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Gianpaolo Fontana

C’era una volta il principio iura novit curia

(ovvero considerazioni critiche su una peculiare lettura del principio iura novit curia operata dal Consiglio di Stato)*

 

1. A seguito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto da un insegnante avverso il provvedimento di esclusione dalla partecipazione ad un corso speciale abilitante, indetto per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria, il Ministero della pubblica istruzione chiede ed ottiene il prescritto parere della seconda sezione del Consiglio di Stato il quale si segnala sia per il percorso argomentativo sia per le conclusioni alle quali perviene.

Prima ancora di addentrarci in alcune considerazioni critiche veniamo alla fattispecie concreta dalla quale origina il parere del Consiglio di Stato.

Il ricorrente - avendo svolto attività di docenza in una scuola paritaria in virtù di contratto di collaborazione coordinata e continuativa - impugna il provvedimento di esclusione dal corso abilitante per il quale aveva presentato domanda, chiedendone per l’effetto l’annullamento, lamentando erroneità e contraddittorietà della valutazione compiuta dall’amministrazione; quest’ultima, infatti, pur riconoscendo ai docenti assunti con contratto di natura subordinata l’attività di servizio per l’intero periodo del contratto, ha preso in considerazione l’attività d’insegnamento prestata in virtù di contratto di collaborazione coordinata e continuativa a favore di una scuola statale paritaria nei soli limiti degli effettivi giorni di servizio, realizzando per tale via una ingiustificata disparità di trattamento e, quindi, l’ingiusta penalizzazione del ricorrente.

La differente modalità di computo dei giorni di servizio, sembrerebbe derivare dalla diversa natura giuridica del rapporto lavorativo del ricorrente (i.e. contratto di collaborazione coordinata e continuativa anziché contratto di lavoro subordinato)[1] e ciò nonostante la tendenza mostrata dal legislatore, ed evidenziata dal ricorrente, verso la generale assimilazione del rapporto di Co.co.co. a quello di lavoro dipendente, specie sotto il profilo previdenziale.

In buona sostanza l’amministrazione scolastica interessata ha escluso l’insegnante della scuola paritaria dalla partecipazione al corso abilitante, essendo risultato dalla domanda che lo stesso avrebbe prestato, nel periodo di tempo preso in considerazione dalla disposizione normativa primaria (art. 2 della legge n. 143 del 2004) e dal D.M. n. 85 del 18 novembre 2005, solo 154 giorni di servizio a fronte dei 360 giorni necessari.

A fronte di tale prospettazione, la sezione consultiva del Consiglio di Stato constatando <<l’alluvionale produzione normativa di rango primario e secondario, soprattutto nel settore scolastico>> nonché la congerie di norme che regolano lo stato giuridico degli insegnanti, << sovente inconoscibili in quanto affidate non a fonti del diritto oggettivo ma ad ordinanze, decreti, circolari, determinazioni >>, finisce con il rimproverare all’amministrazione scolastica di aver omesso di fornire la propria essenziale collaborazione <<ai fini dell’adeguata conoscenza dei parametri normativi regolatori della controversia>> e, dunque, di aver messo in crisi il fondamentale canone processuale condensato nel principio iura novit curia, desumibile dall’art. 112 ( rectius 113) c.p.c.

A conforto della propria ricostruzione il Consiglio di Stato invoca la nota sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988[2] con la quale è stata sancita la illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p., sulla ignorantia legis in ambito penale, nella parte in cui non escludeva dalla inescusabilità la ignoranza inevitabile.

Per meglio comprendere portata e termini dell’argomentazione che sorregge il parere appare opportuno riportarne i passaggi più significativi; in esso viene testualmente affermato che <<tenuto conto dell’incontrollabile aumento della produzione normativa a tutti i livelli della gerarchia delle fonti, per di più non sorrette da una logica e coscienza comune o da una coerenza con principi e valori generali ma piuttosto da esigenze particolari e settoriali, spesso imprevedibili […] appare arduo assegnare ai giudici un obbligo di conoscenza assoluto e incondizionato, come tale svincolato dall’onere di allegazione e collaborazione di parte>>. Benché il collegio sia consapevole dello << specifico obbligo professionale di ricercare con ogni mezzo possibile la regola del caso concreto>>, considerato che << sarebbe certamente pericoloso, per la tutela dei valori fondamentali sui quali si fonda lo stato, condizionare, di volta in volta, l’esito del giudizio alla prova della esistenza e portata della legge, da parte degli attori privati del processo>>, lo stesso, tuttavia, finisce per affermare che << il principio dell’inammissibilità assoluta della ignoranza della legge da parte del giudice non può spingersi oltre la soglia dell’impossibile e va commisurato con gli altri principi del processo, come quello di lealtà e rappresentanza tecnica, tutti concorrenti al fine fondamentale di non intaccare l’obbligatorietà della stessa legge e la sua necessaria applicazione al caso di specie>>.

E, ancora, nel parere si sottolinea come il principio iura novit curia debba essere inteso nel suo giusto limite; detto limite viene fatto coincidere con le << vere e proprie fonti del diritto oggettivo>> ossia con << precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità con esclusione, quindi, sia di quelli aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume) sia di quelli aventi carattere giuridico ma non normativo in senso tecnico (come gli atti di autonomia privata o i provvedimenti amministrativi) o la cui portata normativa è puramente interna.

In conclusione i giudici amministrativi richiamano l’amministrazione ad assolvere <<un obbligo-onere di cooperazione istruttoria, sul piano delle allegazioni, che trascende il mero onere probatorio le quante volte si tratti di materie affastellate di norme di vario livello gerarchico e perciò di incerta vigenza e di provvedimenti amministrativi a contenuto sostanzialmente normativo.

Non è, del resto, sfuggito al collegio l’onere della parte ricorrente di indicare i motivi di illegittimità dell’atto, tuttavia essendo essa sfornita del << fondamentale apporto della competenza tecnica del difensore>> il parere, con una evidente inversione degli oneri di allegazione delle norme violate, finisce per rimproverare all’amministrazione interessata << di non aver saputo individuare con coerenza e chiarezza la norma applicabile ai casi di valutazione dei servizi maturati nel periodo di riferimento stabilito dalla citata ordinanza n. 85/2005>> nonché di non aver dato << supporto normativo all’affermazione in base alla quale << il servizio prestato dal ricorrente sarebbe di soli 154 giorni lavorativi>>.

Non avendo chiaro, dunque, come in due anni di servizio prestati dal ricorrente siano stati dall’amministrazione riconosciuti solo 154 giorni di servizio, il parere del Consiglio di Stato conclude per l’accoglimento del ricorso.

 

2. Il parere del Consiglio di Stato, oggetto del presente commento, è parso meritevole di segnalazione in quanto rappresenta un esplicito e significativo ridimensionamento del fondamentale principio processuale iura novit curia[3] il quale - pur tra difficoltà applicative non trascurabili - resta un inderogabile caposaldo del moderno stato di diritto ed, in particolare, dell’esercizio della funzione giurisdizionale negli ordinamenti ispirati al principio di legalità.

Il tema della problematica conoscenza delle disposizioni normative applicabili in giudizio e dei limiti operativi del principio iura novit curia paiono, tuttavia, affrontati con argomenti ed esiti interpretativi i quali, a sommesso avviso dello scrivente, si prestano a consistenti e preoccupa(n)ti rilievi critici.

Superato un primissimo ed istintivo senso di sollievo (per il fatto che anche un sì autorevole collegio di consulenza giuridico-amministrativa non resti estraneo alle difficoltà ed alle incertezze connesse all’attività di individuazione delle disposizioni normative applicabili alle fattispecie concrete e, dunque, agli effetti di quello che è stato efficacemente definito l’ordinamento impazzito[4] ed occulto[5]), un appena più meditato ed accorto esame degli esiti ricostruttivi e delle implicazioni sottese al parere, finiscono per schiudere la strada ad un sentimento di viva sorpresa.

Ancor più che la conclusione alla quale perviene, è l’impianto argomentativo che sorregge il parere (non privo di talune sviste [6]) a lasciare perplessi e ciò soprattutto in considerazione della particolare autorevolezza del collegio dal quale esso proviene e delle aspettative che cittadini e pubbliche amministrazioni nutrono per la qualificata e pregevole attività consultiva del Consiglio di Stato[7].

 

 

3. Ma tentiamo di evidenziare gli aspetti di maggiore criticità che paiono emergere dal parere.

In primo luogo il percorso argomentativo pare condotto in maniera poco convincente, finendo, in alcuni passaggi, per confondere piani che sarebbero dovuti restare distinti.

In maniera alquanto disinvolta, il parere finisce per sottrarre gli organi della applicazione del diritto - quale è il Consiglio di Stato nell’ambito dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica – all’obbligo della previa ricerca ed individuazione d’ufficio della regola del diritto da applicare al caso concreto[8].

Ora, com’è noto, il principio iura novit curia non trova assoluta ed incondizionata applicazione, soffrendo limitate eccezioni che, tuttavia, non paiono ricorrere nel caso di specie[9]. Le ipotesi che limitano la portata applicativa ovvero che escludono del tutto il ricorso a detto canone processuale sono rappresentate dagli atti giuridici privi di carattere normativo, da taluni atti normativi privi di pubblicazione, dal diritto consuetudinario nonché dal diritto straniero ovvero appartenente ad un altro ordinamento. I più rilevanti problemi di ordine non solo teorico ma anche pratico nell’applicazione del principio di cui all’art. 113 c.p.c. si riferiscono alla esatta individuazione degli atti costituenti il diritto oggettivo rispetto a quelli che, pur forniti del carattere giuridico, non presentino il carattere della normatività ovvero che pur presentando detto carattere appartengano ad altri ordinamenti giuridici[10].

 Ora anche a prescindere dalla controversa esistenza nel nostro ordinamento di un generale e tassativo obbligo in capo alle parti processuali di indicazione delle norme di diritto applicabili[11], stando a quanto emerge dal parere, risulta che fossero state indicate le norme giuridiche primarie che, (almeno) in via essenziale, regolavano la materia (art. 2 della legge n.143 del 2004); ciò non toglie, ovviamente, che la disciplina normativa indicata fosse ex se sufficiente a definire il caso concreto e quindi priva di lacune ovvero di antinomie normative da colmare e risolvere attraverso i consueti canoni ermeneutici.

Il constatare che l’ambito materiale di disciplina (i.e. il reclutamento professionale dei docenti) interessato dal prescritto parere, risulti connotato da una produzione normativa convulsa, alluvionale e contraddittoria spinge la sezione referente del Consiglio di Stato, da un lato, a negare l’ obbligo di conoscenza assoluto ed incondizionato come tale svincolato dall’onere di allegazione e collaborazione di parte e, dall’altro, ad affermare che il principio dell’inammissibilità assoluta dell’ignoranza della legge da parte del giudice non può spingersi oltre la soglia dell’impossibile e va commisurato con gli altri principi del processo come quello di lealtà e rappresentanza tecnica dal quale discenderebbe un obbligo-onere in capo all’amministrazione di cooperazione istruttoria sul piano delle allegazioni che trascende il mero onere probatorio.

Pur avendo ben presente il tramonto di ogni visione ingenuamente illuminista sul ruolo meramente dichiarativo della funzione giurisdizionale e l’inesistenza di connaturati attributi di completezza e coerenza dell’ordinamento, pur essendo ben avvertiti della ormai cronica crisi della concezione giuspositivistica del sistema delle fonti di produzione normativa, pur considerando sempre utile e consigliabile la cooperazione istruttoria sul piano delle allegazioni normative, nonostante tutto ciò, resta di tutta evidenza che permane integro sul giudicante l’obbligo di ricercare le norme applicabili al caso concreto ovvero quello di verificare se quelle indicate dalla parte (anche se pubblica) siano davvero pertinenti, valide ed efficaci:<< è ius receptum che la previsione di tali indicazioni non impedisce al giudice, proprio in virtù del principio iura novit curia, di applicare altre disposizioni o norme qualora egli lo ritenga corretto o doveroso per adempiere il suo fondamentale dovere di osservanza della legge>>[12].

 Quid iuris, infatti, se vengono (consapevolmente o meno) indicate disposizioni normative non pertinenti ovvero annullate dal giudice amministrativo (qualora di rango secondario) ovvero dichiarate incostituzionali (qualora di rango primario) dal giudice delle leggi ovvero ancora oggetto di abrogazione[13] (magari espressa), ovvero derogate da norme speciali ?

 Non a caso è stato sostenuto che << la portata del principio iura novit curia consiste tuttavia nell’escludere ogni limitazione al potere del giudice di accertare d’ufficio l’esistenza di fatti che comunque possano influire sulla vigenza, validità applicabilità ecc., di una disposizione o norma>> [14].

 Resta incontrovertibile, dunque, che << è sull’interprete che grava per intero il compito di riportare a coerenza l’insieme delle disposizioni legislative, onde ricavarne la norma del caso, norma che deve necessariamente essere reperita (nonostante le lacune della legislazione) e deve essere necessariamente univoca e non smentita da altre norme concorrenti>>[15].

 

4. Sotto altro profilo l’attività del giudice verrebbe oltremodo limitata e svalutata se la ricerca delle disposizioni normative applicabili venisse condizionata dalla previa e necessaria indicazione (più o meno corretta ed interessata), delle parti: << postulare l’unità, la completezza e la coerenza come dati esistenziali significa negare il peso dell’attività ermeneutica nella costruzione dell’ordinamento, intendere quest’ultimo come complesso di norme bell’ e fatte precedenti l’attività ermeneutica e non come insieme delle norme risultanti appunto dall’attività interpretativa>>[16].

Temperare, poi, la portata del fondamentale principio iura novit curia invocando la concorrenza di altri principi processuali (come quello di lealtà e di rappresentanza tecnica) di incerta configurazione e, comunque, non direttamente attinenti al ruolo ed alla funzione del giudicante, testimoniano l’applicazione di un criterio di bilanciamento per nulla convincente.

Sarebbe bene, infatti, non dimenticare che << non contraddittorietà, coerenza e completezza non sono realtà oggettive già esistenti che vanno soltanto scoperte, ma sono ideali regolativi che presiedono ad ogni ricostruzione del diritto vigente, cosicché dovere professionale del giurista è perseguire, fin dove materiale di partenza lo consente (nota bene), non contraddittorietà, coerenza e completezza>>[17]; come è stato, infatti, osservato <<la coerenza non è una qualità o caratteristica dell’ordinamento in atto bensì l’obiettivo, lo scopo da realizzare>>[18] così come la completezza è una necessità deontologica dell’ordinamento che non va confusa con la necessità esistenziale[19].

Rispetto a tali precisi obblighi esegetici ed istituzionali il parere del Consiglio di Stato si chiama fuori con un atteggiamento palesemente rinunciatario che denota una chiara fuga dalla << responsabilità interpretativa >> che pure dovrebbe connotare, in maniera inderogabile, l’esercizio della funzione giurisdizionale[20].

 

5. E’ sino troppo noto come i metodi dell’interpretazione essendo molteplici, differenti, in competizione reciproca ed affidati alla esclusiva responsabilità del singolo interprete possono dar luogo anche a risultati decisionali diversi[21]; ma nel predetto parere, ciò che maggiormente sorprende, è che non è dato comprendere quale metodo, in concreto, sia stato seguito; resta, invero, la sensazione che il collegio abbia preferito risparmiarsi una faticosa indagine sulle disposizioni normative applicabili.

Le difficoltà (anche consistenti) di ricostruzione ed interpretazione del contesto normativo non possono offrire al giudice l’alibi per l’abdicazione alla propria funzione istituzionale[22]; il rifiuto ovvero la non curanza del giudice nel reperire la norma applicabile al caso concreto, infatti, risulta non condivisibile per, almeno, due ordini di motivi, uno di metodo e l’altro di natura pratico-sostanziale.

Quando il giudice adotta la decisione del caso concreto senza aver adempiuto all’obbligo di reperimento ed interpretazione (quale essa sia) della norma di diritto, finisce fatalmente per infrangere un suo dovere fondamentale (quello della applicazione in giudizio di una regola iuris precostituita e da ricavare dall’ordinamento dato, facendo ricorso ai metodi ermeneutici ed ai criteri esegetici che egli ritenga più opportuni) e per sottrarsi alle regole fondamentali dello stato di diritto che inibiscono al giudice, con la totale pretermissione del vincolo normativo, la creazione pura e libera del diritto.

Siamo, dunque, fuori da ogni disputa sulla natura più o meno creativa dell’attività interpretativa e sui problemi connessi alla cd sovra- interpretazione dei testi normativi[23]; nel nostro caso il giudice, per quanto possa suonare paradossale, risolvendo la controversia sottoposta alla sua cognizione (nel nostro caso nel fornire il parere all’autorità di governo di accogliere il ricorso presentato dall’insegnante) pare non faccia applicazione di alcuna regola del diritto appartenente e ricavata dall’ordinamento, ma crea la regola di diritto in maniera del tutto autonoma per, poi, applicarla al caso concreto finendo, dunque, per trasformarsi in legislatore assoluto (legibus solutus, appunto) tramite un incondizionato e puro atto di creazione del diritto; si viene, dunque, a creare una situazione tale per cui << non osservando il diritto il giudice verrebbe a concedere alla parte un diritto (soggettivo) che non le spetta o a negarle un diritto(soggettivo) che le spetta>>[24].

Ciò che emerge dal parere, infatti, è l’assenza di ogni sforzo di ricerca ed interpretazione delle disposizioni normative applicabili al caso concreto e la indisponibilità a servirsi di quegli strumenti, pure attingibili, che possono soccorrere il giudice nel reperire la norma applicabile al caso concreto[25].

A ben vedere, infatti, il parere suggerisce di accogliere il ricorso proposto non già perché viene accertata la violazione del diritto contestata dal ricorrente ovvero perché si confuta la interpretazione fornita dall’amministrazione procedente delle norme disciplinatrici la materia ma perché non si comprendono le ragioni (di mero fatto?) che hanno condotto all’adozione del provvedimento di esclusione dal corso di abilitazione. A ben vedere, allora, se il parere si fosse determinato a suggerire l’accoglimento del ricorso in ragione esclusiva della mancata prova fornita dall’amministrazione dei fatti impeditivi del riconoscimento in capo al ricorrente dei 360 giorni di servizio nel periodo considerato (così come previsto dall’art. 2, comma 1 lett. c), della legge n. 143 del 2004) non vi sarebbe stato alcun bisogno di invocare il mancato assolvimento degli oneri di cooperazione istruttoria sul piano normativo nonché di scomodare una considerevole limitazione del principio iura novit curia.

La decisione sarebbe stata quella dell’accoglimento del ricorso ma facendo applicazione delle normali e consuete regole processuali ovvero per la mancata allegazione dei fatti e non delle norme.

 

6. Oltre alle perplessità di natura metodologica non mancano, invero, obiezioni anche di ordine pratico-sostanziale.

Ad accogliere, infatti, le tesi prospettate nel suindicato parere le quali, come visto, tendono a ridimensionare il principio iura novit curia nei confronti dei soggetti giudicanti (istituzionalmente tenuti a far rispettare le regole di diritto ed a sanzionarne la violazione) si farebbe assai fatica a pretendere l’osservanza delle norme di diritto da parte dei comuni cittadini, consentendo, a lungo andare, per tale via, lo sfaldamento dell’ordinamento, la perdita della sua capacità di ordinazione e, dunque, il senso stesso dell’ordinamento giuridico.

Ancor più sorprendentemente, poi, la sezione referente non limita la portata delle proprie affermazioni agli organi di consulenza e/o applicazione del diritto non giurisdizionali (quale essa pure era nell’occasione) finendo, al contrario, per estenderle ai giudici propriamente detti e considerati[26]. In verità è noto come la funzione consultiva del Consiglio di Stato tenda sempre di più ad avvicinarsi a quella giurisdizionale propriamente detta, condividendone oltre alla funzione di garanzia del principio di legalità anche forme e garanzie di esercizio[27].

Il parere non pare sufficientemente avvertito della circostanza che il principio iura novit curia, per come codificato nell’art. 113 c.p.c, si situa in un nevralgico crocevia di regole processuali e sostanziali che concorrono a delineare la posizione istituzionale del giudice nell’ordinamento e rinvengono il proprio fondamento e garanzia in precisi principi ordinamentali anche di rango costituzionale.

La soggezione alla legge e l’obbligo di giudicare sono, infatti, due situazioni soggettive che connotano la funzione giurisdizionale e che, da un lato, assicurano il funzionamento della giustizia statale e, dall’altro, radicano il divieto del ricorso alla violenza ed alla giustizia privata nella risoluzione delle controversie[28].

Sotto altro profilo, poi, che il giudice al quale sia devoluta una qualsiasi controversia sia giuridicamente tenuto a risolverla, facendo applicazione delle norme del diritto oggettivo vigenti (e ciò anche a prescindere dalle diverse indicazioni e prospettazioni normative effettuate dalle parti coinvolte nel giudizio) è principio che, ad un tempo, implica e garantisce: il principio di legalità (applicato sia alle decisioni giudiziarie sia ai provvedimenti dei pubblici poteri); la soggezione del giudice alla legge (art.101 Cost.)[29]; l’autonomia e l’indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.); il principio di doverosità delle decisioni giudiziarie (e, dunque, il divieto del non liquet[30]); il principio di separazione dei poteri; il principio di sovranità popolare e la conseguente connotazione democratica della nostra forma di Stato (art. 1 Cost.); il principio di certezza del diritto; il principio di uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge (ex art. 3, primo comma, Cost.); e, last but not least, lo stesso principio di obbligatorietà delle norme (art. 54 Cost.) e con esso la stessa funzione regolativa del diritto.

Prima di mettere in discussione un principio di così ampia portata[31], di rilevanza sistemica e dalle implicazioni costituzionali così pregnanti era lecito attendersi dalla sezione del Consiglio di Stato una maggiore cautela ed accortezza.

 

7. Il carattere non sufficientemente meditato della struttura argomentativa del parere risulta, infine, avvalorato dall’invocazione della sentenza n. 364 del 1988 la quale,in verità, fu resa in un contesto e con motivazioni del tutto differenti.

E’ sufficiente rileggere alcuni passaggi della celebre pronuncia del giudice delle leggi per comprendere come la stessa attenesse al rapporto tra soggetti privati e legge penale ed al dovere di conoscenza delle leggi gravante sui destinatari dei precetti penali << incombono sul privato preliminarmente strumentali specifici doveri d’informazione e conoscenza>>[32]. Come risulta evidente, infatti, la portata della decisione di incostituzionalità non può essere estesa a soggetti ed ambiti diversi rispetto a quelli espressamente e chiaramente individuati dalla Corte costituzionale:<<il fondamento costituzionale della scusa dell’inevitabile ignoranza della legge penale vale soprattutto per chi versa in condizioni soggettive di inferiorità e non può certo essere strumentalizzata per coprire omissioni di controllo, indifferenze ecc. di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali>> e ancora << ove (a parte i casi di carente socializzazione dell’agente) la mancata previsione dell’illiceità del fatto derivi dalla violazione di obblighi di informazione giuridica, che sono, come s’è avvertito, alla base di ogni convivenza civile deve ritenersi che l’agente versi in evitabile e, pertanto, rimproverabile ignoranza della legge penale>> [33].

 

8. La sezione del Consiglio di Stato con il proprio parere, dunque, non si è limitata a constatare l’esistenza di limiti del principio iura novit curia ma, ben diversamente, ha finito per contribuire attivamente a metterlo in crisi, non ottemperando minimamente ad esso.

Ora non si ignorano di certo le difficoltà e le incertezze che l’interprete (ancorchè qualificato) incontra nell’attività di reperimento delle disposizioni normative regolative dei casi concreti nonché nella loro corretta interpretazione ed applicazione in ragione di tutte quelle vicende compendiate nella crisi della legge[34] e che vanno dalla inflazione normativa alla sciatteria della tecnica legislativa, dai processi di decodificazione e negoziazione alla generale amministrativizzazione della legge, dalla ambiguità, vaghezza ed oscurità dei contenuti prescrittivi alla imprevedivibilità e contraddittorietà delle decisioni giurisdizionali; è questo aspetto, mai sufficientemente deprecato, del nostro ordinamento giuridico, ipertrofico e disordinato come pochi altri[35].

A ben vedere, dunque, la coerenza e completezza dell’ordinamento non rappresentano affatto qualità intrinseche e precostituite ma presuppongono l’attività e lo sforzo ricostruttivo ed esegetico dell’interprete (specie se qualificato) al fine di rimediare ai guasti rappresentati dalla crisi della legge.

E, allora, quanto più un ordinamento è disordinato e complesso tanto più diventa necessaria l’attività di interpretazione dei giudici ed il loro sforzo di ricondurlo ad unità, coerenza e completezza[36]; la coerenza e la completezza, del resto, vanno ricercati, perseguiti e realizzati proprio a livello applicativo essendo per certi versi inevitabile che la legislazione, per il suo stesso incessante prodursi e riprodursi, sia ridondante e contraddittoria.

Sotto un profilo più generale sarebbe, allora, bene riflettere che la crisi della legge e le sue patologiche conseguenze si realizzano non solo sul piano della legis-latio ma anche sul terreno della interpretazione ufficiale e della applicazione giurisdizionale.

Il modo peggiore, tuttavia, per aggravare le disfunzioni ed il cattivo rendimento del sistema normativo è rappresentato non già da decisioni errate, incongrue e, per questo, criticabili ma proprio da una apparente fuga dalla decisione ben rappresentata dal predetto parere che finisce per alterare ruolo e funzione del giudice e degli organi di applicazione del diritto.

Pare di poter dire che la sezione del Consiglio di Stato autrice del parere de quo abbia rinunciato in partenza a fornire il proprio contributo esegetico finendo per contribuire, ben diversamente, al deficit di obbligatorietà, al pericolo di dissoluzione prescrittiva dell’ordinamento ed alla creazione incontrollata del diritto giurisprudenziale i quali paiono fenomeni ben più gravi e deprecabili della cattiva ed imperfetta applicazione delle norme di diritto.

In conclusione sia consentito rilevare che larga parte degli effetti negativi implicati alla cattiva, erronea e contraddittoria ed incerta applicazione del diritto (che tanto allarme e spesso disaffezione creano nei consociati e nei destinatari finali delle norme) trovano un decisivo fattore di produzione proprio quando la funzione giurisdizionale e consultiva viene svolta nei modi che hanno contrassegnato il parere in esame.



* In corso di pubblicazione sulla Rivista Giurisprudenza Italiana

 

[1] Siffatta quaestio interpretativa, benché appaia centrale nel caso di specie, viene del tutto ignorata dal parere del Consiglio di Stato in esame.

[2] Corte cost., n. 364 del 1988 in Giur. It., 1988, I, 1, 1076.

[3] L’art. 113 c.p.c. testualmente recita << nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità>>.

[4] V. AINIS, La legge oscura, Roma-Bari, 2002, 24.

[5] V. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, III ed., 1992, 306.

[6] La sezione invoca il principio iura novit curia desumendolo dall’art. 112 c.p.c. anziché dall’art. 113 c.p.c.

[7] La perplessità risulta viepiù giustificata alla luce del fatto che le sezioni consultive del Consiglio di Stato si trovano, di frequente, ad offrire il proprio contributo tecnico-giuridico sul terreno della semplificazione normativa e dei rimedi utili a contrastare la cd crisi della legge, fenomeno che, notoriamente, attiene anche alla difficile individuazione delle norme applicabili alle fattispecie concrete; più di recente v. parere del Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, 21 maggio 2007, n 2024; in dottrina si rinvia alle considerazioni di NOCILLA, Le funzioni del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione:il senso di un’esperienza, in Giur. It., 2007, 1035 e segg.

[8] Sul principio in argomento v. PIZZORUSSO, voce<< Iura novit curia (Ordinamento italiano>> in Enc. Giur., Roma, 1989; G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna, 1998, 18-19; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, XIV ed., 2002, 89 e segg.;

[9] Sul punto v. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Le Fonti normative, II.1, Padova, 1993, 13-14; PIZZORUSSO, voce << Iura novit curia>>, cit.,2.

[10] In via generale si ravvisa una presunzione assoluta di conoscenza da parte del giudice della norme contenute in atti soggetti a pubblicazione e, quindi generalmente conoscibili; le difficoltà pratiche nell’applicazione del principio, dunque, si pongono per gli atti normativi non soggetti a pubblicazione ovvero per gli atti, pur soggetti a pubblicazione ma di dubbia o controversa normatività; a fronte di orientamenti giurisprudenziali alquanto oscillanti e disomogenei pare che, più di recente, si sia consolidato un indirizzo estensivo e generalizzato sull’applicazione del principio iura novit curia anche alle ipotesi più controverse; è stato, infatti, ritenuto applicabile il principio in argomento sia agli statuti comunali sia i regolamenti edilizi rispettivamente da Cass. civ., sez. un.,16 giugno 2005 n. 12868 e Consiglio di Stato, sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8280. L’applicabilità del principio viene, poi, affermata anche in relazione al diritto consuetudinario (v. GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, 264) mentre per ciò che attiene al diritto straniero parte della dottrina ha ritenuto ad esso, pure, applicabile detto principio ( v. MICHELI, Jura novit curia, in Riv. dir. proc., 1961,575 e segg.) mentre attualmente l’art. 14, comma 1, della legge n. 218 del 1995 prevede che << l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice >> e che a tal fine egli <<può avvalersi oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e giustizia>> e, ancora, << può altresì interpellare esperti o istituzioni specializzate>>.

[11] Cfr PIZZORUSSO, voce << Iura novit curia>>, cit.,3.

[12] Così PIZZORUSSO, voce << Iura novit curia>>, cit.,2.

[13] Sull’obbligo del giudice di applicare lo ius superveniens intervenuto in grado di appello v. Cass., 16859/2003.

[14] Così PIZZORUSSO, voce << Iura novit curia>>, cit., 1. E’, del resto, ammesso dalla stessa giurisprudenza che << ove sia dedotta in modo specifico una censura di violazione di legge con indicazione erronea della norma violata, di individuare quella effettivamente applicabile in virtù del principio iura novit curia>> così Tar Lazio, sez. I, n 1934.del 2004 ma, ex plurimis, si vedano anche Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2306; Cass., 12 aprile 2006, n. 8520; Cass., 2 febbraio 1995, n. 1222; Cass. 15 ottobre 1991, n. 10847.

[15] Così BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione, paper edito sul forum web dei Quad. Costit., 3

[16] Così MODUGNO, Diritto pubblico generale, Roma-Bari, 2002, 33.

[17] Così G. U. RESCIGNO, Il giurista come scienziato, in Dir. Pubbl., n. 3/2003, 856.

[18] Così MODUGNO, Appunti per una teoria del diritto. La teoria del diritto oggettivo, III ed., Torino, 2000, 103-104.

[19] Cfr. MODUGNO, Appunti per una teoria del diritto. La teoria del diritto oggettivo, cit., 112-113; << tutti i giuristi ritengono che sia loro dovere professionale ricostruire il diritto in modo non contraddittorio, coerente e completo>> così G. U. RESCIGNO, Il giurista come scienziato, cit., 855.

[20] Sul punto v. MARINELLI, Studi sul diritto vivente, Napoli, 2008, 85 e segg.

[21] In argomento v. ZACCARIA, Il giudice e l’interpretazione, in Pol. Dir., n. 3/2006, 465; VIOLA-ZACCARIA, Diritto e interpretazione.Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999, 215.

[22] << L’obbligo del giudice di decidere le controversie che gli vengono sottoposte ha come naturale corrispettivo il suo potere di stabilire la regola giuridica applicabile, e ciò anche quando manchi una chiara ed univoca disposizione. In altre parole, il dover rendere comunque il giudizio trova il suo necessario complemento nella competenza del giudice a risolvere i casi di oscurità, ambiguità, vaghezza, imprecisione, lacunosità, antinomicità del dettato normativo>> così MARINELLI, Studi sul diritto vivente, cit., 7.

[23] Sulle diverse tipologie e teorie dell’interpretazione cfr. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, spec. 79 e segg.; LUZZATI, L’interprete e il legislatore, Milano, 1999, 87 e segg.; MODUGNO, Appunti dalle lezioni di teoria dell’interpretazione, Padova,1998, 1 e segg.

[24] Così S. SATTA, in Iura novit curia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 380

[25] Il riferimento va in particolare all’art 13 del D.p.r . 24 novembre 1971 n. 1199 il quale, proprio in relazione ai ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, prevede che << l’organo al quale è assegnato il ricorso, se riconosce che l’istruttoria è incompleta o che i fatti affermati nell’atto impugnato sono in contraddizione con i documenti può richiedere al ministero competente nuovi chiarimenti o documenti ovvero ordinare al ministero medesimo di disporre nuove verificazioni>>.

[26] La natura giurisdizionale della funzione consultiva del consiglio di Stato ed, in particolare, del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica pur ammessa dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee è stata, invece, esclusa dalla Corte costituzionale italiana con la sentenza n. 254 del 2004; sul tema v. A. PATRONI GRIFFI, Accesso incidentale alla corte costituzionale e tutela dei diritti: note minime anche a proposito delle Authorities, Relazione al convegno sul tema Politica, Economia, e Giustizia.La tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini come fattori di garanzia, Roma, 1 marzo 2006 reperibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it; NOCILLA, Funzione consultiva e Costituzione, in www.giustizia-amministrativa.it; LEO TARASCO, La funzione consultiva come attività (para)giurisdizionale: questione di costituzionalità deferibile anche nel ricorso straordinario al Capo dello Stato in Foro amm., n. 12/2003, 3874 e segg. ; M. ESPOSITO, Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e giudizio incidentale di legittimità costituzionale: anacronismi decisori del giudice delle leggi in Giur. Cost., 2004, 2249 e segg.

[27] << L’evoluzione della funzione consultiva del Consiglio di Stato […] sembra rendere, pertanto palese il distacco da qualsiasi forma di consulenza su attività concrete dell’amministrazione ed il suo concentrarsi […] su funzioni di giustizia e di garanzia oggettiva della conformità alla legge ed ai valori costituzionali delle norme chiamate ad innovare l’ordinamento amministrativo>> così PAJNO, voce << Consiglio di Stato>> in Dizionario di dir. pubbl., II, Milano, 2006, 1323; i pareri resi nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica sono stati considerati, del resto, <<attività consultiva in funzione sindacatoria o, se si vuole, di controllo>> e, comunque, espressione di <<una funzione paragiurisdizionale>> così NOCILLA, Funzione consultiva e Costituzione, cit.

[28] Sul punto v. MARINELLI, Ermeneutica giudiziaria, Milano, 1996, 227.

[29] Sul punto, in particolare, cfr. GUASTINI, Il giudice e la legge, Torino,1995, spec. 49-51.

[30] Il divieto di non liquet trovava il proprio esplicito riconoscimento nell’art. 4 del codice napoleonico; si ritiene che esso sia talmente connaturato alla funzionalità del moderno stato di diritto da non richiede espresse codificazioni; un riferimento a tale principio, tuttavia, viene individuato nell’art. 12 delle disp. prel. c.c. nella parte in cui prescrive il ricorso ai principi generali del diritto per la soluzione delle controversie; in tal senso v. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 229.

[31] II dovere giuridico di conoscenza è stato in dottrina affermato anche in relazione ai precedenti giudiziari, sul punto v. MARINELLI, Ermeneutica giudiziaria, cit.,259 e segg. e 267 e segg.

[32] Cfr. Corte cost. n. 364/1988 punto 18 del considerato in diritto.

[33] Cfr. Corte cost. n. 364/1988 punto 27 del considerato in diritto.

[34] Sulla crisi della legge v. AINIS, La legge oscura, cit.; MODUGNO-CELOTTO-RUOTOLO, Considerazioni sulla crisi della legge, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, cit., 325 e segg.; LUCIANI, La crisi del diritto nazionale, in Storia d’Italia. Legge, diritto e giustizia, Vol. 30, ed. Il sole 24 Ore, Milano, 2006, 1005 e segg.; MODUGNO-NOCILLA, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. Soc., 1989.

[35] L’indifferibile necessità di rimediare alla crisi della legge, in particolar modo, sotto il profilo della inflazione legislativa e del riassetto del sistema normativo ed amministrativo hanno condotto, negli ultimi tempi, il legislatore ad adottare politiche di semplificazione e codificazione oltre a tecniche di buona redazione degli atti normativi rispetto alle quali il Consiglio di Stato è venuto via via assumendo un ruolo di primissimo piano; sul tema, più di recente, CELOTTO-MEOLI, voce << Semplificazione normativa (dir. pubbl.)>>, in Dig. Pubbl., agg.to, II, Torino, 2008, 806 e segg. v. F. PATRONI GRIFFI, La semplificazione amministrativa, intervento al convegno sul tema Il sistema amministrativo a dieci anni dalla riforma Bassanini, Università di Roma Tre, 31 gennaio 2008; CARNEVALE, Le politiche sulla legislazione: codificazione e semplificazione, in AA.VV.,La funzione legislativa, oggi, a cura di Ruotolo, Napoli, 2007, 55 e segg.; in particolare sul ruolo del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione v. NOCILLA, Le funzioni del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione:il senso di un’esperienza, in Giur. It., 2007, 1035 e segg.

[36] BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione, cit.,2.