Sentenza n. 82 del 1957
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SENTENZA N. 82

ANNO 1957 (*)

 

(*) V. ordinanza del 27 marzo 1957, che si riferisce anche

al giudizio definito con questa sentenza.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4208, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, supplemento n. 4, promosso con ordinanza della Corte di appello di Napoli, emessa il 28 giugno 1956 nel procedimento civile tra Cosimini Nella, Cosimini Lina e la Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti per la riforma fondiaria nella Campania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 227 dell'8 settembre 1956 e iscritta al n. 253 del Registro ordinanze del 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita, nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957, la relazione del giudice Antonio Manca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Risulta dall'ordinanza emessa il 28 giugno 1956 dalla Corte di appello di Napoli, nella causa fra la Sezione speciale della Opera Nazionale Combattenti per la riforma fondiaria nella Campania e Cosimini Nella e Lina, che, in base all'atto pubblico di divisione ereditaria in data 19 maggio 1951, a Nella Cosimini fu attribuito un quarto del fondo Caselle in territorio di Pontecagnano-Faiano, del quale era già proprietaria per tre quarti; che la Sezione per la riforma fondiaria il 18 dicembre 1951, ai sensi della legge n. 841 del 21 ottobre 1950, pubblicò il piano particolareggiato di espropriazione nei confronti di Lina Cosimini, tenuto conto della consistenza della proprietà terriera al 15 novembre 1949, e determinò in concreto la quota da espropriare in una zona di terreno di ettari 15.75.96 facente parte del predetto fondo Caselle assegnato invece a Nella Cosimini; che il piano fu approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4208, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 1953, essendo stata respinta l'opposizione proposta da Lina Cosimini, la quale sosteneva che non era proprietaria né esclusiva, né pro indiviso, del fondo da espropriare e di non possedere, nella zona, alcun cespite soggetto all'applicazione della legge sulla riforma fondiaria.

Risulta altresì dall'ordinanza che Nella Cosimini, con atto 9 febbraio 1953, convenne davanti al Tribunale di Napoli la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Opera Nazionale Combattenti, il Ministero dell'Agricoltura e la sorella Lina, deducendo: in via principale, la illegittimità del decreto di espropriazione, essendo opponibile all'Ente espropriante l'atto di divisione, data la natura dichiarativa dell'atto stesso; ed, in subordine, la illegittimità del decreto, perché si sarebbe dovuto disporre prima la divisione. Chiese inoltre il risarcimento dei danni. La sorella Lina aderì alla domanda.

La Corte di Napoli ha premesso che la questione circa l'eccesso di delega del decreto di esproprio, che ha valore di legge, per la violazione dei criteri direttivi e dei limiti fissati dalla legge di delegazione, é devoluta alla competenza della Corte costituzionale, ed ha osservato che nella specie la questione aveva carattere incidentale, poiché non esauriva la materia del contendere in relazione alle domande che, come si é accennato, erano state proposte.

Respinte pertanto, come manifestamente infondate, altre questioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato, ha ritenuto invece non manifestamente infondata quella se il decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 1952, n. 4208, non avendo tenuto conto dell'atto di divisione sopra indicato, sia in contrasto con gli artt. 4 e 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e con l'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, e sia perciò viziato di eccesso di delega in riferimento all'articolo 76 della Costituzione. Ha sospeso quindi il giudizio ed ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte.

L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'8 settembre 1956.

In questa sede si é costituita la Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Opera Nazionale Combattenti a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando deduzioni, il 28 luglio 1956.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, pure rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato nella cancelleria il 28 luglio 1956, aderendo alle conclusioni prese nell'interesse della Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti.

L'Avvocatura deduce preliminarmente l'eccezione di inammissibilità per difetto del presupposto necessario per investire questa Corte della questione di legittimità costituzionale, nel senso che, nel caso, sarebbe stata proposta un'impugnazione diretta ed autonoma del decreto di espropriazione, mentre tale questione non può essere sollevata se non in via incidentale, come presupposto necessario ai fini della definizione della causa.

Nel merito sostiene la insussistenza dell'eccesso di delega, perché l'atto di divisione del 19 maggio 1951, sebbene stipulato prima della pubblicazione del piano particolareggiato di espropriazione e cioè prima del 18 dicembre 1951, non era opponibile all'Ente espropriante. Ciò per i seguenti motivi:

1) ai sensi dell'art. 4 della legge n. 841, del 1950, la consistenza della proprietà va calcolata alla data del 15 novembre 1949, onde non può ritenersi rilevante qualsiasi atto che, successivamente a tale data modifichi l'anzidetta consistenza nella estensione e nella produttività. Inoltre, dal collegamento dell'articolo 4 con l'art. 20 della legge anzidetta, risulta l'inefficacia, ai fini dell'espropriazione, di tutti gli atti onerosi (tra i quali la divisione), stipulati posteriormente al 15 novembre 1949;

2) la natura dichiarativa, e quindi l'effetto retroattivo della divisione, non hanno rilevanza nei confronti dell'Ente, perché l'art. 4 della legge stralcio ha considerato la proprietà privata nella sua realtà storica al 15 novembre 1949; onde, poiché la divisione, come fatto storico, si é attuata posteriormente a tale data, non può ritenersi idonea a modificare la situazione giuridica, restando perciò esclusa anche la possibilità di valutarne l'effetto retroattivo;

3) l'Ente di riforma, nel predisporre il piano, deve rigorosamente attenersi ai dati catastali al 15 novembre 1949, con assoluto divieto di tener conto di qualsiasi modificazione che, anche con effetto retroattivo, modifichi siffatta situazione.

L'Avvocatura dello Stato ha chiesto pertanto: in via principale che si dichiari improponibile, o quanto meno inammissibile, la questione di legittimità costituzionale, e in subordine che si dichiari infondata la questione stessa.

Nella memoria depositata il 14 marzo 1957 l'Avvocatura dello Stato illustra le tesi prospettate nelle deduzioni, insistendo nelle conclusioni già enunciate.

 

Considerato in diritto

 

L'Avvocatura dello Stato, come si é in precedenza accennato, anche nell'attuale giudizio ripropone, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, perché il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4208, sarebbe stato impugnato come costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega, in via principale, e non già in via incidentale, quale presupposto per la definizione del giudizio di merito.

Tale eccezione é infondata pure per quanto attiene all'attuale giudizio. Essa é stata già respinta con la sentenza n. 59 del 13 maggio 1957, alla quale pertanto basta fare riferimento per la decisione e per la motivazione.

Nel merito la questione deferita all'esame di questa Corte riguarda la opponibilità, o meno, all'Ente espropriante, dell'atto di divisione ereditaria, stipulato il 19 maggio 1951 fra Cosimini Nella e Lina, col quale fu assegnata a Cosimini Nella la stessa zona di terreno, oggetto del decreto di espropriazione, emesso nei confronti di Cosimini Lina, in attuazione della legge 21 ottobre 1950, n. 841.

Nella sentenza n. 67 del 14 maggio 1957 questa Corte ha osservato che, nel sistema delle leggi concernenti la trasformazione fondiaria o agraria (la così detta legge Sila 12 maggio 1950, n. 230, e la così detta legge stralcio 21 ottobre 1950, n. 841), la data del 15 novembre 1949 ha importanza fondamentale ai fini dell'accertamento della consistenza della proprietà terriera privata; aggiungendo che, a questa data, si riferiscono le disposizioni contenute rispettivamente negli artt. 27 e 20 delle due leggi citate e nell'art. 4, primo comma, della legge 18 maggio 1951, n. 333, riguardanti l'efficacia degli atti a titolo oneroso e gratuito. I quali, se stipulati successivamente, non sono opponibili agli enti incaricati della riforma. La Corte ha ritenuto quindi che la data anzidetta costituisce un termine costante di riferimento sia per determinare la situazione obiettiva della proprietà stessa, sia per individuare i titolari delle proprietà soggette ad espropriazione.

Ora, l'atto di divisione per sé considerato, in quanto riguarda l'assegnazione in concreto ai singoli condomini della quota ideale di cui sono titolari come partecipanti alla comunione, non può essere sicuramente compreso tra gli atti a titolo oneroso o a titolo gratuito, poiché difettano gli elementi caratteristici dell'una e dell'altra categoria di negozi giuridici, cioè lo scambio delle prestazioni e la causa di liberalità.

Non é dubbio d'altra parte il carattere dichiarativo della divisione ereditaria, i cui effetti risalgono al momento dell'apertura della successione, così come dispone l'art. 757 del Codice civile.

Ad avviso della Corte peraltro, la divisione ereditaria, qualora, come nel caso, sia stata stipulata successivamente al 15 novembre 1949, pur non essendo compresa tra gli atti indicati nell'art. 20 della legge n. 841, non può essere opposta all'Ente espropriante. Ciò si deduce dalle disposizioni dell'art. 4, seconda comma, che regolano gli espropri dei terreni appartenenti in comunione al proprietario espropriando, in relazione al sistema adottato nello stesso articolo, primo comma, per la determinazione delle quote di scorporo.

É anzitutto da osservare che, per le leggi di riforma, l'appartenenza dei terreni a titolo di comunione, non é di ostacolo al procedimento di espropriazione. Lo si deduce chiaramente dal citato art. 4 della legge n. 841 e dell'art. 2, primo comma, della legge n. 230.

Ora, dal testo dell'art. 4, oltre all'espropriabilità dei terreni indivisi, risulta altresì che, anche in tale ipotesi, il procedimento di espropriazione nei confronti del partecipante alla comunione, perché possa essere attuato mediante il decreto di trasferimento, deve riferirsi ad una zona di terreno completamente determinata. Se ne ha espressa conferma nell'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, il quale, non innovando alle disposizioni contenute nel secondo comma dell'art. 4 della legge n. 841, ma chiarendone la portata e precisando le modalità di esecuzione, stabilisce che, nel caso di terreni indivisi, il piano particolareggiato é intestato al singolo condomino e che l'Ente può provvedere alla espropriazione dei terreni della comunione fino ad esaurire il valore della quota ideale spettante a detto condomino. Aggiunge poi che "la porzione espropriata sarà imputata alla quota del condomino colpito da espropriazione".

Queste disposizioni si inquadrano, come già si é accennato, nel sistema della legge, poiché, secondo il primo comma dello stesso art. 4, nei territori suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria, la percentuale di scorporo, determinata secondo la tabella allegata alla legge, si basa su due coefficienti di carattere concreto, cioè il reddito complessivo e medio dell'intera proprietà terriera intestata all'espropriando e la consistenza effettiva della proprietà alla data del 15 novembre 1949.

Pertanto il contenuto dei due articoli ora citati dimostra non solo che il procedimento espropriativo non può subire limitazione o ritardo in presenza della comunione, ma altresì che si é preveduto anche il caso della divisione, disponendo l'imputazione della quota scorporata nel modo anzidetto; e ciò per evitare pregiudizi agli altri condomini immuni dall'applicazione della legge di riforma. Poiché questo é il sistema seguito dalla legge, ne discende chiara la conseguenza che all'atto di divisione, stipulato, come nella specie, dopo il 15 novembre 1949, non può riconoscersi rilevanza rispetto all'esproprio medesimo, e che tale atto non può essere perciò opposto all'Ente che vi procede. Il che risponde ad una grave esigenza inerente all'attuazione delle leggi di riforma, quella cioè che la stabilizzazione della proprietà terriera soggetta a scorporo, non subisca modificazioni per volontà del privato, dopo la data anzidetta, la quale, come si desume agevolmente dalle disposizioni delle leggi n. 230 e n. 841 del 1950 e n. 333 del 1951, ricordate in precedenza, costituisce uno dei cardini fondamentali per l'esecuzione delle leggi stesse.

Ed é palese che l'atto di divisione potrebbe in tutto o in parte compromettere l'attuazione dello scorporo, incidendo sulla quota ad esso soggetta, come nel caso in cui al condividente siano assegnati terreni al di fuori del territorio considerato suscettibile di riforma, oppure beni mobili o immobili diversi dalla proprietà terriera. Di ciò si é evidentemente preoccupato il legislatore, che ha considerato specificamente, come si é veduto, la procedura da seguire quando l'Ente incaricato della riforma si trovi in presenza di terreni indivisi.

Con le osservazioni finora esposte resta quindi superata la obiezione, di cui pure é cenno nell'ordinanza della Corte di appello, nel senso che, dato il carattere eccezionale delle disposizioni degli artt. 27 della legge n. 230 e 20 della legge n. 841, la divisione, che non vi é compresa, debba perciò ritenersi immune dalla sanzione di inefficacia. Ciò perché, giova ripeterlo, la soluzione dell'attuale controversia discende da norme diverse da quelle ora ricordate. Ed occorre aggiungere, ad ulteriore chiarimento, che queste norme non limitano affatto il diritto dei condomini di sciogliere la comunione, purché, come si é già accennato, non si alterino le situazioni già stabilizzate nel piano di esproprio.

Si deve pertanto concludere che il decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 1952, n. 4208, che ha disposto, nei confronti di Lina Cosimini, l'espropriazione di una zona di terreno, che, con l'atto di divisione ereditaria stipulato il 19 maggio 1951, era stato assegnato a Nella Cosimini, non può ritenersi viziato di eccesso di delega, in relazione agli articoli 4 e 20 della legge n. 841 del 1950 e 8 della legge n. 333 del 1951.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta l'eccezione pregiudiziale dedotta dall'Avvocatura dello Stato,

dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza del 28 giugno 1956 dalla Corte di appello di Napoli, sulla legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4208, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, in relazione agli artt. 4 e 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e all'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, e in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.