Sentenza n. 63 del 2023

 SENTENZA N. 63

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel procedimento vertente tra V. C. e la Presidenza della Regione Siciliana e altro, con ordinanza del 12 maggio 2022, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione di V. C.;

udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2023 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato Calogero Ubaldo Marino per V. C.;

deliberato nella camera di consiglio del 21 febbraio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 maggio 2022, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato) per contrasto con gli artt. 3, 11, 24, 111, 117, commi primo e secondo, lettere l) e m), e 136 della Costituzione.

2.– Il giudice rimettente espone che l’appellante V. C. era risultata tra i vincitori del concorso pubblico per la copertura di settanta posti di dirigente tecnico archeologo del ruolo dei Beni culturali e ambientali di cui alla Tabella A della legge della Regione Siciliana 27 aprile 1999, n. 8 (Rideterminazione delle dotazioni organiche del ruolo tecnico dei beni culturali ed ambientali e disposizioni in materia di catalogazione informatizzata dei beni culturali), per i quali era previsto il trattamento economico corrispondente all’VIII livello retributivo di cui alla Tabella A del decreto presidenziale della Regione Siciliana 20 gennaio 1995, n. 11 (Disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione regionale per il triennio 1994-1996B - Recepimento dell’accordo sottoscritto il 30 giugno 1994 ed il 28 dicembre 1994). Con decreto del dirigente generale 3 marzo 2005, n. 5359, l’amministrazione aveva disposto la nomina di V. C. attribuendole il trattamento retributivo corrispondente al VII livello (corrispondente, secondo quanto prospettato dalla parte privata, alla posizione economica D1).

V. C. aveva impugnato il predetto decreto con ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, chiedendone l’annullamento nella parte in cui era stato disposto l’inquadramento della stessa nella categoria «D». Con parere n. 644 del 2006 reso nell’adunanza dell’11 dicembre 2007, le sezioni riunite del CGARS avevano accolto il ricorso, riconoscendo, in particolare, che «il corretto inquadramento della ricorrente stessa non poteva che essere proprio quello di dirigente di terza fascia».

Dopo un’iniziale inerzia, il Presidente della Regione Siciliana, con il decreto presidenziale 7 novembre 2011, n. 1017, aveva respinto il ricorso straordinario presentato dalla V. C., decidendo in difformità del parere reso dal CGARS.

Avverso tale decreto presidenziale e gli atti a esso prodromici V. C. aveva proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale di Palermo, il quale lo respingeva in quanto l’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 – che prevede la possibilità di decisione del ricorso straordinario in maniera difforme dal parere del competente organo consultivo – non poteva ritenersi tacitamente abrogato per sopravvenuta incompatibilità con l’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che prevede, invece, la natura vincolante del parere reso dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. E ciò in ragione della peculiare natura del d.lgs. n. 373 del 2003, che reca norme di attuazione del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 e ha rango sovraordinato alla legge ordinaria.

Avverso la sentenza del TAR, V. C. ha proposto appello, sostenendo l’illegittimità del decreto impugnato in quanto, nell’essersi discostato dal parere reso dal CGARS in sede consultiva, aveva esercitato un potere, previsto dall’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003, ormai venuto meno, a cagione della tacita abrogazione, per sopravvenuta incompatibilità di tale disposizione con la legge n. 69 del 2009. In via logicamente subordinata, ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 per violazione degli artt. 3, 24, 102 e 113 Cost. e per disparità di trattamento.

2.1.– Tanto premesso sull’articolata vicenda processuale, il giudice rimettente si sofferma sulla ricostruzione della disciplina del ricorso straordinario.

Sul punto viene innanzitutto ricordato che l’art. 69 della legge n. 69 del 2009, modificando, rispettivamente, gli artt. 13 e 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), ha previsto che il Consiglio di Stato in sede consultiva possa sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme delle quali debba fare applicazione e ha soppresso il potere del Presidente della Repubblica di discostarsi dal contenuto del parere reso dal Consiglio di Stato in sede consultiva. Viene, poi, rammentato quanto si è fatto discendere, a partire da tale novella, per via giurisprudenziale: la ricorribilità del decreto emesso in sede di decisione del ricorso straordinario alle sezioni unite della Suprema Corte di cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione al pari delle sentenze del Consiglio di Stato (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 dicembre 2012, n. 23464) e l’eseguibilità coattiva del decreto emesso in sede di decisione di ricorso straordinario con il rimedio del giudizio di ottemperanza (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 gennaio 2011, n. 2065).

2.2.– In applicazione del principio di gerarchia delle fonti, il CGARS esamina e confuta la prospettazione dell’appellante volta a sostenere l’implicita abrogazione, ad opera dell’art. 69 della legge n. 69 del 2009, dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003.

Il rimettente è consapevole dell’autorevole precedente della Corte di cassazione contrario a tale conclusione (Cass., sez. un., n. 2065 del 2011), ma, in senso antitetico, valorizza il rango primario del d.lgs. n. 373 del 2003, recante norme di attuazione di statuti speciali. A parere del giudice a quo – che cita le sentenze n. 213 e n. 137 del 1998, n. 85 del 1990, n. 160 del 1985 – tale decreto legislativo va considerato fonte a competenza «riservata e separata» rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica.

2.3.– Il giudice a quo solleva, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003, nella parte in cui dispone che «[q]ualora il Presidente della Regione non intenda decidere il ricorso in maniera conforme al parere del Consiglio di giustizia amministrativa, con motivata richiesta deve sottoporre l’affare alla deliberazione della Giunta regionale».

Sotto il profilo della rilevanza, il rimettente osserva che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale del menzionato comma 5 farebbe retroattivamente venir meno, in un rapporto che non può dirsi esaurito, il potere del Presidente della Regione di discostarsi dal parere reso dal CGARS, incidendo sulla legittimità del provvedimento impugnato. In sede di riedizione del potere successivamente all’annullamento, il provvedimento dovrebbe, poi, conformarsi al parere reso dalla sezione consultiva del CGARS e la pretesa dell’odierna appellante risulterebbe soddisfatta. Sul punto viene altresì rimarcato che la declaratoria di illegittimità costituzionale non produrrebbe alcun vuoto normativo, in quanto – come più volte affermato in giurisprudenza – le disposizioni della legge n. 69 del 2009, nella parte in cui novellano il d.P.R. n. 1199 del 1971, sono applicabili al corrispondente istituto siciliano.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio sostiene che il potere attribuito al Presidente della Regione di decidere il ricorso straordinario difformemente dal parere del CGARS non discende dal disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana, che si limita a prevedere che «[i] ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Opinando diversamente, peraltro, occorrerebbe chiedersi perché, in sede di adozione della normativa primaria attuativa ex d.lgs. n. 373 del 2003, sia stata avvertita la necessità di specificare espressamente la sussistenza di tale potestà in capo al Presidente della Regione e il quomodo dell’esercizio di tale potere. Viene quindi ribadito che il potere del Presidente della Regione di decidere il ricorso straordinario in difformità dal parere del CGARS si fonda esclusivamente sul comma 5 dell’art. 9 del d.lgs. n. 373 del 2003.

2.3.1.– Il rimettente sottolinea il processo di progressiva, sostanziale giurisdizionalizzazione dell’istituto del ricorso straordinario, caratterizzato dall’innesto di elementi e caratteristiche proprie della giurisdizione.

Sul punto viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 13 del 2020, n. 133 del 2016 e n. 73 del 2014), la quale ha affermato che, per effetto delle modifiche di cui all’art. 69 della legge n. 69 del 2009 e all’art. 7, comma 8, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), l’istituto ha perduto la propria connotazione puramente amministrativa e ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo, con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo. Viene in particolare ricordata la sentenza n. 24 del 2018 che ha ricondotto la trasformazione dell’istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009, le quali hanno reso vincolante il parere del Consiglio di Stato e hanno consentito che in quella sede vengano sollevate questioni di legittimità costituzionale.

Ricostruendo l’istituto nella sua evoluzione, il giudice a quo ricorda una serie di punti ormai acquisiti dalla giurisprudenza, relativi all’esperibilità del rimedio dell’ottemperanza e alla ricorribilità alle sezioni unite della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione del decreto decisorio; nonché al riconoscimento della legittimazione in capo alla sezione consultiva del CGARS a sollevare questione di legittimità costituzionale e questione pregiudiziale interpretativa ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

2.3.2.– Alla luce di tale ricostruzione, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale della norma censurata con riferimento a diversi parametri costituzionali.

Innanzitutto, è prospettata la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost.

Dai parametri indicati, a parere del rimettente, discenderebbe «l’esigenza di una uniformità di disciplina sul territorio nazionale […] presidiata dall’attribuzione allo Stato […] “della legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa [nonché di] determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”» (quest’ultimo parametro viene dal rimettente richiamato espressamente in quanto «individua un solido riferimento anche laddove si voglia (continuare ad) attribuire all’istituto del ricorso straordinario natura meramente giustiziale attuativo di una forma di difesa non declinata per via “giurisdizionale”»).

È prospettato, inoltre, il contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., il quale postula, tra l’altro, che a tutti i cittadini della Repubblica venga attribuito un identico corredo di rimedi giustiziali e giurisdizionali, «intersecandosi» con gli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost.

Sul punto il rimettente chiarisce che non assume dirimente rilievo la qualificazione da attribuire al rimedio del ricorso straordinario. E ciò in quanto la disposizione censurata – sia che si voglia rimanere attestati sulla natura «giustiziale» del rimedio suddetto, sia che se ne voglia sostenere la compiuta giurisdizionalizzazione – introdurrebbe comunque una discriminazione e una compromissione del diritto di difesa in danno dei soggetti ricorrenti che si avvalgano di detto rimedio per impugnare atti amministrativi emanati dagli organi regionali o da organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione Siciliana, ivi compresi quelli degli enti locali destinati a spiegare effetti nel territorio della Regione Siciliana, rispetto ai ricorrenti che abbiano impugnato atti destinati a spiegare effetti in altre parti del territorio della Repubblica.

Più precisamente, il giudice a quo sostiene che, qualora si aderisse alla tesi dell’avvenuta giurisdizionalizzazione dell’istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica come conseguenza della soppressione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, ne discenderebbe che, stante il mantenimento del corrispondente potere in sede di ricorso al Presidente della Regione Siciliana, i ricorrenti che si avvalgano di tale strumento sarebbero privati di un rimedio giurisdizionale – attribuito, invece, ai ricorrenti che impugnano atti destinati a spiegare effetti in altre parti del territorio della Repubblica – e sarebbero attributari di un «semplice» rimedio giustiziale.

Se, invece, si ritenesse che i due rimedi abbiano la medesima natura – giurisdizionale o giustiziale a seconda della tesi sposata –, allora, pur a fronte di una medesima natura dei due istituti, per colui che ricorre innanzi al Presidente della Regione Siciliana vi sarebbero minori garanzie rispetto ai soggetti che ricorrono innanzi al Presidente della Repubblica.

Sostiene il rimettente che, quantomeno con riferimento ai decreti decisori emessi discostandosi dal parere consultivo, le parti verrebbero ad essere private di un corredo di garanzie e rimedi invece esperibili in altre parti del territorio della Repubblica. A sostegno di tale argomentazione vengono rammentate le considerazioni svolte dalla giurisprudenza sulla non coercibilità con il rimedio dell’ottemperanza dei decreti decisori resi nel regime normativo precedente alle modifiche di cui alla legge n. 69 del 2009 (sentenza di questa Corte n. 24 del 2018) e dei decreti adottati in difformità al parere del Consiglio di Stato, previa delibera del Consiglio dei ministri (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 15 giugno 2017, n. 14858); oltre che l’individuazione, come condizione decisiva per la ricorribilità innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, della non possibilità che il decreto si discosti dal parere reso in sede consultiva (Cass., sez. un., n. 23464 del 2012).

Infine, il giudice a quo lamenta che la determinazione del Presidente della Regione, pur dovendo essere motivata, «non sarebbe in alcun modo preconizzabile al momento della determinazione del ricorrente di avvalersi del detto rimedio (e delle scelte delle altre parti di non chiedere la trasposizione)», il che finirebbe per «intersecare in modo decisivo, non soltanto il disposto dell’art. 24 della Costituzione ma, anche quello di cui all’art. 111 della Costituzione, quanto alla ricorribilità dei provvedimenti del Giudice amministrativo».

Il rimettente si dice consapevole della possibile obiezione legata alla considerazione che si tratta pur sempre di un rimedio facoltativamente esperibile, collocato in regime di alternatività con quello ordinario giurisdizionale; ma, al contempo, ne valorizza la portata. Si tratterebbe, infatti, di un antico strumento di tutela che continua ad essere frequentemente prescelto dai ricorrenti per molteplici ragioni: la velocità della risposta, il costo non elevato, e, non ultima, la maggior ampiezza del termine entro cui proporre l’impugnazione.

A ulteriore supporto delle proprie argomentazioni, il Collegio rimettente sottolinea i rischi insiti nella latitudine della previsione del censurato comma 5 dell’art. 9 del d.lgs. n. 373 del 2003. Dal tenore letterale di tale disposizione, infatti, non si potrebbe ricavare alcuna perimetrazione del potere del Presidente della Regione di decidere il ricorso in senso difforme dal parere. Lo stesso potrebbe, cioè, dispiegarsi quali che siano stati gli «accadimenti» verificatisi durante l’iter percorso dalla sezione consultiva del CGARS per rendere il proprio parere. Non resterebbero esclusi, quindi, i casi in cui la sezione consultiva del CGARS abbia sollevato questione di legittimità costituzionale, ovvero questione pregiudiziale interpretativa ex art. 267 del TFUE, e il parere si sia successivamente conformato alle indicazioni provenienti da tali Corti. Conclude, dunque, il CGARS, sostenendo la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, e 136 Cost., «confermato» dall’art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

3.– La parte appellante nel giudizio a quo ha depositato memoria di costituzione in giudizio, ricostruendo la vicenda processuale e sostenendo la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

In particolare, aderendo alla prospettazione del giudice rimettente, sostiene che l’applicazione dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003 determina in concreto un’inaccettabile discriminazione tra i cittadini che si avvalgono del rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e i cittadini siciliani costretti a esperire il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana. Ne deriverebbe, infatti, la compromissione di quella «sostanziale uguaglianza che deve garantirsi ai cittadini su tutto il territorio nazionale», relativamente alle condizioni di esercizio del diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.).

In particolare, per effetto della disposizione censurata, colui che impugna per mezzo di ricorso straordinario un provvedimento amministrativo al fine di ottenerne l’annullamento vedrebbe, a differenza di altri, la propria pretesa giudiziale decisa da un organo non appartenente al potere giurisdizionale (il Presidente della Regione), di natura politica, che non garantisce l’indipendenza e l’imparzialità propria del giudice.

La parte deduce anche il contrasto con l’art. 102 Cost., che impone il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali, in quanto, ove venisse confermato il potere del Presidente della Regione Siciliana di emanare il decreto decisorio del ricorso straordinario anche in difformità del parere del CGARS, la decisione di un ricorso sostanzialmente giurisdizionale, come quello in oggetto, sarebbe conferito non ad organi giurisdizionali già esistenti, quali il Consiglio di Stato e il CGARS, ma ad un organo di stampo politico quale è il Presidente della Regione Siciliana.

Alla violazione degli artt. 3, 24, 102 e 113 Cost., l’appellante affianca la denuncia del contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost., ribadendo le argomentazioni svolte dal giudice rimettente.

La stessa parte, insiste, infine, sulla violazione degli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost., assumendo che la disposizione oggetto di censura introdurrebbe una discriminazione e una compromissione del diritto di difesa in danno dei soggetti che si avvalgono del rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana. Per effetto della disposizione censurata, tale istituto sarebbe «foriero di minori garanzie per il cittadino ricorrente».

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS), con ordinanza del 12 maggio 2022, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 2022, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 111, 117, commi primo e secondo, lettere l) e m), e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003, nella parte in cui dispone che «[q]ualora il Presidente della Regione non intenda decidere il ricorso in maniera conforme al parere del Consiglio di giustizia amministrativa, con motivata richiesta deve sottoporre l’affare alla deliberazione della Giunta regionale», mantenendo, quindi, integro il potere del Presidente della Regione Siciliana di discostarsi dal parere del CGARS, nonostante l’avvenuta soppressione, per il corrispondente rimedio nazionale, del potere in capo al Presidente della Repubblica di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato.

In particolare viene sostenuta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost., in quanto la norma censurata si porrebbe in contrasto con «l’esigenza di una uniformità di disciplina sul territorio nazionale, […] presidiata dall’attribuzione allo Stato […] “della legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”», qualora si aderisca alla tesi dell’avvenuta giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, nonché di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (qualora si aderisca invece alla tesi del mantenimento della natura meramente giustiziale dell’istituto); dell’art. 3 Cost., «intersecandosi [con] gli artt. 24 e 111, [secondo comma, Cost.]», in quanto si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza, il quale postula che «a tutti i cittadini della Repubblica venga attribuito un identico corredo di rimedi giustiziali e giurisdizionali», mentre, in base a tale disposizione, i ricorrenti che si avvalgano del ricorso innanzi al Presidente della Regione Siciliana sono privati «di un corredo di garanzie e rimedi invece esperibili nel territorio della Repubblica»; degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. nonché dell’art. 136 Cost., in quanto non si prevede il divieto di discostarsi per l’ipotesi in cui il parere sia stato reso all’esito di un procedimento in cui sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale, ovvero questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, e il parere si sia successivamente conformato alle indicazioni provenienti da tali Corti.

2.– La parte appellante nel giudizio a quo si è costituita nel presente giudizio, sostenendo la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione sollevata dal giudice rimettente.

In particolare, la parte reputa violati non solo gli artt. 24, 113 e 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost., ma anche gli artt. 102 e 113 Cost., parametri questi ultimi non evocati dal giudice rimettente.

In tema di definizione del thema decidendum, va richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare lo stesso al fine di ricomprendervi questioni formulate dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 15 del 2023, n. 198 del 2022, n. 230, n. 203, n. 147 e n. 49 del 2021, n. 186 del 2020 e n. 7 del 2019).

Non può, pertanto, essere presa in considerazione la distinta questione prospettata dalla parte costituita volta a denunciare il contrasto della disposizione censurata con gli artt. 102 e 113 Cost.

3.– Così delimitato l’oggetto del presente giudizio, nel merito la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., anche alla luce dell’art. 24 Cost., è fondata.

3.1.– Il giudice rimettente deduce il contrasto della norma censurata con il principio di uguaglianza, declinata con riguardo ai rimedi giustiziali e giurisdizionali riconosciuti ai ricorrenti che si avvalgano del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o al Presidente della Regione Siciliana.

3.2.– L’elemento di principale diversità del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana rispetto all’omologo rimedio nazionale è rappresentato dalla natura non vincolante del parere del CGARS, stabilita, appunto, dalla disposizione censurata. Per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, l’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971 – come modificato dall’art. 69, comma 2, lettera a), della legge n. 69 del 2009 – dispone, invece, che la decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto dal Presidente della Repubblica su proposta del ministro competente, conforme al parere del Consiglio di Stato.

4.– Va, in primo luogo, escluso che la disposizione censurata possa ritenersi implicitamente abrogata ad opera della legge n. 69 del 2009.

La mancata abrogazione della norma in esame, di attuazione dello statuto siciliano, ad opera della citata legge n. 69 del 2009, discende dalla ritenuta prevalenza, nella giurisprudenza di questa Corte, delle norme di attuazione statutarie sulle leggi ordinarie, in virtù dell’adozione delle prime «attraverso un procedimento normativo speciale» nonché del «carattere riservato e separato» della disciplina da essa posta rispetto a quella contenuta nelle altre fonti primarie. In particolare, è stata riconosciuta alle norme di attuazione statutaria la possibilità di introdurre una disciplina particolare e innovativa, purché entro il «limite della corrispondenza alle norme e alla finalità di attuazione dello statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale», soggiungendo che esse «prevalgono, nell’ambito della loro competenza», sulle leggi ordinarie, «con possibilità, quindi, di derogarvi, negli anzidetti limiti» (sentenza n. 353 del 2001).

Va, pertanto, condiviso quanto chiarito, peraltro, anche dal Consiglio di Stato (sezione prima, parere 13 gennaio 2021, n. 203, punto 16) e dal CGARS (parere 25 febbraio 2020, n. 61, punto 12.5.), secondo cui la disposizione dell’art. 9 del d.lgs. n. 373 del 2003, «in quanto contenuta in una fonte speciale e rinforzata (posto che il citato d.lgs. n. 373/2003 reca norme di attuazione dello Statuto regionale), certamente prevale in parte qua sull’art. 69 della menzionata legge n. 69/2009, là dove si prevede la soppressione della decisione in difformità del Consiglio dei Ministri».

5.– Deve, quindi, concludersi per la vigenza della disposizione censurata: il parere reso dal CGARS in sede di ricorso straordinario resta non vincolante, mentre lo è quello reso dal Consiglio di Stato, a seguito delle modifiche operate dalla legge n. 69 del 2009.

Tale diversità di disciplina tra i due istituti è idonea a determinare una serie di significative conseguenze.

La centralità della natura (vincolante o meno) del parere reso dall’organo consultivo (Consiglio di Stato o CGARS) emerge chiaramente dal processo di evoluzione che ha interessato il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Siffatto processo – pur non comportando una giurisdizionalizzazione dell’istituto, al quale va comunque riconosciuta una natura “giustiziale” che differisce da quella giurisdizionale (sentenze n. 24 del 2018 e n. 73 del 2014) – ha determinato l’ampliamento delle garanzie e degli strumenti di tutela a disposizione di chi si avvale di tale rimedio proprio sulla base della mutata natura vincolante del parere dell’organo consultivo.

La Corte di giustizia delle Comunità europee, sin dal 1997 (sezione quinta, sentenza 16 ottobre 1997, in cause riunite da C-69/96 a 79/96, Garofalo e altri), aveva invero affermato la legittimazione del Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario a sollevare questione pregiudiziale comunitaria, reputando sussistenti i caratteri necessari per qualificarlo, ai detti specifici fini, come «giurisdizione nazionale»: origine legale, carattere permanente, indipendenza, obbligatorietà del suo intervento, procedura ispirata al principio del contraddittorio ed applicazione di norme giuridiche per la risoluzione delle questioni.

Per converso, a livello nazionale, la possibilità di esperire l’azione di ottemperanza per l’esecuzione del decreto del Presidente della Repubblica che decide il ricorso straordinario e la legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare in sede di parere su ricorso straordinario questione di legittimità costituzionale sono state inizialmente escluse, rispettivamente, dalla Corte di cassazione (sezioni unite civili, sentenza 18 dicembre 2001, n. 15978) e da questa Corte (sentenza n. 254 del 2004).

È significativo che entrambe le pronunce abbiano escluso l’esperibilità dei predetti rimedi proprio sul rilievo della possibilità per l’autorità amministrativa di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, rendendo così la decisione imputabile giuridicamente alla prima e non al secondo.

Tali posizioni sono state, in seguito, superate. Il processo di ampliamento delle garanzie procedimentali e dei rimedi esperibili in sede di ricorso straordinario ha subìto un impulso determinante in seguito agli interventi legislativi rappresentati dalla già citata legge n. 69 del 2009 – che ha sancito il carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario e ha previsto − in coerenza con i criteri posti dall’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte Costituzionale) (sentenza n. 73 del 2014) − la possibilità di sollevare incidente di legittimità costituzionale. Successivamente, il d.lgs. n. 104 del 2010 ha limitato l’esperibilità del ricorso straordinario alle sole materie di competenza del giudice amministrativo e ha espressamente previsto la possibilità di azionare il giudizio di ottemperanza per la corretta esecuzione del decreto presidenziale.

In particolare, il comma 2 dell’art. 69 della legge n. 69 del 2009, modificando l’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, ha eliminato la potestà del Governo di deliberare in senso difforme rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato, il quale assume, dunque, i connotati di una vera e propria statuizione vincolante; dal che la giurisprudenza ne ha fatto discendere il carattere sostanzialmente decisorio.

Proprio facendo leva sulle innovazioni legislative introdotte nel 2009 e nel 2010, la Corte di cassazione, partendo dall’intervenuta progressiva assimilazione del ricorso straordinario al ricorso giurisdizionale amministrativo, ha cambiato la propria precedente giurisprudenza e ha riconosciuto l’ammissibilità dell’azione di ottemperanza per l’esecuzione dei decreti resi su ricorsi straordinari (Cass., sez. un., n. 2065 del 2011) e la sindacabilità di questi ultimi da parte della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (Cass., sez. un., n. 23464 del 2012).

Alla base del mutato indirizzo ha rivestito peso determinante l’intervenuta eliminazione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, in quanto ciò «conferma che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio: che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell’organo emittente e della forma dell’atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull’individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività» (Cass., sez. un., n. 2065 del 2011).

Analogo atteggiamento si rinviene nella giurisprudenza amministrativa sull’esperibilità dell’azione di ottemperanza, anche in questo caso dando rilievo decisivo allo ius superveniens, che ha attribuito carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato (adunanza plenaria, sentenza 6 maggio 2013, n. 9).

Anche questa Corte, nel prendere atto della espressa attribuzione al Consiglio di Stato della legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale in sede di parere, ha ricondotto tale rimedio alla nozione di «“giudizio”, quantomeno ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 73 del 2014). E per giungere a tale conclusione ha valorizzato proprio, ancora una volta, l’«acquisita natura vincolante del parere del Consiglio di Stato, che assume così carattere di decisione, [la quale] ha conseguentemente modificato l’antico ricorso amministrativo, trasformandolo in un rimedio giustiziale». Del resto, come affermato nella stessa pronuncia, l’originaria scelta nel senso dell’attribuzione al ricorso straordinario della natura amministrativa (risalente alla sentenza n. 254 del 2004) era stata effettuata «soprattutto in ragione della facoltà del Consiglio dei ministri di adottare una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato» (sentenza n. 73 del 2014).

L’ultima tappa di tale percorso ha, infine, riguardato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla riferibilità alla decisione del ricorso straordinario delle garanzie convenzionali in tema di equo processo.

Ugualmente, anche la svolta della Corte europea dei diritti dell’uomo si incentra sulla modifica normativa che ha attribuito natura vincolante al parere del Consiglio di Stato. Nelle precedenti decisioni, infatti, la Corte EDU aveva escluso la riconducibilità del ricorso straordinario all’art. 6 della Convenzione. In particolare, nelle decisioni della terza sezione, 28 settembre 1999 (Nardella contro Italia) e 31 marzo 2005 (Nasalli Rocca contro Italia), la Corte EDU aveva ricostruito la disciplina dell’istituto del ricorso straordinario come rimedio speciale ed escluso che esso ricadesse nell’ambito dell’art. 6 della Convenzione. Sulla medesima linea la sentenza della seconda sezione, 2 aprile 2013 (Tarantino e altri contro Italia), ha ribadito che la parte ricorrente in via straordinaria, «presentando un appello speciale al Presidente della Repubblica nel 2007», non aveva avviato un procedimento contenzioso del tipo descritto all’art. 6 CEDU.

Il mutamento di giurisprudenza è intervenuto con una recente decisione (sezione prima, 8 settembre 2020, Mediani contro Italia), nella quale la Corte EDU ha affermato che le tutele previste dalla Convenzione (e segnatamente l’art. 6 sulla ragionevole durata dei processi) sono riferibili anche al ricorso straordinario. Al riguardo, anche la Corte EDU ha espressamente argomentato sulla base delle modifiche legislative intervenute nel 2009 (legge n. 69 del 2009) e nel 2010 (d.lgs. n. 104 del 2010), ritenendo compiuta la trasformazione del ricorso straordinario in un «judicial remedy», così da riconoscerne, ai fini convenzionali, la “giurisdizionalizzazione”, con l’applicabilità delle conseguenti garanzie.

6.– Se, come si è visto, l’acquisita natura vincolante del parere del Consiglio di Stato ha determinato il riconoscimento dei diversi strumenti di tutela in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, risolvendosi quindi in un ampliamento delle garanzie dei ricorrenti, è evidente che il permanere della natura non vincolante del parere del CGARS induce a mettere in discussione il riconoscimento (o il mantenimento) delle medesime garanzie in sede di ricorso al Presidente della Regione Siciliana.

6.1.– Siffatta contrazione del corredo di rimedi e garanzie riconosciuto al ricorrente in sede di ricorso al Presidente della Regione Siciliana, rispetto a colui che si avvale dell’omologo rimedio nazionale è in contrasto con l’art. 3 Cost. e, senza idonea giustificazione, si riflette negativamente sulla tutela dei diritti e degli interessi legittimi di cui all’art. 24 Cost.

Non sussistono, infatti, differenze tra i due istituti idonee a giustificare una tale disparità di trattamento. Né tale disparità appare in alcun modo riconducibile ai profili di autonomia speciale di cui gode la Regione Siciliana.

Si tratta di strumenti che hanno la medesima genesi – in quanto storicamente proprie delle monarchie assolute, quale forma di grazia nei confronti di decisioni amministrative non suscettibili di altri rimedi – nonché, soprattutto, a legislazione vigente, la medesima struttura e, tendenzialmente, analoga disciplina.

Quanto a quest’ultimo aspetto, il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana è previsto espressamente, quale ricorso amministrativo, dall’art. 23 dello statuto della Regione Siciliana.

Le fasi del procedimento decisorio del ricorso si conformano, essenzialmente, alla disciplina dell’omologo istituto nazionale di cui agli artt. 8 e seguenti del d.P.R. n. 1199 del 1971, integrata, in particolare, dall’art. 9 del d.lgs. n. 373 del 2003 per il solo aspetto relativo al parere del CGARS.

Nell’attuale disciplina le uniche differenze rinvenibili nel ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, oltre alla diversa natura del parere dell’organo consultivo, qui censurata, sono rappresentate dall’accentramento dell’intera procedura presso la Presidenza della Regione, essendo l’istruttoria demandata all’Ufficio legislativo e legale della stessa Presidenza, nonché la diversa posizione e responsabilità istituzionale del Presidente della Regione (nella duplice veste di suprema autorità regionale e di vertice del Governo regionale) rispetto al Presidente della Repubblica.

È del tutto evidente che si tratta di differenze che non giustificano una disparità di rimedi e garanzie posti a disposizione del ricorrente, a seconda che agisca dinanzi al Presidente della Repubblica o al Presidente della Regione Siciliana.

E anzi, come sottolineato anche dal Consiglio di Stato nel parere n. 203 del 2021, la differenza principale tra i due istituti, legata alla natura dell’organo che adotta il provvedimento finale e alla diversa posizione e responsabilità istituzionale del medesimo rispetto al Presidente della Repubblica, rende semmai ancora più rilevante l’esigenza di fornire un adeguato corredo di garanzie in capo al soggetto che si avvale del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana.

In conclusione, non emergono elementi di differenziazione tra i due istituti, nazionale e regionale, idonei a giustificare una diversità di tale portata tra la disciplina statale e quella siciliana, quanto alla natura del parere dell’organo consultivo e alla possibilità di discostarsi da esso, che si risolva in una minor tutela dei propri diritti e interessi garantita al ricorrente dinanzi al Presidente della Regione Siciliana rispetto al ricorrente in via straordinaria al Presidente della Repubblica.

7.– Sulla base di tali argomentazioni, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373 del 2003, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

Restano assorbite le censure riferite agli altri parametri.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2023.