei Costituenti fu soltanto quella di garantire all'eletto la conservazione del posto di lavoro, lasciando al legislatore ordinario di determinare concretamente il mezzo per attuare tale finalità. Facendo poi rilevare che in sede di interpretazione teleologica di una norma, può e deve tenersi conto degli inconvenienti a cui una determinata soluzione potrebbe dar luogo, l'Avvocatura accenna al grave sacrificio degli interessi dei datori di lavoro che verrebbe posto in essere, specie nei rapporti di lavoro privati, accedendo alla tesi della compatibilità delle funzioni: sacrificio che si tradurrebbe in una vera espropriazione senza indennizzo nei casi in cui il datore di lavoro sia costretto a corrispondere le intere retribuzioni a un lavoratore che non é in grado di svolgere attività proficua.

Quanto alla norma impugnata, l'Avvocatura sostiene che la via prescelta dal legislatore ordinario per attuare il precetto costituzionale tutela nel modo più ampio gli interessi dell'impiegato eletto deputato, desumendosi, dallo stesso art. 88 del testo unico in esame, che il periodo trascorso in aspettativa viene computato ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

In ordine alla questione della disparità di trattamento fra professori universitari ed altri impiegati, l'Avvocatura dello Stato dedusse che il primo comma dell'art. 51 della Costituzione riguarda esclusivamente l'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive e non concerne perciò la regolamentazione dei rapporti del lavoratore eletto a funzioni pubbliche col suo datore di lavoro; che la stessa norma costituzionale prescrive comunque che nell'accesso alle cariche si debba tener conto dei requisiti stabiliti dalla legge; che, infine, l'accoglimento dell'eccezione di incostituzionalità porterebbe al riesame, in sede legislativa, del problema della equiparazione di tutti i dipendenti pubblici eletti al Parlamento, problema che potrebbe anche essere risolto estendendo agli stessi professori universitari il trattamento ora riservato agli altri impiegati.

Sulla base delle deduzioni esposte, le parti concludono, rispettivamente, per l'accoglimento o per la dichiarazione di infondatezza delle proposte eccezioni di illegittimità costituzionale, con tutte le conseguenze di legge.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le quattro cause, promosse dalle ordinanze del Consiglio di Stato indicate in epigrafe e congiuntamente discusse, vengono riunite per essere decise con unica sentenza, avendo per oggetto la stessa questione di legittimità costituzionale.

2. - La posizione degli impiegati dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, che siano eletti deputati, é stata oggetto di disposizioni diverse anche dopo l'entrata in vigore dell'attuale Costituzione.

L'art. 41 della legge 16 maggio 1956, n. 493, trasfuso nell'art. 88 del vigente T.U. delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati 30 marzo 1957, n. 361, ha regolato tale materia con le seguenti disposizioni:

"I dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni, nonché i dipendenti degli enti ed istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato, che siano eletti deputati, sono collocati d'ufficio in aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare. Ad essi si applica l'art. 57 del decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 17.

"Nei confronti dei dipendenti, di cui al comma precedente, che durante il mandato parlamentare non abbiano potuto conseguire promozioni in conseguenza del loro incarico politico, e che, per qualsiasi motivo, cessino dal loro mandato, va adottato provvedimento di ricostruzione di carriera con inquadramento anche in soprannumero.

"Le disposizioni del precedete articolo si applicano ai professori universitari e ai direttori di istituti sperimentali equiparati solo a domanda degli interessati".

Le stesse disposizioni sono applicabili all'elezione al Senato in forza dell'art. 2 della legge 27 febbraio 1958, n. 64.

3. - La questione di legittimità costituzionale, rimessa al giudizio della Corte costituzionale dalle quattro ordinanze del Consiglio di Stato indicate in epigrafe, consiste, in primo luogo, nel valutare se la norma del primo comma dell'art. 88 del T.U. 30 marzo 1957, n. 361, secondo la quale i dipendenti dello Stato e delle altre amministrazioni, che siano eletti deputati, sono collocati d'ufficio in aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare, sia in contrasto con la norma del terzo comma dell'art. 51 della Costituzione, la quale stabilisce che "chi é chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro".

L'art. 51, terzo comma, della Costituzione attribuisce direttamente al cittadino, che é chiamato a funzioni pubbliche elettive, due diritti soggettivi: quello di disporre del tempo necessario al loro adempimento e quello di conservare il suo posto di lavoro. Questa norma costituzionale non contiene un rinvio alla legge ordinaria per la disciplina dell'esercizio dei diritti da essa garantiti. Ciò non esclude, come la Corte ha già avuto occasione di affermare per casi analoghi (sent. 1/1960), la possibilità che la legge ordinaria emani norme relative alle modalità di esercizio dei detti diritti individuali, a condizione, s'intende, che tali norme non siano tali da menomare i diritti stessi.

Si tratta, pertanto, di valutare se la norma dell'art. 88 del T.U. 1957 n. 361, che dispone il collocamento d'ufficio in aspettativa degli impiegati eletti deputati, sia compatibile con l'esercizio dei diritti soggettivi attribuiti dal terzo comma dell'art. 51 della Costituzione.

Ai fini dell'esame di tale questione, é necessario anzitutto precisare la portata del diritto a conservare il posto di lavoro, riconosciuto da quella norma costituzionale. Ed infatti su tale punto si é particolarmente insistito nella discussione dalle parti.

Si é sostenuto che "conservare il posto di lavoro" non significa solo assicurare io stesso posto di lavoro alla cessazione delle funzioni pubbliche elettive, ma significa altresì assicurare il posto nella sua effettiva continuità, nell'esercizio concreto ed attuale delle relative funzioni.

La Corte ritiene che tale tesi non sia fondata su un'esatta configurazione del diritto a "conservare il posto di lavoro".

La formula usata dalla Costituzione ("conservare il posto") si trova in diverse leggi dello Stato, anche anteriori alla Costituzione, onde il significato che a tale formula viene attribuita da dette leggi offre un criterio rilevante per interpretare il significato della stessa formula in quanto utilizzata dall'art. 51, terzo comma, della Costituzione. Da varie leggi (T.U. delle leggi sullo stato degli impiegati civili 22 novembre 1908, n. 693, art. 26; T.U. della legge elettorale politica 13 dicembre 1923, n. 2694, art. 90; R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 2960, art. 86; R.D.L.13 maggio 1929, n. 850, art. 3; D.L.C.P.S.13 settembre 1946, n. 303, sulla conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva, art. 90; L. 3 maggio 1955, n. 370, sulla conservazione del posto ai lavoratori richiamati alle armi, art. 1) risulta che conservare il "posto" vuol dire mantenere il rapporto di lavoro o di impiego, ma non continuare nell'esercizio delle funzioni in cui si concreta la prestazione dell'impiegato interessato. Ai fini dell'interpretazione della formula "conservare il posto", é un criterio fondatamente utilizzabile quello di prendere in considerazione il significato che la stessa formula ha nello statuto degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 17), dato che a tale complesso di norme fa riferimento la norma contenuta nell'art. 88 del T.U. 30 marzo 1957, n. 361. L'art. 56 di detto statuto, al quale rinvia la citata norma, nel regolare le varie cause dell'aspettativa degli impiegati, stabilisce nell'ultimo comma "non si può in alcun caso disporre del posto dell'impiegato collocato in aspettativa". Ora in questa disposizione l'espressione "il posto dell'impiegato collocato in aspettativa" non può evidentemente intendersi come riferibile alle funzioni, ossia all'ufficio, a cui é preposto l'impiegato collocato in aspettativa, non essendo ammissibile che durante l'aspettativa di un impiegato l'Amministrazione, per il fatto di essere tenuta a non disporre del posto dell'impiegato, non possa prendere i provvedimenti necessari per assicurare la continuità dell'esercizio delle funzioni, che erano esercitate dall'impiegato collocato in aspettativa. Il diritto, costituzionalmente garantito, dell'impiegato deputato a conservare il posto non implica, quindi, il diritto a continuare nell'esercizio delle funzioni impiegatizie. La disposizione della legge ordinaria, che dispone il collocamento d'ufficio in aspettativa, non può, pertanto, ritenersi in contrasto con la norma costituzionale che attribuisce all'impiegato eletto deputato il diritto a conservare il posto di lavoro. La disposizione della legge ordinaria, che prevede il collocamento d'ufficio in aspettativa, é ispirata a criteri di opportunità pratica, suggeriti sia dall'estensione che attualmente hanno assunto i lavori delle Camere parlamentari, sia dall'esigenza, affermata dall'art. 97 della Costituzione, di assicurare il buon funzionamento dell'Amministrazione.

4. - A sostegno della tesi dell'illegittimità del collocamento d'ufficio in aspettativa si é fatto richiamo all'art. 98, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale i pubblici impiegati se sono membri del Parlamento non possono conseguire promozioni se non per anzianità, deducendosi che tale norma ammette che durante il mandato parlamentare l'impiegato possa conseguire promozioni per anzianità, mentre ciò é escluso durante il colloca - mento in aspettativa. Senonché, l'aspettativa dell'impiegato eletto deputato é un'aspettativa sui generis: essa é regolata dalla norma speciale dell'art. 57 del D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 17 (ora art. 67 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3), che, per disposizione dell'art. 88 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, é applicabile ai dipendenti dello Stato eletti deputati collocati in aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare: tale norma, in conformità all'art. 98 della Costituzione, non esclude che durante il mandato parlamentare l'impiegato collocato in aspettativa abbia la possibilità di conseguire promozioni per anzianità secondo le norme vigenti in materia.

5. - Né, avuto riguardo al significato che é da attribuirsi al diritto dell'impiegato deputato a conservare il posto, il colloca - mento d'ufficio in aspettativa menoma il diritto dell'interessato a disporre del tempo necessario all'adempimento delle pubbliche funzioni elettive. Tale provvedimento, anzi, tutela ampiamente quel diritto, in quanto l'aspettativa esenta temporaneamente l'impiegato dall'obbligo della prestazione del servizio impiegatizio.

6. - La questione della legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 88 del T.U. 30 marzo 1957, n. 361, é stata sollevata da una delle parti anche sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza affermato dall'art. 3 della Costituzione, rilevandosi come violazione di tale principio il fatto che il collocamento d'ufficio in aspettativa é stato dichiarato inapplicabile per una categoria di dipendenti dello Stato: i professori universitari ed i direttori di istituti sperimentali equiparati, ai quali le disposizioni del citato art. 88 si applicano solo a domanda degli interessati. Essendosi riconosciuto che, nonostante il silenzio dell'art. 88, la legge ordinaria ha la facoltà di emanare norme per disciplinare le modalità di esercizio dei diritti individuali preveduti dall'art. 51, terzo comma, della Costituzione, si deve anche riconoscere alla legge ordinaria la facoltà di adottare a tale riguardo norme che si adattano alla possibile diversità di situazioni impiegatizie. L'avere disposto che ai professori universitari ed ai direttori di istituti sperimentali equiparati la norma sul collocamento d'ufficio in aspettativa si applica solo su domanda degli interessati é un'esplicazione di quella facoltà, nella quale rientra il potere discrezionale di apprezzare se per tali categorie di impiegati ricorrano situazioni particolari che rendano opportuno di stabilire per esse un trattamento speciale in relazione all'effettiva possibilità di esercitare le funzioni impiegatizie. Il motivo di pretesa illegittimità costituzionale dell'art. 88 in riferimento al principio d'uguaglianza affermato nell'art. 3 della Costituzione deve pertanto ritenersi infondato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui quattro procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondata la questione, proposta dalle quattro ordinanze del Consiglio di Stato in data 14 luglio 1959, indicate in epigrafe, sulla legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 88 del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, in riferimento agli artt. 51, terzo comma e 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 1960.                                             

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                                                                              

 

Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 1960.