Sentenza n. 76 del 2023

SENTENZA N. 76

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 53, 55 e 91, 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato e depositato in cancelleria il 26 luglio 2022, iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana, nonché l’atto di intervento di G. M., P.M. T., B. R., P. M. e F. B.;

udita nell’udienza pubblica del 7 marzo 2023 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

udito l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 7 marzo 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato e depositato il 26 luglio 2022 (reg. ric. n. 48 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’intera legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024) e di numerose sue disposizioni, tra le quali gli artt. 13, commi 53, 55 e 91, 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, in riferimento complessivamente agli artt. 81, 97, secondo comma, e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione.

1.1.– L’art. 13, comma 53, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 ha sostituito il comma 1-bis dell’art. 122 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), prevedendo che «[g]li elenchi regionali degli idonei alle cariche di direttore amministrativo sono aggiornati almeno ogni due anni. Alla selezione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto sessantacinque anni di età in possesso di: a) diploma di laurea di cui all’ordinamento previgente al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509 oppure laurea specialistica o magistrale; b) comprovata esperienza nella qualifica di dirigente, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato».

Il Presidente del Consiglio dei ministri ricostruisce preliminarmente il quadro normativo statale in materia di conferimento degli incarichi di direttore amministrativo e di direttore sanitario, sottolineando come l’art. 3 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, recante «Attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria» abbia confermato – quanto al conferimento dell’incarico di direttore amministrativo e di direttore sanitario – i requisiti già previsti dagli artt. 3, comma 7, e 3-bis, comma 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

In particolare, il comma 7 dell’art. 3 del citato d.lgs. n. 502 del 1992 prevede che l’incarico di direttore amministrativo possa essere conferito a «un laureato in discipline giuridiche o economiche che, all’atto del conferimento dell’incarico, non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».

La disposizione regionale impugnata, stabilendo che l’incarico di direttore amministrativo possa essere conferito anche a coloro che abbiano acquisito l’esperienza professionale settennale in settori non sanitari, introdurrebbe una deroga alle citate disposizioni legislative statali, da ritenere principi fondamentali in materia di tutela della salute.

La difesa statale richiama al riguardo numerose pronunzie di questa Corte – e, in particolare, la sentenza n. 155 del 2022 – che avrebbero ricondotto ai principi fondamentali della legislazione statale anche le disposizioni relative ai requisiti per l’accesso alla dirigenza sanitaria e amministrativa, in quanto volti a migliorare il rendimento e la qualità del servizio offerto, oltre che l’imparzialità e il buon andamento dell’attività amministrativa.

Da quanto detto il ricorrente deduce la violazione – per il tramite delle citate norme interposte – dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che sia violata anche la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in ragione del fatto che il rapporto di lavoro instaurato con il direttore amministrativo rientrerebbe nell’ambito del pubblico impiego privatizzato. Pertanto, la disciplina dei requisiti per l’instaurazione del suddetto rapporto di lavoro sarebbe riconducibile non solo alla materia della tutela della salute, ma anche a quella dell’ordinamento civile. Di qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Infine, la disposizione regionale impugnata, prevedendo requisiti di qualificazione meno rigorosi e selettivi rispetto a quelli prescritti dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, si porrebbe in contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, previsti dall’art. 97, secondo comma, Cost.

Da ultimo, la difesa erariale precisa come l’impugnato comma 53 dell’art. 13 ecceda dall’ambito delle competenze legislative riservate alla Regione Siciliana dall’art. 17, primo comma, lettera b), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, che, in materia di «sanità pubblica», fa comunque salva l’osservanza dei «principì ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato».

1.2.– L’art. 13, comma 55, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 stabilisce: «Le strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio possono raggiungere gli standard organizzativi e di personale richiesti dall’articolo 29, comma 1, del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni con legge 23 luglio 2021, n. 106, anche attraverso la costituzione di reti di impresa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5 convertito con modificazioni con legge 9 aprile 2009, n. 33. Per l’anno 2022 i trasferimenti extrabudget in favore dei soggetti privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale sono calcolati sul consolidato dell’anno 2019».

Il ricorrente ravvisa nei due periodi della disposizione in esame due distinti profili di illegittimità costituzionale.

1.2.1.– In primo luogo, è impugnato l’ultimo periodo del comma 55, là dove prevede la possibilità di «trasferimenti extrabudget», per violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Dopo aver ricordato che tali principi vincolano anche le autonomie speciali, la difesa statale precisa che la potestà legislativa concorrente delle regioni in materia di tutela della salute, inclusa quella della Regione Siciliana ai sensi dell’art. 17 dello statuto di autonomia, incontra limiti nelle norme statali che pongono obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa.

Nel caso di specie, i limiti in parola sarebbero rinvenibili nell’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale non consentirebbe la remunerazione delle prestazioni che eccedono il tetto di spesa.

Al riguardo, la difesa statale richiama una cospicua giurisprudenza, sia della Corte di cassazione, sia del Consiglio di Stato, secondo cui «tanto la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario (per singola istituzione o per gruppi di istituzioni), quanto la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, risultano rimessi “ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale”, dal momento che “tale attività di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate”» (sono citate Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 31 ottobre 2019, n. 27997 e Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 12 aprile 2012, n. 3).

Inoltre, proprio in ragione della necessità di rispettare il tetto di spesa in materia sanitaria, la giurisprudenza delle supreme corti sopra richiamate avrebbe ritenuto «giustificata» la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extrabudget. Di qui la conclusione che sarebbe rimessa alla libera valutazione degli operatori privati la scelta di continuare a operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte oppure di collocarsi al di fuori del Servizio sanitario nazionale e quindi di continuare a operare privatamente.

1.2.2.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato il primo periodo del comma 55 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

Secondo il ricorrente questa norma non assicurerebbe, «in modo chiaro, la coerenza con le indicazioni di riferimento al livello nazionale», di cui ai «Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio», approvati con l’Accordo, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali), tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, «in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (Rep. Atti 61/CSR del 23 marzo 2011, allegato A)». In particolare, i citati criteri impegnerebbero le regioni ad attivare «meccanismi di reale aggregazione fra strutture di laboratorio, volte non tanto alla sopravvivenza delle stesse, ma ad un reale progetto di miglioramento della qualità complessiva».

La difesa statale rinviene un profilo di illegittimità costituzionale nella presunta violazione dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale in materia di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), posti dall’art. 29, comma 1, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali), convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106.

In particolare, la disposizione regionale impugnata non chiarirebbe se lo standard relativo al numero minimo di 200.000 prestazioni da garantire quale requisito di accreditamento per le strutture eroganti prestazioni di laboratorio (previsto dal citato art. 29, comma 1) sia da intendersi con riferimento a ciascuna struttura in senso fisico o al complesso delle strutture interessate e, quindi, alle stesse in forma aggregata, né preciserebbe se tale aggregazione debba essere conforme ai criteri di cui all’accordo sopra citato.

1.3.– È altresì impugnato il comma 91 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, secondo cui «[a]i fini dell’attuazione dell’articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021 n. 234 e successive modificazioni, gli enti del Servizio sanitario regionale procedono preliminarmente, entro il 31 dicembre 2022, a una ricognizione dei fabbisogni di personale, anche nel periodo pandemico, e applicano i CCNNLL dell’ambito sanitario aggiornando, anche in deroga, il piano triennale del fabbisogno di personale, applicando le previsioni di legge anche al personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo, selezionato attraverso prove selettive per titoli e/o colloquio, e che abbia maturato o che maturerà alla data del 31 dicembre 2022 i 18 mesi previsti dalla legge n. 234/2021».

Il ricorrente pone a raffronto la disposizione impugnata con quella contenuta nell’art. 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), alla cui attuazione la prima è dichiaratamente rivolta.

All’esito di questa comparazione la difesa statale sottolinea come il legislatore siciliano, con la disposizione impugnata, «abbia invero elaborato criteri propri», tra cui la possibilità di derogare al piano triennale dei fabbisogni del personale, di ampliare l’ambito soggettivo di applicazione anche al personale del ruolo tecnico e amministrativo, e di estendere al 31 dicembre 2022 la finestra temporale utile ai fini della maturazione dei diciotto mesi di servizio.

Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, inoltre, che la procedura di stabilizzazione prevista dalla disposizione impugnata si differenzia anche da quella prevista dall’art. 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

La disposizione regionale impugnata avrebbe quindi introdotto una forma di stabilizzazione «avulsa» dal quadro normativo statale per le seguenti ragioni: prevedrebbe maggiori limiti temporali per la maturazione dei requisiti per partecipare alle procedure selettive rispetto a quelli stabiliti dal citato comma 268, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021; includerebbe tra il personale destinatario anche il personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico e amministrativo in luogo del solo personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario; sarebbe prevista la possibilità per gli enti del servizio sanitario regionale di stabilizzare il personale di cui sopra anche in deroga al piano triennale dei fabbisogni di personale e quindi anche in deroga al limite di spesa di personale cui soggiacciono gli enti del Servizio sanitario nazionale (art. 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria» convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60).

La disciplina in esame sarebbe riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), incidendo, la disposizione impugnata, sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare, sugli aspetti connessi alla sua durata) e determinando essa, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione).

Il ricorrente richiama quindi la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso, rientra nella materia dell’ordinamento civile.

Pertanto, l’impugnato comma 91, non essendo coerente con il citato quadro normativo vigente in materia, si porrebbe in contrasto con gli artt. 81 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., disposizione, quest’ultima, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dei rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile. Non rileverebbe quindi la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia di ordinamento degli uffici e degli enti regionali (art. 14, primo comma, lettera p, dello statuto speciale).

La difesa statale aggiunge che le norme statali in tema di stabilizzazione del personale precario sarebbero – in base alla giurisprudenza di questa Corte – qualificabili, altresì, come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, poiché si ispirano alla finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del personale. In particolare, sarebbero tali quelle disposizioni che stabiliscono limiti e vincoli al reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche o che disciplinano la stabilizzazione del personale precario, in quanto incidenti sul rilevante aggregato di finanza pubblica costituito dalla spesa per il personale.

Di conseguenza, sarebbe violato anche l’art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato la competenza a porre principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica.

1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche i commi 19, 20 e 21 dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, i quali prevedono l’applicazione degli interventi di sostegno previsti dall’art. 1, comma 1 della legge della Regione Siciliana 3 maggio 2004, n. 7 (Interventi a favore dei figli delle vittime del disastro aereo di Montagna Longa e delle vittime superstiti della strage di Portella della Ginestra. Misure di solidarietà a sostegno dei familiari di vittime della mafia e della criminalità organizzata), «anche al disastro aereo verificatosi in Etiopia il 10 marzo 2019».

Queste norme sono ritenute in contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost., poiché difetterebbero di copertura finanziaria, in quanto il relativo onere a regime sarebbe stato considerato solo per l’anno 2022.

1.5.– Da ultimo, è impugnato l’art. 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, con il quale è stata disposta la rideterminazione in 311.964,80 euro del limite massimo dell’autorizzazione di spesa destinata alla stabilizzazione del personale dell’ex Dipartimento regionale foreste.

Questa norma si porrebbe in contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost., poiché difetterebbe di copertura finanziaria, in quanto il relativo maggior onere (pari a 182.543,36 euro) non sarebbe stato considerato nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari complessivi, allegato alla legge regionale in esame.

2.– La Regione Siciliana si è costituita in giudizio solo in riferimento alle questioni promosse nei confronti dell’art. 14, commi 19, 20 e 21, e dell’art. 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n 13 del 2022.

In particolare, quanto ai commi 19, 20 e 21 dell’art. 14, la difesa regionale precisa che con l’art. 19, comma 1, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie) è stato modificato il prospetto riepilogativo della legge regionale impugnata introducendo gli oneri per gli anni 2023 e 2024 ed è stata così individuata la relativa copertura finanziaria.

Quanto invece all’art. 15, comma 6, la resistente dà conto della sua sopravvenuta abrogazione ad opera dell’art. 13, comma 95, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 e della conseguente ridefinizione dell’autorizzazione di spesa per gli anni 2022, 2023 e 2024 con la relativa copertura.

Con riferimento a quest’ultima disposizione impugnata, la difesa regionale conclude chiedendo che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.

3.– Nel giudizio di legittimità costituzionale, con specifico riferimento alle questioni promosse nei confronti dell’art. 13, comma 53, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, sono intervenuti, con un unico atto, G. M., P.M. T., B. R., P. M. e F. B.

3.1.– Quanto all’ammissibilità dell’intervento, essi affermano di essere legittimati ad accedere agli elenchi degli idonei per gli incarichi di direttore amministrativo presso le aziende del servizio sanitario regionale ai sensi del comma 1-bis dell’art. 122 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2002, come sostituito dall’impugnato comma 53. Pur essendo consapevoli della giurisprudenza di questa Corte in merito all’ammissibilità dell’intervento di terzi nel giudizio promosso in via principale, gli odierni richiedenti ritengono che tale orientamento possa essere rimeditato anche alla stregua della volontà della stessa Corte di aprirsi «all’ascolto della società civile». Aggiungono che il giudizio di legittimità costituzionale avendo ad oggetto una legge, rispetto alla quale, per definizione, non vi sono terzi, riguarderebbe tutti e che la partecipazione a esso non potrebbe non estendersi ai soggetti direttamente interessati al suo esito. Nel caso di specie, la norma oggetto del giudizio inciderebbe sul loro diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e sul loro diritto ad accedere ai pubblici uffici (artt. 51 e 97 Cost.).

3.2.– Nel merito, gli intervenienti sostengono che le questioni di legittimità costituzionale del comma 53 dell’art. 13 – il cui contenuto coinciderebbe con quello di analoghe normative vigenti in altre regioni e mai impugnate – non sono fondate.

In ragione dell’esistenza di discipline regionali dal contenuto analogo, la difesa degli intervenienti chiede, altresì, che siano chiamate in giudizio ex art. 107 del codice di procedura civile la Regione autonoma Sardegna e la Regione Lombardia, nonché le altre regioni che ammettono, nella loro normativa, l’iscrizione, negli elenchi degli idonei all’incarico di direttore amministrativo, di soggetti dotati di esperienza amministrativa in settori diversi da quello sanitario.

Infine, gli intervenienti chiedono che questa Corte sollevi dinanzi a se stessa questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, in quanto quest’ultima norma determinerebbe una irragionevole limitazione all’accesso all’incarico di direttore amministrativo, in violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

4.– Il 26 novembre 2022 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente, per quel che rileva nel presente giudizio, alle questioni promosse nei confronti degli artt. 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

La Regione Siciliana ha accettato la suddetta rinuncia parziale con atto depositato il 7 dicembre 2022.

5.– In prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri e G. M., P.M. T., B. R., P. M. e F. B. hanno depositato memorie nelle quali insistono nelle conclusioni già rassegnate, rispettivamente, nel ricorso e nell’atto di intervento.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli artt. 13, commi 53, 55 e 91, 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in riferimento complessivamente agli artt. 81, 97, secondo comma, e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.

2.– In via preliminare, deve essere dichiarato inammissibile l’intervento di G. M., P.M. T., B. R., P. M. e F. B.

Come costantemente affermato da questa Corte, il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi.

Tale orientamento è stato confermato anche dopo le modifiche del 2020 alle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, in quanto esse, diversamente da quanto dedotto dagli odierni intervenienti, «non [hanno inciso] sui requisiti di ammissibilità degli interventi nei giudizi in via principale» (così, ordinanza letta all’udienza del 25 febbraio 2020, allegata alla sentenza n. 56 del 2020, sentenza n. 259 del 2022 e ordinanza letta all’udienza del 22 marzo 2022, allegata alla sentenza n. 117 del 2022; nello stesso senso, tra le altre, sentenze n. 221 e n. 121 del 2022; ordinanza letta all’udienza dell’8 giugno 2021, allegata alla sentenza n. 187 del 2021 e ordinanza n. 134 del 2022).

3.– Ancora in via preliminare, occorre rilevare che, con atto depositato il 26 novembre 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso limitatamente agli artt. 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in ragione – quanto alla questione relativa all’art. 14, commi 19, 20 e 21 – della sopravvenuta copertura dei relativi oneri finanziari, operata con l’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, e – quanto alla questione relativa all’art. 15, comma 6 – della abrogazione della disposizione impugnata e della ridefinizione dell’autorizzazione di spesa per gli anni 2022, 2023 e 2024, ad opera, rispettivamente, dei commi 95 e 96 dell’art. 13 della citata legge reg. Siciliana n. 16 del 2022.

La Regione resistente ha accettato la rinuncia con atto depositato il 7 dicembre 2022.

L’art. 25 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prevede che la rinuncia al ricorso, qualora sia accettata da tutte le parti costituite, estingue il processo (ex plurimis, sentenze n. 190 e n. 187 del 2022; ordinanza n. 133 del 2022). Ne consegue che il processo deve essere dichiarato estinto, limitatamente alle questioni promosse nei confronti degli artt. 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

4.– Riservata a separate pronunce la decisione delle altre impugnative promosse con il ricorso indicato, vanno esaminate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 53, 55 e 91, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

5.– Passando all’esame delle singole censure, l’art. 13, comma 53, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 ha sostituito il comma 1-bis dell’art. 122 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2002, modificando i requisiti per poter essere inseriti nell’elenco regionale degli idonei alle cariche di direttore amministrativo delle aziende sanitarie.

Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri si appuntano esclusivamente sul requisito della pregressa esperienza. Al riguardo, il legislatore siciliano ha previsto che alla selezione siano ammessi i candidati che non abbiano compiuto sessantacinque anni di età, in possesso, oltre che del «diploma di laurea di cui all’ordinamento previgente al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509 oppure laurea specialistica o magistrale» (lettera a), di «comprovata esperienza nella qualifica di dirigente, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato» (lettera b).

Il ricorrente ritiene, in particolare, che l’aver previsto che possano essere inseriti negli elenchi degli idonei alla carica di direttore amministrativo anche coloro che hanno maturato un’esperienza settennale in settori diversi da quello sanitario violi l’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992 e l’art. 3 del d.lgs. n. 171 del 2016, asseritamente recanti principi fondamentali della materia «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), coincidente con quella statutaria «sanità pubblica» (art. 17, primo comma, lettera b, dello statuto speciale).

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, inoltre, la violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile», in ragione del fatto che il rapporto di lavoro instaurato con il direttore amministrativo rientrerebbe nell’ambito del pubblico impiego privatizzato. Di qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Da ultimo, il ricorrente rileva un contrasto anche con i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, previsti dall’art. 97, secondo comma, Cost., perché la disposizione regionale impugnata prevederebbe requisiti di qualificazione meno rigorosi e selettivi rispetto a quelli prescritti dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, e, per ciò solo, violerebbe gli anzidetti principi.

5.1.– La disposizione impugnata si inserisce in un quadro normativo costituito innanzitutto dall’art. 3 del d.lgs. n. 171 del 2016, indicato come norma interposta dal ricorrente. Questa disposizione stabilisce – quanto al conferimento degli incarichi nelle aziende sanitarie locali, nelle aziende ospedaliere e negli altri enti del Servizio sanitario nazionale – che il direttore generale nomina il direttore amministrativo, il direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, il direttore dei servizi socio-sanitari, attingendo obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei, anche di altre regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione per titoli e colloquio, effettuati da una commissione nominata dalla regione.

La commissione in parola valuta i titoli formativi e professionali, scientifici e di carriera presentati dai candidati, secondo specifici criteri indicati nell’avviso pubblico, «fermi restando i requisiti previsti per il direttore amministrativo e il direttore sanitario dall’articolo 3, comma 7, e dall’articolo 3-bis, comma 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni».

L’art. 3 del d.lgs. n. 171 del 2016 mantiene quindi fermi i requisiti previsti agli artt. 3, comma 7 (anch’esso indicato come norma interposta nell’odierno giudizio), e 3-bis, comma 9, del d.lgs. n. 502 del 1992.

Il citato comma 7 dell’art. 3 stabilisce, tra l’altro, che «[i]l direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che, all’atto del conferimento dell’incarico, non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».

Il testo originario del comma 7 dell’art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992 non faceva alcuna menzione dell’ambito entro il quale era richiesta la pregressa esperienza quinquennale, limitandosi a stabilire che «[i]l direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture pubbliche o private di media o grande dimensione».

L’art. 4, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) ha sostituito il citato comma 7, stabilendo che «[i]l direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».

L’art. 45, comma 1-quater, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, ha poi previsto che, nel terzo periodo del comma 7 dell’art. 3, «dopo le parole: “il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che” sono inserite le seguenti: “, all’atto del conferimento dell’incarico,”».

Dunque, già a partire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 517 del 1993, il requisito della pregressa esperienza quinquennale, consistente in «una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private», risulta presente nell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992.

A fronte di questa disciplina statale si registrano significative differenze nelle normative di altre regioni, che però non rilevano nel presente giudizio attinente alla specifica legislazione siciliana, ben potendo costituire oggetto di un autonomo sindacato da parte di questa Corte in sede di giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

5.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 53, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 è fondata in riferimento agli artt. 97, secondo comma, e 117, terzo comma, Cost.

5.2.1.– In ragione del tenore della disposizione impugnata e delle specifiche censure mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, questa Corte non ritiene di doversi discostare, nella definizione del presente giudizio, da quanto affermato nella sentenza n. 155 del 2022.

Con il ricorso deciso con la pronuncia appena citata, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva, tra l’altro, impugnato l’art. 11 della legge della Regione Siciliana 3 agosto 2021, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale di Agrigento e di personale di Sicilia Digitale S.p.A. Disposizioni varie), che aveva aggiunto, all’art. 122 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2002, il comma 1-bis, contenente disposizioni in materia di requisiti per essere inseriti nell’elenco degli idonei alla direzione amministrativa delle aziende sanitarie regionali.

Dunque, l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021 aveva introdotto il comma 1-bis nel citato art. 122, che è stato poi sostituito dal comma 53 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 (oggetto dell’odierna impugnazione).

Dalla comparazione tra i due testi si evince che, mentre la norma regionale dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con la sentenza n. 155 del 2022 prevedeva l’esperienza quinquennale anche in settori diversi da quello sanitario, la norma oggi vigente e oggetto dell’odierno giudizio prevede, oltre all’esperienza quinquennale nel settore sanitario, anche quella settennale in altri settori. In altre parole, il legislatore siciliano, poco prima che venisse depositata la sentenza n. 155 del 2022, ha sostituito il testo del citato comma 1-bis, innalzando a sette anni l’esperienza in settori diversi da quello sanitario.

È altresì utile rilevare che le ragioni di impugnativa allora indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri erano sostanzialmente coincidenti con quelle proposte nel presente giudizio. Anche in quel caso, infatti, il ricorrente riteneva che la disposizione impugnata, prevedendo requisiti di qualificazione «meno rigorosi e selettivi» rispetto a quelli prescritti dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, si ponesse in contrasto con gli artt. 17, primo comma, lettere b) e c), dello statuto speciale e con gli artt. 97 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost.

Nella sentenza n. 155 del 2022 questa Corte ha ribadito che la disciplina degli incarichi della dirigenza sanitaria deve essere ricondotta alla materia «tutela della salute» e alla relativa competenza legislativa (sentenze n. 129 del 2012, n. 233 e n. 181 del 2006), la cui ampiezza coincide con quella – parimenti concorrente – di cui la Regione Siciliana è titolare in materia di «sanità pubblica», ai sensi dell’art. 17 dello statuto speciale.

Ha poi precisato che «[l]e disposizioni contenute nell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992 […] costituiscono, indubbiamente, un principio fondamentale della legislazione statale in materia di tutela della salute, vincolante, come tale, rispetto alla potestà legislativa regionale in materia di sanità pubblica e una chiara espressione, nel settore sanitario, del principio di buon andamento dell’azione amministrativa».

Ed ancora, che «“la previsione di un elenco in cui devono essere iscritti i soggetti che intendono partecipare alle singole selezioni regionali è da ricondursi all’esigenza di garantire un alto livello di professionalità dei candidati, i quali debbono possedere requisiti curriculari unitari” e che tale esigenza deve ritenersi “espressione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, data l’incidenza che la professionalità delle persone che ricoprono gli incarichi apicali esplica sul funzionamento delle strutture cui sono preposte, con inevitabili riflessi sulla qualità delle prestazioni sanitarie rese” (così la sentenza n. 159 del 2018)» (sentenza n. 155 del 2022).

Questa Corte ha concluso affermando che «[l]a norma censurata si pone, dunque, in evidente contrasto con il principio fondamentale dettato dal legislatore statale, non solo perché modifica la tipologia di esperienza richiesta ai soggetti che richiedono di accedere all’elenco degli idonei alla direzione amministrativa, ma anche, soprattutto, in quanto amplia, significativamente, l’area in cui tale esperienza può essere acquisita, estendendola a settori del tutto estranei all’ambito della sanità», con la conseguenza della sua illegittimità costituzionale.

5.2.2.– La sostanziale coincidenza di contenuto della disposizione impugnata e l’identità dei parametri costituzionali invocati e delle norme interposte indicate inducono a ritenere fondata anche l’odierna questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione dell’evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, da ritenersi alla stregua di un principio fondamentale della materia «tutela della salute» (sempre sentenza n. 155 del 2022).

L’aver previsto una durata superiore (sette anni) per il requisito della pregressa esperienza in settori diversi da quello sanitario – rispetto a quella, di cinque anni, stabilita nella norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 155 del 2022 – non è dirimente ai fini della soluzione della presente questione di legittimità costituzionale. Ciò che infatti rileva a tali fini è il contrasto con il principio espresso nella normativa statale, che ha inteso limitare all’ambito sanitario il periodo di pregressa esperienza al fine dell’inserimento negli elenchi degli idonei a ricoprire la carica di direttore amministrativo.

Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 53, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 limitatamente alle parole «o settennale in altri settori».

L’accoglimento della questione sotto gli anzidetti profili comporta l’assorbimento dell’ulteriore censura prospettata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

6.– È impugnato anche il comma 55 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022; esso si articola in due periodi, nei quali il ricorrente ravvisa due distinti profili di illegittimità costituzionale. Le relative questioni devono essere pertanto esaminate separatamente.

Seguendo l’ordine del ricorso, si prende in esame innanzitutto la questione promossa nei confronti del secondo periodo del comma 55 e, di seguito, quella rivolta al primo.

6.1.– L’ultimo periodo del comma 55 prevede che «[p]er l’anno 2022 i trasferimenti extrabudget in favore dei soggetti privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale sono calcolati sul consolidato dell’anno 2019». Esso è impugnato per violazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Il ricorrente non contesta la previsione secondo cui i trasferimenti extrabudget per l’anno 2022 sono calcolati sulla base del consolidato dell’anno 2019, ma muove una più radicale censura, ritenendo che l’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 (assunto come norme interposta) non consenta la remunerazione delle prestazioni che eccedono il tetto di spesa e quindi «trasferimenti extrabudget».

Al riguardo, la difesa statale richiama la giurisprudenza, sia della Corte di cassazione, sia del Consiglio di Stato, dalla quale desume la necessità che sia sempre rispettato il tetto di spesa in materia sanitaria, al punto che sarebbe financo «giustificata» la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni eccedenti quanto preventivamente concordato. Di qui la conclusione che sarebbe rimessa alla libera valutazione degli operatori privati la scelta di continuare a operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte oppure di collocarsi al di fuori del servizio sanitario nazionale e quindi di continuare a operare privatamente.

6.1.1.– Per comprendere i termini della censura devono essere ricostruiti il quadro normativo, in cui la disposizione impugnata e quella interposta si inseriscono, nonché gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi sul punto e in gran parte richiamati dalla difesa statale.

L’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, rubricato «Accordi contrattuali», prevede, al comma 1, che le regioni definiscono l’ambito di applicazione degli «accordi contrattuali» e individuano i soggetti interessati (pubblici e privati), tenendo conto, tra l’altro, dei «criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura».

Il comma 2 del medesimo art. 8-quinquies stabilisce che, in attuazione di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 8-quinquies e con le modalità di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, le regioni e le unità sanitarie locali possono definire accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulare contratti con quelle private e con i privati accreditati. Questi accordi e contratti devono indicare, tra l’altro: il volume massimo delle prestazioni che le strutture si impegnano ad assicurare (lettera b), il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate (lettera d) e la modalità con cui viene comunque garantito il rispetto del limite di remunerazione delle strutture, prevedendo che, in caso di incremento dei valori dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni, sia rideterminato il volume massimo di prestazioni remunerate, nella misura necessaria al mantenimento del limite di spesa globalmente preventivato (lettera e-bis).

Quello delineato dal legislatore statale è dunque un modello che pone al centro l’esigenza di mantenere la spesa sanitaria entro il livello massimo preventivamente concordato ma che, di per sé, non esclude la remunerazione delle prestazioni eccedenti attraverso un meccanismo cosiddetto di regressione tariffaria.

6.1.2.– In questa direzione si è mossa, in modo significativamente uniforme, la giurisprudenza ordinaria, amministrativa e contabile, oltre che quella di questa Corte. Emblematica in tale senso è la sentenza della Corte di cassazione, sezione terza civile, 6 luglio 2020, n. 13884, in tema di prestazioni extrabudget, secondo cui «“l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato”, di talché si è ritenuta persino “giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget”, e ciò in ragione della “necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit., la quale richiama Cons. St. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2016, n. 566; Cons. St., Sez. 3, sent. 10 aprile 2015, n. 1832)».

Una conferma di queste conclusioni è poi rinvenuta dalla Corte di cassazione nelle «stesse norme vigenti in materia (L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 8, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 12, comma 3, e D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 39), le quali “hanno disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema” (Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.)» (Corte di cassazione, sentenza n. 13884 del 2020, richiamata da Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 7 dicembre 2021, n. 8161).

Affermazioni analoghe si rinvengono in numerose altre pronunce della Corte di cassazione. Nella menzionata sentenza della sezione terza civile, 29 ottobre 2019, n. 27608, in particolare, si legge che «solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; nel senso che esso deve essere considerato un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’ASL di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cons. Stato 27/02/2018, n. 1206)».

Merita di essere richiamata, infine, la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, 5 ottobre 2022, n. 183, nella quale si afferma, tra l’altro, che, «se è astrattamente possibile che la struttura privata possa superare il volume di prestazioni concordato, è sempre necessario che la regione stabilisca se finanziare o meno questa eccedenza di prestazioni e fissi i criteri di remunerazione (art. 8-quinquies, comma 1, lett. d)». La pronuncia sottolinea altresì la necessità che «il tetto di spesa massimo concordato sia sempre rispettato, anche ex post, grazie al meccanismo di “regressione tariffaria” ovvero di riduzione delle tariffe all’aumento delle prestazioni erogabili (art. 8-quinquies, comma 2, lett. e-bis)».

6.1.3.– Anche questa Corte, occupandosi della materia della quale si discute, ha sottolineato la centralità del principio della programmazione della spesa sanitaria (tra le tante, sentenze n. 113 del 2022, n. 36 e n. 7 del 2021, n. 248 del 2011, n. 94 del 2009, n. 257 del 2007, n. 200 e n. 111 del 2005) e ha precisato, al contempo, che le prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato possono essere remunerate (sentenze n. 257 del 2007 e n. 111 del 2005), secondo, però, il meccanismo della regressione tariffaria di cui sopra si è detto.

In tale contesto, del resto, questa Corte ha ripetutamente ricordato come «si sia progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario» (sentenze n. 248 del 2011 e n. 200 del 2005; ma anche, tra le altre, sentenze n. 94 del 2009 e n. 257 del 2007), essendosi imposta, l’esigenza della programmazione, in conseguenza dell’«elevato e crescente deficit della sanità e [del]le esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, nonché di razionalizzazione del sistema sanitario» (sentenza n. 94 del 2009).

Pertanto, le disposizioni recate dal d.lgs. n. 502 del 1992, così come successivamente modificate, si configurano alla stregua di «norme di principio della legislazione statale dirette a garantire ad ogni persona il diritto alla salute come “un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti”, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (sentenze nn. 304 del 1994, 247 del 1992)» (sempre sentenza n. 200 del 2005).

Così ricostruiti il quadro normativo e gli orientamenti affermatisi nella giurisprudenza, si può procedere all’esame della censura mossa dal ricorrente.

6.1.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 55, secondo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 è fondata per violazione dei principi fondamentali nella materia «coordinamento della finanza pubblica».

La disposizione impugnata, facendo riferimento ai «trasferimenti extrabudget in favore dei soggetti privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale», reca una formula talmente ampia da ricomprendere la corresponsione alle strutture anzidette di qualsiasi tipo di somma ulteriore rispetto a quelle preventivamente concordate. Si deve ritenere dunque che la censura formulata dal ricorrente, anche in ragione dell’invocato parametro interposto, si riferisca, non alla mera erogazione di prestazioni extrabudget, cioè di prestazioni eccedenti rispetto al programma preventivato – da remunerarsi eventualmente (cioè alle condizioni indicate dalla giurisprudenza sopra richiamata) attraverso il meccanismo della regressione tariffaria ma sempre nel rispetto del tetto massimo di spesa –, bensì al trasferimento di risorse finanziarie ulteriori rispetto al «corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo […]» (art. 8-quinquies, comma 2, lettera d, del d.lgs. n. 502 del 1992).

D’altra parte, è lo stesso art. 8-sexies, comma 1, del medesimo decreto legislativo a chiarire che «[l]e strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento».

Nel contesto normativo e giurisprudenziale sopra delineato, le regioni sono chiamate a contribuire al raggiungimento di un ragionevole punto di equilibrio tra l’esigenza di assicurare (almeno) i livelli essenziali di assistenza sanitaria e quella di garantire una più efficiente ed efficace spesa pubblica, anch’essa funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico del settore.

La Regione Siciliana, con la disposizione impugnata, si muove invece nella prospettiva opposta, legittimando ex post «trasferimenti extrabudget». La previsione stessa si appalesa quindi in contrasto con il principio della programmazione della spesa sanitaria, sancito dal citato art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 e finalizzato a contemperare il necessario contenimento di questa significativa voce di spesa pubblica con l’esigenza di assicurare «i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale» (art. 1, comma 2, del medesimo decreto legislativo). Principio che, per la sua specifica ratio, va ascritto alla categoria dei principi che, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, vincolano anche le autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 201 del 2022, n. 44 del 2021, n. 273, n. 130 e n. 78 del 2020, n. 241, n. 172 e n. 103 del 2018, n. 191, n. 154 e n. 151 del 2017).

Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 55, secondo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

6.2.– È altresì impugnato il primo periodo del comma 55 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, il quale stabilisce che «[l]e strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio possono raggiungere gli standard organizzativi e di personale richiesti dall’articolo 29, comma 1, del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni con legge 23 luglio 2021, n. 106, anche attraverso la costituzione di reti di impresa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5 convertito con modificazioni con legge 9 aprile 2009, n. 33».

Secondo il ricorrente la norma non assicurerebbe, «in modo chiaro, la coerenza con le indicazioni» contenute nei «Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio», approvati con l’Accordo, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs.n. 281 del 1997, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, «in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (Rep. Atti 61/CSR del 23 marzo 2011, allegato A)». In particolare, i citati criteri impegnerebbero le regioni ad attivare «meccanismi di reale aggregazione fra strutture di laboratorio».

Al netto di questa osservazione preliminare, rispetto alla quale il ricorrente non formula una precisa questione di legittimità costituzionale, la difesa statale rinviene piuttosto un profilo di illegittimità costituzionale nella presunta violazione dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale in materia di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), posti dall’art. 29, comma 1, del d.l. n. 73 del 2021, come convertito.

Quest’ultima norma – assunta come interposta nel presente giudizio – stabilisce, a sua volta, che «[a]l fine di adeguare gli standard organizzativi e di personale ai processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano favoriscono il completamento dei processi di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, attivati mediante l’approvazione dei piani previsti dall’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e inseriscono tra le strutture qualificate gli istituti di ricerca con comprovata esperienza in materia di sequenziamento di nuova generazione (NGS). Per gli anni 2021 e 2022, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono riconoscere alle strutture che si adeguano progressivamente ai predetti standard non oltre il 31 dicembre 2022, al fine di garantire la soglia minima di efficienza di 200.000 esami di laboratorio e di prestazioni specialistiche o di 5.000 campioni analizzati con tecnologia NGS, un contributo da stabilirsi con provvedimento della regione o della provincia autonoma, nei limiti dell’importo di cui al comma 2».

Secondo il ricorrente, la disposizione regionale impugnata non chiarirebbe se lo standard relativo al numero minimo di 200.000 prestazioni da garantire quale requisito di accreditamento per le strutture eroganti prestazioni di laboratorio (previsto dal citato art. 29 del d.l. n. 73 del 2021, come convertito) sia da intendere riferito ad ogni singola struttura in senso fisico o al complesso delle strutture interessate e, quindi, alle stesse in forma aggregata, né preciserebbe se tale aggregazione debba essere conforme ai criteri di cui all’Accordo sopra citato.

In sostanza, il Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbe imputare alla disposizione regionale impugnata la mancanza di chiarezza circa il rispetto degli standard individuati nella norma statale interposta e la conformità ai criteri di cui al citato accordo.

6.2.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 55, primo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 è inammissibile.

Il ricorso, infatti, pur individuando la normativa statale interposta recante il principio fondamentale della materia concorrente «tutela della salute», con cui contrasterebbe la disposizione regionale impugnata, non precisa le ragioni di tale contrasto, limitandosi a una generica censura consistente nella «mancata chiarezza» della disposizione regionale impugnata.

La giurisprudenza di questa Corte è costante «nell’affermare “che, nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione promossa (con riferimento alla normativa che censura ed ai parametri che denuncia violati), ma ha anche l’onere (da considerare addirittura più pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali: ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi” (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021)» (sentenze n. 17 del 2023 e n. 135 del 2022; nello stesso senso, di recente, sentenze n. 119 e n. 117 del 2022).

Manca, invece, nel ricorso una motivazione adeguata a dare conto della pretesa violazione della norma statale interposta e quindi del parametro costituzionale evocato. Né è possibile desumere le ragioni di illegittimità costituzionale dal mero confronto tra la disposizione impugnata e quella interposta.

7.– È impugnato, da ultimo, il comma 91 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, secondo cui «[a]i fini dell’attuazione dell’articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021 n. 234 e successive modificazioni, gli enti del Servizio sanitario regionale procedono preliminarmente, entro il 31 dicembre 2022, a una ricognizione dei fabbisogni di personale, anche nel periodo pandemico, e applicano i CCNNLL dell’ambito sanitario aggiornando, anche in deroga, il piano triennale del fabbisogno di personale, applicando le previsioni di legge anche al personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo, selezionato attraverso prove selettive per titoli e/o colloquio, e che abbia maturato o che maturerà alla data del 31 dicembre 2022 i 18 mesi previsti dalla legge n. 234/2021».

Il Presidente del Consiglio dei ministri muove nei confronti di questa norma regionale tre specifiche censure, contestandola nella parte in cui prevede, ai fini dell’attuazione della procedura di stabilizzazione prevista dall’art. 1, comma 268, lettera b), della legge n. 234 del 2021: a) la possibilità di derogare al piano triennale dei fabbisogni del personale; b) l’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione anche al personale del ruolo tecnico e amministrativo; c) l’estensione al 31 dicembre 2022 del termine utile ai fini della maturazione dei diciotto mesi di servizio (previsto, nel testo originario della normativa statale, nel 30 giugno 2022).

Per le ragioni anzidette la disposizione regionale impugnata derogherebbe ai criteri previsti dal citato art. 1, comma 268, lettera b), della legge n. 234 del 2021 e dall’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, da considerarsi come norme interposte.

Dalla violazione di queste ultime deriverebbe il contrasto della disposizione regionale: a) con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la disposizione regionale impugnata introdurrebbe una forma di stabilizzazione avulsa dal citato quadro normativo statale (riconducibile alla competenza legislativa in materia di «ordinamento civile»), prevedendo maggiori limiti temporali per la maturazione dei requisiti, includendo tra il personale destinatario anche il personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo, in luogo del solo personale del ruolo sanitario e di quello socio-sanitario, e prevedendo che detta stabilizzazione avvenga anche in deroga al piano triennale dei fabbisogni di personale; b) con l’art. 117, terzo comma, Cost., perché sarebbero violate le norme statali in tema di stabilizzazione del personale cosiddetto precario, qualificabili come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in quanto ispirate alla finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del personale; c) con l’art. 81 Cost.

Non è invece oggetto di censura l’inciso secondo cui la procedura di stabilizzazione si applica «anche al personale contrattualizzato a qualunque titolo».

7.1.– Preliminarmente deve essere delimitato il thema decidendum, con la precisazione che ad essere oggetto dell’impugnativa statale sono solo i tre profili sopra individuati e non l’intera procedura di stabilizzazione disciplinata dalla norma regionale, la quale – come detto – trova un preciso fondamento nel comma 268, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021.

In particolare, la norma statale appena citata rimette a ciascuna regione il compito di definire i «criteri di priorità» da seguire per realizzare la procedura di stabilizzazione ivi prevista.

7.2.– Sempre in via preliminare, occorre ricordare che la norma statale interposta (art. 1, comma 268, lettera b, della legge n. 234 del 2021) è stata ripetutamente modificata dopo il promovimento delle odierne questioni. In questa sede rilevano ovviamente le sole modifiche concernenti i profili di denunciato contrasto tra la norma regionale e quella interposta.

Al riguardo, il legislatore statale è intervenuto sulla lettera b) del citato comma 268 dapprima con l’art. 20-ter del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, sostituendo l’originaria formula (utilizzata per individuare i destinatari della procedura di stabilizzazione) «il personale del ruolo sanitario e gli operatori socio-sanitari» con «il personale del ruolo sanitario e del ruolo socio-sanitario», ma mantenendo fermo il termine del 30 giugno 2022 per la maturazione del requisito di «almeno diciotto mesi di servizio».

Successivamente, con l’art. 1, comma 528, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), le parole «che abbiano maturato al 30 giugno 2022» sono state sostituite con le parole «che abbiano maturato al 31 dicembre 2023», consentendo quindi che il requisito dei diciotto mesi di servizio sia maturato entro quest’ultima data.

A seguito delle anzidette modifiche, la norma statale interposta – limitatamente alla lettera b) del comma 268 – prevede che, «[a]l fine di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali anche per il recupero delle liste d’attesa e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza da COVID-19, gli enti del Servizio sanitario nazionale, nei limiti di spesa consentiti per il personale degli enti medesimi […]: […] b) ferma restando l’applicazione dell’articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, dal 1° luglio 2022 e fino al 31 dicembre 2024 possono assumere a tempo indeterminato, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, il personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario, anche qualora non più in servizio, che siano stati reclutati a tempo determinato con procedure concorsuali, ivi incluse le selezioni di cui all’articolo 2-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e che abbiano maturato al 31 dicembre 2023 alle dipendenze di un ente del Servizio sanitario nazionale almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022, secondo criteri di priorità definiti da ciascuna regione. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto mediante procedure diverse da quelle sopra indicate si provvede previo espletamento di prove selettive».

Infine, l’art. 4, comma 9-quinquiesdecies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, ha previsto che «[a]llo scopo di fronteggiare la grave carenza di personale e superare il precariato, nonché per garantire continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per il personale dirigenziale e non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, il termine per il conseguimento dei requisiti di cui all’articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234, è stabilito al 31 dicembre 2024».

Inoltre, il comma 9-septiesdecies del medesimo art. 4, pur senza modificare la norma statale interposta (art. 1, comma 268, lettera b, della legge n. 234 del 2021), ha esteso l’applicabilità di quest’ultima, «previo espletamento di apposita procedura selettiva e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, al personale dirigenziale e non dirigenziale sanitario, socio-sanitario e amministrativo reclutato dagli enti del Servizio sanitario nazionale, anche con contratti di lavoro flessibile, anche qualora non più in servizio, nei limiti di spesa di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60».

7.3.– Ciò chiarito, le questioni di legittimità costituzionale del comma 91 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, limitatamente ai profili sopra indicati, sono fondate per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Quanto all’ambito materiale inciso, esso deve essere individuato tenendo conto dello specifico contenuto delle parti impugnate della disposizione regionale in esame, le quali – come detto – attengono alla possibilità di derogare al piano triennale dei fabbisogni del personale (a fronte della coerenza con siffatto piano imposta dalla norma interposta), all’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della procedura di stabilizzazione (tale da ricomprendere anche il personale del ruolo tecnico e amministrativo) e infine alla estensione al 31 dicembre 2022 del termine utile ai fini della maturazione dei diciotto mesi di servizio (previsto, nel testo originario della normativa statale, nel 30 giugno 2022).

Si tratta di limiti introdotti dal legislatore statale al fine di sottoporre a vincoli stringenti la stabilizzazione del personale cosiddetto precario dei ruoli sanitario e socio-sanitario, in modo da contemperare, tra l’altro, l’indiscutibile necessità di «rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali anche per il recupero delle liste d’attesa e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio […] durante l’emergenza da COVID-19» con l’altrettanto pressante esigenza di contenere la spesa per il personale delle strutture del servizio sanitario regionale.

Il punto di equilibrio fra queste opposte esigenze è stato individuato dal legislatore statale tramite la fissazione di tre criteri: 1) la coerenza con il piano triennale dei fabbisogni del personale; 2) un limite soggettivo (quanto ai ruoli sanitario e socio-sanitario); e 3) un limite temporale (quest’ultimo, peraltro, oggetto di successive modifiche).

Quelle recate dalla lettera b) del comma 268 dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021 sono quindi previsioni rivolte al dichiarato fine di coordinare la spesa pubblica per il personale dei ruoli anzidetti e di contenerla entro limiti ragionevoli, da ricondurre ai principi fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica», vincolanti anche per le autonomie speciali.

Per questa ragione, il legislatore regionale siciliano non poteva incidere sugli anzidetti profili, essendogli consentito soltanto di dare attuazione alla procedura prevista dalla normativa statale nel rispetto dei limiti ivi indicati, concernenti le ricadute sulla finanza pubblica di siffatta stabilizzazione.

Deve essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 91 dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022: nella parte in cui prevede che la procedura di stabilizzazione ivi prevista possa avvenire «anche in deroga», anziché «in coerenza» con il piano triennale di fabbisogno di personale; nella parte in cui consente la stabilizzazione di personale diverso da quello sanitario e socio-sanitario, e quindi limitatamente alle parole «tecnico ed amministrativo,»; e, infine, nella parte in cui prevede che i diciotto mesi di servizio debbano essere maturati alla data del 31 dicembre 2022, anziché nel diverso termine previsto dalla normativa statale vigente pro tempore.

Le ulteriori censure proposte nei confronti della medesima disposizione restano assorbite.

8.– Infine, questa Corte non può esimersi dal rilevare la sovrapposizione di normative eterogenee, l’attuazione frammentaria e a distanza di molto tempo della normativa statale, il succedersi di interventi su testi già ripetutamente modificati e in attesa di giudizio da questa Corte perché impugnati dal Presidente del Consiglio dei ministri, e, non ultima, la peculiarità delle modalità di approvazione della legge di stabilità regionale, il cui testo definitivo si rivela del tutto nuovo non solo rispetto a quello presentato dalla Giunta regionale, ma anche a quello su cui si è svolta la gran parte della discussione parlamentare.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibile l’intervento di G. M., P.M. T., B. R., P. M. e F. B.;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 53, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), limitatamente alle parole «o settennale in altri settori»;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 55, secondo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 91, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, nella parte in cui prevede che la procedura di stabilizzazione ivi prevista possa avvenire «anche in deroga», anziché «in coerenza» con il piano triennale di fabbisogno di personale, nella parte in cui consente la stabilizzazione di personale diverso da quello sanitario e socio-sanitario, e quindi limitatamente alle parole «tecnico ed amministrativo», e infine nella parte in cui prevede che i diciotto mesi di servizio debbano essere maturati alla data del 31 dicembre 2022, anziché nel diverso termine previsto dalla normativa statale vigente pro tempore;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 55, primo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 19, 20 e 21, e 15, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.