PASQUALE COSTANZO
Il pubblico ministero presso le giurisdizioni speciali
nell’ordinamento costituzionale italiano*
Sommario: 1. Il quadro
costituzionale italiano. – 2.
“Topografia” del pubblico ministero
presso le giurisdizioni speciali. –
3. Il pubblico ministero contabile. – 4. Il pubblico ministero
militare. – 5. Azione disciplinare e pubblico ministero davanti al Consiglio
Superiore della Magistratura (e alle giurisdizioni speciali). – 6.
Accusa parlamentare e pubblico ministero
davanti alla Corte costituzionale. – 7.
Alcune conclusioni. – 8. Riferimenti normativi, giurisprudenziali e bibliografici.
1. Il quadro costituzionale italiano.
Il
tema di queste mie note coincide con un profilo della complessiva
organizzazione della giurisdizione nell’ordinamento costituzionale italiano che
si potrebbe definire eufemisticamente “di nicchia”.
Più
realisticamente credo invece che si sia in presenza, per utilizzare una metafora
cara ad alcuni dei presenti, di una “zona d’ombra”, della quale è inevitabile,
questa volta, far carico in primo luogo agli stessi Padri costituenti, che
mostrarono, nell’art. 108, 2° comma, della nostra Costituzione, di considerare
le tematiche del pubblico ministero
presso le giurisdizioni speciali
non così tanto pressanti da meritare la loro diretta e circostanziata
attenzione. Si scelse, infatti, di rimettere anche qui la “sorte” del pubblico ministero sostanzialmente alla
legge, anche se – occorre sottolinearlo alla luce dell’intera problematica
affrontata in quest’incontro – non si rinunciò ad affermare il basilare
principio dell’indipendenza del pubblico ministero
con una formula persino meno controllata e cauta di quella che apparentemente
sembra assistere l’analogo organo nell’ambito della giurisdizione ordinaria.
Un
altro fattore, che denota quantomeno la frettolosità del costituente, è dato da
quella sorta di affastellamento in un’unica disposizione, sotto l’egida
unificatrice dell’appena menzionato principio d’indipendenza, di realtà
alquanto diverse tra loro, quali, oltre al pubblico ministero, gli stessi giudici delle giurisdizioni
speciali, nonché dei c.d. estranei che partecipano
all’amministrazione della giustizia (FALZONE, PALERMO e COSENTINO).
Ma
l’elemento più rilevante in quanto gravido d’interrogativi risulta, anche sul
piano sistematico, il fatto che, com’è noto, è la stessa connotazione di
“speciale” ad apparire recessiva e negativamente connotata nel testo
costituzionale, dove il termine, con specifico riferimento alla giurisdizione,
compare quattro volte: nell’art. 102, 2° comma, dove addirittura viene posto il
divieto d’istituzione di giudici speciali; nell’art. 108,
già menzionato, dove, in apparente contraddizione con tale divieto, si ragiona
sia di giudici speciali, sia del pubblico
ministero presso di essi; e, analogamente, nell’ultimo
comma dell’art. 111, che provvede ad estendere il rimedio del ricorso in
cassazione de libertate anche alle
decisioni emesse da organi giurisdizionali speciali.
Finalmente nella disposizione VI, 1° comma, transitoria e finale, si getta luce
sul fatto che gli organi speciali di giurisdizione
esistenti al momento dell’entrata in vigore della Costituzione avrebbero dovuto
(secondo l’interpretazione più blanda fornita più tardi dalla Corte
costituzionale nella sentenza 92/1962) essere assoggettati ad una revisione
idonea quanto meno a portarli a coerenza con i principi repubblicani (ma, com’è
noto, anche un simile più circoscritto obiettivo è stato tardivamente e
faticosamente perseguito soprattutto sotto l’impulso della giurisprudenza
costituzionale), mentre, nella medesima disposizione, appare ribadita la
peculiare collocazione, già nettamente evidenziata dagli artt. 100, 103 e 125
della Costituzione, delle giurisdizioni amministrativa
contabile e militare.
In
questo quadro, è ancora di grande interesse notare come la fisionomia del pubblico ministero, precisata dall’art.
112 della Costituzione italiana (d’ora in poi semplicemente “Cost.”) con riferimento
solo al suo ruolo di promotore vincolato dell’azione penale, sembri svelare la
sua caratterizzazione di organo necessario nella sola dimensione della
magistratura ordinaria, la cui disciplina è rimessa alle norme sull’ordinamento
giudiziario, mentre nulla parrebbe in proposito di potersi immediatamente
desumere per quanto concerne le giurisdizioni speciali, anche se crediamo non implausibile, sistematicamente
risalendo proprio attraverso l’accennato art. 112 Cost., predicarne
l’imprescindibile esistenza almeno presso le giurisdizioni
speciali dotate di competenze penali.
Ma, su
un piano generale, non sembra difficile rilevare l’esistenza di un principio
generale ordinatore del processo per cui le esigenze del contraddittorio, così
fortemente messe in valore, tra l’altro, con la revisione dell’art. 111 Cost.,
debbano trovare generale soddisfazione (e quindi non solo a favore del soggetto
privato), grazie alla presenza di un organo deputato a sostenere l’accusa
quando siano in gioco interessi pubblici (un’ottica parzialmente differente
motiva invece la presenza del Pubblico Ministero
nel processo civile, mentre la sua assenza nel processo amministrativo può
giustificarsi con un modello processuale fondamentalmente imperniato
sull’impulso del privato), provvedendo poi, per l’ipotesi che ciò si riscontri
nell’ambito di una giurisdizione speciale, proprio l’art. 108, 2° comma, della
Cost., da cui abbiamo preso le mosse, che all’evidenza esige che un tale organo
sia organizzativamente e funzionalmente disegnato in modo da assicurarne –
analogamente a quanto avviene nell’ambito della giurisdizione ordinaria –
l’imparzialità e l’autonomia (non solo rispetto, com’è più ovvio pensare,
all’amministrazione, ma anche alla stessa funzione giudicante, come suggerisce la
ormai risalente vicenda del pretore-pubblico ministero).
L’argomento
sembra suscettibile d’essere ancora convalidato sulla base dell’espressa
salvezza, operata dalla già citata disposizione VI, transitoria e finale,
Cost., del modello tradizionale della giurisdizione contabile, che poggia
sull’essenziale ruolo di una Procura in tale specifico ambito. Da questo punto
di vista, anzi, un’occasione può essere andata perduta, allorché nello sforzo
di adeguamento delle Commissioni tributarie alla giurisdizione ordinaria, non è
stata tenuta nel debito conto l’ipotesi dell’introduzione, a motivo degli
interessi pubblici coinvolti (non meno fondamentali di quelli del piano
penalistico), della figura del Pubblico Ministero
nel relativo procedimento, che, detto per
incidens, non pare, anche per altri aspetti, non ultimo quello del
reclutamento e della composizione degli organi giudicanti, del tutto adeguato a
far fronte alle esigenze della finanza pubblica e di una compiuta giustizia
tributaria.
2. “Topografia” del pubblico
ministero presso le giurisdizioni speciali.
La
stretta relazione, già accennata, e che occorrerà ancora in seguito esaminare,
tra presenza di un pubblico ministero
(è appena il caso, a questo punto, di sottolineare che, a dispetto della sua
genericità, l’espressione allude a realtà giuridiche piuttosto disparate e
omologabili soltanto appunto ad un livello d’astrazione molto alta) e
determinate configurazioni della giurisdizione, impone dunque che preliminarmente
si operi, sia pure con la sinteticità propria di queste osservazioni, una sorta
di mappa topografica dell’allocazione dell’organo a livello ordinamentale.
Una
tale ricognizione richiederebbe però, a sua volta, una messa a fuoco del novero
delle giurisdizioni speciali
esistenti nel nostro ordinamento. Trattandosi di questioni piuttosto conosciute
e di più ampio respiro rispetto all’oggetto del mio contributo, mi limiterò a
fornire in questa sede, soprattutto a beneficio dei Colleghi stranieri, certamente
non tenuti a conoscere nel dettaglio questa nostra particolare vicenda
ordinamentale, alcune sintetiche notazioni.
A
quanto già anticipato sulle scelte operate nel testo costituzionale e sulle
difficoltà incontrate per darvi attuazione, aggiungeremo dunque che una certa
opera di disboscamento delle giurisdizioni speciali ereditate dall’ordinamento prerepubblicano
(PIZZORUSSO) ebbe a portare, una volta esaurita quella sorta di moratoria
indicata della disposizione VI, transitoria e finale Cost., da un lato,
all’eliminazione di un non scarso numero di giurisdizioni
speciali: come il Ministro della Marina mercantile, i
consigli comunali e provinciali, le Giunte provinciali amministrative, i
Consigli di prefettura, l’Intendente di finanza e il Comandante di porto; e,
dall’altro, alla revisione legislativa delle giurisdizioni
imperniate sul Tribunale supremo militare, abolito e sostituito dalla Corte
d’appello militare di Roma, sottoposta al controllo di legittimità della
Cassazione, e sul Commissario agli usi civici, mentre sembrano rimaste ancora
insolute le ambiguità concernenti il Tribunale delle acque pubbliche dopo il
tentativo abortito del d.l. 11 novembre 2002, n. 251 di abolire l’organo,
ridistribuendone le competenze tra la giurisdizione ordinaria e quella
amministrativa. Per quanto riguarda, poi, le già citate commissioni tributarie,
basti dire che esse, dopo una laboriosa vicenda, sono entrate a pieno titolo
nel novero delle giurisdizioni ordinarie pur con le
carenze già accennate.
Per
mera completezza, occorre, infine, accennare al fatto che sussistono
nell’ordinamento costituzionale italiano talune “sacche” di autodichia presso
le Camere del Parlamento,
Comunque
sia, va segnalata, in quanto tesa ad una maggior razionalizzazione della
materia e destinata a rafforzare le garanzie d’indipendenza dei corpi
giudiziari speciali e dei loro componenti, la recente
tendenza a costituire, al vertice organizzativo di queste, dei consigli
superiori sulla falsariga di quanto previsto dalla Costituzione per la
magistratura ordinaria.
Venendoci
dunque ad occupare delle giurisdizioni speciali
superstiti, sembra un’ovvia considerazione che non in tutte sia possibile
registrare la presenza del pubblico ministero,
dipendendo questa circostanza, come s’è già osservato, dalla rilevanza pubblica
degli interessi giurisdizionalmente tutelati. Di qui l’ulteriore aspetto
problematico della latitudine della discrezionalità legislativa nel prevedere o
meno la presenza dell’organo presso una qualche giurisdizione: quesito al quale
almeno in prima approssimazione i dati già raccolti sembrano offrire risposta
nel senso di rendere sicuramente obbligatorio l’organo solo quando trattasi di
attribuzioni giurisdizionali penali, mentre resterebbe al libero apprezzamento
del legislatore valutare, negli altri casi, se l’interesse pubblico
sia tutelato anche per altra via nell’organizzazione del processo (ad es. nella
fase successiva del vero e proprio giudizio grazie alla latitudine dei poteri
ufficiosi dell’organo giudicante).
Certo,
si tratta di profili teorico-generali che meriterebbero ben altro
approfondimento, toccandoci qui ora il più semplice compito d'individuare
presso quali giurisdizioni speciali
opera il pubblico ministero e quale
ne sia la relativa fisionomia; nonché di appurare in che termini sia possibile
ragionare ancora di pubblico ministero
presso altri plessi giustiziali di ancor non del tutto pacifica definizione o
addirittura espressamente esclusi dalla nozione stessa di giurisdizione comune,
ordinaria o speciale che sia.
Se,
dunque, sotto il primo aspetto, occorrerà occuparsi delle già citate giurisdizioni contabile e penale militare, indicate nell’art.
103 Cost., sotto il secondo, verranno invece in rilievo la competenza
disciplinare assegnata al Consiglio superiore della magistratura dall’art. 105
Cost. (e, in una sorta di “doppia specialità”, le analoghe competenze
esercitate presso le giurisdizioni speciali),
nonché le attribuzioni penali della Corte costituzionale, ristrette dalla
revisione costituzionale del 1989, al solo giudizio nei confronti del
Presidente della Repubblica (art. 134 Cost.). Nel trattare del loro status, sarà inoltre impossibile non
imbattersi in altre correlate questioni attinenti il diritto processuale o
concernenti la posizione dei diversi soggetti coinvolti, specialmente le parti
del giudizio. Purtroppo, la natura di queste note non consentirà di dedicare a
simili problematiche più di qualche cenno, anche se si cercherà di riservare
attenzione, in coerenza con lo spirito di questi incontri, agli interventi del
giudice costituzionale.
3. Il pubblico ministero contabile.
Proprio
in quest’ultima prospettiva, meritano in primo luogo attenzione le
problematiche poste dalla giurisdizione contabile, incentrata nell’ordinamento
italiano nella Corte dei conti, consacrata dalla Costituzione quale organo
ausiliario del Governo nella sua funzione di controllo, ma altresì investita,
come recita l’art. 103, secondo comma, Cost., di attribuzioni giurisdizionali
esclusive nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla
legge.
Disciplinata
in maniera organica dal testo unico n. 1214 del 1934 (ma la sua istituzione
risale al 1862), ha vissuto in epoca repubblicana vicende di segno diverso,
che, se, da un lato, hanno messo da parte il suo ruolo di controllore sulla
normazione primaria del Governo, dall’altro, hanno dilatato il suo impegno sul
fronte giurisdizionale sia per l’emergere di forme nuove di responsabilità
legate a modelli alternativi di allocazione delle risorse economiche pubbliche
(SCHLITZER, LUPI, VENTURINI e SILVESTRI), sia per effetto di un’accresciuta
presenza delle Regioni in tale campo. Di un tale sviluppo mostrano
consapevolezza soprattutto le più recenti leggi n. 19 e n. 20 del 1994, che
hanno, tra l’altro, confermato od istituito sezioni giurisdizionali della Corte
dei conti in ciascuna Regione e incrementato in misura significativa i poteri
istruttori del Pubblico Ministero.
L’azione
di responsabilità contabile e amministrativa viene dunque esercitata dal
Procuratore regionale competente presso le Sezioni giurisdizionali regionali
della Corte dei conti e, in grado d’appello, dal Procuratore generale rappresentante
il P.M. innanzi alle Sezioni d’appello della stessa Corte (si noti che il
Procuratore non partecipa invece al contenzioso pensionistico). Tale azione
riveste carattere di esclusività, non potendo
Sotto
il profilo dell’organizzazione interna, indipendenza e autonomia conformano il
potere di coordinamento nei confronti dei Procuratori presso le Sezioni
regionali, assegnato al Procuratore Generale dall’art. 2 della già citata l. n.
19 del 1994, escludendosi che vi si possa connettere un qualche tratto di
gerarchia vuoi nella forma della sostituzione, vuoi in quella dell’avocazione
degli affari di livello regionale.
Al di
là di residue divergenti visioni del rapporto con le Pubbliche Amministrazioni
interessate al giudizio,
Ed è
da siffatta caratterizzazione, che, pur nella mancanza di una norma apposita
sul punto, viene fatta derivare (anche dalla stessa Corte costituzionale:
sentenza n. 29/1995), similmente a quanto dispone l’art. 112 Cost. per il Pubblico Ministero penale,
l’obbligatorietà dell’azione del Pubblico Ministero
contabile, cui accedono di conseguenza anche agli attributi
dell’irretrattabilità e dell’irrinunciabilità.
Concorre,
infine, alla più precisa definizione dell’organo, la circostanza che esso,
analogamente a quanto si verifica per il Procuratore Generale della Corte di
Cassazione, entri a far parte del ristretto collegio che elegge il giudice
della Corte costituzionale di spettanza della Corte dei conti.
È, se
mai, sul diverso piano delle garanzie nei confronti della Pubblica
Amministrazione e dei soggetti citati, che questo complessivo “irrobustimento”
dell’organo ha prodotto i maggiori dubbi, fronteggiati, sotto il primo aspetto,
ancora dalla Corte costituzionale, che ha precisato come l’azione contabile non
sia (e non possa mai risolversi) in una forma impropria di controllo
dell’amministrazione (sentenza n. 209 del 1994), mentre ancora irrisolte
appaiono talune questioni legate all’effettività del diritto di difesa
particolarmente alla luce della sopravvenuta revisione dell’art. 111 Cost.
Per
cui, se, come è stato rilevato, l’ampliamento dei poteri istruttori del Pubblico Ministero contabile s’inscrive
in un contesto storico segnato dalla necessità di contrasto delle emergenze
criminali, un fattore alquanto critico è stato individuato nell’unilateralità
dell’istruttoria contabile (tanto da far rievocare l’istruzione sommaria del
codice penale di rito del 1930). Di qui probabilmente la necessità di
interventi riequilibratori, per l’intanto già visibili in certa prassi
applicativa e in importanti prese di posizione della Corte costituzionale, quali,
di recente, l’ordinanza n. 261 del 2006, dove, al di là del decisum nei termini dell’inammissibilità
della questione, viene evidenziata la latitudine del potere istruttorio della
Corte dei conti, idoneo ad allargare il contraddittorio anche di fronte all’unilaterale
esercizio del potere di archiviazione del Procuratore regionale (del resto, nel
senso della perfetta sovrapponibilità della figura a quella dell’ordinario Pubblico Ministero, vanno lette le
decisioni della Corte costituzionale che hanno escluso sia la sua diretta
legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale, sia la sua
facoltà d’intervenire nei relativi giudizi: sentenze nn. n. 415/1995 e
375/1996) (CREA).
4. Il pubblico ministero militare.
Quest’ultima
notazione permette di operare una considerazione forse d’ordine generale circa
i pubblici ministeri delle giurisdizioni speciali,
attinente cioè alla circostanza che, per come essi ci sono stati consegnati
dalla legislazione prerepubblicana, la tendenza riscontrabile è quella ad una
sorta di egemonia dell’organo inquirente sul giudicante. Ciò che può riflettere
le caratteristiche di organi geneticamente conformati per orientare la
giurisdizione in un assetto istituzionale scarsamente incline al rispetto
dell’indipendenza della magistratura e in genere del principio di separazione
dei poteri. In questo senso, non deve sorprendere come l’impegno alla revisione
delle giurisdizioni speciali abbia
trovato nella configurazione del Pubblico Ministero
presso di esse uno degli snodi più rilevanti e delicati.
A
conferma di queste considerazioni, può essere richiamato qualche tratto della
vicenda del Pubblico Ministero
militare, disciplinato in origine dall’ordinamento giudiziario militare di cui
al r.d. 9 settembre 1941, n.
Un
quadro, peraltro, protrattosi intatto ben al di là di ogni più blanda
interpretazione della citata disposizione VI, transitoria e finale Cost. (ma va
menzionato anche l’obbligo, ancora più ampiamente disatteso, del riordino del
Tribunale supremo militare) (PIACENTINI), non scalfito nemmeno dall’intervento
della Corte costituzionale che, nell’imbarazzante e criticata sentenza n. 43
del 1964 (GROSSI), perveniva di fatto a perpetuare la posizione subordinata del
giudici rispetto al Procuratore Generale militare.
È
stato solo sotto la pressione di una consultazione referendaria che un primo passo
venne compiuto con la l. n. 180 del 1981, omologando (ci riferiamo qui
esclusivamente alla giustizia militare di pace) lo stato giuridico, le garanzie
d’indipendenza e l’avanzamento dei magistrati militari con quelli propri dei
magistrati ordinari; mandando in archivio la pertinace idea di una “giustizia
dei capi” (MAGGIORE); conservando al Procuratore Generale la sola sorveglianza
sui magistrati del Pubblico Ministero
e prefigurando infine l’avvento di un Consiglio superiore della magistratura
militare. Sarà soltanto però con la l. 30 dicembre 1988, n. 561, auspice una
Corte costituzionale divenuta progressivamente meno riluttante ad intervenire
nella materia (BARTOLE; RIVELLO TONIATTI), che tale Consiglio vedrà la luce
(ARMAO).
Ma
poiché l’oggetto del nostro specifico interesse qui è la figura del Pubblico Ministero, occorre riandare
ancora alla riforma del 1981, perché fu in quella sede che vennero introdotte
le più incisive modifiche al riguardo, inducendo persino a ragionare di un
parallelismo pressoché completo tra Pubblico Ministero militare e Pubblico Ministero ordinario, anche peraltro sul piano delle questioni
irrisolte come la posizione dell’organo nel procedimento, i suoi collegamenti
con il potere esecutivo e le relazioni interne nell’ambito della complessiva
struttura inquirente.
È
dunque a far data dal 1981 che presso
E’
stata tuttavia l’istituzione di un Ufficio autonomo del Pubblico
Ministero presso
Posta puntualmente la relativa questione di costituzionalità,
Non è
mancato poi nemmeno chi ha fatto derivare da questa peculiare posizione
dell’Ufficio autonomo una sorta di blindatura dei suoi componenti all’interno
della Suprema Corte, dal momento che soltanto a questi, in ragione della
specialità delle funzioni requirenti, rimarrebbe precluso il passaggio alle
funzioni giudicanti, laddove forse più persuasivamente la simmetria di funzioni
andrebbe piuttosto ricercata nell’ambito della Corte militare d’appello, costituendo
l’Ufficio autonomo un sorta di quid pluris organizzativo e funzionale.
Conclusivamente,
mette conto ancora di ricordare come il Procuratore generale, al pari del suo
omologo nella giurisdizione ordinaria, entri di diritto a far parte del Consiglio
superiore della magistratura militare e, in seno ad esso, del Comitato di
Presidenza, a cui avremo subito occasione di accennare.
5. Azione disciplinare e pubblico
ministero davanti al Consiglio Superiore della
Magistratura (e alle giurisdizioni speciali).
Venendo,
infatti, a dar conto delle funzioni di Pubblico Ministero assegnate dall’art. 4, ultimo comma, della l. n. 195
del 1958 al Procuratore generale presso
Ora,
se, in tesi, non sembra di potersi dubitare della natura amministrativa del
potere disciplinare in quanto accedente ad un rapporto di soggezione specifica,
tipicamente riscontrabile nel rapporto di lavoro subordinato o nell’esercizio
di professioni regolamentate e “vigilate”, e, per quanto possa concordarsi con
l’osservazione della Corte costituzionale (sentenza n. 145 del 1976) per cui
l’esercizio della funzione disciplinare si esprime con modalità diverse, le
quali caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, altre
volte come giurisdizionali, in continuità con la tradizione oppure in
rispondenza a scelte discrezionali molto ampie del legislatore, la
giurisdizionalità del procedimento disciplinare a carico dei magistrati
ordinari sembra rispondere a ragioni più obiettivabili. Ragioni che risiedono
essenzialmente nella peculiarità del rapporto di servizio del magistrato, che
esige che, anche per l’aspetto disciplinare, siano introdotte adeguate garanzie
da rinvenirsi, nel nostro caso, nella terzietà e nell’indipendenza anche
dell’organo preposto al giudizio disciplinare. Viene in altri termini postulato
un vero e proprio giudice “ad hoc”,
conformemente, del resto, ad una risalente tradizione in tale materia,
interrotta solo nel periodo della dittatura.
Non
c’è modo ovviamente qui di discutere più approfonditamente del carattere
giurisdizionale del procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari,
che trova il suo fondamento nello stesso dettato costituzionale. Basti comunque
ricordare come, in stretta connessione, la natura giurisdizionale dell’apposita
Sezione disciplinare, istituita in seno al Consiglio superiore della Magistratura,
sia stata affermata e ribadita dalla stessa Corte costituzionale (esemplarmente
sentenze nn. 220 del 1994 e 289 del 1992).
Sembra
comunque rispondere in maniera più diretta alla tradizione la conformazione del
giudizio disciplinare che, già a far data dalle previsioni del r.d. lgs. n. 511
del 1946 (art. 26), vede la presenza di un pubblico ministero nei giudizi disciplinari, individuato negli organi
della procura ordinaria. Presenza che accentua visibilmente oltre la tendenza,
rilevata diffusamente ed anche dalla Corte costituzionale, ad imprimere un
andamento giurisdizionale al procedimento disciplinare.
Occorre
poi ancora rilevare come anche la presenza di un Pubblico
Ministero possa concorrere dalla tutela degli interessi
obbiettivi alla manutenzione dell’ordinamento generale dello Stato
eventualmente lesi dal comportamento antidoveroso del magistrato.
Tuttavia,
non si possono trascurare le questioni che proprio questa soluzione
organizzativa ha posto a fronte sia del fatto che lo stesso Procuratore
Generale della Cassazione fa parte del medesimo organo cui è attribuita la
competenza a giudicare sugli illeciti disciplinari, sia della circostanza che
l’art. 107 Cost. sembra demandare al solo Ministro della Giustizia la
titolarità dell’azione disciplinare, estesa dalla l. n. 195 del 1958 anche al
ridetto Procuratore Generale.
Sotto
il primo profilo, è stata
Tornando
però al rapporto tra Procuratore Generale e Consiglio superiore della
Magistratura, occorre rilevare come comunque la censurata commistione di
funzioni non si riproduca nell’ambito dell’apposita sezione disciplinare, in
questo modo attenuando almeno in parte le perplessità fondate sul fatto che il
Procuratore Generale partecipi comunque alle sedute del complessivo organo di
autogoverno.
Venendo
poi al secondo dei due aspetti critici sopra segnalati, s’è cercato di
giustificare il concorrente potere del Procuratore Generale con il carattere
facoltativo che altrimenti avrebbe connotato l’azione del Ministro della
Giustizia, facendone pertanto derivare sia l’obbligatorietà dell’iniziativa del
Procuratore Generale, tra l’altro, completamente convalidata in occasione della
recente tipizzazione degli illeciti disciplinari operata con la l. n. 109 del
2006, sia, più in generale, che tale organo non sostenga l’accusa nella sua
qualità di componente del Consiglio superiore della Magistratura, ma in quanto
titolare del suo ufficio giudiziario. Per contro, è rimasto irrisolto il nodo
critico dei rapporti con il Ministro nella misura in cui, a tenore della
normativa, il Procuratore Generale sembrerebbe configurarsi come suo organo
esecutivo in campo disciplinare. Laddove la legge appena citata ha perlomeno
risolto il problema dell’obbligo della reciproca comunicazione, indicato dalla
Corte costituzionale, nella sentenza n. 196 del 1992, come la condizione
essenziale perché il termine di decadenza dell’azione disciplinare maturato nei
confronti di uno dei due titolari della medesima azione abbia valore assoluto,
estinguendone pertanto il corrispondente potere allorché uno qualsiasi di
costoro abbia avuto conoscenza del fatto di rilevanza disciplinare.
Per
concludere queste rapide notazioni circa il ruolo del Pubblico
Ministero in ambito disciplinare presso le giurisdizioni speciali, occorre ricordare
che presso i rispettivi organi di autogoverno sia della magistratura contabile,
sia della magistratura militare, si riscontrano, nel quadro della già accennata
ispirazione al modello ordinario, procedimenti disciplinari nei quali operano
come pubblici ministeri, rispettivamente, i già trattati Procuratore Generale
della Corte dei Conti (art. 10, comma 9, della l. n. 117 del 1988), e
Procuratore Generale militare (art. , comma 3, della l. n. 561 del 1988)
(LOLLI), salvo che, in questo secondo caso (non è senza rilievo ai fini del
nostro discorso), a livello di promozione dell’azione disciplinare ritroviamo,
sostituito al Ministro della Giustizia, il Ministro della difesa in concorso
anche qui con il Procuratore Generale militare, che, analogamente al suo
omologo ordinario, resta fuori dalle deliberazioni in materia disciplinare.
Non c’è magistero infine di pubblico ministero
nel procedimento disciplinare che si svolge presso il Consiglio di presidenza
della giurisdizione amministrativa, dove opera una speciale commissione
istruttoria, mentre la titolarità dell’azione disciplinare è condivisa tra il
Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente del Consiglio di Stato
(art. 33 della l. n. 182 del 1986).
6. Accusa parlamentare e pubblico
ministero davanti alla Corte costituzionale.
Trascorrendo
su altro diverso piano, prima di tentare qualche considerazione di sintesi, un
rapido cenno va ancora riservato al processo costituzionale, anche se, come
vedremo meglio tra poco, non sembra corretto ragionare della Corte
costituzionale come di un “giudice speciale”, almeno nel senso fatto proprio
dalle disposizioni costituzionali in materia, cosicché sembrerebbe impedita in
radice anche la possibilità di identificare, nell’ambito dell’esercizio di
qualcuna delle sue attribuzioni, un Pubblico Ministero operante presso una giurisdizione speciale appunto.
Tuttavia,
almeno con riferimento alla già accennata competenza penale della Corte, è
indiscutibilmente la stessa normativa ad individuare, nelle varie fasi della
procedura, figure che, per posizione e poteri, appaiono omologabili a quelli
del Pubblico Ministero.
Sembra
invece di doversi escludere una simile problematica con riferimento alle altre
attribuzioni della Corte costituzionale, specie con riferimento all’intervento
del Presidente del Consiglio nei relativi giudizi. Sul punto, sono state per
vero in dottrina proposte interessanti ricostruzioni: tuttavia, per quanto
riguarda una possibile identificazione con il pubblico ministero, non par dubbio che vi militino contro sia la
facoltatività dell’intervento stesso (ROMBOLI), sia la caratterizzazione
comunque elettivamente politica dell’organo, mentre, da parte della stessa
Corte si è escluso che in un tale intervento possa risiedere un “interesse
astratto alla soluzione della questione … per i riflessi che essa potrebbe
avere in via generale, in situazioni, comunque, diverse da quella esaminata”
(sentenza n. 96 del 1977).
Ciò
non ci impedisce comunque di ricordare come l’introduzione di un Pubblico Ministero per
Per
quanto concerne invece la competenza della Corte costituzionale a giudicare il
Capo dello Stato per i delitti presidenziali indicati nell’art. 90 della
Costituzione, la questione di fondo può trovarsi affrontata nell’importante
decisione resa dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione il 23
ottobre 1976, dove la deroga operata dagli artt. 134 e 137 Cost. agli artt. 102
e 111 Cost. non viene ritenuta comunque idonea a dar vita ad una giurisdizione
speciale, sibbene ad una “giurisdizione costituzionale speciale esclusiva
esercitata da organi sovrani dello Stato”, ivi compreso il Parlamento in seduta
comune, “non inseriti nell’ordinamento giurisdizionale disciplinato nella parte
II, titolo IV della Carta costituzionale” (MARZADURI).
Resta
nondimeno fuori discussione che, anche in un quadro siffatto, come già
accennato, già gli stessi organi dell’accusa parlamentare (il Parlamento
riunito in sede deliberativa e lo speciale Comitato istituito nel suo seno con
compiti istruttori) esercitino funzioni tipiche del pubblico
ministero penale: caratterizzazione, questa, che si
ritrova ancora più esplicitamente nel Collegio d’accusa, che, in esito alla
deliberazione di deferire il Presidente della Repubblica alla Corte
costituzionale (per l’occasione nella sua composizione integrata), viene eletto
dallo stesso Parlamento riunito col dichiarato compito di “sostenere l’accusa”
e “formulare le richieste” ed esercitare comunque, secondo l’univoco disposto
dell’art. 13 della l. costituzionale n. 1 del 1953, “davanti alla Corte le
funzioni di pubblico ministero”
(PIERANDREI). Ed è ancora estremamente interessante ricordare come lo stesso
Collegio d’accusa, interrogandosi sulla propria stessa natura abbia, nella
delibera del 5 luglio 1977, ritenuto, tra l’altro, di dover escludere per se
stesso l’ipotesi del mandato vincolante, in quanto contrastante con la figura
del pubblico ministero in genere,
e, in particolare, per le difficoltà che ne sarebbero potute derivate se, nel
corso del procedimento, uno o più commissari si fossero convinti
dell’infondatezza dell’accusa (COSTANZO).
7. Alcune conclusioni.
Data
il tono di questo scritto, non ci sfugge che molte delle osservazioni condotte
in precedenza abbiano avuto un carattere prettamente descrittivo per la miglior
informazione dei cortesi Colleghi stranieri: ci si arrischia, ciò nonostante, a
credere che siano emerse con sufficiente evidenza alcune particolari
problematiche.
Conclusivamente,
si vorrebbe perciò richiamare l’attenzione su un profilo più generale: si
tratta cioè di proporre, anche del pubblico ministero, una visione coordinata e unitaria, nel più ampio
orizzonte della c.d. unicità della giurisdizione, che, come autorevolmente
affermato, non postula omogeneità assoluta a livello organizzativo, ma può anzi
avvalersi di plessi giurisdizionali specificamente attagliati ai diversi
particolari contesti ordinamentali.
E ciò
non tanto per astratto amor di simmetria, quanto perché così è certamente ormai
richiesto dall’infittirsi, talvolta intricato e aggrovigliato, delle relazioni
e degli scambi su scala anche sovranazionale. Va, del resto, collocata in questa
cornice l’iniziativa del mandato d’arresto europeo, mentre, per restare ancora
in ambito comunitario, è già stata additata la necessità del potenziamento del Pubblico Ministero contabile.
Ma
anche a livello nazionale, s’intravedono già i segni di un disegno in cui la
convergenza e la consonanza d’azione di tutti i Pubblici Ministeri sono
valutate come fattori di maggior efficienza per la tutela della legalità
generale: è il caso, ad es., del nuovo art. 335-bis del codice penale per cui,
nell’ipotesi di condanna inflitta per delitti commessi a fini patrimoniali, la
sentenza è trasmessa al procuratore generale presso
In
questo senso, pare oltremodo sensato ragionare di “un’unitarietà della funzione
garantita dalla sostanziale coerenza di attribuzioni fondate sulla neutralità,
sull’obiettività e sull’imparzialità dell’iniziativa pubblica” (PALUMBI).
Valori che, tuttavia, non meno che per il pubblico ministero ordinario, richiedono una vigile opera di
manutenzione normativa e istituzionale e di affinamento della revisione laddove
questa si riveli ancora incompiuta rispetto al programma sottinteso all’art.
108, comma secondo, Cost. per il pubblico ministero
presso le giurisdizioni speciali.
8. Riferimenti normativi, giurisprudenziali e bibliografici.
Il
testo vigente delle fonti costituzionali italiane è reperibile all’indirizzo
telematico:
https://www.giurcost.org/fonti/fonti1.htm
Il
testo delle decisioni della Corte costituzionale italiana citate è reperibile
all’indirizzo telematico:
https://www.giurcost.org/decisioni/decis1.htm
La
dottrina citata è reperibile secondo le seguenti indicazioni bibliografiche.
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* Intervento alle VII Jornadas Italo-españolas de Justicia Constitucional, 27 e 28 settembre 2007, La Coruña, Spagna (in corso di pubblicazione nella Revista do Ministerio Pùblico do Estado do Parà)