Sentenza n. 9 del 1959

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SENTENZA N. 9

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, e dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 gennaio 1957 dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, nel procedimento civile vertente tra l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e la società p.a. "Cartiera italiana" ed altre cartiere, iscritta al n. 69 del Registro ordinanze 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 27 luglio 1957;

2) ordinanza emessa il 28 gennaio 1957 dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, nel procedimento civile vertente tra l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e la società p.a. "Cartiera Ambrogio Binda" ed altre cartiere, iscritta al n. 70 del Registro ordinanze 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 27 luglio 1957;

3) ordinanza emessa l'8 gennaio 1958 dal Tribunale di Bergamo nel procedimento civile vertente tra l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e la società p.a. "Cartiera Paolo Pigna", iscritta al n. 11 del Registro ordinanze 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 15 marzo 1958.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1959 la relazione del Giudice Tomaso Perassi;

uditi gli avvocati Aldo Boneschi, Gennaro Werthmuller, Paolo Barile per le cartiere, Antonio Sorrentino e Carlo Arturo Jemolo per l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Con legge 13 giugno 1935, n. 1453, fu istituito l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta, coi principali compiti di promuovere lo sviluppo della fabbricazione della cellulosa in Italia e di curare la disciplina e la vendita della carta, con particolare riguardo alle esigenze di determinati consumi.

I mezzi finanziari per il funzionamento dell'Ente furono così stabiliti nell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868: a) un contributo annuo dello Stato di lire 8.000.000; b) un contributo del 5% sull'importo delle fatture emesse dalle cartiere nazionali o loro consorzi, o da importatori in Italia, per tutte le cessioni di carta e cartone, fabbricati in Italia o importati dall'estero e destinati al consumo interno; c) un contributo annuo di lire 2.000.000 a carico di produttori in Italia di fibre tessili artificiali; d) un contributo di lire 5 per ogni quintale di cellulosa importata o prodotta in Italia e destinata ad impieghi diversi dalla fabbricazione di fibre tessili artificiali. Nell'ultimo comma dello stesso articolo della legge fu poi testualmente stabilito: "Le modalità per l'applicazione e la riscossione dei contributi di cui alle lettere b, c e d, ed eventuali modifiche della misura di tutti i contributi previsti nel presente articolo, saranno stabilite con decreto del Ministro per le corporazioni, di concerto col Ministro per le finanze".

In base a questa disposizione, furono emanati i seguenti decreti (i primi due dal Ministro per le corporazioni e gli altri, essendo stato soppresso il Ministero per le corporazioni, dal Ministro per l'industria e per il commercio): 3 luglio 1940, con cui furono stabilite le modalità di applicazione e riscossione dei contributi; 1 marzo 1942, con cui fu elevato al 10% il contributo sulla carta e sul cartone (lett. b dell'art. 1 della legge n. 868 del 1940); 12 giugno 1945, con cui lo stesso contributo fu ridotto al 2,50%; 29 dicembre 1945, con cui lo stesso contributo fu ulteriormente ridotto all'1%; 15 gennaio 1951, con cui il contributo sulla carta fu fissato nella misura del 3% e il contributo sulla cellulosa (lett. d dell'art. 1 della legge n. 868 del 1940) fu fissato in lire 6 per chilogrammo; 30 dicembre 1952, con cui il contributo sulla cellulosa fu ridotto a lire 3,50 per chilogrammo. Col decreto 15 gennaio 1951, fu anche stabilito che, per il contributo sulla carta e sui cartoni, le cartiere avrebbero potuto esercitare il diritto di rivalsa sui compratori solo fino alla concorrenza dell'1% dell'importo netto delle fatture.

Successivamente, la materia formò oggetto di nuova disciplina nella legge 28 marzo 1956, n. 168 (c.d. Legge Agrimi), intitolata "Provvidenze per la stampa" e composta di un solo articolo in dodici commi, con cui la misura del contributo sulla carta e sui cartoni fu fissata nel 3% dell'importo netto delle fatture (con diritto di rivalsa del 2,50% verso i compratori) e la misura del contributo sulla cellulosa venne fissata in lire 2,50 per chilogrammo: il tutto con decorrenza dal giorno di entrata in vigore della legge.

Nella stessa legge furono anche inserite disposizioni retroattive in ordine alla misura dei contributi per i periodi dal 1 marzo 1945 al 31 dicembre 1945, dal 1 gennaio 1946 al 15 gennaio 1951 e dal 16 gennaio 1951 al giorno di entrata in vigore della legge.

  1. - Con atto notificato il 10 dicembre 1951 le società p.a. "Cartiera italiana", "Cartiera Giacomo Bosso", "Cartiera Subalpina Sertorio", "Cartiera Rodolfo Reguzzoni", "Cugini Sezzano-Cartiera di Borgosesia", tutte con sede in Torino, e la società in acc. p.a. "L. De Medici e C.", con sede in Cirié, citarono l'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta dinanzi al Tribunale di Torino, affinché:

1) fossero dichiarati incostituzionali o comunque illegittimi e privi di effetti giuridici l'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, i decreti 3 luglio 1940 e 1 marzo 1942, del Ministro per le corporazioni, e i decreti 12 giugno 1945, 29 dicembre 1945 e 15 gennaio 1951 del Ministro dell'industria e del commercio;

2) fosse dichiarato, in conseguenza, che l'Ente convenuto non poteva pretendere dalle società attrici i contributi sulla carta e sulla cellulosa richiesti in virtù della suddetta legge e dei suddetti decreti;

3) fosse dato atto della riserva delle società attrici di chiedere la restituzione di quanto avrebbero pagato in forza di ruoli messi in riscossione, e fosse dichiarato altresì l'obbligo dell'Ente convenuto di effettuare il rimborso.

Le società attrici dedussero, a motivi della domanda, che l'ordinamento costituzionale vigente nel 1940 non consentiva la delega di potestà legislativa a singoli ministri; che tale potestà non era stata attribuita direttamente ai ministri né da leggi costituzionali emanate successivamente al 1940 né, tanto meno, dalla nuova Costituzione; che l'illegittimità costituzionale della indicata disposizione di legge e degli indicati decreti ministeriali derivava altresì dal contrasto con l'art. 30 dello Statuto albertino e con l'art. 23 della nuova Costituzione, sulla riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali.

Il Tribunale di Torino, con sentenza 18 giugno - 4 luglio 1952, respinse la domanda.

Le cartiere proposero appello circoscrivendo la domanda alla declaratoria di illegittimità costituzionale del solo decreto 15 gennaio 1951, ma la Corte di appello di Torino con sentenza 6 febbraio-6 marzo 1953 respinse il gravame.

La controversia venne quindi portata all'esame della Corte di cassazione, a seguito di ricorso principale delle cartiere e di ricorso incidentale dell'Ente per la cellulosa. E la Corte di cassazione, con sentenza a sezioni unite 18 febbraio-14 luglio 1954, cassò la sentenza impugnata e rinviò la causa, per nuovo esame, alla Corte di appello di Genova, osservando che la legge n. 868 del 1940 andava ricondotta "sul piano generale tributario" e che il potere regolamentare dell'autorità amministrativa, di fronte alla norma dell'art. 23 della Costituzione, non poteva estendersi fino ad aumentare un contributo oltre il limite massimo stabilito dalla legge.

A seguito di questa pronuncia la Corte di appello di Genova, in sede di rinvio, ritenne incostituzionali, con sentenza 22 dicembre 1955-29 febbraio 1956, l'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, ed il decreto ministeriale 15 gennaio 1951, dichiarò che i contributi dovuti all'Ente dalle cartiere in base a tale decreto dovevano essere contenuti nei limiti stabiliti dall'art. 1, lett. d, della stessa legge n. 868 del 1940 e dal decreto ministeriale 29 dicembre 1945, e condannò l'Ente a restituire le maggiori somme indebitamente riscosse.

Dopo questa sentenza, fu emanata la legge 28 marzo 1956, n. 168. L'Ente perciò, nel ricorrere nuovamente in Cassazione, per impugnare la sentenza della Corte di appello di Genova, chiese, fra l'altro, l'applicazione della legge sopravvenuta.

Le cartiere sollevarono varie questioni in ordine alla legittimità costituzionale della nuova legge e chiesero che il relativo esame fosse devoluto alla Corte costituzionale, frattanto entrata in funzione.

La Corte di cassazione ritenne che non fossero manifestamente infondate:

  1. a) la questione sollevata in riferimento agli artt. 23, 81 e 42 della Costituzione, per l'efficacia retroattiva attribuita alla legge, nonostante la sua natura di legge tributaria;
  2. b) la questione sollevata in riferimento all'art. 70 della Costituzione, per esservi difformità fra il testo della legge approvato dalle Commissioni I e X della Camera dei Deputati e il testo approvato dal Senato della Repubblica.

La Corte di cassazione, perciò, con ordinanza emessa il 28 gennaio 1957, ordinò che il procedimento venisse sospeso e che gli atti fossero rimessi alla Corte costituzionale per la risoluzione delle due questioni ora indicate.

L'ordinanza debitamente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 27 luglio 1957, n. 187, ed iscritta al n. 69 del Registro ordinanze di questa Corte dell'anno 1957.

Dinanzi a questa Corte si costituirono tutte le parti e spiegò intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri. Le rispettive deduzioni furono depositate: il 13 luglio 1957, dall'Avvocatura dello Stato (per il Presidente del Consiglio); il 15 luglio 1957 dalla difesa delle cartiere (avvocati Werthmuller, Barile e Sequi) e dalla difesa dell'Ente (avvocati Sorrentino e Jemolo).

  1. - La stessa domanda proposta dalle cartiere sopraindicate dinanzi al Tribunale di Torino venne proposta contro l'Ente della cellulosa dinanzi al Tribunale di Milano:

- con citazione 10 dicembre 1951, dalle società p.a. "Cartiera Ambrogio Binda", "Cartiera Rossi", "La fibra vulcanizzata e cartiere prealpine" e "Cartiere di Verona", nonché dalla società in acc. "Cartiera Villa", tutte con sede in Milano;

- con citazione 24 dicembre 1951 delle società p.a. "Cartificio Ermolli" e "Cartiera Paolo Pigna", entrambe con sede in Milano, e dalla "Cartiera di Carmignano di Brenta", succursale, con sede a Carmignano, della "Società per la fabbricazione della pasta di legno", avente sede in Basilea.

Le due cause furono riunite e nel giudizio spiegarono intervento, per aderire alla domanda proposta dalle società attrici e per proporla direttamente, anche per proprio conto, le società p.a. "Cartiera Fedrigoni e C.", "Cartiera del Varone" e "Cartiera di Marzabotto", la cartiera "F. A. Morsoni" e la società in acc. sempl. "Cartiera Cima Isidoro".

Il Tribunale di Milano, con sentenza 9 ottobre-13 novembre 1952, ritenne illegittimi l'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 868 del 1940, nella sola parte con cui si conferisce al Ministro per le corporazioni la facoltà di variare, di concerto col Ministro delle finanze, la misura dei contributi dovuti all'Ente, e i soli decreti ministeriali che avevano apportato modifiche a tali contributi (escluso cioè il decreto 3 luglio 1940, col quale erano state stabilite unicamente le modalità di applicazione e di riscossione dei contributi stessi). Dichiarò pertanto che l'Ente non poteva pretendere dalle cartiere contributi in misura superiore a quella indicata nella legge del 1940 e lo condannò a restituire le maggiori somme indebitamente riscosse.

In parziale difformità di questa pronuncia, la Corte di appello di Milano, con sentenza 28 maggio-5 ottobre 1954, ritenne illegittimi l'intero ultimo comma dell'art. 1 della legge del 1940 e tutti i successivi decreti ministeriali, compreso quello del 3 luglio 1940. Non solo, perciò, confermò la condanna dell'Ente alla restituzione delle somme riscosse in misura superiore a quella fissata dalla legge del 1940, ma dichiarò anche illegittimo il procedimento di accertamento e iscrizione a ruolo dei contributi.

Questa sentenza fu impugnata dinanzi alla Corte di cassazione, con ricorso principale dell'Ente cellulosa e ricorso incidentale delle cartiere.

Entrata frattanto in vigore la legge 28 marzo 1956, n. 168, l'Ente cellulosa chiese che la Corte di cassazione, in applicazione di tale legge, dichiarasse cessata la materia di contendere. Ma le cartiere, con istanza notificata il 13 giugno 1956, riproposero la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma della legge 13 giugno 1940, n. 868, nonché dei decreti ministeriali 3 luglio 1940 e 15 gennaio 1951, sollevarono varie altre questioni di legittimità costituzionale in ordine alla nuova legge 28 marzo 1956, n. 168, e chiesero che gli atti fossero rimessi alla Corte costituzionale.

La Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 28 gennaio 1957, rimise a questa Corte l'esame delle seguenti questioni:

1) se l'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 868 del 1940, che attribuisce ai ministri di stabilire con decreto le modifiche alle misure dei contributi previsti con lo stesso articolo, sia in contrasto con l'art. 23 della Costituzione;

2) se sussista l'illegittimità costituzionale del comma settimo dell'articolo unico della legge 28 marzo 1956, n. 168, per violazione dell'art. 70 della Costituzione;

3) se sia viziata di illegittimità costituzionale l'intera legge 28 marzo 1956, n. 168, per violazione degli artt. 23, 25, 41, 53, 76, 77, 89, 97, 100 e 136 della Costituzione.

L'ordinanza, debitamente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 27 luglio 1957, n. 187, ed iscritta al n. 70 del Registro Ordinanze di questa Corte dell'anno 1957.

Dinanzi a questa Corte si costituirono tutte le parti e spiegò intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri. Le rispettive deduzioni furono depositate: il 12 agosto 1957 dalla difesa delle cartiere Fedrigoni, del Varone, di Verona, di Marzabotto, di Carmignano, Paolo Pigna e Cima Isidoro (avvocati Boneschi e Silvestri); il 13 luglio 1957 dall'Avvocatura dello Stato (per il Presidente del Consiglio dei Ministri); il 15 luglio 1957 dalla difesa dell'Ente (avvocati Sorrentino e Jemolo); il 23 luglio 1957 dalla difesa delle cartiere La Fibra vulcanizzata, Villa, Rossi ed Ermolli (avvocati Barile, Pallante e Sequi); il 13 agosto 1957 dalla difesa della cartiera Marsoni (avvocato Sequi).

  1. - Con atto notificato il 20 gennaio 1955, l'Ente cellulosa citò la cartiera Paolo Pigna dinanzi al Tribunale di Bergamo, perché venisse condannata a pagare la differenza fra le somme già corrisposte, in base ai decreti ministeriali 12 giugno 1945 e 15 gennaio 1951, a titolo di contributi sulle fatture relative a cessioni di carta e cartoni e le somme dovute, sempre per questo titolo, in base all'art. 1, lett. b, della legge n. 868 del 1940.

L'Ente dichiarò di fondare la sua domanda sulla citata sentenza 28 maggio-5 ottobre 1954, della Corte di appello di Milano, che aveva ritenuto illegittima ogni variazione, con decreto ministeriale, della misura dei contributi indicati nella legge del 1940.

Nelle more del giudizio entrò in vigore la legge 28 marzo 1956, e la cartiera Pigna, ritenendo che il Tribunale non potesse non tener conto di questa legge per la definizione della lite, la impugnò di illegittimità costituzionale, sotto vari aspetti, con istanza del 30 ottobre 1956, chiedendo la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Il Tribunale di Bergamo ritenne rilevanti per il giudizio e non manifestamente infondate le due questioni già rimesse alla Corte costituzionale con le citate ordinanze della Corte di cassazione (illegittimità della legge per violazione del principio della irretroattività delle norme tributarie; illegittimità della legge per la difformità fra i testi approvati dalle due Camere) e le seguenti altre due:

- violazione degli artt. 72, primo comma, della Costituzione e 40 del regolamento della Camera dei Deputati, per essersi seguito il procedimento di approvazione attraverso le Commissioni della Camera e non il procedimento di approvazione in Assemblea, per una legge di natura tributaria;

- violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione, per essersi attribuito, con la nuova legge, all'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta uno scopo che prima non aveva (l'erogazione di fondi a favore della stampa), omettendosi di riorganizzare l'Ente in maniera adeguata al nuovo fine istituzionale.

Il Tribunale di Bergamo, perciò, con ordinanza in data 8 gennaio 1958, sospese il procedimento e rimise alla Corte costituzionale l'esame delle indicate quattro questioni.

L'ordinanza, debitamente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 15 marzo 1958, n. 66, ed iscritta al n. 11 del Registro ordinanze di questa Corte per l'anno 1958.

Dinanzi a questa Corte si costituirono entrambe le parti e spiegò intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri. Le rispettive deduzioni furono depositate: l'11 febbraio 1958 dall'Avvocatura dello Stato (per il Presidente del Consiglio dei Ministri); il 1 aprile 1958 dalla difesa dell'Ente (avvocati Sorrentino e Jemolo); il 4 aprile 1958 dalla difesa della cartiera Pigna (avvocati Boneschi e Silvestri).

  1. - I tre giudizi di legittimità costituzionale promossi dinanzi a questa Corte con le ordinanze sopra indicate furono fissati per l'udienza del 25 giugno 1958, nella quale, per disposizione del Presidente, si procedette ad un'unica discussione.

Le deduzioni delle difese delle parti, svolte negli atti di costituzione, nelle memorie e nella discussione orale, si possono così riassumere in relazione a ciascuna delle questioni rimesse all'esame della Corte:

1) Questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 868 del 1940, sollevata in riferimento all'art. 23 della Costituzione.

La censura di illegittimità costituzionale si riferiva alla sola disposizione con cui si dà facoltà al Ministro delle corporazioni (ora dell'industria e commercio) di variare, di concerto col Ministro delle finanze, la misura dei contributi.

La difesa di un gruppo di cartiere (cartiere Fedrigoni, del Varone, di Verona, di Marzabotto, Cima Isidoro, Paolo Pigna e cartiera di Carmignano: deduzioni depositate il 12 agosto 1957 nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 70) chiese, preliminarmente, che su questa questione la Corte costituzionale dichiarasse di non dover emettere alcuna pronunzia: la norma in esame sarebbe stata abrogata dalla legge n. 168 del 1956 e non sarebbe potuta tornare in vita neanche se la Corte costituzionale avesse dichiarato l'illegittimità della legge abrogatrice.

Nel merito, le cartiere si riportarono alla giurisprudenza di questa Corte in tema di interpretazione dell'art. 23 della Costituzione; se le norme che regolano l'attività discrezionale dell'Ente impositore sono sufficienti a delimitare quell'attività, la prestazione patrimoniale é legittimamente imposta; nel caso contrario, l'imposizione é illegittima. Nella specie, le norme sull'attività dell'Ente cellulosa non sarebbero state sufficienti a delimitare la discrezionalità del medesimo.

L'Avvocatura dello Stato eccepì che nella specie si trattava di contributi consortili e quindi si era fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 23 della Costituzione. La stessa Avvocatura e la difesa dell'Ente eccepirono inoltre che l'essersi attribuito esclusivamente a due Ministri, senza alcun intervento, neanche formale dell'Ente, la facoltà di variare la misura dei contributi dava già la massima garanzia contro ogni imposizione arbitraria; che erano le necessità stesse dell'Ente, valutate dal Ministro dell'industria (alla cui vigilanza l'Ente é sottoposto), a fornire i criteri per le eventuali variazioni dei contributi; che lo stesso contenuto dei decreti emanati stava a dimostrare, infine, con quanta ponderatezza i Ministri competenti avessero fatto uso della facoltà a loro accordata.

2) Questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, sollevata in riferimento agli artt. 72 della Costituzione e 40 del regolamento della Camera dei Deputati.

La questione era stata sollevata per il motivo che la legge Agrimi, invece di essere approvata dall'Assemblea plenaria della Camera dei Deputati, era stata approvata da due Commissioni riunite (la prima e la decima), laddove, trattandosi di una legge tributaria, la procedura decentrata di approvazione, secondo l'art. 40 del regolamento della stessa Camera, non era applicabile.

La cartiera Paolo Pigna si richiamò alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la violazione delle norme strumentali del processo formativo delle leggi, nelle sue varie specie é suscettibile di sindacato di legittimità costituzionale (sentenza n. 3 del 1957), e sostenne che tutte le norme del procedimento formativo delle leggi, anche se non sono norme costituzionali, sono rilevanti per il giudizio di costituzionalità formale basato su vizio del procedimento. Se la Costituzione (art. 72) - rilevò la difesa della Cartiera - concede al regolamento delle Camere di attuare e integrare i principi da essa sanciti in materia di approvazione delle leggi, salvo dove essa stessa vieta determinati procedimenti, non si può negare che la violazione di una norma così emanata concreti una figura di illegittimità costituzionale.

L'Ente cellulosa eccepì innanzi tutto che il richiamo dello art. 72 della Costituzione non determina ricezione dei regolamenti interni delle Camere nell'ordinamento statale, né tanto meno fa acquistare ad essi il valore di norme costituzionali. Le norme sulla validità delle deliberazioni si troverebbero tutte e per intero nella Costituzione, mentre le norme dei regolamenti sarebbero dirette solo a disciplinare il funzionamento delle singole Assemblee e avrebbero perciò efficacia meramente interna. La stessa procedura di approvazione dei regolamenti porterebbe ad escludere che si possa attribuire loro rilevanza costituzionale.

A queste considerazioni l'Ente cellulosa aggiunse poi che l'applicazione delle norme regolamentari é affidata al Presidente, sotto il controllo della Camera, sicché la denunzia di una violazione del regolamento si risolverebbe in una inammissibile censura del l'operato del Presidente e della stessa Camera; che, nella specie, restava sempre da esaminare se la legge in contestazione potesse considerarsi una legge tributaria, nei sensi di cui tale espressione é assunta dal regolamento alla Camera; che, infine, si poteva porre il problema più generale se le modalità di approvazione delle leggi (attraverso l'Assemblea o da parte delle Commissioni) abbiano oggi rilevanza esterna, una volta che la formula di promulgazione delle leggi non fa alcuna menzione di tali modalità.

Le stesse argomentazioni vennero sostanzialmente svolte dal l'Avvocatura dello Stato nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri.

3) Questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, sollevata in riferimento all'art. 70 della Costituzione.

Veniva denunziata una difformità esistente fra il testo della legge Agrimi approvato dalla Camera dei Deputati e il testo della stessa legge approvato dal Senato della Repubblica, difformità che traeva la sua origine dalle seguenti circostanze:

Nella seduta comune del 22 aprile 1955, la prima e la decima Commissione della Camera avevano demandato a un comitato ristretto il compito di appontare alcune modifiche al testo originario del progetto. Il nuovo testo era stato presentato il 26 maggio 1955 e conteneva un comma (il settimo) nel quale era stabilito che i contributi per il periodo dal 16 gennaio 1951 alla data di entrata in vigore della legge dovessero essere calcolati in ragione del 90% delle misure previste dai decreti ministeriali 15 gennaio 1951 e 30 dicembre 1952.

Nella seduta del 2 dicembre dello stesso anno, l'on. Agrimi aveva proposto che fosse eliminato il riferimento ai suddetti decreti ministeriali e si fossero indicate direttamente le aliquote proposte dal comitato. Le Commissioni avevano autorizzato allora la Presidenza a procedere al coordinamento dei due testi "mantenendone ferma la sostanza", e avevano quindi approvato il disegno di legge a scrutinio segreto, senza emendamenti. Sennonché, nel testo coordinato, le disposizioni del settimo comma del testo originario erano state suddivise in tre commi distinti - il settimo, l'ottavo e il nono - mentre l'ottavo comma, divenuto decimo, non aveva subito alcuna variazione. Inoltre, alle parole "Rimane immutata per il predetto periodo la limitazione all'1% del diritto di rivalsa ecc.", contenuto nel settimo comma del testo originario, erano state sostituite, nell'ottavo comma del testo definitivo, le parole "Per il periodo sopra indicato il diritto di rivalsa verso i compratori può essere esercitato ecc.".

Le cartiere sostennero che, per effetto di queste modifiche erano stati cambiati, innanzi tutto, il senso e la portata delle disposizioni contenute nel suddetto ottavo comma, poi divenuto decimo. Questo comma stabilisce che l'Ente "provvederà, entro il termine massimo di cinque anni, a rimborsare ai contribuenti le somme da loro versate in eccedenza alla misura indicata al comma precedente". Ma nel testo originario - rilevarono le cartiere - quel comma ottavo, parlando di somme versate in eccedenza alla misura indicata nel comma precedente, si riferiva a tutti e due i contributi, sulla carta e sulla cellulosa; mentre, spezzato il comma precedente in più commi, il richiamo vale ora solo per il nono comma, dove si parla esclusivamente del contributo sulla cellulosa. Inoltre il diritto di rivalsa delle cartiere verso i compratori previsto come un "diritto-dovere" nel settimo comma del testo originario era divenuto un "diritto libero" nell'ottavo comma del testo definitivo.

Secondo la difesa della cartiera Pigna, il denunciato vizio di legittimità costituzionale inficiava tutta la legge, data l'interdipendenza dei vari commi fra loro.

Di fronte a questi rilievi l'Ente cellulosa negò innanzi tutto che la Corte costituzionale potesse sindacare gli interna corporis di un organo come la Camera, superiorem non recognoscens. La dichiarazione con cui il Presidente della Camera, nel trasmetterlo al Senato, attestava che il disegno di legge era stato votato dalla I e dalla X Commissione in seduta comune, non poteva essere posta in discussione. Subordinatamente, l'Ente cellulosa contestò l'interesse delle cartiere a sollevare la questione di legittimità costituzionale, negando che la difformità dei due testi incidesse sulla sostanza delle disposizioni: la difficoltà di interpretare il richiamo contenuto nel decimo comma dell'articolo unico della legge sarebbe stata soltanto apparente e si sarebbe potuta superare con gli ordinari mezzi di interpretazione. Il vizio di legittimità costituzionale - dedusse infine lo stesso Ente - avrebbe colpito comunque solo il decimo comma, del tutto autonomo rispetto agli altri, e non l'intero testo della legge.

L'Avvocatura dello Stato, nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, sostenne anche essa che l'attestazione del Presidente della Camera circa l'identità fra il testo inviato al Senato e quello approvato dalle Commissioni, precludeva ogni indagine alla Corte costituzionale.

4) Questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, sollevata in riferimento agli artt. 23, 25, 42, 53, 77 e 81 della Costituzione.

Le cartiere sostennero che esiste un principio costituzionale per cui le leggi tributarie non possono essere retroattive. Questo principio si dovrebbe desumere dalla stretta affinità esistente fra le norme tributarie e le norme penali. Si dovrebbe desumere, inoltre, dalle disposizioni contenute negli artt. 53 e 81 della Costituzione, in base alle quali i tributi devono essere destinati a far fronte alle spese pubbliche e, insieme con le spese, devono essere riportati nei bilanci di previsione annuali dello Stato. Una legge tributaria retroattiva non potrebbe essere mai giustificata dalla necessità di far fronte a pubbliche spese, appunto perché ogni spesa e la corrispondente entrata devono essere approvate anno per anno; l'imposizione, priva di causa, si tradurrebbe in una espropriazione senza indennizzo (violazione dell'art. 42 Cost.). Né, d'altra parte, la retroattività potrebbe essere ammessa al solo scopo di rendere irripetibili prestazioni tributarie che non erano state imposte con legge, perché una norma retroattiva, anche se diretta a questo solo scopo, violerebbe l'art. 32 della Costituzione non meno di quanto l'avesse violato l'originaria norma incostituzionale. Nella specie, poi, la legge impugnata, in quanto diretta a sanare una irregolare delegazione legislativa, sarebbe stata in contrasto anche con gli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Le cartiere fecero rilevare, infine, che lò della legge Agrimi era stata spinta oltre i limiti dell'ordinaria prescrizione tributaria, senza nemmeno tener conto del fatto che il loro obbligo di conservare le scritture contabili cessa dopo cinque anni (art. 1 D.M. 3 luglio 1940).

La difesa dell'Ente cellulosa negò che il nostro ordinamento costituzionale sancisca il principio della irretroattività delle leggi tributarie. Fece rilevare, d'altra parte, che nella specie non erano stati colpiti redditi prodotti quando non si supponeva che potessero venir falcidiati da alcun tributo, ma si erano colpiti redditi che già erano sottoposti a tributo, sia pure con un procedimento viziato, e che sarebbe stato oltremodo ingiusto far rimanere l'Ente privo di mezzi, sacrificando l'interesse pubblico a quello privato, e far gravare le necessità dell'Ente sui produttori di redditi avvenire, mentre altri produttori si sarebbero avvantaggiati dalla imperfezione del procedimento riconosciuto illegittimo. Lo stesso fatto che trattavasi di legge relativa a tributi già pagati - o quanto meno, già accertati - escludeva, poi, secondo la difesa dell'Ente, ogni possibilità di pratici inconvenienti in relazione al fatto che alcune cartiere potevano aver distrutto le scritture contabili del periodo anteriore all'ultimo quinquennio.

Contestata la fondatezza della questione, la difesa dell'Ente fece altresì rilevare, in via del tutto subordinata, che il dedotto vizio di legittimità costituzionale non poteva colpire, comunque, tutta la legge, della quale sarebbero rimasti sempre validi i primi quattro commi.

L'Avvocatura dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, negò che la legge impugnata avesse carattere tributario e che esistesse, comunque, un principio costituzionale sulla irretroattività delle leggi tributarie.

5) Questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, sollevata in riferimento agli artt. 41 e 97 della Costituzione.

Secondo l'assunto della cartiera Pigna, la legge Agrimi era stata emanata per consentire all'Ente cellulosa di devolvere alla stampa periodica, sotto forma di sovvenzioni, il gettito dei contributi riscossi. Ciò risultava dal titolo della legge ("Provvidenze per la stampa"), dai lavori parlamentari e dal fatto stesso che, in pratica, l'Ente aveva già cominciato a svolgere questa attività di erogazione di fondi alla stampa. Lo scopo dell'imposizione tributaria, nella legge del 1956, era stato perciò del tutto diverso dagli scopi istituzionalmente attribuiti all'Ente con la legge 13 giugno 1935, n. 1453. Ma l'organizzazione dell'Ente, collegata agli scopi assegnatigli dalla legge del 1935, era rimasta immutata: nessuna disposizione, nella legge del 1956, era diretta ad evitare che le sovvenzioni della stampa restassero affidate alla discrezionalità assoluta degli amministratori dell'Ente e degli organi del potere esecutivo che hanno la vigilanza sull'Ente. Di qui la violazione degli artt. 97 e 41 della Costituzione. Dell'art. 97, che riferendosi anche agli enti pubblici, stabilisce una regola di alto valore sociale, affinché risultino sempre chiari, attraverso la parola della legge, sia la natura dell'attività degli enti a cui lo Stato affida parte dell'amministrazione, sia le regole fondamentali e necessarie per il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione stessa. Dell'art. 41, il quale dispone che, quando si incide nell'attività economica privata per condizionarla ai fini sociali, é la legge che deve determinate i programmi e disporre i controlli opportuni.

L'Avvocatura dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, eccepì l'inammissibilità della questione, sostenendo che, in realtà, non era stato denunciato un vizio di legittimità costituzionale, ma un preteso eccesso di potere legislativo, insindacabile dalla Corte costituzionale.

Nel merito, poi, tanto la difesa dell'Ente cellulosa quanto l'Avvocatura dello Stato eccepirono l'infondatezza della questione per i seguenti motivi:

- L'art. 97 della Costituzione contiene una norma direttiva e non precettiva, riguarda gli uffici statali e non riguarda gli enti autonomi, che ancora oggi sono organizzati sulla base di norme statutarie.

- Rientra comunque nella discrezionalità del Parlamento valutare se l'assegnazione di uno scopo nuovo a un determinato ente richieda una diversa organizzazione dell'ente medesimo.

- Nella specie, peraltro, non vi era stata attribuzione di scopo nuovo, perché l'Ente cellulosa provvedeva da oltre un ventennio alla erogazione di fondi alla stampa quotidiana e tale erogazione si era sempre effettuata con la più assoluta obiettività ed imparzialità, sotto il controllo dei competenti organi dello Stato.

- Quanto all'art. 41 della Costituzione, il richiamo era fuori luogo, perché le norme di tale articolo regolano materia del tutto estranea a quella in esame.

  1. - Questa Corte, con ordinanza 27 giugno 1958, depositata in cancelleria il 2 luglio successivo, riunì le tre cause. E poiché a sostegno delle questioni sulla legittimità formale della legge 28 marzo 1956, n. 168, erano stati prodotti dalle cartiere i resoconti stenografici delle sedute delle Commissioni riunite interni ed industria della Camera dei Deputati, che avevano esaminato, in sede legislativa, la proposta di legge di iniziativa dei deputati Agrimi ed altri, e l'Avvocatura dello Stato e la difesa dell'Ente cellulosa avevano contestato che tali resoconti avessero valore ufficiale, ritenne opportuno acquisire al riguardo idonei elementi di fatto. Perciò, dichiarando sospesa ed impregiudicata ogni questione, dispose, con detta ordinanza, che il Giudice relatore Tomaso Perassi assumesse le opportune informazioni presso la Camera dei Deputati.

In esecuzione di questa ordinanza, il Giudice relatore, recatosi il giorno 3 luglio 1958 alla Camera dei Deputati, conferì con il Presidente della Camera on. Giovanni Leone, al quale, presente anche il Segretario generale dott. Coraldo Piermani, diede comunicazione di quanto disposto dalla Corte circa le informazioni da assumere. Ai fini di tali informazioni chiese in primo luogo al Presidente della Camera di voler autorizzare il rilascio di copia conforme dei processi verbali delle sedute 4 agosto 1954, 23 marzo 1955, 22 aprile 1955 e 2 dicembre 1955 delle Commissioni riunite interni e industria, che avevano esaminato in sede legislativa la proposta di legge d'iniziativa dei deputati Agrimi ed altri: "Provvidenze per la stampa" (doc. n. 743).

Il Presidente della Camera, per il tramite del Segretario generale dott. Piermani, fece poi conoscere di non ritenere possibile rilasciare copia dei processi verbali delle sedute delle Commissioni o della Camera trattandosi di atti interni, precisando pure che i resoconti stenografici delle sedute della Camera e delle Commissioni avevano carattere informativo ma non ufficiale: il solo atto ufficiale relativo al procedimento di formazione di una legge avanti alla Camera era il messaggio col quale il Presidente trasmette al Presidente dell'altra Camera od al Capo dello Stato il testo del disegno di legge approvato dalla Camera.

Con riferimento alla questione circa la difformità fra il testo della proposta di legge Agrimi approvato dalle Commissioni della Camera e quello approvato dal Senato, il Giudice relatore assunse poi informazioni presso la Presidenza della Camera sul seguente punto: se, nel caso che la Camera o una Commissione in sede legislativa, come avvenne nella seduta del 2 dicembre 1955 delle Commissioni riunite interni e industria per la proposta di legge Agrimi, prima di aver proceduto alla votazione finale a scrutinio segreto su di un disegno di legge, abbia autorizzato la Presidenza a procedere al coordinamento, il testo coordinato della Presidenza é sottoposto di nuovo alla Camera od alla Commissione e si procede su di esso ad una nuova votazione finale.

A tale riguardo, il Giudice relatore venne informato che secondo la prassi seguita dalla Camera dei Deputati, quando la Camera od una Commissione in sede legislativa, prima della votazione finale su un disegno di legge, ha autorizzato la Presidenza a procedere al coordinamento, il testo del disegno di legge coordinato dalla Presidenza non é ripresentato alla Camera od alle Commissioni competenti per una nuova votazione finale.

Delle indagini compiute, il Giudice relatore riferì alla Corte con relazione 23 luglio 1958, depositata in cancelleria il giorno 25 successivo.

Successivamente lo stesso Giudice ritenne di prospettare al Presidente della Corte l'opportunità di chiedere al Presidente della Camera dei Deputati un chiarimento circa il testo dei resoconti stenografici delle sedute delle Commissioni riunite interni e industria, che esaminarono in sede legislativa la proposta di legge Agrimi: "Provvidenze per la stampa". Con nota 11 ottobre 1958 il Presidente della Corte trasmise poi al Giudice relatore la lettera in data 30 settembre 1958, n. 253, con la quale il Presidente della Camera dei Deputati comunicava che "il testo dei resoconti stenografici delle sedute del 4 aprile 1954, 23 marzo 1955, 22 aprile 1955 e 2 dicembre 1955 delle Commissioni riunite interni e industria che esaminarono in sede legislativa la proposta di legge dei deputati Agrimi ed altri - Provvidenze per la stampa (n. 743) - riproduce fedelmente lo svolgimento dei lavori delle Commissioni stesse".

Di ciò il Giudice relatore riferì alla Corte con relazione aggiuntiva in data 27 ottobre 1958, depositata lo stesso giorno in cancelleria.

  1. - Dopo il deposito delle indicate relazioni, di cui venne dato avviso alle parti, i tre giudizi riuniti sono stati nuovamente fissati per la pubblica udienza del 21 gennaio 1959.

Nelle nuove memorie, tempestivamente depositate, e nella discussione orale svoltasi all'udienza del 21 gennaio 1959, le parti hanno ulteriormente illustrato le precedenti deduzioni, anche con riguardo ai risultati delle indagini compiute in esecuzione della citata ordinanza di questa Corte del 27 giugno 1958.

 

Considerato in diritto

 

  1. - I tre giudizi promossi dalle ordinanze della Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, e del Tribunale di Bergamo, indicate in epigrafe, essendo stati congiuntamente discussi e già riuniti con l'ordinanza della Corte del 27 giugno 1958, devono essere decisi con unica sentenza.
  2. - Fra le questioni sulla legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, che sono state sottoposte alla Corte, la prima da prendere in esame é, in ordine logico, quella proposta dall'ordinanza del Tribunale di Bergamo che, in riferimento agli artt. 64, 72 e 73 della Costituzione, prospetta l'illegittimità costituzionale di detta legge per essere stata approvata dalle Commissioni della Camera dei Deputati in sede legislativa, mentre il regolamento della Camera (art. 40) esclude che il procedimento di approvazione per mezzo delle Commissioni sia applicabile ai progetti in materia tributaria.

La censura di illegittimità costituzionale dell'intera legge 28 marzo 1956, n. 168, così proposta dall'ordinanza del Tribunale di Bergamo, involge la questione della competenza della Corte costituzionale a controllare la legittimità costituzionale di una legge per quanto concerne il procedimento della sua formazione.

Nella competenza di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi, attribuita alla Corte dallo art. 134 della Costituzione, rientra senza dubbio ed anzi in primo luogo quella di controllare l'osservanza delle norme della Costituzione sul procedimento di formazione delle leggi: in tal senso si é già affermato l'orientamento della Corte (sentenze n. 3 e 57 del 1957).

L'art. 72 della Costituzione, dopo aver descritto nel primo comma il procedimento normale di approvazione di un disegno di legge, dispone, nel terzo comma, che il regolamento "può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari", ma aggiunge, nell'ultimo comma, che "la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera é sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi".

L'art. 40 del regolamento della Camera dei Deputati, in relazione all'art. 72 della Costituzione, stabilisce che la procedura di approvazione di un disegno di legge per mezzo di Commissioni non si applica ai disegni di legge per i quali tale procedura é esclusa dall'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, "nonché ai progetti in materia tributaria".

Non sembra dubbio, ed anche l'Avvocatura generale dello Stato esplicitamente lo ammette, che se la procedura c.d. decentrata fosse applicata per l'approvazione di un disegno di legge rientrante fra quelli elencati nell'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, si avrebbe un vizio del procedimento di formazione della legge che sarebbe costituzionalmente rilevante perché consistente in una violazione della norma della Costituzione (art. 72 u.c.) che esclude la procedura decentrata per tale specie di disegni di legge.

Nel caso concreto si controverte sul punto se l'inosservanza della norma dell'art. 40 del regolamento della Camera che esclude la inapplicabilità della procedura decentrata ai "progetti in materia tributaria", costituisca un vizio di formazione della legge che sia costituzionalmente rilevante agli effetti del controllo della Corte costituzionale.

L'esistenza nel regolamento di disposizioni che ammettono la procedura decentrata per l'approvazione di un disegno di legge é bensì la condizione dalla quale l'art. 72 della Costituzione fa dipendere la possibilità dell'approvazione del disegno di legge con detta procedura in deroga a quella qualificata come "normale" dallo stesso art. 72, ma ciò non importa che sia fondata la tesi, prospettata nell'ordinanza del Tribunale di Bergamo, secondo la quale l'art. 72 della Costituzione, deferendo al regolamento della Camera di stabilire in quali casi e forme un disegno può essere assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia posto una norma in bianco con la conseguenza che le disposizioni inserite a tale riguardo da una Camera nel suo regolamento assumano il valore di norme costituzionali.

L'art. 72 della Costituzione attribuisce specificamente a ciascuna Camera la facoltà di prevedere nel suo regolamento l'applicazione della procedura decentrata per l'approvazione di disegni di legge, salvo per quelli per i quali l'ultimo comma dell'art. 72 prescrive come inderogabile la procedura normale. Ora anche la disposizione, con la quale l'art. 40 del regolamento della Camera dei Deputati limita l'applicabilità della procedura decentrata escludendola per i "progetti in materia tributaria", sebbene questi non rientrino fra quelli per i quali essa é esclusa dall'art. 72 della Costituzione, é un modo nel quale si esplica la facoltà, attribuita dal terzo comma dell'art. 72 della Costituzione a ciascuna Camera, di stabilire in quali casi e forme si può derogare alla procedura normale di esame e di approvazione di un disegno di legge.

Ciò importa che, fra l'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione e la disposizione contenuta nell'ultima parte dell'art. 40 del regolamento della Camera, esiste una rilevante differenza per quanto concerne, da un lato rispetto al primo, la qualificazione di un disegno di legge agli effetti di valutare se esso rientra fra quelli per i quali la procedura normale regolata dal primo comma dell'art. 72 della Costituzione debba essere inderogabilmente seguita e, dall'altro, rispetto alla seconda, la qualificazione di un disegno di legge per valutare se esso sia "un progetto in materia tributaria" agli effetti di accertare se, secondo l'art. 40 del regolamento della Camera, non sia ad esso applicabile la procedura decentrata.

Mentre il giudizio se un disegno di legge rientra fra quelli per i quali l'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione esige la procedura normale di approvazione, escludendo quella decentrata, involge una questione di interpretazione di una norma della Costituzione che é di competenza della Corte costituzionale agli effetti del controllo della legittimità del procedimento di formazione di una legge, la determinazione, invece, del senso e della portata della disposizione dell'art. 40 del regolamento della Camera, che esclude la procedura decentrata per l'approvazione di "progetti in materia tributaria" riguarda una norma, sull'interpretazione della quale, essendo stata posta dalla Camera nel suo regolamento esercitando la facoltà ad essa attribuita dall'art. 72 della Costituzione, é da ritenersi decisivo l'apprezzamento della Camera. L'osservanza di quella disposizione eccettuativa é rimessa alla Camera stessa avuto anche riguardo alle disposizioni dell'art. 72, terzo comma, della Costituzione e dell'art. 40 del regolamento della Camera, che prevedono sia la possibilità di opposizioni al deferimento di un disegno di legge ad una Commissione in sede legislativa, sia la possibilità, su richiesta a determinate condizioni, che, fino al momento dell'approvazione definitiva, un disegno di legge già deferito ad una Commissione in sede legislativa sia obbligatoriamente rimesso alla Camera.

Ora, quale sia il senso che nell'art. 40 del regolamento della Camera assume, l'espressione "progetti in materia tributaria" ha dato luogo a qualche dubbio, come risulta dalla prassi parlamentare.

Sta di fatto, nel caso concreto, che non solo la decisione del Presidente della Camera di assegnare alle Commissioni interni e industria, in sede legislativa, la proposta di legge dei deputati Agrimi ed altri non sollevò opposizione da parte della Camera all'atto dell'annuncio, ma nella seduta del 4 agosto 1954 delle dette Commissioni riunite la questione pregiudiziale della competenza di esse ad esaminare quella proposta di legge in riferimento all'art. 40 del regolamento, venne sollevata, e tale pregiudiziale, come risulta dal resoconto stenografico di quella seduta, messa in votazione, non fu approvata (Atti parlamentari, Leg. II, Commissioni riunite interni e industria, p. 7).

In queste condizioni, fermi restando i criteri sopra affermati sulla competenza della Corte a controllare la legittimità costituzionale del procedimento di formazione delle leggi, la Corte ritiene che non sia fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, proposta con l'ordinanza del Tribunale di Bergamo in riferimento agli artt. 64, 72 e 73 della Costituzione.

  1. - Le ordinanze della Cassazione e quella del Tribunale di Bergamo hanno rimesso al giudizio della Corte costituzionale la questione sulla legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, in riferimento all'art. 70 della Costituzione, per difformità dei testi approvati rispettivamente dalle Commissioni della Camera e dal Senato.

Le fasi del procedimento svoltosi nelle Commissioni riunite della Camera dei Deputati per l'esame e l'approvazione della proposta di legge, che é stata poi trasmessa al Senato, si può così riassumere in base ai resoconti stenografici delle sedute delle Commissioni riunite I e X del 4 aprile 1954, 23 marzo 1955, 22 aprile 1955 e 2 dicembre 1955, il cui testo, come risulta dagli atti, riproduce fedelmente lo svolgimento dei lavori delle Commissioni.

La proposta di legge dei deputati Agrimi ed altri concernente "Provvidenze per la stampa", annunciata alla Camera dei Deputati nella seduta del 30 marzo 1954, era stata deferita dal Presidente della Camera per l'esame e l'approvazione alle Commissioni riunite I (Interni) e X (Industria). Nella seduta comune del 22 aprile 1955 le due Commissioni, essendo stati presentati vari emendamenti nel corso della discussione, deliberarono di deferire ad un Comitato ristretto il compito di concordare un nuovo testo dell'articolo unico di quella proposta di legge. Il testo concordato dal Comitato ristretto veniva sottoposto alle Commissioni riunite nella seduta del 2 dicembre 1955. I commi settimo ed ottavo del testo elaborato dal detto Comitato erano così formulati:

"I contributi dovuti all'Ente per il periodo che va dal 16 gennaio 1951 al giorno dell'entrata in vigore della presente legge sono limitati al 90 per cento (novanta per cento) della misura prevista nell'art. 1 e nell'art. 2, primo e secondo comma, del decreto ministeriale 15 gennaio 1951, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 1951, e nel decreto ministeriale 30 dicembre 1952, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 1953. Rimane immutata, per il predetto periodo, la limitazione all'1 per cento del diritto di rivalsa stabilito dall'art. 2, terzo comma, del decreto ministeriale 15 gennaio 1951.

"L'Ente provvederà, entro il termine massimo di cinque anni dall'entrata in vigore della presente legge, a rimborsare ai contribuenti le somme da essi versate in eccedenza alla misura indicata nel comma precedente. Nei confronti dei contribuenti che non abbiano versato i contributi o li abbiano versati in misura inferiore, l'Ente provvederà alla riscossione dei contributi stessi coi mezzi indicati nell'art. 16 del decreto ministeriale 3 luglio 1940, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 17 luglio 1940".

L'on. Agrimi nella seduta del 2 dicembre 1955, dopo aver rilevato l'opportunità che, nel testo dell'articolo unico proposto dal Comitato ristretto, non si facesse riferimento a decreti ministeriali già dichiarati dalla magistratura non conformi al disposto costituzionale, osservò che a tale effetto, e tenendo conto della determinazione del Comitato ristretto di limitare al 90 per cento le misure originariamente disposte per i contributi dovuti all'Ente, sarebbe stato sufficiente sostituire, al settimo comma del testo sottoposto dal Comitato ristretto alle Commissioni riunite, il testo dell'articolo unico della sua proposta di legge, stabilendo, in luogo della misura del 3 per cento, quella del 2,70%, in luogo del contributo di lire 6 al chilogrammo il contributo di lire 5,40; in luogo del contributo di lire 3,50, quello di lire 3,15 al chilogrammo (Atti parl. cit., p. 36).

Dal resoconto stenografico della seduta del 2 dicembre 1955 delle Commissioni riunite risulta che l'osservazione dell'on. Agrimi relativa alla formulazione del comma settimo del testo proposto dal Comitato ristretto venne considerata "una questione di carattere formale" e che, avendo l'on. Alessandrini, relatore per la X Commissione, dichiarato che "mantenendo la sostanza si potrebbe provvedere in sede di coordinamento", il Presidente dichiarò che, non essendovi osservazioni, "così rimane stabilito".

Posto dopo ciò in votazione ed approvato l'articolo unico nel testo proposto dal Comitato ristretto, il Presidente chiese che "come d'intesa" la Presidenza fosse "autorizzata al coordinamento del testo", e, non essendovi osservazioni, "così rimase stabilito". Immediatamente dopo, il Presidente indisse la votazione a scrutinio segreto sul testo della proposta di legge che risultò approvato con 59 voti favorevoli e due contrari.

Dopo effettuato il coordinamento da parte della Presidenza delle Commissioni riunite, il testo coordinato dell'articolo unico della proposta di legge, venne trasmesso, con messaggio del Presidente della Camera in data 11 dicembre 1955, alla Presidenza del Senato, come disegno di legge approvato in riunione comune, in sede legislativa, dalla I Commissione permanente e dalla X Commissione permanente della Camera dei Deputati nella seduta del 2 dicembre 1955 (Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Leg. II, doc. n. 1277).

Il disegno di legge venne approvato dal Senato in assemblea plenaria nella seduta del 21 marzo 1956. La relativa legge fu promulgata il 28 marzo 1956.

  1. - Nel testo della legge 28 marzo 1956, n. 168, i commi 7 e 8 del testo che era stato votato dalle Commissioni della Camera dei Deputati nella seduta del 2 dicembre 1955, sono sostituiti dai commi seguenti (7, 8, 9, 10):

"Il contributo dovuto all'Ente ai sensi dell'art. 1, lett. b, della legge 13 giugno 1940, n. 868, é stabilito, per il periodo che va dal 16 gennaio 1951 al giorno dell'entrata in vigore della presente legge, nella misura del 2,70%. "Per il periodo sopra indicato il diritto di rivalsa verso i compratori può essere esercitato dalle cartiere nazionali o loro consorzi e dagli importatori solo sino alla concorrenza dell'uno per cento dell'importo netto delle fatture.

"Il contributo dovuto all'Ente dagli importatori e dai produttori di cellulosa destinata ad impieghi diversi dalla fabbricazione di fibre tessili artificiali, previsto dall'art. 1, lett. d, della legge 13 giugno 1940, n. 868, é stabilito nelle seguenti misure:

  1. a) dal 16 gennaio 1951 al 31 dicembre 1952 in lire 5,40 al chilogrammo;
  2. b) a decorrere dal 1 gennaio 1953 e fino al giorno dell'entrata in vigore della presente legge, in lire 3,15 al chilogrammo.

"L'Ente provvederà, entro il termine massimo di cinque anni dall'entrata in vigore della presente legge, a rimborsare ai contribuenti le somme da essi versate in eccedenza alla misura indicata nel comma precedente. Nei confronti dei contribuenti che non abbiano versato i contributi o li abbiano versati in misura inferiore, l'Ente provvederà alla riscossione dei contributi stessi coi mezzi indicati nell'art. 16 decreto ministeriale 3 luglio 1940".

Mentre nel testo dell'articolo unico della legge i primi sei commi sono identici ai corrispondenti commi del testo votato a scrutinio segreto dalle Commissioni della Camera nella seduta del 2 dicembre 1955, i commi 7, 8, 9 non sono identici a disposizioni contenute nel testo votato dalle Commissioni. Il testo del comma 10 della legge é invece letteralmente identico al comma 8 del testo approvato dalle Commissioni della Camera.

Non é contestato che le Commissioni riunite, dopo aver approvato il testo elaborato dal Comitato ristretto e autorizzato la Presidenza delle Commissioni a procedere al coordinamento mantenendo ferma la sostanza, non hanno proceduto a nuova votazione sul testo coordinato dalla Presidenza delle Commissioni e che é stato poi trasmesso al Senato.

Nelle due ordinanze, con le quali la Corte di cassazione ha sottoposto alla Corte la questione della legittimità della legge 28 marzo 1956 relativa ad una difformità dei testi approvati rispettivamente dalle Commissioni della Camera e dal Senato, si rileva che é fortemente da dubitare che l'attestazione del Presidente della Camera che il testo trasmesso al Senato era stato approvato nella riunione delle Commissioni permanenti importi una limitazione al potere d'indagine della Corte costituzionale, giacché negandosi la possibilità di un controllo del processo formativo della legge si arriverebbe ad ammettere la possibilità di leggi irregolarmente formate: il che sembra contrario alla volontà del Costituente.

  1. - La prima questione, che si pone alla Corte é perciò quella di stabilire se l'attestazione contenuta nel messaggio del Presidente della Camera, come si assume dall'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e dall'Avvocatura generale dello Stato, precluda il sindacato della Corte sugli atti anteriori.

La competenza della Corte di controllare l'osservanza delle norme costituzionali sul procedimento formativo delle leggi implica che quando la controversia sulla legittimità costituzionale di una legge sorge per la denunciata difformità fra i testi approvati dalle due Camere, la Corte ha la potestà di accertare se il testo, che il Presidente di una Camera nel suo messaggio di trasmissione attesta essere stato approvato, é effettivamente conforme al testo approvato dalla stessa Camera.

Il messaggio del Presidente di una Camera, che é una formalità necessariamente inerente ad un procedimento di formazione della legge al quale, come in quello vigente, partecipano organi costituzionali diversi, ha la funzione di comunicare che un disegno di legge é stato approvato dalla Camera. Esso, come appare dalla sua stessa denominazione, non ha effetti che si esauriscono nell'interno della Camera, essendone destinatario un altro organo costituzionale al quale da notizia di un fatto (l'approvazione di un disegno di legge), che ha una essenziale rilevanza giuridica per il processo di formazione di una legge. E, pertanto, non preclude l'esercizio da parte della Corte costituzionale della sua competenza di controllare se il processo formativo di una legge si é compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente regola tale procedimento.

La posizione costituzionale di indipendenza delle Camere non implica, come si sostiene dall'Ente, l'assoluta insindacabilità, da parte di qualsiasi altro organo dello Stato, del procedimento con cui gli atti delle Camere vengono deliberati, ed in particolare l'insindacabilità da parte della Corte costituzionale del procedimento di formazione di una legge.

Secondo l'art. 70 della Costituzione, il potere legislativo é esercitato collettivamente dalle Camere. In base a questa norma costituzionale, la legge risulta dalla concordanza delle volontà delle due Camere su un identico testo. Ora il testo di un disegno di legge, che é determinante ai fini di accertare l'identità dei testi votati dalle due Camere, é quello che da ciascuna Camera é stato fissato secondo le norme della Costituzione che regolano il procedimento di approvazione di un disegno di legge e cioè quello sul quale la Camera ha manifestato la sua volontà con la votazione finale richiesta dal primo comma dell'art. 72 della Costituzione, che integra l'art. 70 della stessa.

  1. - Da parte dell'Avvocatura dello Stato e della difesa del l'Ente, si é sostenuta la tesi, che il primo comma dell'art. 72 della Costituzione regola solo il procedimento di approvazione della legge da parte delle Camere quale procedimento normale di approvazione diretta e non sia applicabile alla procedura di approvazione delle Commissioni. Questa tesi non può ritenersi fondata.

L'art. 72, nell'attribuire alla Camera la facoltà di stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferite alle Commissioni permanenti, non consente a ciascuna Camera di disciplinare l'approvazione di un disegno di legge, deferito alle Commissioni, in modo diverso da quello stabilito dal primo comma dell'art. 72, secondo il quale é richiesta l'approvazione del disegno di legge articolo per articolo e con votazione finale.

Non vale a sostenere la detta tesi il rilievo che nel terzo comma dell'art. 72, nel quale si prevede la procedura decentrata, si parla di "approvazione definitiva" da parte della Commissione competente per dedurne che questa espressione non corrisponde alla "votazione finale" prevista dal primo comma dell'art. 72 della Costituzione. Quell'espressione é usata nel contesto della disposizione di detto terzo comma dell'art. 72, secondo la quale un disegno di legge deferito ad una Commissione in sede legislativa, fino all'approvazione definitiva, é rimesso alla Camera se ne é fatta richiesta, alle condizioni ivi previste: l'espressione "fino alla approvazione definitiva" significa che la richiesta di rimessione della Camera può essere fatta anche dopo che il disegno di legge sia stato discusso ed approvato articolo per articolo dalle Commissioni, ma prima della votazione finale, che é quella richiesta per l'approvazione definitiva.

La tesi secondo la quale la disposizione del primo comma dell'art. 72 non si applica alla procedura di approvazione di un disegno di legge nelle Commissioni, é, del resto, contraddetta dalla prassi del funzionamento delle Commissioni in sede legislativa, nella quali si procede all'approvazione articolo per articolo e poi alla votazione finale, che nelle Commissioni della Camera dei Deputati, ha luogo a scrutinio segreto, secondo l'art. 91 del regolamento.

Questa procedura é stata, in fatto, seguita dalle Commissioni per l'approvazione della proposta di legge Agrimi. In esse la votazione finale a scrutinio segreto si é avuta sul testo proposto dal Comitato ristretto con la riserva del coordinamento che le Commissioni, prima della votazione finale, avevano autorizzato la Presidenza ad eseguire secondo i criteri esposti dal deputato Agrimi ed accolti dalle Commissioni stesse.

  1. - In occasione delle indagini eseguite presso la Camera dei Deputati in esecuzione dell'ordinanza della Corte 27 giugno 1958 é stato fatto conoscere che quando la Camera o una Commissione in sede legislativa, prima della votazione finale su un disegno di legge, ha autorizzato la Presidenza a procedere al coordinamento, il testo del disegno di legge coordinato dalla Presidenza non é ripresentato alla Camera o alla Commissione competente per una nuova votazione finale.

Questa prassi, in quanto risponde ad esigenze del funzionamento di organi collegiali, non può ritenersi senz'altro contraria alla Costituzione. Ma é evidente che il concetto stesso di coordinamento implica che il testo coordinato, in tanto può non essere sottoposto ad una nuova votazione finale, in quanto abbia una formulazione che non alteri la sostanza del testo che aveva formato oggetto della votazione finale della Camera o della Commissione competente. Tale prassi, perciò, non preclude l'esercizio, da parte della Corte costituzionale, del potere di controllare la legittimità costituzionale del procedimento di formazione della legge nel senso di accertare, caso per caso, se la formulazione data al testo legislativo coordinato si é mantenuta nei limiti nei quali il coordinamento é stato autorizzato, in modo che essa esprima l'effettiva volontà della Camera e sia idoneo a concorrere con una identica volontà dell'altra Camera a produrre la legge.

  1. - Nel caso concreto, i limiti, entro i quali le Commissioni riunite, prima della votazione finale sul testo elaborato dal Comitato ristretto, avevano autorizzato la Presidenza a procedere al coordinamento, risultano dai resoconti stenografici della seduta del 2 dicembre 1955, che hanno riprodotto fedelmente lo svolgimento dei lavori delle Commissioni. Il coordinamento é stato autorizzato per dare al testo una formulazione che rispondesse ai criteri suggeriti dal deputato Agrimi, mantenendo ferma la sostanza del testo presentato dal Comitato ristretto e che era stato approvato dalle Commissioni riunite con la votazione finale a scrutinio segreto nella seduta del 2 dicembre 1955.
  2. - Ai fini del controllo della Corte per accertare se il coordinamento del testo si é mantenuto nei limiti coi quali era stato autorizzato, é rilevante il raffronto fra il testo, votato dalle Commissioni con riserva del coordinamento, ed il testo coordinato e poi promulgato.

Da questo raffronto risulta:

1) che i primi 6 commi del testo coordinato sono identici ai corrispondenti commi del testo approvato dalle Commissioni;

2) che nel testo coordinato i commi settimo e nono sono formulati in modo da attuare il criterio di coordinamento indicato dal deputato Agrimi ed accolto dalle Commissioni, sostituendosi al riferimento ai decreti ministeriali, richiamati nella prima parte del comma settimo del testo approvato dalle Commissioni, l'indicazione diretta della misura dei contributi dovuti all'Ente, con la limitazione di essi al 90% preveduta nel testo approvato dalle Commissioni riunite;

3) che nel testo coordinato non é riprodotta testualmente, nel comma settimo, la disposizione relativa al diritto di rivalsa, che era contenuta nella seconda parte del comma settimo del testo approvato dalle Commissioni, ma é inserito il comma ottavo così formulato: "Per il periodo sopra indicato (cioè dal 16 gennaio 1951 al giorno dell'entrata in vigore della presente legge) il diritto di rivalsa verso i compratori può essere esercitato dalle cartiere nazionali e loro consorzi e dagli importatori solo fino alla concorrenza dell'1% dell'importo netto delle fatture".

A questo riguardo, nelle ordinanze della Cassazione e del Tribunale di Bergamo si é rilevato che mentre il testo approvato dalla Camera rendeva obbligatoria la rivalsa, il testo coordinato (comma ottavo) ha introdotto la formula "il diritto di rivalsa può essere esercitato", che costituirebbe una variazione sostanziale rispetto alle norme precedenti. Ora, la disposizione del comma ottavo del testo coordinato ricalca sostanzialmente quella contenuta nell'ultima parte del comma settimo del testo approvato dalle Commissioni e che faceva riferimento alla limitazione all'1% del diritto di rivalsa stabilito nell'art. 2, terzo comma, del decreto ministeriale 15 gennaio 1951. Infatti l'art. 2, terzo comma, di detto decreto ministeriale dispone che il diritto di rivalsa, di cui all'art. 4 del decreto ministeriale 3 luglio 1940, "può essere esercitato fino alla concorrenza dell'1% dell'importo netto delle fatture". Il fatto che nel testo coordinato si sia introdotta la formula "il diritto di rivalsa può essere esercitato" non importa che sia stata sostanzialmente variata la disposizione del testo approvato dalle Commissioni della Camera nel senso che si sia resa facoltativa la rivalsa. La frase "il diritto di rivalsa può essere esercitato" deve intendersi nel concetto del comma, in cui é inserita, e cioè in connessione col testo del comma "Il diritto di rivalsa può essere esercitato solo fino alla concorrenza dell'1 %". Il comma, così formulato, ha solo lo scopo di limitare all'1 per cento la rivalsa, come già era stabilito nell'art. 2 del decreto ministeriale 15 gennaio 1951 senza per nulla modificare il carattere della rivalsa risultante dalla disposizione contenuta nella seconda parte del comma settimo del testo approvato dalle Commissioni. É da notare che la formulazione del comma ottavo del testo coordinato relativo al diritto di rivalsa é identica a quella del secondo comma dell'articolo unico originario della proposta di legge Agrimi. La formulazione del comma ottavo del testo coordinato é, pertanto, sostanzialmente conforme alla disposizione dell'ultima parte del comma settimo approvato dalle Commissioni della Camera, e, quindi, si é mantenuta nei limiti entro i quali era stato autorizzato il coordinamento;

4) che il comma decimo del testo coordinato é letteralmente identico al comma ottavo del testo votato dalle Commissioni della Camera.

Nei riguardi di detto comma, si é però rilevato, nelle ordinanze della Cassazione e del Tribunale di Bergamo, che mentre nel comma ottavo del testo votato della Camera la disposizione che regola il rimborso ai contribuenti delle somme da essi versate in eccedenza della misura indicata "nel comma precedente" si riferiva ai due contributi indicati nel comma settimo del detto testo, la stessa espressione "in eccedenza alla misura indicata nel comma precedente", riprodotta letteralmente nel primo periodo del comma decimo del testo coordinato, é riferibile al solo contributo sulla cellulosa stabilito nel comma nono del medesimo testo e per conseguenza tale espressione é venuta ad assumere una portata sostanzialmente diversa da quella primitiva.

Non é contestabile che nel primo periodo del comma decimo del testo coordinato la frase "le somme da essi (contribuenti) versate in eccedenza alla misura indicata nel comma precedente", se letteralmente ed isolatamente presa, si riferisce solo al contributo sulla cellulosa essendo questo contributo il solo che é menzionato nel precedente comma nono dello stesso testo. É da rilevare, peraltro, che nel comma decimo del testo coordinato, come nell'identico comma ottavo del testo votato dalle Commissioni, al primo periodo segue un secondo, che é identico nei due testi. Il secondo periodo, col quale il primo é connesso, é così formulato: "Nei confronti dei contribuenti che non abbiano versato i contributi o li abbiano versati in misura inferiore, l'Ente provvederà alla riscossione dei contributi stessi coi mezzi indicati nell'art. 16 del decreto ministeriale 3 luglio 1940". La disposizione del secondo periodo del comma decimo, si riferisce, pertanto, ai contributi, e cioè ad entrambi i contributi, sulla fattura e sulla cellulosa. Si avrebbe una manifesta incongruenza fra il primo ed il secondo periodo dello stesso comma, se mentre il secondo si riferisce ad entrambi i contributi, il primo, invece, come letteralmente sembrerebbe, si riferisse solo al contributo sulla cellulosa, che é il solo preveduto nel comma che precede il comma decimo.

Si aggiunga che non si hanno elementi per ritenere che, in sede di coordinamento, si sia deliberatamente voluto modificare la portata sostanziale della disposizione relativa al rimborso, contenuta nel comma ottavo votato dalle Commissioni, nel senso che la norma relativa al rimborso venisse limitata al solo contributo sulla cellulosa. Il fatto stesso che l'intero comma decimo del testo coordinato sia letteralmente identico al comma ottavo del testo approvato dalle Commissioni, ed abbia mantenuto inalterata nella prima parte la frase "nel comma precedente", lascia ritenere che non si può attribuire a quella frase un significato diverso da quello che essa aveva nella prima parte del comma ottavo del testo votato dalle Commissioni e che si desume dalla seconda parte del comma decimo del testo coordinato, la quale, come si é detto, é identica alla seconda parte del comma ottavo del testo votato dalle Commissioni. Vi é pertanto fondato motivo di ritenere che l'effettivo significato della frase "nel comma precedente" si ottenga collegando il primo periodo del comma decimo col secondo periodo dello stesso comma, nel quale si fa riferimento ai contributi, cioè ai due contributi, e tenendo conto che il significato di riferimento ai due contributi quella frase aveva certamente nel testo approvato dalle Commissioni, la cui sostanza in sede di coordinamento doveva rimanere inalterata.

In conclusione, non essendovi state modificazioni di sostanza, la Corte ritiene che l'eccezione di illegittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, per assunta difformità dei testi votati rispettivamente delle Commissioni della Camera e del Senato non sia fondata.

  1. - Le ordinanze della Cassazione e del Tribunale di Bergamo hanno sottoposto alla decisione della Corte la questione se sia viziata di illegittimità costituzionale la legge 28 marzo 1956, n. 168, per violazione degli artt. 23, 25, 41, 53, 76, 77, 89, 97, 100 e 136 della Costituzione in quanto legge tributaria retroattiva.

L'articolo unico della legge 28 marzo 1956, n. 168, contiene, nei primi quattro commi, alcune disposizioni che, con effetto dal giorno dell'entrata in vigore della stessa legge, stabiliscono nella misura dell'1% il contributo dovuto all'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta previsto dall'art. 1, lett. b, della legge 13 giugno 1940, n. 868; dispongono che il diritto di rivalsa verso i compratori viene esercitato dalle cartiere nazionali e loro consorzi e dagli importatori nella misura del 2.50%; stabiliscono nella misura di lire 3,50 al chilogrammo il contributo dovuto all'Ente dagli importatori e dai produttori di cellulosa destinata ad impieghi diversi dalla fabbricazione di fibre tessili artificiali; prevedono che le misure dei detti contributi potranno essere modificate, purché entro i limiti massimi stabiliti dalla stessa legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto col Ministro per l'industria e per il commercio.

Nel quinto comma dell'articolo unico della detta legge si dispone che restano ferme relativamente al periodo dal 1 marzo 1945 al 31 dicembre 1945 e dal 1 gennaio 1946 al 15 gennaio 1951 le aliquote che sia per i contributi che per il diritto di rivalsa erano state stabilite, riducendole, dai decreti ministeriali 12 giugno 1945 e 29 dicembre 1945, e nel comma sesto che per gli stessi periodi sopraindicati resta ugualmente ferma la misura del contributo previsto dalla lett. d dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868.

Rispetto a questi primi sei commi della legge non é stata proposta alcuna specifica questione di legittimità costituzionale.

Le disposizioni dei commi settimo, ottavo e nono dell'articolo unico della legge 28 marzo 1956, n. 168, per determinati periodi anteriori all'entrata in vigore della legge, e cioè retroattivamente, stabiliscono i contributi dovuti all'Ente ai sensi dell'art. 1, lett. b e d, della legge 13 giugno 1940, n. 868, in misure che corrispondono, con la riduzione del dieci per cento, a quelle che per tali contributi, aumentando quelle previste dall'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, erano state stabilite con decreti ministeriali emanati in base alla facoltà di modificare i contributi dovuti all'Ente, attribuita al Ministro per le corporazioni dall'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868.

Si assume dalle cartiere che le disposizioni retroattive in materia tributaria siano costituzionalmente illegittime in riferimento a diversi articoli della Costituzione (23, 25, 41, 42, 53, 76, 77, 89, 97, 100 e 136). La Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla questione della legittimità costituzionale della retroattività delle leggi in generale. Essa ha affermato che il principio generale della irretroattività delle leggi non é mai assurto nell'ordinamento giuridico italiano al valore di norma costituzionale, né vi é stato elevato dalla vigente Costituzione se non per la materia penale, senza con ciò escludere che in singole materie, anche fuori di quelle penali, l'emanazione di una legge retroattiva possa rivelarsi in contrasto con qualche specifico principio o precetto costituzionale (sent. 118 del 1957).

Per quanto concerne le leggi tributarie la Corte ha ritenuto che non sia ricavabile dall'art. 23 della Costituzione un precetto costituzionale che precluda la possibilità di leggi retroattive (sent. 81 del 1958). Né una legge tributaria retroattiva può dirsi in contrasto con l'art. 25 della Costituzione, il quale riguarda soltanto la materia penale.

A sostegno della eccezione di illegittimità costituzionale delle disposizioni retroattive contenute nella legge 28 marzo 1956 si é fatto riferimento a vari altri articoli della Costituzione.

L'art. 41 della Costituzione non contiene norme dalle quali si possa fondatamente desumere l'illegittimità costituzionale di una legge tributaria retroattiva.

Lo stesso é a dirsi per quanto concerne l'art. 42 della Costituzione. Non si vede come una legge tributaria retroattiva contrasti coi principi costituzionali enunciati nell'art. 42 Cost. ed in particolare col principio che limita l'espropriazione della proprietà privata. Una legge tributaria, anche retroattiva, non dà luogo ad un'espropriazione di proprietà privata, ma solo ad un'obbligazione pecuniaria verso lo Stato o altro ente pubblico.

Quanto all'art. 53 della Costituzione, che afferma il dovere di tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, a prescindere dalla sua portata generale, si rileva che non é esatto che una legge tributaria quando é retroattiva violi per se stessa il principio della capacità contributiva.

Non si vede poi quale rilevanza rispetto alla questione della legittimità costituzionale delle disposizioni retroattive contenute nella legge 28 marzo 1956, n. 168, abbiano gli artt. 76, 77, 89, 97, 100 e 136 della Costituzione, di cui si denuncia la violazione nel l'ordinanza della Corte di cassazione ed in quella del Tribunale di Bergamo.

Si é anche assunto che una legge tributaria, in particolare una legge che, come quella in esame, abbia lo scopo di sanare una precedente situazione illegittima, sarebbe incostituzionale. A prescindere dal rilevare che non é indicata la norma costituzionale che sotto tale profilo sarebbe violata dalla legge in esame, si osserva che, pur essendo ammesso che la legge impugnata ha avuto il carattere di sanatoria, questo motivo della legge non può costituire un vizio di legittimità costituzionale di essa; esso anzi può spiegare il carattere retroattivo di talune sue disposizioni, suggerite, nel caso concreto, in particolare dalla considerazione delle difficoltà di procedere al rimborso dei contributi che almeno in gran parte erano stati trasferiti sui compratori.

Non é esatto, poi, che la legge in questione abbia superato i limiti della prescrizione e della cosa giudicata. La legge si é limitata a stabilire la misura di contributi in quanto fossero tuttora dovuti, senza pregiudizio della prescrizione eventualmente verificatasi secondo le leggi applicabili a tale riguardo e di eventuali decisioni aventi l'autorità della cosa giudicata.

É pertanto da ritenersi non fondata la questione sulla legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, in quanto contiene norme tributarie retroattive.

  1. - L'ordinanza del Tribunale di Bergamo ha rimesso alla decisione della Corte, non ritenendola manifestamente infondata, la questione della legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, per contrasto con gli artt. 97 e 41 della Costituzione.

Si é rilevato nella detta ordinanza che la legge 28 marzo 1956, intitolata "Provvidenze per la stampa", comporta la percezione di contributi in favore dell'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta ai fini del finanziamento di una attività dell'Ente, quella di erogare fondi a favore della stampa, che non rientra negli scopi fissati all'Ente dall'art. 2 della legge 13 giugno 1935, n. 1453, essendo sostanzialmente diversa l'attività di disciplina della produzione e della vendita della carta, prevista dalla legge del 1935, dall'attività di finanziamento della stampa secondo criteri determinati. La legge, come risulta dallo stesso suo titolo "Provvidenze per la stampa", ha attribuito all'Ente uno scopo nuovo, in rapporto ad un'attività, che, prima della legge, non era legittimamente esercitata dall'ente medesimo. Poiché l'organizzazione dell'Ente, stabilita dalla legge 13 giugno 1935, n. 1453, era tipica degli scopi assegnati all'Ente da quella legge, la legge del 1956, per non avere cercato di assicurare all'Ente un'organizzazione specifica per l'esercizio dell'attività di erogazione di fondi alla stampa allo scopo di assicurare l'imparzialità ed il buon funzionamento dell'amministrazione, avrebbe violato l'art. 97 della Costituzione ed anche l'art. 41, secondo il quale, quando si incide nell'attività economica privata per condizionarla a fini sociali, ciò che é reso evidente dallo stesso finanziamento dell'attività, é la legge che deve determinare i programmi o disporre gli opportuni controlli.

Il titolo dato alla legge 28 marzo 1956, n. 168, "Provvidenze per la stampa", non é per sé elemento sufficiente per dedurre che la stessa legge ha portato innovazioni ai fini dell'Ente attribuendogli uno scopo nuovo rispetto a quelli fissati dall'art. 2 della legge 13 giugno 1935, n. 1453, che ha istituito l'Ente con lo scopo di "curare la disciplina della produzione e della vendita della carta con particolare riguardo alla esigenza di determinati consumi". Per quanto concerne il riferimento all'art. 97 della Costituzione, a prescindere dalla questione se e in quale misura sia da ritenere applicabile anche all'organizzazione di enti pubblici diversi dallo Stato, é da rilevare che l'organizzazione dell'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta é stata determinata con legge e che l'apprezzamento sull'idoneità delle relative disposizioni ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, in quanto non contrastino con specifiche norme costituzionali, rientra nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore, nell'ambito delle norme della Costituzione.

Né un'illegittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, può dedursi dall'art. 41 della Costituzione, in quanto tale legge non riguarda la disciplina di un'attività economica privata per indirizzarla e coordinarla a fini sociali, ma esclusivamente la disciplina del finanziamento di un ente pubblico per l'espletamento dei fini attribuitigli dalla legge.

La questione di legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, proposta dall'ordinanza del Tribunale di Bergamo, in riferimento agli artt. 97 e 41 della Costituzione é pertanto da ritenersi non fondata.

  1. - La Corte di cassazione con l'ordinanza n. 70 ha rimesso alla Corte costituzionale la questione se l'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, che attribuisce ai Ministri di stabilire con decreto le modifiche alle misure dei contributi dovuti all'Ente, previsti con lo stesso articolo, sia in contrasto con gli artt. 23, 70, 76, 81 e 87 della Costituzione.

Nei riguardi di tale questione, la Corte rileva che, avendo ritenuto che non sono fondate le eccezioni di illegittimità della legge del 1956 ed in particolare quella relativa alla retroattività delle disposizioni con le quali la stessa legge ha stabilito la misura dei contributi dovuti all'Ente con effetto dal 16 gennaio 1951, cioè dalla stessa decorrenza del decreto ministeriale 15 gennaio 1951 che, emanato in base all'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, aveva, fra l'altro, elevato a lire 6 per ciascun chilogrammo il contributo sulla cellulosa, la questione relativa alla legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 13 giugno 1940, n. 868, é da considerarsi assorbita.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui tre procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

respinge le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta e dall'Avvocatura generale dello Stato;

dichiara non fondate le questioni, proposte con le ordinanze della Corte di cassazione, Sezioni unite civili, del 28 gennaio 1957, e con l'ordinanza del Tribunale di Bergamo dell'8 gennaio 1958, sulla legittimità costituzionale della legge 28 marzo 1956, n. 168, in riferimento agli artt. 23, 25, 41, 42, 53, 76, 77, 81, 89, 97, 100, 136 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 marzo 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO -  Mario BRACCI  -  Nicola JAEGER -  Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1959.