Demis BessiT

 

La titolarità del potere regolamentare regionale: la scelta spetta agli Statuti

 

1. Con la sentenza n. 313 del 2003 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge Regione Lombardia n. 2 del 2002, con il quale si conferiva alla Giunta l’adozione della disciplina regolamentare in tema di corpo forestale regionale, istituito con la medesima legge[1]. Con questa decisione la Corte ha affrontato una delle principali questioni sorte con la riforma costituzionale del 1999 e concernente la spettanza della potestà regolamentare regionale[2].

Com’è noto, la legge costituzionale n. 1 del 1999 ha inciso sull’art. 121 Cost. in due momenti diversi: al II comma, sopprimendo le parole “e regolamentari”, all’ultimo comma, sostituendo il verbo “promulga” con “emana”[3]. Per quanto riguarda il primo aspetto modificato, alla soppressione della riserva del potere regolamentare al Consiglio regionale, non è corrisposto, da parte del legislatore costituzionale, l’indicazione espressa di quale organo deve ritenersi titolare della funzione normativa secondaria. Così, di fronte al silenzio della Carta costituzionale novellata, il dibattito si è particolarmente acceso, delineandosi su due opposti orientamenti dottrinale: da un lato, si è affermato che, con la parziale abrogazione del II comma dell’art. 121 Cost., la riforma avrebbe determinato l’attribuzione della potestà regolamentare, in maniera diretta ed immediata, alla Giunta, con la possibilità per essa di esercitare, fin dall’entrata in vigore della riforma costituzionale, la funzione normativa secondaria, senza la possibilità per i nuovi Statuti di derogarvi. Dall’altra parte, invece, si è ritenuto che la modifica dell’art. 121 avrebbe mirato solamente ad eliminare il vincolo costituzionale di un potere regolamentare necessariamente spettante al Consiglio, affidando agli Statuti la scelta del soggetto titolare del potere medesimo.

2. Allo scopo di comprendere quale fra le due soluzioni possa ritenersi maggiormente conforme al testo costituzionale novellato, si cercherà, sinteticamente, per quanto possibile, di ripercorrere le principali ragioni, letterali, sistematiche e di opportunità, addotte dall’una e dall’altra corrente di pensiero, allo scopo di poter valutare meglio la decisione della Consulta.

Un primo motivo utilizzato a sostegno della tesi sulla diretta attribuzione del potere regolamentare alla Giunta, è stato individuato nella tradizionale e generale connessione tra il potere esecutivo e la funzione normativa secondaria; tale connessione, si è detto, sarebbe espressione di un principio generale dell’ordinamento, di cui l’art. 121, nella sua originaria formulazione, rappresentava una deroga anomala e non del tutto ragionevole. La soppressione della riserva costituzionale del potere regolamentare a favore del Consiglio avrebbe rappresentato, dunque, per i sostenitori di tale tesi, la logica riespansione, anche a livello regionale, del suddetto principio[4].

Inoltre, secondo questo orientamento, la sostituzione del termine promulgazione con quello di emanazione, al IV comma dell’art. 121, avrebbe avuto la funzione, dato il diverso significato dei due termini, di prevedere una partecipazione attiva del Presidente della Giunta al procedimento di formazione dei regolamenti regionali, con la conseguenza che questi ultimi non potrebbero che essere deliberati dalla Giunta[5]. Il legislatore costituzionale avrebbe equiparato, in tal modo, la ripartizione delle funzioni normative tra gli organi regionali a quella presente a livello statale, creando un evidente parallelismo tra la disposizione considerata e l’art. 87, V comma, Cost.[6]

Per quanto riguarda le motivazioni di ordine sistematico addotte da questa corrente di pensiero, si è evidenziato come soltanto il riconoscimento inderogabile del potere regolamentare alla Giunta permetterebbe il pieno soddisfacimento della ratio contenuta nella legge costituzionale n. 1/99. La riforma costituzionale, infatti, presa consapevolezza della storica fragilità degli esecutivi regionali, si sarebbe orientata verso il rafforzamento di questi ultimi, con il conseguente e necessario loro riconoscimento di funzioni normative[7]. Tale ultima ricostruzione, per di più, sarebbe conforme sia alla forma di governo regionale “preconfezionata” dalla Costituzione, sia alle altre tra cui l’autonomia statutaria potrebbe spaziare: qualsiasi sia la forma di governo prescelta, lo Statuto sarebbe comunque tenuto ad attribuire al Presidente della Giunta il ruolo protagonista nella formazione dell’indirizzo politico regionale, il che dovrà necessariamente accompagnarsi con l’attribuzione, all’organo collegiale che presiede, di funzioni normative[8].

Sul piano delle argomentazioni extragiuridiche, infine, si è considerato sia come il legislatore costituzionale abbia voluto esprimere, con la riforma, l’acquisita consapevolezza per cui l’attribuzione del potere regolamentare all’organo già titolare della funzione legislativa, conduca inevitabilmente alla “essiccazione” della fonte normativa secondaria[9], sia come l’attribuzione al Consiglio, con la riforma dell’art. 117, di un potere legislativo indubbiamente più ampio che in passato, faccia sorgere il timore di un eccessivo sovraffollamento di funzioni normative in capo all’Assemblea rappresentativa: secondo l’orientamento qui da ultimo considerato, la conclusione a cui tali considerazioni conducono è che sarebbe opportuno, se non necessario, il riconoscimento del potere regolamentare alla Giunta[10].

Secondo l’opposta ricostruzione avanzata dalla dottrina, invece, sarebbe necessario e sufficiente il riferimento, innanzitutto, tanto ad argomentazioni teoriche sulla forma di governo parlamentare quanto alla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 371/85)[11], per negare l’esistenza nell’ordinamento giuridico di un principio generale secondo cui la funzione normativa secondaria spetta necessariamente all’organo esecutivo; l’argomentazione per cui, tanto a livello statale che regionale, sarebbe inscindibile il binomio costituito dal potere esecutivo e dalla funzione regolamentare sarebbe in realtà infondata: dalla qualificazione di un organo come esecutivo non può necessariamente discendere il riconoscimento allo stesso del monopolio della funzione regolamentare[12].

Inoltre, questa seconda ricostruzione, contrariamente alla precedente, sminuisce la rilevanza della modifica apportata dalla riforma costituzionale del ’99 al IV comma dell’art. 121; la presenza del termine promulgazione nell’originaria formulazione della disposizione costituzionale non avrebbe rappresentato affatto una scelta del costituente sulla forma di governo regionale, ma più semplicemente “una svista”[13]: i due termini, promulgazione ed emanazione, infatti, sarebbero utilizzati nel sistema costituzionale indifferentemente o comunque senza poter ritenersi sussistente, tra i due concetti, una precisa distinzione tecnica[14], tant’è vero che in alcuni Statuti regionali, pur riproducendo l’originario art. 121, si disponeva già, senza alcun contrasto con il testo costituzionale, il potere del Presidente della Giunta di emanare i regolamenti[15].

L’interpretazione sistematica, sostenuta da quest’ultima corrente di pensiero, mette ancor più in luce il contrasto con l’opposto orientamento; si è evidenziato, infatti, come la riforma costituzionale avrebbe voluto semplicemente eliminare la garanzia costituzionale del potere regolamentare come funzione necessariamente spettante al Consiglio, essa cioè avrebbe avuto la principale finalità di realizzare il potenziamento dell’autonomia statutaria, quale massima espressione dell’autonomia regionale complessivamente considerata: spetterebbe, dunque, soltanto allo Statuto, in considerazione del ruolo da esso svolto nella determinazione della forma di governo e, quindi, nella sistemazione delle fonti normative regionali, l’individuazione dell’organo titolare del potere regolamentare[16]. La considerazione per cui il testo costituzionale novellato spinge le Regioni verso forme di governo comunque diverse da quella presente a livello statale, accompagnata dal silenzio del nuovo art. 121 sulla nuova titolarità del potere regolamentare, condurrebbero ad escludere che il principio dell’intrinseca connessione tra funzione esecutiva e potestà regolamentare, valido a livello statale, possa automaticamente estendersi anche a livello regionale: ciò che caratterizza la forma di governo statale non necessariamente deve realizzarsi anche per quella regionale[17].

Infine, i sostenitori di quest’ultima interpretazione, pur riconoscendo l’effettiva opportunità, almeno, di una compartecipazione giuntale all’esercizio delle funzioni regolamentari, come affermato dall’opposto orientamento, hanno fortemente obiettato come, in mancanza di esplicite indicazioni costituzionali, non possa tramutarsi in un vincolo giuridico ciò che è semplicemente opportuno[18].

3. Dalle due ricostruzioni, com’è ovvio, discendono conseguenze altrettanto contrapposte, sia in ordine all’esercizio da parte della Giunta del potere regolamentare nell’attesa dei nuovi Statuti, sia per ciò che concerne la sopravvivenza delle norme statutarie modellate sul vecchio art. 121 Cost.

Secondo il primo orientamento dottrinale, fin dall’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1999, la titolarità dalla potestà regolamentare spetta esclusivamente alla Giunta, la quale sarebbe già competente ad adottare disposizioni regolamentari[19]. Inoltre, le norme statutarie riproduttive dell’art. 121, nella sua originaria formulazione, dovrebbero ritenersi “superate”: per alcuni, il puntale contrasto tra la norma statutaria e la norma positiva costituzionale, implicitamente contenuta nella nuova formulazione dell’art. 121, avrebbe realizzato l’abrogazione della prima[20], per altri, invece, non sarebbe da escludersi su tali disposizioni statutarie l’intervento di una dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Consulta[21]. Per la seconda dottrina, invece, nella vigenza degli attuali Statuti, solo il Consiglio sarebbe competente ad adottare disposizioni regolamentari, le norme statutarie, anche se riproduttive di disposizioni costituzionali modificate, sarebbero ancora vigenti ed efficaci. La riforma dell’art. 121, infatti, non avrebbe creato alcuna norma positiva indicante l’organo titolare del potere regolamentare, e, dunque, non potrebbe realizzarsi quel puntale contrasto tra norme, risolvibile secondo il criterio della lex posterior[22]; per di più, secondo tale impostazione, si obietta che ogni disposizione, anche se meramente riproduttiva di un’altra, subirebbe una sorta di novazione, ricevendo, pertanto, “vita” propria ed autonoma: nessuna vicenda dell’una, dunque, potrebbe più incidere sull’altra[23].

4. E’ da considerarsi, inoltre, come il contrasto che ha alimentato il dibattito sul piano teorico, si sia in realtà riprodotto nella prassi[24]. In primo luogo nella giurisprudenza amministrativa: alle sentenze che hanno accolto l’orientamento favorevole ad individuare nell’esecutivo regionale l’organo direttamente ed immediatamente titolare del potere regolamentare (TAR Puglia, sede di Bari, sezione I, sent. n. 5637/2002, TAR Lazio, sede di Roma, sezione III-ter, sent. 6252/2002, TAR Puglia, sede di Bari, sezione I, n. 1007/2003)[25] si sono affiancate decisioni esattamente opposte, che, invece, hanno individuato nel nuovo Statuto l’unica sede naturale in cui la scelta sulla spettanza della funzione normativa secondaria potrebbe essere effettuata, e hanno considerato, quindi, ancora vigenti le disposizioni statutarie che, conformemente al vecchio dettato costituzionale, conferiscono il potere regolamentare al Consiglio (TAR Lombardia, sede di Milano, sezione III, sent. n. 868/02 e sent. n. 2385/03)[26].

Allo stesso modo, contrastante è stata la posizione assunta dalle istituzioni: mentre il Servizio affari giuridici e legislativi della Giunta umbra, esprimendo il proprio parere sulla questione, accoglieva il primo dei due orientamenti[27], il Comitato di consulenza tecnico-giuridico della Regione Toscana formulava parere contrario e favorevole alla seconda ricostruzione[28]. Ugualmente, almeno in un primo momento, il contrasto si è riproposto anche a livello statale: così, nel parere del Dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio si accoglieva l’impostazione secondo la quale, considerate la mancanza di una revisione statutaria e la presenza di una norma dello Statuto riproduttiva del vecchio art. 121, soltanto il Consiglio poteva ritenersi unico titolare del potere regolamentare; diversamente, nella riunione della Conferenza Stato-Regioni del 16 marzo 2000 è prevalsa l’impostazione, immediatamente accolta nella direttiva del Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio rivolta ai Commissari di Governo, secondo cui le Giunte regionali avrebbero dovuto ritenersi direttamente investite della funzione di normazione secondaria, senza possibilità per i nuovi Statuti di derogarvi.

5. Ma, anche per quanto riguarda la prassi regionale, inizialmente, il “conflitto” è venuto immediatamente a riproporsi: si sono avuti così, in alcune Regioni, regolamenti approvati dal Consiglio (regolamento Regione Puglia 28 febbraio 2000 n. 1), in altre, invece, alcune deliberazioni giuntali hanno avuto per oggetto l’approvazione di regolamenti (deliberazione della Giunta Toscana 24 gennaio 2000 n. 63, poi ritenuta legittima dalla Commissione di controllo sugli atti amministrativi). Successivamente, però, alla sopra citata direttiva del Dipartimento per gli Affari regionali rivolta ai Commissari di Governo, la prassi regionale si è tendenzialmente uniformata, recependo la tesi che vede l’esecutivo regionale immediatamente e direttamente titolare della potestà regolamentare: le Commissioni statali di controllo sugli atti amministrativi regionali hanno annullato regolamenti adottati dal Consiglio (Commissione statale della Regione Molise 23 marzo 2000 relativamente alla delibera del Consiglio regionale 22 febbraio 2000 n. 95), il Governo ha rinviato ai Consigli regionali delibere legislative che prevedevano l’adozione di regolamenti da parte del Consiglio (atto di rinvio della delibera legislativa Regione Basilicata del 29 febbraio 2000, atto di rinvio delibera legislativa Regione Veneto del 1° marzo 2000, atto di rinvio della delibera legislativa Regione Molise del 1° marzo 2000); non solo, ma in netto contrasto con la posizione assunta recentemente dalla Consulta, nell’ultimo periodo generalmente i regolamenti regionali risultano tutti approvati dall’organo esecutivo[29].

6. Il contrasto, dunque, presente ad ogni livello, è apparso irrisolvibile, poiché nessuna delle due ricostruzioni presenta, in realtà, ragioni che consentano all’una di prevalere sull’altra, entrambe, insomma, sembrano conformi al nuovo quadro costituzionale. Deve considerarsi, tuttavia, che la situazione creatasi tanto in dottrina quanto nella prassi, è l’espressione dell’ambiguità di fondo della riforma stessa[30]. La legge costituzionale n. 1 del 1999, infatti, ha operato contestualmente su due distinti fronti: da un lato, ha cercato un potenziamento forte ed efficace degli esecutivi regionali, con la finalità di porre fine alla storica fragilità delle istituzioni e dell’azione regionale, e, dall’altro, ha mirato al rafforzamento della fonte statutaria, fino a quel momento rivestita quasi soltanto di un valore simbolico, affinché si realizzasse in essa la massima espressione dell’autonomia regionale, e si avvicinasse così l’autonomia statutaria delle Regioni a quella costituzionale degli Stati membri di una Federazione. Le due rationes costituiscono, dunque, i due pilastri su cui poggia la riforma costituzionale del ’99, il che rende, pertanto, ugualmente fondate entrambe le ricostruzioni. La difficoltà sorge nel momento in cui tali fondamenta risultano fra loro confliggenti, come accade per la questione considerata. Il reale problema sta, allora, nella mancanza di criteri, impliciti od espliciti, che consentano il bilanciamento tra le due finalità e, quindi, il superamento del conflitto; le carenze di tecnica legislativa, evidenziate dalla legge costituzionale n. 1/99 e, forse, la scarsa capacità di un legislatore costituzionale che, presa consapevolezza del problema, si mostra inadeguato a porre palesemente la sua soluzione dello stesso, rendono difficoltoso, se non impossibile, il reperimento di criteri che consentano all’interprete il superamento del conflitto.

7. Con la decisione in esame la Corte costituzionale si inserisce nel contesto suddetto e lo fa accogliendo quella ricostruzione che, tanto in dottrina quanto nella prassi degli ultimi tempi, appariva ormai minoritaria[31]; la Corte, infatti, dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione legislativa regionale che conferiva l’esercizio del potere regolamentare alla Giunta. L’illegittimità della disposizione è avvertita dalla Corte per il contrasto diretto della medesima con lo Statuto, che, riproducendo l’originario art. 121, attribuisce il potere al Consiglio, e indirettamente e conseguentemente, come dovremmo ritenere, con l’art. 123 Cost. Due sono le argomentazioni che conducono la Corte a considerare la suddetta disposizione statutaria ancora in armonia con l’attuale testo costituzionale. Innanzitutto, la Corte ritiene che, all’abrogazione parziale dell’art. 121, con la soppressione delle parole “e regolamentari”, non si sia affiancata alcuna norma positiva implicita, attributiva, direttamente ed inderogabilmente, della funzione normativa secondaria all’esecutivo regionale: il silenzio del legislatore costituzionale sarebbe in realtà intenzionalmente ricercato e finalizzato a non escludere, a livello regionale, nessuna delle molteplici soluzioni concernenti la spettanza di tale potere normativo; si sarebbe insomma creato consapevolmente un vuoto normativo colmabile solo mediante l’intervento della fonte statutaria. In secondo luogo, di fronte ad una disciplina costituzionale “non chiaramente riconoscibile”, l’interprete non avrebbe altra strada, nella risoluzione della questione interpretativa, che uniformarsi alla regola generale, egli cioè non potrebbe, nell’incertezza della norma, trovare la soluzione al problema nell’eccezione alla regola stessa, ma dovrebbe limitarsi ad applicare soltanto quest’ultima; perciò, poiché la regola generale è rappresentata dal principio autonomistico, la questione non potrà che risolversi in riferimento a quest’ultimo, con la conseguente valorizzazione dell’autonomia regionale ed in particolar modo di quella statutaria. Contrariamente, come sostenuto dalla difesa regionale, il problema sarebbe risolto applicando, non il principio generale, quello autonomistico cioè, bensì la sua eccezione, individuata nel vincolo imposto dalla Costituzione al legislatore statutario e concernente la spettanza del potere regolamentare alla Giunta.

Dalle argomentazioni della Corte, dunque, consegue che, in primo luogo, la scelta relativa alla titolarità del potere regolamentare è riservata allo Statuto: la materia, che rappresenterebbe un ulteriore elemento del contenuto necessario dell’atto regionale, sarebbe sottratta, salvo esplicito rinvio dello Statuto stesso, anche allo stesso legislatore regionale. Inoltre, lo Statuto non dovrà assegnare la titolarità della funzione normativa necessariamente ed esclusivamente al Consiglio ovvero alla Giunta, ma potrà optare tra le molteplici soluzioni intermedie, attribuendo, ad esempio, il potere regolamentare sia all’uno che all’altro, con una ripartizione delle competenze per materie ovvero sulla base dell’ampiezza che si vorrà conferire alla fonte regolamentare, od ancora, lo Statuto potrà rimettere tale scelta direttamente al legislatore. Infine e conseguentemente, le disposizioni statutarie che, conformandosi al vecchio tenore dell’art 121, conferiscono il potere regolamentare al Consiglio, sono in un perfetto rapporto armonico con l’attuale testo costituzionale, esse, infatti, si limitano ad accogliere, come loro concesso dalla stessa Carta costituzionale, una delle possibili alternative sull’attribuzione del potere regolamentare.

In conclusione, considerando che, come si è detto, la legge costituzionale n. 1 del 1999, da un lato, contiene due distinte rationes, potenzialmente confliggenti ma perseguite contestualmente e con la stessa forza e, dall’altro, essa risulta priva di ogni indicazione circa la possibile soluzione del suddetto contrasto, la scelta della Corte può accogliersi con un certo favore; essa, pur non presentando ragioni giuridiche che la facciano prevalere nettamente sull’opposta ricostruzione, pare la più idonea a consentire il bilanciamento tra le due finalità perseguite dalla riforma. La strada scelta dalla Corte realizza, infatti, la valorizzazione dell’autonomia statuaria, imposta dal nuovo art. 123, ma al tempo stesso non esclude quel potenziamento dell’esecutivo regionale e delle sue funzioni che è altrettanto ricercato dalla riforma del ’99. Se seguissimo, invece, l’altra soluzione, per quanto più opportuna, dovremmo necessariamente escludere il soddisfacimento di una delle due finalità.

Ma il giudizio sulla decisione della Corte può apprezzarsi anche sulla base di altre argomentazioni[32]. In primo luogo, accogliendo questa impostazione, la Corte di fatto salva, per quel che riguarda la distribuzione del potere regolamentare, la quasi totalità dei progetti di nuovo Statuto, elaborati dalle apposite Commissioni consiliari, i quali prevedono generalmente una ripartizione del potere regolamentare tra Giunta e Consiglio, assegnando a quest’ultimo la funzione regolamentare nelle materie di esclusiva competenza statale qualora sia intervenuta una delega dello Stato, come previsto dal VI comma dell’art. 117 Cost.[33]

In secondo luogo, la soluzione indicata dalla Consulta si pone a forte garanzia del principio di legalità, principio cardine, ora come allora, sia dell’ordinamento statale e che di quello regionale; dalla decisione accolta dalla Corte deriva, infatti, che l’esecutivo regionale potrà adottare regolamenti solo in presenza, innanzitutto, di un’autorizzazione necessaria ed espressa da parte dello Statuto e poi, eventualmente, anche da parte del legislatore regionale a sua volta autorizzato da quello statutario. Linterpositio legislatoris viene comunque assicurata qualunque sarà la scelta dello Statuto.

Inoltre, la soluzione indicata dalla Corte produce indubbiamente un effetto acceleratore sulla riforma statutaria, infatti, considerato il peso incombente sul Consiglio regionale, imposto dal nuovo art. 117 Cost., che certamente attribuisce a quest’ultimo una mole di lavoro più consistente che in passato, e considerata la mancanza e l’impossibilità di adottare a livello regionale atti aventi forza di legge, diviene urgente, al fine di evitare una paralisi nell’esercizio delle funzioni consiliari, attribuire in tutto o in parte il potere regolamentare alla Giunta: se ciò può verificarsi soltanto con un’opportuna modifica statutaria, non resta ai Consigli che velocizzare l’iter di revisione statutaria già fin troppo rallentato.

Infine, in un contesto in cui ancora numerose sono le incertezze che dominano il quadro delle fonti regionali, la Corte, infondo, fornisce un valido aiuto, con questa decisione, a porre ordine all’interno di tale contesto, riconoscendo, anzi ribadendo, il ruolo paracostituzionale della fonte statutaria nel sistema delle fonti regionali, atto, quello statutario, sovraordinato gerarchicamente alle altre fonti regionali e collocato in posizione intermedia, come parametro di costituzionalità, tra queste ultime e la Carta costituzionale.

Tuttavia, è anche da evidenziarsi come la soluzione fornita dalla Consulta non sia scevra da dubbi: innanzitutto, è da chiedersi quale debba essere, alla luce della decisione della Corte, la sorte di tutti i regolamenti regionali approvati, in quest’ultimo periodo, dalle Giunte regionali, in assenza di una apposita revisione statutaria e, talvolta, come si è visto, anche di un’autorizzazione legislativa; inoltre, ciò che forse la Corte, più di ogni altra cosa, non sembra aver considerato è la differenza sussistente tra l’attuale fase transitoria degli ordinamenti regionali, nell’attesa dei nuovi Statuti, e la loro fase definitiva. Considerando lo stretto legame esistente tra forma di governo dell’ente e allocazione delle funzioni normative, la scelta adottata dalla Corte, che attribuisce allo Statuto l’individuazione dell’organo titolare della potestà regolamentare, ben si armonizza con la fase definitiva e con la “nuova” competenza statutaria in materia di forma di governo e principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione; quello che invece la Consulta sembra trascurare è che, nell’attuale fase transitoria, la forma di governo delle Regioni ordinarie è già sostanzialmente delineata da una disposizioni di rango costituzionale, l’art. 5 della legge cost. n. 1/99, che attribuisce agli esecutivi regionali e ai loro presidenti un indubbio peso politico, questo “peso” politico non avrebbe significato se ad esso non si affiancasse l’esercizio di funzioni normative da parte dell’organo esecutivo, troppo evidente sarebbe, infatti, lo squilibrio tra un organo il cui Presidente trova la sua legittimazione nella volontà popolare e le funzione che esso stesso è chiamato ad esercitare[34].

E’ necessario precisare anche che i problemi posti dalla fonte regolamentare regionale, fonte rivitalizzata o rivitalizzabile dalle recenti riforme costituzionali, non possono considerarsi certo esauriti con la risoluzione della questione sulla titolarità della potestà regolamentare, ancora numerosi sono i dubbi che pervadono la fonte regolamentare regionali, sia per ciò che riguarda l’eventuale titolarità del potere all’interno dell’organo esecutivo, sia per ciò che concerne la tipologia e lo spazio effettivo che realmente essi riusciranno ad occupare[35].

 



T   Dottorando di ricerca in diritto costituzionale all’Università degli Studi di Ferrara.

 

[1] La Corte, successivamente alla sentenza in esame, è intervenuta nuovamente sull’argomento con la sentenza n. 324 del 2003, con la quale ha confermato l’orientamento assunto, con un’ulteriore significativa aggiunta: la Consulta, infatti, sembra aver implicitamente ammesso regolamenti delegificati regionali purchè l’esercizio del potere regolamentare, in funzione suppletiva al mancato esercizio del potere legislativo, non sia meramente autorizzato dalla legge regionale, ma venga da quest’ultima delimitato ed indirizzato. Si veda il commento di Oberdan F., La Consulta traccia il quadro delle competenze sulla disciplina di esposizione all’elettrosmog, in Guida al diritto, 6 dicembre 2003, p. 96

[2] In realtà il problema sulla possibilità per la Giunta di adottare atti sostanzialmente regolamentari era già stato sollevato antecedentemente alla riforma del ‘99, si veda a tal proposito Malo M., L’esercizio dei poteri regolamentari negli ordinamenti regionali: riflessioni sulla più recente giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 1991, pp. 995 e ss.; Rescigno G.U., Regolamenti regionali, atti normativi, atti non normativi, alla luce delle sentt. nn. 311 e 348 del 1990 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1990, pp. 1990 e ss. Si faccia riferimento anche a Pubusa A., Considerazioni sulla potestà regolamentare regionale, in Le Regioni, 1986, pp. 717 e ss. e Murgia C., Qualche osservazione sulla potestà regolamentare sarda, in Le Regioni, 1989, pp. 273 e ss., questi ultimi si riferiscono ad atti deliberati dalla Giunta della Sardegna, Regione in cui lo Statuto speciale assegna la potestà regolamentare al Consiglio, diversamente da quando accade in altre Regioni speciali dove invece gli Statuti attribuiscono tale potere all’esecutivo regionale (Trentino Alto Adige, art. 44 e 54 St., Friuli Venezia Giulia, art. 46 St. e Sicilia, art.12 St.)

[3] Sull’art. 121 Cost., nella sua formulazione originaria, per un esame dei lavori preparatori, si veda Falcon G., Le potestà normative regionali dall’Assemblea costituente al testo costituzionale, in Riv. Trim. dir. pubbl., pp. 976 e ss. Sui regolamenti regionali, antecedentemente alla riforma, si faccia riferimento a Onida V., Regolamenti regionali, in Enc. Giur. It., vol. XXV, Roma, 1991, ad vocem.

[4] In tal senso, Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare delle Regioni nel processo di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, in Dir. pubbl., 2002, pp. 419 e ss. ed anche, dello stesso, La potestà regolamentare delle Regioni dopo la legge costituzionale n. 1/99, in Le Regioni, 2000, pp. 652 e ss.; Caravita B., La funzione normativa tra Consiglio e Giunta, in AA.VV., Verso una fase costituente delle Regioni? Nota a margine della legge costituzionale n. 1 del 1999; Tarchi R., Il sistema delle fonti, in Groppi T.- Rossi E.- Tarchi R., Idee e proposte per il nuovo Statuto della Toscana, Atti del seminario di Pisa del 14 giugno 2001, a cura di Libone E., Torino, 2002, p. 129, secondo il quale “la funzione regolamentare è geneticamente riconducibile alla funzione esecutiva”.

[5] Sul punto, Caravita B., op. cit., p. 114; Cirri C., Considerazioni sul potere regolamentare delle Regioni dopo la l. cost. n. 1/1999, in Carli M. (a cura di), Il ruolo delle assemblee elettive, Vol. I, La nuovo forma di governo delle Regioni, Torino, 2001, p. 215; D’Amico G., La controversia titolarità del potere regolamentare regionale, in Riv. dir. cost., p. 150; Tarchi R., op. cit., p. 128; Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., pp. 420 e ss.

[6] Si veda Cirri C., op. cit., p. 213; Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., p. 424.

[7] Cirri C., op. cit., p. 125; D’Amico G., op. cit., pp. 151 e ss.; Ruggeri A., Le fonti del diritto regionale: ieri, oggi e domani, Torino, 2001, pp. 114 e ss; Tarchi R., op. cit., p. 129; Tarli Barbieri G., op. ult. cit., p. 422 e, La potestà regolamentare delle Regioni, op. cit., p. 652.

[8] D’Amico G., op. cit., pp. 151 e ss.; Tarchi R., op. cit., p. 129; Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., pp. 422-423.

[9] Tarchi R., op. cit., p.129

[10] D’Amico G., op. cit., pp. 162 e ss.

[11] Segue queste argomentazioni, Giangaspero P., La Corte interviene sul problema del riparto della competenza regolamentare nelle regioni ordinarie, in Le Regioni, 2001, p. 763.

[12] A tal proposito, Camerlengo Q., Le fonti regionali del diritto in trasformazione: considerazioni in margine alla legge cost. 22 novembre 1999, n. 1, Milano, 2000, p. 132 e Giangaspero P., op. cit., p. 763.

[13] In tal senso Giangaspero P., op. cit., 762-763; si veda anche Camerlengo Q., op. cit., pp. 131-132.

[14] Balboni E.-Massa M., Un giudizio amministrativo dal tono costituzionale: la potestà regolamentare regionale dopo la legge cost. n. 1 del 1999, in Le Regioni, 2002, p. 619, secondo i quali, in riferimento al potere del Presidente della Giunta di emanare, e non più promulgare, i regolamenti, affermano che “il potere di controllo formale non pare dire nulla, di per sé, sulla spettanza del potere sostanziale”; si veda anche Gallo C. E., Le fonti del diritto nel nuovo ordinamento regionale, Torino, 2001, pp. 112-113; Luciani M., Il sistema delle fonti nel sistema unico dell’edilizia, in Riv. giur. edilizia, 2002, p. 26.

[15] Statuto Regione Marche (art. 5) e Statuto Regione Emilia-Romagna (art. 32).

[16] Balboni e.-Massa M., op. cit., pp. 616 e ss.; D’Atena A., Statuti regionali e disciplina delle fonti: tre domande, 11 marzo 2002, in Forum di Quaderni costituzionali, www.unife.it/forumcostituzionale ; De Siervo U., Il sistema delle fonti, in Le Regioni, 2000, p. 594; Camerlengo Q., La titolarità del potere regolamentare nella transizione verso il nuovo assetto statutario delle Regioni di diritto comune, in Le istituzioni del federalismo, 2002, pp. 73 e ss.; idem, La potestà regolamentare regionale, op. cit., pp. 130-131; Tosi R., I nuovi Statuti delle Regioni ordinarie, in Le Regioni, 2000, pp. 544-545; idem, Regole statutarie in tema di fonti regionali, in Le istituzioni del federalismo, n. 1/2001, pp. 118 e ss.; idem, La competenza regolamentare dei Consigli regionali (abrogazione, illegittimità costituzionale o altro ancora?), in Quad. cost., n. 1/2001, p. 125.

[17] Tosi R., I nuovi Statuti, op. cit., p. 543.

[18] Balboni E.- Massa M., op. cit., p. 615, per i quali “un conto è il senso complessivo della riforma, un altro sono i suoi effetti”; De siervo U., op. cit., p. 168, che ritiene l’attribuzione del potere regolamentare “una scelta costituzionalmente non obbligatoria”; Tosi R., La competenza regolamentare, op. cit., p. 125.

[19] Cirri C., op. cit., pp. 214 e ss. e Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., pp. 432 e ss.

[20] Cirri C., op. cit., p. 231, per il quale “le disposizioni statutarie in questione sono in realtà prive di valore normativo autonomo”; Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., pp. 425 e ss. per il quale si avrebbe “abrogazione per regolamentazione dell’intera materia”.

[21] D’Amico G., op. cit., pp. 156 e ss., il quale, tuttavia, ritiene “preferibile la tesi dell’abrogazione”, infatti, secondo l’autore, risulterebbe difficoltosa una dichiarazione di illegittimità costituzionale della Corte, non potendo ricorrervi in via principale, dato il decorso del termine di cui all’art. 123 Cost., e considerata l’eccezionalità per cui una norma statutaria possa essere oggetto di un’impugnazione in via incidentale.

La questione, in realtà, ne tocca una ancor più complessa e relativa al fondamento del potere regolamentare regionale, in base all’orientamento da ultimo esaminato dovremmo infatti dedurre che tale fondamento sia da rinvenirsi direttamente in Costituzione, da ciò deriverebbe “venir meno” delle disposizioni statutarie contrastanti con tale fondamento, sia un limite invalicabile per i nuovi Statuti.

[22] Balboni E.-Massa M., op. cit., p. 619, i quali escludono l’abrogazione, ammettendo la possibilità che le disposizioni statutarie vigenti possano essere oggetto di una dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte, per essi “quando il contrasto tra norma superiore sopravvenuta e norma inferiore previgente non sia pacifico e indubitabile occorrerebbe comunque una pronuncia della Corte per caducare la norma inferiore”. Analogamente, Giangaspero P., op. cit., p. 764, secondo l’autore, “la situazione considerata potrebbe dar luogo semmai ad un’ipotesi di illegittimità costituzionale sopravvenuta”; si veda anche Tosi R., La competenza regolamentare, op. cit., p. 124

[23] Parla di “novazione” della norma, Camerlengo Q., La titolarità del potere regolamentare, op. cit., p. 74.

Tra gli altri elementi di contrasto tra i due orientamenti: il riferimento alle “altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi”, contenuto nell’art. 121 Cost.; mentre per alcuni, tra le altre funzioni del Consiglio non potrebbe comunque rientrare la potestà regolamentare, Cirri C., op. cit., p. 215 e D’Amico G., op. cit., pp. 148 e ss., per altri tale possibilità è invece da ammettersi, Camerlengo Q., op. cit., p. 69. Anche i lavori preparatori della legge cost. n. 1 del 1999 non aiutano nella risoluzione della questione, tant’è vero che essi sono stati richiamati a sostegno di ciascuna delle due ricostruzioni, si veda Caravita B., op. cit., pp. 114 e ss., per il primo orientamento, e la sentenza n. 868/02 TAR Lombardia, sede di Milano, sezione III, per il secondo.

[24] Sulla prassi successiva all’entrata in vigore della legge cost. n. 1/99, si veda Tarli Barbieri G., Appunti sul potere regolamentare, op. cit., pp. 450 e ss; idem, La potestà regolamentare, op. cit., pp. 647 e ss.

[25] Secondo il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, sent. n. 5637/02, “tanto gli argomenti desumibili dal tenore letterale dell’art. 121 comma 2 Cost. novellato, quanto quelli ricavabili dai lavori preparatori della legge costituzionale e dalla stessa ratio della novella, intesa ad una più evidente e netta separazione di funzioni tra i Consigli regionali, come assemblee legislative, e Giunte regionali, come organi esecutivi, di governo e di indirizzo politico, inclinano a ritenere che, salva diverse e diversificate soluzioni adottabili in sede di emanazione dei “nuovi” Statuti (che ben potrebbero riallocare tale competenza, in tutto o in parte, in capo ai Consigli) allo stato, ed in assenza di nuove disposizioni statutarie di segno contrario, la competenza all’approvazione dei regolamenti regionali non possa ricondursi alla sfera di attribuzioni di giunte regionali”. Conformemente il TAR Lazio, sede di Roma, sent. n. 3254/02, afferma che “poiché l’art. 121 Cost. concerne la distribuzione delle funzioni istituzionali fondamentali tra i vari organi della Regione, senza rinviare a fonti subordinate, è evidente che le regole sulla competenza sono d’immediata applicabilità, indipendentemente dalla modificazione delle norme sostanziali e per l’evidente ragione della necessaria funzionalità del sistema in ossequio alla nuova forma di governo regionale introdotta dalla legge cost. 1/1999 […] lo Statuto non può aggirare i criteri di distribuzione del potere regionale già direttamente apprezzati dalla Costituzione stessa”

[26] Contrariamente alle suddette decisioni, il TAR Lombardia, sede di Milano, ritiene che “l’esame della lettera della modifica costituzionale convince del fatto che sia intervenuta solamente l’abolizione della riserva di potestà regolamentare in capo al Consiglio regionale […] Il vero è che la norma non prende posizione in materia, lasciando libera ciascuna Regione di individuare, nell’esercizio delle sue prerogative di autonomia costituzionalmente garantita, l’organo titolare della funzione regolamentare. Sul piano testuale la tesi è suffragata sia dall’art. 121, II comma, Cost. (nella nuova formulazione), che nell’elencare le funzioni del Consiglio affianca alle potestà legislative ‹‹le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi››, e non si vede perché tra dette funzioni non possa esser ricompresa anche quella di procedere ad una normazione di carattere secondario, sia, a contrario, dalla mancata previsione dell’esplicita attribuzione della potestà regolamentare in capo alla Giunta”.

[27] Parere del Servizio affari giuridici e legislativi della Giunta regionale, 8 febbraio 2000.

[28] Bozza di parere sulla potestà regolamentare della Regione, 14 febbraio 2000.

[29] In Toscana tra il gennaio e l’agosto 2003 sono stati emanati 8 regolamenti, tutti deliberati dalla Giunta regionale; in Campania tra il febbraio e l’ottobre 2003 sono stati emanati 15 regolamenti e, anche in questo caso, tutti deliberati dall’esecutivo, addirittura, taluni privi della preventiva autorizzazione da parte del legislatore regionale (Decreto del Presidente della Giunta regionale Campania n. 634 del 22 settembre 2003 in materia di repressione dell’abusivismo edilizio e di esercizio dei poteri di intervento sostitutivo, in attuazione della normativa statale, oppure il Decreto del Presidente della Giunta Regione Campania n. 651 del 7 ottobre 2003, in materia di aiuti alle piccole imprese operanti nei settori dell’artigianato, del commercio e dei servizi, attuativo di normativa comunitaria); in Puglia, nel 2003, 12 regolamenti, tutti deliberati dalla Giunta, alcuni dei quali, come in Campania, direttamente attuativi di normativa statale (Regolamento regionale 8 settembre 2003 n. 10, in materia di ricollocazione e mobilità del personale dipendente delle aziende sanitarie appartenente al comparto a seguito di processi di ristrutturazione, Regolamento regionale 7 ottobre 2003 n. 12, in materia di ricollocazione e mobilità del personale appartenente all'area dirigenziale medica e veterinaria a seguito di processi di ristrutturazione e Regolamento regionale 17 novembre 2003 n. 17 in materia di Assistenza Sanitaria, in applicazione dell'art. 15-decies del D. Lgs. 502/92 e successive modificazioni, del co. 4 dell'art. 1 della l. 425/96 e della l. 405/01).

[30] Nello stesso senso, Balboni E., Il ruolo degli Statuti: l’autonomia è la regola; il limite l’eccezione, in www.unife.it/forumcostituzionale.

[31] In realtà un primo segnale era stato espresso dalla Corte già nell’ordinanza n. 87/2001 (con commento di Giangaspero P., op. cit., pp. 752 e ss.), in cui si legge che la riforma costituzionale del 1999 “ha eliminato l’obbligatorietà dell’approvazione dei regolamenti da parte del Consiglio o in altri termini ha consentito di far venir meno la riserva di esclusiva competenza dei Consigli regionali del potere di adottare regolamenti”.

[32] La posizione della Corte è pienamente condivisa da Balboni E., op. cit., di diverso avviso, invece, Ruggeri A., L’autonomia statutaria al banco di prova del riordino del sistema regionale delle fonti (a margine di Corte cost. n. 313 del 2003), in www.unife.it/forumcostituzionale ; Cocozza V., Osservazioni in tema di potestà regolamentare dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2003, in https://www.federalismi.it/ , secondo l’autore, la decisione della Corte produrrebbe l’effetto di “ingessare l’azione regionale ad una regola oramai superata, espressa in Statuto attraverso una mera riproposizione di formule costituzionali non più esistenti, rappresentando una menomazione dell’autonomia” (corsivo mio); Salvemini L., Ulteriori riflessioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2003, in https://www.federalismi.it/.

[33] Si veda, ad esempio, lo Statuto della Regione Calabria, approvato il 31 luglio 2003 ed impugnato dal Governo, il quale conferisce la potestà regolamentare alla Giunta (art. 36), facendo salvo il potere regolamentare del Consiglio nelle materie di esclusiva competenza statale qualora sia intervenuta la delega dello Stato (art. 16); oppure, il progetto di Statuto predisposto dalla Commissione Statuto della Regione Toscana, il quale prevede sia regolamenti della Giunta, in attuazione di leggi e contenenti norme organizzative, procedurali e meramente tecniche (spettando gli altri contenuti alla legge), ed in attuazione di atti e norme comunitarie, previo parere delle Commissioni consiliari competenti, sia regolamenti del Consiglio in caso di delega dello Stato nelle materie di sua esclusiva competenza (art. 46 del progetto); nello stesso senso anche il progetto formulato dall’apposita Commissione del Consiglio della Basilicata, che ripartisce, in termini analoghi agli esempi citati, la potestà regolamentare tra Consiglio e Giunta (art. 44 del progetto).

[34] In questo senso, Lucarelli A., Forme di governo e potere regolamentare nel regime transitorio regionale (a margine di Corte costituzionale n. 313 del 2003), in https://www.federalismi.it/

[35] Il dubbio sul ruolo dei regolamenti regionali è alimentato dalla stessa Corte costituzionale, le cui argomentazioni, formulate nella recente sent. n. 303 del 2003, sembrano lasciare poco spazio ai regolamenti regionali “delegati” dallo Stato.