Sentenza n. 6 del 1957

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 6

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 20 marzo 1956, depositato lo stesso giorno nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 40 del Registro ricorsi 1956,per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 1953 che approva l'ottavo elenco delle acque pubbliche della Provincia di Catania.

Udita nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1956 la relazione del Giudice Gaetano Azzariti;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino per il ricorrente e il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1953, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 ottobre 1953, n. 238, fu approvato l'ottavo elenco suppletivo delle acque pubbliche della Provincia di Catania.

Il decreto fu emanato in base all'art. 1 del testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, dopo l'espletamento della lunga procedura che per la formazione degli elenchi delle acque pubbliche é prescritta negli artt. 1 e 2 del regolamento 14 agosto 1920, n. 1285, anteriore cioè al testo unico, ma tuttora in pieno vigore per espressa disposizione contenuta nell'art. 233 del testo unico medesimo.

L'inizio della procedura risale al decreto ministeriale 21 novembre 1946 con il quale venne disposta la pubblicazione dello schema dell'ottavo elenco suppletivo: né risulta che nel lungo corso di essa siano state fatte opposizioni o presentati reclami da qualsiasi parte.

Avverso il decreto presidenziale di approvazione dell'elenco la Regione siciliana, con atto notificato al Ministero dei lavori pubblici il 3 novembre 1953, propose ricorso al Tribunale superiore delle acque pubbliche, deducendo che il provvedimento era viziato di incompetenza in relazione agli artt. 14 lett. i e 20 dello Statuto regionale siciliano, dai quali risulterebbe che alla Regione siciliana e non allo Stato spetta la dichiarazione di pubblicità delle acque esistenti nella Sicilia.

La difesa dello Stato, in rappresentanza del Ministero dei lavori pubblici, opponeva, in via pregiudiziale, che la questione sollevata dalla Regione siciliana, se la potestà di approvare gli elenchi delle acque pubbliche spetti alla Regione stessa o allo Stato, configura un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione, del quale solo la Corte costituzionale, e non altro giudice, potrebbe conoscere a norma dell'art. 134 della Costituzione.

Il Tribunale superiore delle acque pubbliche disattese questa eccezione pregiudiziale, ma respinse in merito il ricorso della Regione con sentenza 12 giugno - 7 luglio 1954, ritenendo che il decreto del Presidente della Repubblica era legittimo perché conforme alle norme del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, relative all'esercizio del potere di dichiarazione della pubblicità delle acque, le quali norme non sono state derogate per il territorio della Regione dallo Statuto siciliano.

Questa sentenza fu impugnata dalla Regione siciliana con ricorso alla Corte di cassazione, innanzi la quale la difesa dello Stato con ricorso incidentale ripropose la questione pregiudiziale su indicata, che le Sezioni unite della Corte accolsero con decisione 15 marzo 1956, n. 763, cassando senza rinvio la sentenza del Tribunale superiore per difetto di giurisdizione, appunto perché ritennero che oggetto della controversia fosse un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione, del quale né il Tribunale superiore né qualsiasi altro giudice poteva conoscere, nemmeno in base alla VII disposizione transitoria della Costituzione nel periodo anteriore all'entrata in funzione della Corte costituzionale, essendo quest'ultima l'unica competente a decidere il conflitto così sollevato.

Intanto venne fissata la prima adunanza della Corte costituzionale con decreto del Presidente della Repubblica del 21 gennaio 1956 e in seguito a ciò il Presidente della Regione siciliana, su deliberazione della Giunta regionale, propose a questa Corte ricorso per conflitto di attribuzione in confronto dello Stato, à sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e della seconda disposizione transitoria della legge medesima.

Il ricorso fu notificato in data 17 marzo 1956 al Ministero dei lavori pubblici e depositato nella cancelleria della Corte il 20 dello stesso mese; ma in questo medesimo giorno il ricorso venne pure notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nel ricorso é denunciata la violazione degli artt. 14, 20 e 32 dello Statuto della Regione siciliana approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, e si chiede che, riconosciuta la competenza della Regione ad accertare la pubblicità delle acque esistenti in Sicilia con la formazione dei relativi elenchi, la Corte annulli l'impugnato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1953 col quale fu approvato l'ottavo elenco suppletivo delle acque pubbliche della Provincia di Catania, perché viziato di incompetenza (artt. 38 e 41 della legge 11 marzo 1953, n. 87).

In proposito si espone che l'art. 20 dello Statuto affida agli organi regionali "le funzioni esecutive e amministrative" nelle materie su cui la Regione può legiferare, tra le quali materie rientra quella delle acque pubbliche, che é riservata alla legislazione esclusiva della Regione dall'art. 14 lett. i dello Statuto stesso. Da ciò deriverebbe, secondo la difesa della Regione, che, essendo la dichiarazione di pubblicità delle acque e l'inserzione di esse negli elenchi relativi manifestazione di una potestà amministrativa, questa non può spettare che alla Regione: il che - aggiunge la difesa - é anche conseguenza del diritto a questa derivante dall'art. 32 dello Statuto, il quale dispone: "i beni del demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione".

Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che in data 6 aprile 1956 ha depositato le proprie controdeduzioni.

In queste si oppone che, in base agli artt. 14 lett. i e 20 dello Statuto, la Regione ha potestà legislativa e correlativamente può esercitare funzioni esecutive e amministrative non in relazione a tutte le acque pubbliche che esistono nella Sicilia, ma solo in relazione alle "acque pubbliche, in quanto non sono oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale", come é precisato nell'art. 14 lett. i e come in modo analogo é disposto dall'art. 32, il quale alla dichiarazione che sono assegnati alla Regione "i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione", fa seguire esplicita eccezione per "quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale". Sicché le acque pubbliche che interessino opere o servizi di carattere nazionale appartengono non già alla Regione, ma allo Stato e in relazione alle stesse nessuna potestà né legislativa né amministrativa spetta alla Regione. E poiché, allo stato della legislazione, gli elenchi devono comprendere indistintamente tutte le acque che si riconoscano pubbliche, abbiano o non abbiano carattere nazionale le opere o i servizi ai quali ciascuna di esse possa essere destinata, é evidente, secondo la difesa dello Stato, che la formazione degli elenchi non può rientrare nei poteri della Regione, essendo la dichiarazione di pubblicità delle acque del tutto indipendente dall'accertamento dell'appartenenza allo Stato o alla Regione dell'acqua pubblica che venga iscritta negli elenchi.

La difesa dello Stato conclude perciò col chiedere che sia respinto il ricorso della Regione siciliana, con dichiarazione che spetta allo Stato e non alla Regione la competenza per la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche esistenti nella Regione siciliana ai sensi dell'art. 1 e seguenti del testo unico approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e relativo regolamento approvato con R.D. 14 agosto 1920, n. 1285.

Nella discussione orale i difensori delle parti hanno confermato ed illustrato le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso introduttivo del giudizio fu notificato, come si é esposto in narrativa, prima al Ministro dei lavori pubblici, sulla proposta del quale era stato emanato l'atto che veniva impugnato, e, successivamente, al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Ministro dei lavori pubblici non si é costituito in giudizio e, in realtà, non sarebbe nemmeno legittimato a starvi perché i giudizi su conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni devono svolgersi esclusivamente nel contraddittorio del Presidente del Consiglio dei Ministri (o di un Ministro da lui delegato), da un lato, e del Presidente della Regione, dall'altro (art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e art. 27 delle Norme integrative 16 marzo 1956), di qualunque autorità dello Stato o della Regione sia l'atto dal quale il conflitto deriva.

Le norme generali sulla rappresentanza dello Stato nei giudizi ordinari, determinata secondo che oggetto di essi siano materie rientranti nelle diverse sfere di competenza amministrativa dei molteplici organi dello Stato, non sono in alcun modo applicabili, ai giudizi davanti la Corte costituzionale. In questi, riguardino conflitti tra Stato e Regione o anche controversie di legittimità costituzionale delle leggi, la rappresentanza dello Stato é sempre unica e spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri (artt. 23, 25, 31, 32, 33 e 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87), salva l'attribuzione speciale del Commissario del Governo presso la Regione siciliana a norma degli artt. 25 e 27 dello Statuto regionale.

Pertanto, nel caso presente, il ricorso della Regione siciliana notificato al Ministro dei lavori pubblici non era idoneo a istituire legittimamente il giudizio; ma, poiché esso, sia pure in un secondo tempo ma sempre prima della decorrenza del termine a norma della II disposizione transitoria della legge 11 marzo 1953, fu notificato, come si doveva, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il giudizio può regolarmente svolgersi nel legittimo contraddittorio del solo Presidente del Consiglio, come la legge prescrive.

La tesi che alla Regione e non allo Stato spetti la formazione degli elenchi delle acque pubbliche in Sicilia viene sostenuta dal ricorrente, da un lato, in base all'art. 20 dello Statuto che affida agli organi regionali l'esercizio di funzioni amministrative nelle materie nelle quali la Regione ha potestà legislativa, e tra esse vi é anche quella delle acque pubbliche, secondo l'art. 14 lett. i dello Statuto, e, dall'altro lato, in base all'art. 32 dello Statuto medesimo, che conferirebbe alla Regione la titolarità delle acque pubbliche esistenti nel territorio siciliano.

In ordine a questo secondo punto, é da considerare che l'art. 32 dello Statuto, se contempla un demanio idrico regionale, mette in evidenza che accanto a questo vi é anche un demanio idrico dello Stato, in quanto le acque pubbliche che interessano servizi di carattere nazionale non sono assegnate alla Regione, ma rimangono nel demanio dello Stato.

La coesistenza di due demani, l'uno della Regione e l'altro dello Stato, rende insostenibile l'assunto che esclusivamente alla Regione, come questa afferma, e non allo Stato, debba spettare l'accertamento del carattere demaniale delle acque.

Nessuna rilevanza possono avere in proposito le discussioni ampiamente svolte negli scritti difensivi delle parti su profili particolari che non toccano la sostanza della questione da risolvere; quali potrebbero essere la maggiore o minore consistenza quantitativa o qualitativa dell'uno o dell'altro demanio, ovvero le modalità di accertamento del carattere nazionale o regionale dei servizi ai quali l'acqua pubblica sia o possa essere destinata e la risoluzione di eventuali contrasti tra Stato e Regione in ordine al detto accertamento. Egualmente superfluo sarebbe ricercare se il diritto conferito alla Regione sulle acque pubbliche che non interessano servizi nazionali sia subordinato ad un preventivo accertamento di questo requisito negativo, ovvero se il trasferimento al demanio regionale delle acque pubbliche ad esso assegnate sia da considerare avvenuto automaticamente, indipendentemente da ogni preventivo accertamento, con l'entrata in vigore dello Statuto.

Quanto poi all'argomento basato sugli artt. 14 e 20 dello Statuto, é egualmente da osservare che rientra bensì nella "legislazione esclusiva" della Regione siciliana la materia delle acque pubbliche, ma, come é precisato nella lett. i dell'art. 14, solo "in quanto non sono oggetto di opere pubbliche d'interesse nazionale". In conseguenza, unicamente a tali acque pubbliche potrebbe riferirsi il conferimento alla Regione di funzioni amministrative e esecutive secondo l'art. 20 dello Statuto, che il ricorrente richiama.

Anche qui, al fine del presente giudizio, non occorre ricercare come si accerti l'interesse nazionale o regionale delle opere pubbliche, delle quali l'acqua possa essere oggetto, e come siano da risolvere le difficoltà che siffatto accertamento presenti, le quali difficoltà del resto sono già superate in gran parte per effetto delle disposizioni dettate nel decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 1950, n. 878, contenente norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di opere pubbliche.

L'art. 3 di questo decreto enumera infatti tra le "grandi opere pubbliche di prevalente interesse nazionale ai sensi dell'art. 14 lett. g ed i dello Statuto", insieme con altre, "le linee elettriche di trasporto con tensione non inferiore ai 15. 000 wolts" (lett. g) "le grandi derivazioni di acque pubbliche" (lett. i), "la sistemazione e manutenzione valliva e montana dei corsi d'acqua classificati o da classificare" (lett. l) e "tutte le altre opere che lo Stato, sentita la Regione, riconoscerà di prevalente interesse nazionale" (lett. m). La legittimità costituzionale di queste disposizioni fu riconosciuta dall'Alta Corte per la Regione siciliana che, con sentenza 10 gennaio 1951-29 marzo 1952, respinse il ricorso che la Regione aveva proposto avverso le medesime.

Poiché non risulta che la Regione si sia valsa finora della potestà legislativa che la lettera i dell'art. 14 dello Statuto le conferisce in relazione alle acque pubbliche che non sono oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale, presentemente l'intera materia delle acque pubbliche, senza distinzione tra il carattere nazionale o regionale dell'interesse delle opere di cui possa essere oggetto continua ad essere disciplinata esclusivamente dalle leggi dello Stato, come é regola generale comune a tutte le Regioni, enunciata espressamente negli Statuti speciali per la Sardegna (art. 57), per il Trentino - Alto Adige (art. 92), per la Valle d'Aosta (art. 51), laddove per la Sicilia é formulata nella legge regionale 1 luglio 1947, n. 3 (così detta di recezione), dove é stabilito: "Nel territorio della Regione siciliana, fino a quando l'Assemblea regionale non abbia diversamente disposto, continua ad applicarsi la legislazione dello Stato in vigore al 25 maggio 1947".

Si può qui aggiungere che, secondo la concorde giurisprudenza, sia della Corte di cassazione sia, più particolarmente, dell'Alta Corte per la Regione siciliana, la quale più volte si é pronunciata in proposito, anche nelle materie indicate nell'art. 14 dello Statuto come rientranti nella "legislazione esclusiva" della Regione, le leggi dello Stato, tanto anteriori quanto posteriori alla istituzione delle Regioni, hanno sempre automaticamente applicazione in tutto il territorio nazionale, compresa la Sicilia senza che occorrano leggi regionali di recezione, le quali perciò sarebbero, da un lato, del tutto superflue e, dall'altro, addirittura incostituzionali, per cui, se impugnate, sarebbero da dichiarare costituzionalmente illegittime.

Nessun dubbio quindi può esservi che, anche nel territorio della Sicilia, trovi presentemente applicazione la legislazione statale in materia di acque pubbliche, che é costituita dal testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775. In questo testo unico sono le norme che determinano il contenuto degli elenchi, principali o suppletivi, e ne disciplinano la formazione. Negli elenchi devono essere iscritte tutte le acque le quali "abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse". La iscrizione negli elenchi non é altro che accertamento del requisito della pubblicità delle acque, delle quali la titolarità e la disponibilità spetteranno alla Regione o allo Stato secondo le distinzioni enunciate nello Statuto siciliano, le quali non hanno alcuna rilevanza al fine del semplice accertamento della pubblicità, cioè, del carattere demaniale delle acque, appartengano queste al demanio della Regione o a quello dello Stato.

Secondo la legislazione vigente non vi sono elenchi separati che possono essere formati, alcuni dalla Regione e altri dallo Stato, e, d'altro canto, é insostenibile che la Regione escluda lo Stato nella formazione degli elenchi, quali la legge prescrive.

L'esame particolareggiato delle norme che devono essere osservate per la formazione e approvazione degli elenchi delle acque pubbliche rende ancora più chiaro che lo Stato e non la Regione può provvedervi.

É noto che ogni attività amministrativa, così dello Stato come della Regione, deve sempre svolgersi rigorosamente in conformità delle leggi. Di conseguenza, allorché si tratta di leggi statali che hanno applicazione nel territorio regionale, qualsiasi esercizio di attività amministrativa o esecutiva della Regione in ordine alle dette leggi, presuppone necessariamente la possibilità di sostituzione degli organi regionali a quelli statali che nelle medesime leggi siano indicati; ma tale possibilità non sussiste quando la sostituzione non sia puntualmente prevista dallo Statuto o da norme di attuazione del medesimo o, in generale, da altre leggi.

Nel caso presente, l'art. 1 del menzionato testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, dispone che le acque pubbliche sono iscritte, a cura del Ministero dei lavori pubblici, in elenchi da approvarsi con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, previa la procedura da esperire nei modi indicati nel regolamento.

Questa procedura trovasi tracciata negli artt. 1 e 3 del regolamento approvato con R.D. 14 agosto 1920, n. 1285, al quale fa riferimento l'art. 233 del testo unico medesimo, e richiede il necessario concorso di parecchi organi dello Stato. Gli schemi degli elenchi sono compilati dagli uffici del Genio civile; il Ministero dei lavori pubblici ne compie un esame preliminare e eventualmente li rettifica, poi ne ordina la pubblicazione; sono ammesse opposizioni; il tutto viene portato all'esame del Consiglio superiore dei lavori pubblici che deve esprimere il suo parere: interviene, alla fine, il decreto di approvazione del Capo dello Stato. Dopo di che gli elenchi così approvati sono pubblicati e, nel termine dei sei mesi successivi, ogni interessato può ricorrere ai tribunali delle acque pubbliche avverso la iscrizione dei corsi di acqua negli elenchi.

Non tutti questi organi statali hanno il loro corrispondente nell'ordinamento regionale. Se pure si ritenesse possibile far riferimento alle disposizioni dettate per la "materia di opere pubbliche", rispetto alla quale é consentito che la Regione siciliana svolga nell'ambito del proprio territorio le attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici (art. 1 del menzionato D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878) e che l'amministrazione regionale si valga temporaneamente, limitatamente peraltro alle opere che non siano di interesse nazionale, dell'attività del Provveditorato alle opere pubbliche e degli uffici del Genio civile funzionanti nel territorio regionale (art. 2 dello stesso decreto), in nessun modo sarebbe possibile ad un qualsiasi organo regionale di sostituirsi al Capo dello Stato, al quale spetta di approvare gli elenchi delle acque pubbliche con proprio decreto. Né l'art. 20 dello Statuto siciliano né alcuna norma di attuazione consente siffatta sostituzione.

D'altro canto, la sostituzione non potrebbe essere considerata come conseguenza della autonomia più o meno vasta di cui godono le Regioni, perché sono fondamentali e inderogabili alcune norme dettate dalla Costituzione, la quale nell'art. 5 precisa che autonomie locali e decentramento amministrativo sono riconosciuti e promossi dalla Repubblica "una e indivisibile" e, nell'art. 87, proclama: "Il Presidente della Repubblica é il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale". Nessuna corrispondenza, quindi, può esservi tra un qualsiasi organo regionale e il Presidente della Repubblica, onde il primo senz'altro assuma ed eserciti funzioni che la legge applicabile nel territorio della Regione affidi al Capo dello Stato, il quale, appunto perché tale, emana atti valevoli anche per le Regioni che dello Stato sono parti, come é riaffermato nell'art. 1 di tutti gli statuti regionali.

E poiché nessun atto del Presidente della Repubblica é valido se non é controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità (art. 89 della Costituzione), é evidente che non potrebbero gli assessori regionali sostituirsi al Ministro politicamente responsabile per proporre e controfirmare essi il decreto del Presidente della Repubblica, col quale gli elenchi delle acque pubbliche devono essere approvati.

Del tutto ingiustificato é, infine, l'assunto difensivo che le norme dello Statuto siciliano circa l'assegnazione di acque pubbliche alla Regione debbano ripercuotersi necessariamente sul sistema stabilito nelle leggi vigenti per la formazione degli elenchi relativi, le quali perciò dovrebbero essere considerate automaticamente mutate.

Gli elenchi, come si é già detto, si limitano al semplice accertamento del requisito della pubblicità, che é presupposto comune per l'appartenenza dell'acqua al demanio così della Regione come dello Stato; ed é pacifico che essi hanno funzione puramente dichiarativa e non costitutiva.

Di conseguenza, le acque che vengono iscritte negli elenchi, se rientrano tra quelle indicate nell'art. 32 dello Statuto, apparterranno alla Regione, che su di esse eserciterà tutti i diritti che le competono e con piena sicurezza, perché é già accertato definitivamente con l'iscrizione il carattere demaniale delle medesime.

Se poi avvenisse che acque aventi attitudine ad usi di pubblico generale interesse, rientranti tra quelle indicate nel detto art. 32, non venissero iscritte negli elenchi, la Regione egualmente potrebbe far valere su di esse tutti i propri diritti e, in caso di contestazione, promuovere in via giudiziale l'accertamento della demanialità, senza che vi sia bisogno di formare elenchi suppletivi.

Nessun pregiudizio potrà perciò mai derivare ai diritti della Regione sulle acque pubbliche dall'attività comunque svolta dallo Stato nella formazione degli elenchi relativi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

 

pronunciando sul conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sollevato dalla Regione con ricorso 20 marzo 1956 in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 1953, che approva l'ottavo elenco suppletivo delle acque pubbliche della Provincia di Catania:

dichiara la competenza dello Stato per la formazione degli elenchi delle acque pubbliche esistenti nel territorio siciliano a norma delle disposizioni contenute nel T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, e

respinge la domanda di annullamento del decreto del Presidente della Repubblica su indicato.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1957.

 

 Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO -  Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.